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Pietro Roberto Goisis e Gioia Gorla
UNO SPAZIO PER TOMMASO SENISE

3.5. Marzia Mori-Ubaldini, Tommaso Senise supervisore: un insegnamento terapeutico *



In questo lavoro che ho presentato nella giornata commemorativa organizzata dall'Istituto del Bambino e dell'Adolescente, ho parlato esclusivamente della mia esperienza di supervisione per i trattamenti di psicoterapia di individuazione e separazione per gli adolescenti.
Non ho trattato della mia esperienza di paziente in analisi avvenuta parecchi anni addietro, ma posso dire di aver trovato e facilmente riconosciuto molta vicinanza tra Senise psicoanalista e Senise psicoterapeuta dell'adolescenza, con un assetto mentale di grande rispetto per la libertà della persona e per la vita.
Difficile non partire dalla sua persona e dal ricordo di uno degli ultimi incontri avuto con lui due mesi prima della sua morte.
In quella occasione, poiché mi parlava della sua malattia e della morte, gli domandai se aveva paura di morire e lui mi rispose: "Non ho paura di morire è che mi dispiace molto di smettere di vivere! "
Credo che "l'amore per l'essere in vita" sia una delle eredità fondamentali ricevute da Tomaso Senise, sia come analista sia come docente, e che ciò assomigli molto a quanto dice Winnicott quando parla dell'importanza che l'analista sia " sveglio e vitale".
Non a caso cito D. Winnicott perché ho trovato, negli anni di conoscenza e studio con Senise, molti tratti in comune tra l'uno e l'altro, senza che vi fosse una esplicita e consapevole posizione winnicottiana nel modello teorico di T.Senise il quale non sembrava molto interessato ad una precisazione del proprio modello in seno alle correnti scientifiche psicoanalitiche.
Mi pare, invece, che fosse appassionatamente interessato a trasmettere ai più giovani in training, (ma posso dire anche ai pazienti), un'idea ottimistica delle risorse umane.
Nel suo modello di trattamento per gli adolescenti mi sembra che questa visione dell'essere umano si manifesti nella trasmissione di un intervento che chiamerei, se mi passate la metafora, "ostetrico".
Intendo con ciò porre l'accento sull'importanza per Senise che l'adolescente possa trovare un aiuto facilitante, " l'uscita dall'infanzia ", una relazione terapeutica adatta a promuovere la liberazione dai lacci infantili che ostacolano i nuovi investimenti adulti.
Il suo lavoro di supervisore e docente mi è sembrato orientato alla formazione delle capacità psicoterapeutiche specifiche a questo compito: aiutare, in un tempo possibilmente breve, gli adolescenti in crisi a ritrovare in sé le spinte e le risorse per riattivare la necessaria ristrutturazione interna indispensabile alla crescita.
I tempi brevi sono un elemento forte e di controtendenza rispetto alla più classica psicoterapia psicoanalitica, non osteggiata da Tommaso Senise, ma utilizzata solo per i casi per cui lo ritenesse indispensabile.
Il lavoro di training è direttamente conseguente a questo scopo, ed in questo senso mi sembra possa situarsi uno degli aspetti più originali dell'intervento e che consiste nella conoscenza diretta e approfondita dei genitori dell'adolescente.
Un elemento che oggi può ai più giovani colleghi sembrare banale, ma che all'epoca in cui T.Senise aveva cominciato era assai poco comune.
Nel modello di intervento di osservazione ed individuazione del paziente é considerato di centrale importanza che il terapeuta si faccia un'idea personale e diretta dei genitori, in modo da poter confrontare il proprio punto di vista con i fantasmi introiettati dall'adolescente.
Questo concetto, nel periodo storico in cui Senise è andato formalizzandolo, era del tutto "rivoluzionario" ed irregolare rispetto al classico colloquio di osservazione psicoterapica dove era data come indicazione quella di non avere idee realistiche del paziente, tanto da evitare a volte anche di leggere le cartelle e/o di raccogliere informazioni prima dell'incontro.
Il setting così preparato sembra legare il gruppo familiare alla realtà di una crisi momentanea per la quale può essere utile l'intervento di un " estraneo " che può essere conosciuto e può conoscere e chiedere aiuto ai genitori di cui riconosce la competenza ed il ruolo permanente.
Questa operazione semplice mi sembra giocare un ruolo simbolico assai importante per tutti i componenti senza avvicinarsi per questo ad un intervento di terapia familiare.
Sembra, infatti, mettere le basi per evitare il crescere di fantasie troppo intense di esclusione da parte dei genitori, ma anche fantasie od ansie claustrofiliche nello psicoterapeuta e nel giovane paziente.
Inoltre mi sembra un assetto che allontana lo strutturarsi di una dipendenza transferale regressiva come in un trattamento psicoanalitico che inevitabilmente porta a sospendere l'attivazione del progetto di emancipazione ed individuazione mantenendo una diversità visibile anche nel setting.
A me è parso che attraverso i colloqui con i genitori, insieme o separatamente, e senza l'adolescente, Tommaso Senise ottenesse anche di avere l'occasione di dare ai genitori stessi una opportunità di rivedere il loro ruolo di genitori.
Così insegnava agli allievi quanto fosse importante riportare i genitori a ricordare la propria adolescenza per immettere in essi, in crisi, sconcertati e confusi, un'idea più dinamica della situazione del loro figlio aiutandoli a ritrovare un ruolo nuovo con l'attivazione di processi di comprensione empatica attraverso il recupero di parti di sé negate o confuse con il figlio.

