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Pietro Roberto Goisis e Gioia Gorla
UNO SPAZIO PER TOMMASO SENISE

2.5. Maria Pia Gardini, Conversazione con Senise. Gli adolescenti questi sconosciuti



A colloquio con un maestro della psicoanalisi scopriamo il mondo dell'adolescenza e tanti stimoli per riflettere su noi adulti. Il valore di un'esperienza che non é solo teorica, ma anche umana: siamo accompagnati in un viaggio tra i valori senza la pretesa di imporre ma solo di sollecitare l'autodeterminazione

Avevo già incontrato Senise due o tre anni fa sempre per Vivereoggi e avevamo fatto una breve chiacchierata. Ora però la situazione é diversa perché c'è di mezzo un libro.

Dottor Senise, cos'è per lei questo libro, che significato ha?
Per la verità non é stata un'iniziativa mia, anche se ci tenevo che venisse scritto. Il significato é cercare di comunicare qualche cosa che fosse utile per gli adolescenti che sono stati per me oggetto di interesse e anche di polarizzazione della mia vita affettiva per tanti anni. Utile per far capire attraverso le emozioni e non attraverso la logica.

C'è quindi una grossa parte della sua vita in questo libro...
Credo proprio di sì, perché oltretutto contiene la trascrizione fedele di registrazioni di colloqui con adolescenti scelte insieme alla Aliprandi e alla Pelanda.

Proprio leggendo le registrazioni dei colloqui si può cogliere anche la sua filosofia della vita: per esempio, quando nel colloquio con Luisa lei fa il discorso della libertà. L'impressione è che, nonostante il suo grande rispetto per la libertà di scelta dei ragazzi, in certi momenti lei proponga dei valori e una sua filosofia della vita.
E' così. E mi sono anche chiesto più volte se è legittimo trasmettere valori agli adolescenti da parte di uno che fa il mio mestiere. Ho sempre sostenuto che non ci si deve permettere di trasmettere dei valori nel senso, che so, della religione o del nazionalismo, ma che era legittimo trasmettere il valore della libertà. Perché questo non significava influenzare l'adolescente nelle sue scelte ma, se veniva influenzato a investire la libertà come valore questo lo rendeva libero di scegliere una direzione oppure un'altra: ma non ero io a mettergli dentro niente che non fosse suo. Io credo che ogni uomo abbia questo bene, la libertà, che nasce in lui nel momento in cui le pressioni degli istinti lo portano a cercare e a trovare l'oggetto capace di soddisfarli.
Naturalmente se l'uomo procedesse solo su questa linea, diventerebbe un predatore quindi sorge il problema della liberta che può essere tale solo se investita assieme al sentimento della giustizia che è quello che dà il limite entro cui la libertà dell'uomo può essere esercitata.

C'é un altro aspetto di cui lei parta spesso: le norme. Non le sembra che oggi il significato e il valore delle norme siano molto confusi e che i giovani non ricevano questi due messaggi con chiarezza sufficiente?
Credo che ci sia abbastanza confusione in questo campo, specialmente per quanto riguarda la libertà, perché ci sono delle degenerazioni, diciamo così, anche dal punto di vista del pensiero giuridico, che confondono il contenimento con la repressione. Là dove il contenimento è indispensabile per permettere di pensare e quindi per permettere delle scelte libere. Penso che oggi non esiste più... un carcere per i minori. Il problema non è che non debba più esistere, ma che esista un carcere che sia capace di educare oltre che di contenere. Ma la necessità di contenere è ignorata. Ora. la principale caratteristica dei ragazzi che delinquono è quella di avere un grosso difetto di simbolizzazione e quindi di capacità di pensare: loro devono tradurre direttamente tutto in atti, sia le loro angosce che i loro impulsi. E manca loro la capacità di riflettere. Lasciarli liberi significa lasciarti liberi di non vivere, perché non sono in grado di rielaborare un'esperienza: la loro vita diventa una ripetizione di atti senza valore.
Per quello che riguarda la delinquenza come patologia non abbiamo proprio niente.

Collegandosi un po' a questo discorso, rispetto agli adolescenti e ai giovani in genere ci sono due stereotipi che tendono a diffondersi: l'adolescente o è in pericolo o è pericoloso.
Non la vedrei proprio nella stessa maniera, nel senso che noi operiamo in un campo in cui arrivano genitori che hanno problemi con i loro figli adolescenti o adolescenti che hanno dei problemi che possono essere relativi al proprio essere in pericolo o al proprio essere pericolosi...

