Inizierò qui una breve disamina degli interventi
proposti durante il convegno, scusandomi in anticipo per la parzialità
delle note che qui trascriverò, sia riguardo agli Autori
citati che rispetto ai contenuti ; rimando agli Atti, disponibili
presso l'Opera Don Guanella (tel.66016142 - 6630991 fax. 6625179)
per una maggiore completezza ed obiettività.
La Prof.ssa Edda Ducci parlando della comunicazione
come sinergia avverte del pericolo dell'imperialismo pragmatico
attualmente così diffuso, in cui si corre il rischio di
perdere l'aspetto umano della comunicazione. Utilizza come metafora
la Pietà Rondanini di Michelangelo la cui osservazione
non permette di distinguere nettamente chi è a sostenere
e chi è sostenuto. Pone un nesso fra potere e narcisismo
che si trasforma in un eccesso di oggettività che riempie
completamente lo spazio umano non lasciando spazio per la sensibilità
all'altro.
Il Dott. Lorenzetti, nel suo intervento, fa riferimento alle esperienze riabilitative all'interno delle A.S.L., che vanno verso la quantità operativa, perdendo di vista l'essenza dell'ascolto del disagio. In questo contesto fa riferimento alla sua metodica d'intervento che mira ad "aiutare ad essere" quindi fare esperienze assieme al disabile, e non somministrare asetticamente delle tecniche. Riallacciandosi a Winnicott fa riferimento alla capacità materna di ascolto per cui l'altro non sente il peso della sua inefficienza, e rileva questo come importante sia per l'altro che per noi stessi in quanto ci permette di avvicinarci e conoscere la diversità, e quindi muovere in noi degli interrogativi di base in grado di promuovere cambiamenti evolutivi.
Riguardo le metodiche in genere afferma che la teoria incide su
tutti gli aspetti della osservazione, degli obiettivi, delle tecniche,
ecc.. (Cita Einstein e Eisenberg), ciò che osserviamo non
è la natura in sè ma la presentazione al mondo di
come sono state esposte le domande. Importante quindi anche il
ruolo dell'istituzione che informa la teoria degli operatori.
Ricorda infine il peso e la forza delle parole per cui termini
come scientificità, tecnologia, consolano e illudono sia
il paziente che l'operatore.
La Prof.ssa Camaioni riporta la sua nota esperienza sullo sviluppo della comunicazione e ricorda che l'approccio al disturbo evolutivo deve partire dalla conoscenza del normale. Propone quindi una analisi comunicativa della diade. Il bambino ad un anno di vita è predisposto a rispondere in maniera selettiva agli stimoli sociali ed è anche "socialmente attivo", cita Meltsoff e I suoi esperimenti sulla capacità imitativa del neonato, e sulle teorie della qualità transmodale della percezione. Da queste basi di psicologia sperimentale la Prof.ssa Camaioni puntualizza la differenza tra gli scambi comunicativi diadici, in cui si è ancora in fase preintenzionale, e gli scambi triadici che rappresentano la vera comunicazione, in quanto avviene con la diade su qualcosa esterna ad essa. Normalmente la comunicazione rimane diadica per I primi sei mesi di vita. La Madre è il riferimento sociale determinante per stabilire la modalità di reazione del bambino all'oggetto (p.es. se la madre ne ha paura il bambino scappa).
La fase successiva dello sviluppo della comunicazione si ha quando è possibile l'attenzione condivisa della diade su un oggetto ; il bambino inizia seguendo lo sguardo della madre soprattutto nei suoi cambi di direzione e poi dirige l'attenzione sull'oggetto, ed in seguito è in grado di orientare l'adulto verso quell'oggetto (comunicazione gestuale preverbale).
A un anno il gesto comunicativo ha le seguenti caratteristiche :
- è distale, cioè attivato a distanza (gesto indicativo)
-triadico
- c'è contatto visivo con l'interlocutore.
La comunicazione intenzionale compare tra i dieci e i dodici mesi presuppone una base sensomotoria e il sottostante sviluppo di attenzione condivisae ne va oltre, comprendendo le nuove teorie della mente che fanno riferimento a un bambino che sviluppa una comprensione psicologica di se stesso e degli altri attraverso la quale comprende il mondo (uno - due anni).
Rispetto al gesto comunicativo dobbiamo distinguere il gesto richiestivo e il gesto dichiarativo, il primo è caratterizzato da un obiettivo strumentale è presente in modo cospicuo nel bambino autistico, nello sviluppo normale è completamente presente tra gli 11 e I 14 mesi ; il gesto dichiarativo ha invece un obiettivo relazionale in cui l'altro è fine e non mezzo, è assente nel bambino autistico ed è raggiunto dopo il 14° mese.
Nell'ambito della sua ricerca la Prof.ssa Camaioni ha presentato uno studio comparativo del gesto comunicativo nel bambino e nei primati trovando le seguenti caratteristiche : nei bambini abbiamo detto il gesto è triadico, distale, con il contatto visivo, dichiarativo ; nei primati è diadico, senza contatto visivo e richiestivo (stadio operatorio concreto di Piaget ma senza linguaggio).