Anche nel momento in cui i genitori venivano chiamati per la restituzione finale del lavoro di osservazione una volta chiarito il progetto terapeutico, egli poneva con chiarezza la promozione della crescita e della emancipazione dell'altro al centro della funzione genitoriale.
In altri termini, mi sembra che anche in questo caso Senise cogliesse l'occasione di dare ai genitori un'opportunità di emancipazione dagli stereotipi dentro cui potevano essersi incagliati insegnando ai più giovani colleghi ad avere con le figure parentali un rapporto, quando possibile, di autentico rispetto e collaborazione.

Nell'intento di evidenziare gli aspetti originali del suo insegnamento, ricordo che durante i seminari di supervisione di gruppo tenuti Senise faceva ascoltare la registrazione delle sedute di osservazione da lui stesso effettuate con il consenso del paziente.
Inoltre rendeva partecipi degli appunti con le riflessioni che quel paziente aveva messo in moto in lui.
Anche a quell'epoca era assai raro che uno psicoanalista usasse liberamente la registrazione delle sedute ed ancor più che le mettesse a disposizione come materiale per i seminari di supervisione.
Ricordo come ci pareva straordinario allora acquisire il diritto di entrare nel vivo del suo intervento, ma penso che questo metodo, al di là della reazione emotiva di coinvolgimento che metteva in moto, contenesse anche il desiderio di trasmettere un modo d'essere psicoterapeuta su cui vale la pena di riflettere.
Prima di tutto abbattere la idealizzazione transferale che è nutrita dal mistero e dalla distanza. Questo era quanto poi direttamente consigliava nell'intervento con gli adolescenti: interpretare immediatamente il transfert in modo da ridurre la idealizzazione transferale per poter lavorare sul piano delle identificazioni.
In secondo luogo testimoniare direttamente dell'importanza dell'autenticità come valore importante piuttosto che assumere un ruolo di distanza gerarchica o di passiva esecuzione delle norme.
Ascoltando gli scambi si assisteva al modo in cui Senise reagiva alle critiche del paziente quasi sempre in modo empaticamente accettante, oppure momenti di difficoltà di stallo mostrando concretamente di offrire il diritto di cercare la verità e la conoscenza liberamente, senza paura dell'autorità.

Mi sembra perciò che facendo ascoltare i suoi scambi passava un messaggio, per l'allievo, nel versus della emancipazione e individuazione del proprio stile comunicativo e questo non solo perché si ascoltava il suo modo di fare domande o di stare in silenzio, ma perché - " rendendo possibile l'ascolto diretto " - trasmetteva che si può parlare di ciò che accade veramente anche se lo scambio contiene momenti difficili.
In questo modo operava con l'allievo nella stessa direzione usata per l'adolescente: faceva conoscere all'allievo la realtà della registrazione promuovendo così in lui il confronto con i propri fantasmi idealizzati della psicoterapia e degli analisti-maestri per facilitare la libertà dell'allievo dai canoni rigidi della dipendenza e promuovere una emancipazione dalle figure carismatiche degli analisti-genitori-supervisori.

Questo era ciò che indicava come importante nell'intervento con gli adolescenti: tenere sempre in mente che essi sono esseri alla ricerca della emancipazione e che verso la emancipazione vanno portati piuttosto che promuovere una regressione alla dipendenza infantile e che uno dei modi per rendere possibile ciò consiste nell'individuare ed elaborare gli eccessi idealizzanti che ostacolano il processo del pensiero.