Questo è un aspetto, certo, ma io mi riferivo agli stereotipi che si diffondono attraverso i media in generate: gli adolescenti sono quelli che picchiano allo stadio. sono coinvolti in attività illecite. si perdono nella droga. non sono tutelati... Come stereotipo culturale quindi. non quello che si vede nello studio del terapeuta perché lì c'è e già una presa in carico del problema.
Questo sì. Direi che c'è molta leggerezza, lì problema principale è che quasi nessuno si chiede che cosa è il disagio, che è un fatto normale in adolescenza, e da che cosa è costituito
C'è ignoranza rispetto a quello che caratterizza l'evoluzione di un adolescente e lo ribadisco anche qui, la paura con cui si guarda agli strumenti di contenimento. Perché sembra che gli adulti ignorino che per fare un individuo maturo un individuo le cui strutture siano abbastanza evolute, si parte dalla nascita per arrivare ai diciotto anni, nella migliore delle ipotesi, ma molto spesso ai trenta, e i momenti di contenimento sono necessari lungo tutto l'arco del periodo evolutivo E io direi anche che noi, come adulti, sappiamo di aver avuto bisogno in certi momenti dell'aiuto del contenimento. Che poi per noi adulti di un certo ceto il contenimento sia soprattutto un contenimento che va ricercato nelle relazioni affettive, non esclude che a volte sia necessario usare la forza... che un bambino di due anni si arrampichi su una ringhiera e che per rispetto della sua libertà, la madre non lo fermi...

L'affetto e la forza...
Voglio dire che se anche il contenimento basato sulla relazione affettiva è il migliore, non sempre si può usare, e quindi a volte occorre che intervenga un'autorità che può essere sufficiente per il prestigio che ha la persona, ma che spesso occorre che sia affermata anche con strumenti, al limite, fisici, che siano le quattro mura di una stanza o comunque di un edificio. Non si possono lasciare a se stesse persone che non hanno ancora la capacità di far uso della propria libertà.

A questo proposito, l'assenza prolungata dei genitori da casa per le necessità del lavoro non é un elemento che spinge il ragazzo a cercare e prendere qualsiasi cosa, fuori, per riempire la solitudine?
Nella maggior parte dei casi queste assenze incidono negativamente, lo vedo nei bambini piccoli come l'intelligenza, la capacità motoria, la creatività si sviluppino in modo molto diverso fra un bambino che abbia una relazione buona e continua con i genitori, la madre in particolare, e un bambino che invece deve passare da una figura adulta ad un'altra.
Naturalmente se il progresso, che è quello che è, va verso l'emancipazione, l'autonomia, l'affermazione dei singoli individui e quindi anche della donna, non è che si possa essere ostili verso questo cambiamento. C'è semmai da chiedersi come far fronte alle carenze che questo comporta sul piano dell'accudimento, dell'essere capaci di prendersi cura dei bambini. E viene immediatamente in mente l'asilo nido, la scuola materna e poi le scuole lungo tutto l'arco evolutivo. Ma la formazione delle persone che sono oggi sostitutive della famiglia è assolutamente carente: lo è, credo, un po' meno per la scuola materna e le elementari. Comincia invece a essere molto carente negli asili nido, dove c'è spesso una situazione di parcheggio e basta, e nella scuola media.
Gli insegnanti della scuola media non sono neanche informati sui problemi evolutivi. Non parliamo poi della scuola superiore. Qui l'insegnante ha completamente perduto e. per lui, direi lo Stato attraverso la legislazione, il senso che non si può esser insegnanti se non si è anche educatori. Educatori lo sono comunque, anche se questo ruolo è ignorato e l'unica preoccupazione è la trasmissione del sapere. Se questa è veicolata da un rapporto interpersonale, raggiunge risultati che sono molto migliori che se vi è solo una trasmissione automatica. Sappiamo che vi sono insegnanti assolutamente incapaci di tenere una classe e insegnanti capaci di trasmettere il sapere e altri che non lo sono. E quelli più capaci di farlo sono insegnanti che hanno un senso molto preciso dell'autorità e sono contemporaneamente molto bravi nella materia che insegnano e quindi diventano autorevoli e sono ascoltati. Oppure sono insegnanti capaci di capire il rapporto individualizzato.