Sottolinea infine che nell'autismo non essendoci attenzione condivisa
non è possibile lo sviluppo del gesto dichiarativo.
La Prof.ssa Boccardi svolge il suo intervento presentando una "relazione" con un bambino autistico.
Inizia citando Bion "... quelle congiunture in cui non c'è conoscenza che possa essere usata...", così è l'autismo, il silenzio, il vuoto, quella congiuntura...
Eppure, dice, I vuoti non esistono come tali, sono pieni di comunicanti, emozioni, ecc. ; la pausa musicale ne è un ottimo esempio dalla sottolineatura alla generazione di attesa.
Quindi il silenzio è un metasilenzio, "sento il vuoto e mi sento vuota..."
Da queste premesse espone il caso di un bambino che definisce siderale all'inizio della relazione, in cui lo spazio fisico era apparentemente l'unico comunicante, in seguito ha potuto sentire quel bambino come un uccellino in gabbia, in cui la ripetitività è quella che segna il bisogno di cambiamento, infine l'emozione, lo spavento del bambino per una scoperta...
Pone quindi il controtransfert come elemento segnale, in quanto derivato dal transfert esprime intanto una realtà di coppia, e qui la revèrie può cominciare a dare un senso ai comportamenti del bambino.
Quindi il corpo non è cosa ma luogo della relazione, non
fortezza vuota ma piuttosto segnali subliminali (Bion) a permettere
l'interazione della relazione analitica.
La Dott.ssa Magda di Renzo, nel suo intervento, invita a non confondere la comunicazione non verbale con gli strumenti della comunicazione. La Comunicazione non verbale presuppone un pensiero non verbale. Citando Jung ricorda che si evidenziano due forme del pensare, il pensare indirizzato e adattato ed il pensare soggettivo, messo in funzione da movimenti intrinseci. Queste due forme di pensiero devono essere copresenti nella relazione con l'altro. Per essere consapevole al di là delle tecniche che si propongono si può anche coprire (nascondere inconsapevolmente) un rifiuto non verbale ; questo è un evento di ulteriore riflessione.
Il Dott. Gamelli presenta una proposta educativa messa a punto presso l'Istituto di Pedagogia dell'Univ. Di Milano, che egli definisce "approccio autobiografico".
Partendo dalla necessaria formazione personale "soggettiva" degli operatori e dall'opportunità di una maggiore considerazione degli aspetti psico-cronobiologici dell'uomo (p.es. velocità corticale /lentezza biologica), valutando che il processo relazionale comunicativo sia valido solo in senso esistenziale soggettivo, propone una metodica di intervento basato sull'indagamento della soggettività, in cui le storie di vita degli operatori assumono la loro importanza.
Allora assumono rilievo anche l'introspezione, il ricordo e la narrazione come qualità essenziali dell'educatore, che dovrà riferirsi sempre al contesto come momento essenziale della relazione. Pone quindi in guardia verso l'eccessiva vicinanza tra le "due storie" che si incontrano nella relazione, raccomandandone una adeguata distanza pena la "con-fusione" delle storie stesse che quindi non potrebbero più esser due ma solo quella dell'educatore.
Valuta quindi necessario per il terapeuta saper interagire con le proprie parti malate che necessariamente vengono attivate dai pz.
Infine rispetto alle dinamiche di gruppo né sottolinea
l'importanza come mente comune e appartenenza ; per ognuno
essere memoria dell'altro.
Il Prof. Formica ha messo in evidenza il percorso del medico
riabilitatore, in continua formazione ed aggiornamento, facendo
riferimento ad un gruppo di pz. con S. Di Rett da lui seguite
nel corso degli anni, la cui riabilitazione (anche se si tratta
di pz. Molto gravi) è tuttora in continuo divenire.
Il Dott. Albertini ha posto l'accento sul ruolo dell'ospedale nella presa in carico del disabile di cui è certamente in grado di seguire il percorso diagnostico, e poi l'importanza del collegamento con I vari centri di riabilitazione
Il Prof. Bombiani ha parlato della necessità della promozione umana del disabile fino a portarlo alla piena espressione dei propri diritti ; strada questa che deve essere percorsa dalle varie istituzioni in collaborazione tra loro , attivando le funzioni di sussidiarietà e quindi oltre la solidarietà.
Ha poi posto l'accento sulla diversità dei concetti di coscienza, persona e personalità, ribadendo che si è pienamente persona con tutti I diritti che ne conseguono, anche se la personalità è immatura e con ridotta capacità di coscienza come nel neonato o nel grave disabile.
In conclusione Ernesto Oliveiro ha parlato "dell'essenza del processo riabilitativo", anche se non ha mai usato questo termine, ha insegnato con l'esempio l'arte del comprendere- accogliere I problemi degli altri, senza pre-giudizi o arroganti manifaestazioni del proprio potere, e penso abbia lasciato "qualcosa di buono e durevole" per tutti quelli che li erano presenti.