Senise non aveva con questo una posizione ostile al trattamento psicoanalitico, ma cercava, nel caso della crisi adolescenziale, di utilizzarlo solo quando fosse necessario perché al centro della sua attenzione era "la vita da vivere" e ricordava ai terapeuti che lo scopo dei nostri interventi consiste nel restituire i nostri pazienti al compito di "vivere una vita".
Per avere un'idea diagnostica più chiara, ma io credo anche per evitare il formarsi di una coppia troppo fusa e stretta prima della chiarificazione progettuale, considerava indispensabile l'invio ad un collega, perché questi potesse fare dei colloqui psicodiagnostici.
Questo elemento era un poco faticoso da accettare e costringeva il giovane terapeuta a dividere con qualcun altro la comprensione del paziente, oltre che la decisione di ciò che potesse essere meglio per quest'ultimo (con ciò impedendo il formarsi della fantasia che il paziente sia il "proprio" paziente).
In altri termini non solo ostacolava lo strutturarsi del transfert nell'adolescente, ma anche del controtransfert nel terapeuta che segna l'avvio della relazione di psicoterapia analitica.
La decisione del tipo di intervento veniva presa solo a seguito di queste vicende che permettevano anche di osservare come l'adolescente avesse accolto la presenza del terzo.
Per rendere possibile tale svolta Senise indicava l'importanza della restituzione al giovane paziente di ciò che il terapeuta aveva compreso dai colloqui con lui, con i genitori e dalla relazione sui test psicodiagnostici. Una restituzione attenta e delicata, ma il più possibile vicina alla interezza della conoscenza acquisita qualora l'adolescente mostrasse di essere in grado di accettare ed utilizzare questa restituzione.
Era l'emancipazione dell'allievo come quella del ragazzo/a che Senise sentiva come scopo del suo insegnamento e delle supervisioni valorizzando l'iniziativa più che l'imitazione, l'auto disciplina e l'assunzione di responsabilità di cui vi parla la collega Gardini.
Certo è impossibile insegnare l'amore per la vita, tuttavia è possibile trasmettere il valore per aspetti nel terapeuta di vitalità e passione per l'indagine, fiducia nella terapia e nelle persone, sia esse pazienti od allievi e questi elementi emergevano con evidenza negli incontri di supervisione o nei seminari clinici.
Mi è sempre sembrato molto coerente con tutto questo l'interesse per il disagio adolescenziale, periodo di travagliato caos durante il quale, accanto alla passione per la vita si accompagna lo sprezzo e la sfida, dove la malattia e la salute si possono alternare vertiginosamente, periodo nel quale si può perdere velocemente la forza e la salute, ma nel quale, se supportati da un adulto fiducioso e stabile si può risalire da crisi drammatiche e pericolose.
Questa fiducia e speranza Senise a larghe mani regalava ai più giovani colleghi valorizzando i loro interventi e le loro osservazioni, incoraggiando, appena ciò era possibile, il loro punto di vista personale.

Riflettendo su ciò che del modello di intervento pensato da Senise oggi si possa utilizzare a me sembra che su di un elemento si possa tutti convenire; il modello di intervento di cui si sta parlando ha alcuni aspetti positivi: è breve, è trasmissibile, è agile. Voglio dire che sembra acquisito sempre più che sia l'adulto educatore o terapeuta che debba "andare" dove si trova l'adolescente, e non solo in senso metaforico come ci diranno dopo di noi gli altri interventi, e certamente anche questo Senise condivideva avviando il servizio di psicoterapia all'interno del carcere minorile.
Credo che nell'attivazione di sportelli aperti sul disagio giovanile ci possa essere anche lo spazio per un intervento mutuato dal metodo di Senise.
Inoltre il modello può essere molto utile nel suo doppio registro di indagine psicodiagnostica ed insieme terapeutica.
L'intervento sui genitori allarga di molto le possibilità di agire in senso preventivo e terapeutico. Ricordo tre casi di risoluzione di crisi adolescenziali effettuate esclusivamente con i colloqui dei genitori (i ragazzi, tutti maschi, erano contrari a venire a parlare con uno psicoterapeuta) che probabilmente non sarei stata in grado di affrontare senza aver avuto una formazione sul modello di Tomaso Senise.

*Rielaborazione di una relazione presentata alla Giornata di studio in ricordo di Tommaso Senise "Quale adolescente per la psicoterapia, quale psicoterapia per l'adolescente", organizzata dall'Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell'Adolescente, Milano, 15/11/1997


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