D'altra parte la scuola si lamenta che le sia stato attribuito un compito educativo che va al di là, nel senso che la famiglia delega. Lei ha conosciuto tanti genitori che, però, venendo qui, si sono volontariamente implicati nella storia dei loro figli: ma non ha l'impressione che i genitori in generale facciano molta fatica a farsi carico della loro parte, come se avessero paura ad affrontare i figli, specialmente nell'età adolescenziale?
Spesso i genitori vengono colpevolizzati quando si parla dei figli e della grossa responsabilità che hanno e, almeno quelli che arrivano qui, sono spesso carichi di sensi di colpa. Il che non serve proprio a niente perché il senso di colpa, se non viene elaborato attraverso una depressione che porta a una posizione più corretta, serve solo a farci sentire tutti più aggressivi verso chi ci fa sentire in colpa. Cosi ci sono aggressioni sotterranee ai fini di recuperare nei confronti dei figli, e questi dimostrano delle deficienze che sono la testimonianza del proprio insuccesso. Un'altra situazione che mi sembra oggi più frequente di una volta è l'investimento narcisistico che i genitori fanno sui figli, per cui loro "si aspettano" dai figli e questi non realizzano se stessi secondo le loro doti e capacità: devono rispondere a un modello prefissato.
Questo comporta che se il figlio assume come modello quello presentato dai genitori, diventa un bambino competitivo lungo tutto l'arco della formazione scolastica, con il grosso rischio che spesso, a un certo momento, cade la difesa narcisistica legata alla competitività e lui si trova con niente dentro, perché quello che aveva investito non era mai stato l'interesse per quello che faceva o per la competenza stessa, era il successo.
Arrivano qui ragazzi stremati dalla fatica, che lavorano dalla mattina alla sera per la scuola senza nessun interesse... Naturalmente questi sono casi estremi, ma il più delle volte si tratta di situazioni intermedie dove la competizione viene molto stimolata dai media. Noi viviamo in una società competitiva, per cui non si può nemmeno dire che l'ideale per un ragazzo potrebbe oggi non essere competitivo
Un minimo di competizione la deve avere, anche se teoricamente la competizione è una cosa assurda, perché ci sarà sempre uno davanti a lui da scavalcare. Ed è anche una logica distruttiva perché una persona competitiva è per sua natura invidiosa e deve desiderare che quello che è medio di lui soccomba.

Abbiamo parlato della scuola, dei genitori. E i servizi?
L'ipotesi che più mi sta bene, anche perché nasce in me, in parte da me, è quella realizzata da De Vito a Melegnano, dove la disponibilità del servizio non è solo nei confronti dell'adolescente portatore di una sofferenza psichica, ma anche nei confronti della scuola; è quindi un servizio che crea un discorso per sensibilizzare sulle problematiche adolescenziali e questo mi sembra un ottimo servizio.

E la figura degli educatori o tutors che dir si voglia?
Credo che sia molto importante questa figura, specie se inserita negli spazi lucidi: spazi lucidi se ci sono, perché al di fuori degli oratori credo che ne esistano pochissimi...

Il mondo laico ha prodotto ben poco in questo senso: tanto amore per l'iniziativa individuale e la libertà di scelta pero...
Proprio così, gli oratori... che poi non condivido molto come laico, anche se riconosco che non c'è molto altro e tanto vale... Però qual'è il compito di un sacerdote? Trasmettere valori in cui crede e non è certamente la libertà che trasmette, ma la fede: non è quindi un'educazione libera quella che viene data all'oratorio...

Tornando ai servizi. Stavo pensando al consultorio adolescenti. Adesso quasi tutti i consultori familiari hanno uno "spazio adolescenti". Ecco, secondo lei, l'adolescente come vive questo spazio, che poi spesso è uno spazio segreto, dove va di nascosto?
Non so, non ne so abbastanza. Ma credo che in sè per sè possa essere un offerta valida, se l'operatore che si occupa dell'adolescente è una persona che ha una buona formazione e conosce bene il suo ruolo.
L'adolescente per crescere ha bisogno di spazi segreti soprattutto per quello che attiene alla sua vita pulsionale, e questo perché la sua vita pulsionale è stata soggetto durante l'infanzia alla rimozione. Nel momento in cui, con l'ingresso nell'adolescenza, la difesa della rimozione non regge più, si difende in un altro modo, cioè creando queste situazioni di segreto che servono poi alla sua individuazione e per differenziarsi dai genitori.
I genitori, poi, che vogliono sapere tutto dei figli, che vanno a frugare nelle loro carte...

E' anche vero che c'è tanta paura nei genitori. La tossicodipendenza, ad esempio, fa vivere i propri figli in pericolo e aumenta la tendenza al controllo.
Si, ma anche qui c e scarsa conoscenza: chi è che si droga, chi è che diventa un drogato? Per la maggior parte sono persone predisposte e quindi potrebbero essere individuate prima che diventino drogate un'altra piccola percentuale è fatta di adolescenti che in un momento di crisi hanno avvicinato la droga e poi ci sono rimasti dentro. Quindi occorre avere la possibilità di individuare i momenti di crisi che, seppure esasperati, possono anche essere momenti di normalità, nel senso che se passa la crisi tutto va avanti. Ma in quel momento sono più vulnerabili... Come il bambino in certi passaggi evolutivi, anche l'adolescente è soggetto a momenti di vulnerabilità: se è sfortunato e in quel momento incappa a sperimentare la droga corre il rischio di rimanerci. Ma la maggior parte di questi hanno già una struttura tossicofilica.

Vorrei chiederle una cosa un po' distante, forse, da quanto abbiamo detto finora. Ma non poi tanto. Sembra, è una mia lettura che le propongo, che questo mondo che invecchia si preoccupi molto di questo fenomeno: che gli adulti siano più rivolti verso la protezione e le garanzie per sè e per quello che sarà di loro, che non verso la voglia di mettersi in gioco e proiettarsi verso il futuro attraverso i giovani.
Non ci ho mai pensato a fondo, ma penso che quello che mi dice sia plausibile e che potenzialmente i giovani oggi siano per l'adulto un rischio. Cioè, quanto più tempo rimangono adolescenti, per molti adulti, tanto meglio è, perché non invadono il campo del lavoro, non scavalcano. E' veramente talmente competitiva la situazione del lavoro che ogni nuovo venuto è visto male.

Io credo che ci sia una forte competizione fra generazioni, che la nostra cultura sia competitiva anche e proprio fra le generazioni.
Si, che si cerchi di rallentare la maturazione dell'adolescente ...ci sono un sacco di cause. Anche l'eccessiva stimolazione da parte del mondo esterno fa impiegare più tempo all'adolescente a fare esperienze di una certa consistenza e a elaborarle: a questo si aggiunge sia la somma enorme di informazioni che riceve, sia la distrazione che questo comporta, perché l'informazione è spesso anche spettacolo e questo porta a privilegiare la fantasia passiva piuttosto che quella creativa.

Infatti, mediamente, i giovanissimi leggono poco... E l'eccesso di beni materiali?
Questo riguarda piuttosto l'investimento narcisistico. C'è un aumento del narcisismo durante l'adolescenza che è molto rafforzato da stimoli esterni, tutto l'abbigliamento nell'adolescenza... ci fanno persino delle depressioni...

Vorrei ritornare al suo libro. Mi ha colpito leggendolo che ogni tanto, specialmente nei colloqui, si sentisse un andamento, indipendentemente dal contenuto, quasi narrativo. Le piace raccontare.?
Probabilmente mi piace raccontarmi. Però credo che questo raccontarmi sia nato tardi nella mia evoluzione professionale ed è nato perché sento nell'adolescente il bisogno di confrontarsi con l'adulto che è stato adolescente anche lui. Si sente molto rassicurato dal fatto che l'adulto abbia avuto a sua volta un'adolescenza che non è stata facile e quindi il racconto di sè diventa funzionale al rapporto terapeutico. Con l'adolescente c'è il suo essere senza identità, che è uno dei problemi più difficili da accettare per lui, e diventa più accettabile se sente che c'è stato anche nell'altro tutto un travaglio...

Al di là del raccontarsi con questo scopo, le piace raccontare?
A me piace raccontare nel senso che se, per esempio, faccio una perizia per il tribunale, al giudice bisogna trasmettere il racconto del minore, possibilmente. E' l'unico modo perché egli capisca attraverso le emozioni e se lui non capisce le emozioni non può giudicare un adolescente.

Ecco, questo mi sembra importante perché c'è tanto la tendenza al linguaggio supertecnico, del "tanto tra noi ci capiamo", mentre il fatto di raccontare consente a volte di capire cose anche concettualmente difficili.
Certo, se dovessi dire che ho un ideale di comunicazione sarebbe quello di parlare in modo che tutti possano capire.

A proposito di sincerità, da pare dei genitori, questa volta. Si sente spesso dire "io e mio figlio, o mia figlia, non ci nascondiamo niente: io le racconto tutto come a un amica". Come la pensa su questo coinvolgere i figli nella propria vita privata?
Secondo me non va bene. Non bisogna nasconderla ma non bisogna confidarla: il che significa che una madre o un padre devono sentirsi liberi di mostrarsi come sono: ma scegliere un figlio come confidente vuol dire veramente aspettarsi una reciprocità...
Recentemente ho visto una madre che rimproverava la figlia perché non era più disponibile a consolarla quando lei stava male, Ora, io credo sia naturale che una madre chieda conforto ai figli, ma non facendo di questo a base per ottenere la confidenza della loro vita secreta: se no, non ci si separa più, non ci si individua più.

Un'ultima cosa, dottor Senise: cosa deve sentire l'adolescente negli adulti? Forse la sincerità'?
Si, ma credo soprattutto il rispetto per lui, perché molto spesso l'adulto tratta l'adolescente come uno che non è in grado di capire, Ma questo è naturale: essendo adolescente non può essere in grado di capire quello che può capire un adulto, però deve esserci un adulto che parla con lui non solo con il rispetto per lui com'è, ma con rispetto per lui come individuo che diventerà persona e che quindi ha una strada da fare prima di riuscire a capire come si vive.


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