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Salute Mentale e Comunicazione |
Dibattito su "abuso sui minori"
avvenuto nella lista PM-SMC di PSYCHOMEDIA nel febbraio 2001 12 Feb 2001 - Gaetano Giordano In tema di problematiche legate ai minori e agli abusi sessuali sui minori, vi sono in Italia non poche polemiche e non poco impegno. Con riguardo alle prime, riferisco che è stata presentata il 10 febbraio una interrogazione al Senato. La invio alla Lista perché riguarda una associazione di medici, psicologi, e altri, che operano nel campo forense, con particolare specializzazione nei riguardi dellabuso sessuale ai minori. Si tratta, in sostanza, degli stessi esperti che sono stati alla ribalta delle cronache per le polemiche legate alla vicenda del P.M. Forno e, anche, nei processi per pedofilia che si sono avuti nella Bassa Modenese, e nei quali, oltre a diversi genitori condannati, era coinvolto un sacerdote, considerato colpevole e morto poco prima della sentenza. Il documento è di grande interesse perché rilancia un problema che sta diventando, e sempre più diventerà, di grande importanza: quello della perizia medico-legale, o psichiatrico - o psicologico forense, che nei casi di abusi ai minori è tanto determinante quanto di difficile obiettività. Questo il testo dellinterrogazione: ================================ Premesso che: - lo scrivente parlamentare ha appreso dellesistenza a Milano di unAssociazione denominata CISMAI, della quale sono membri plurime ASL, oltre che centri privati, singoli psicologi, psicoterapeuti, ginecologi e medici-legali, la quale agisce nellambito degli accertamenti in materia di maltrattamenti e abusi sessuali su minori; - al fine di ottenere la qualifica di associato, gli aspiranti sono tenuti alla sottoscrizione di una dichiarazione di consenso con la quale, oltre ad impegnarsi allutilizzazione e applicazione del medesimo protocollo di intervento, si obbligano altresì, vicendevolmente, a sostenere e ad avallare ciascuno loperato dellaltro collega pure associato; - nellambito del CISMAI sono istituite altresì Commissioni permanenti con compiti differenziati: da quello di mantenere le relazioni e i contatti tra i vari associati, a quello di individuare strategie comuni per manifestare solidarietà e sostegno ai vari operatori che, a differente titolo, si occupano del medesimo caso, allorquando i medesimi siano colpiti da critiche esterne; - il CISMAI prevede che i casi maggiormente complessi siano portati allesame e alla discussione dellAssociazione onde ottenere pareri professionali comportamentali in ordine agli stessi; - il sistema CISMAI risulta vulnerare il principio dellautodeterminazione, della libertà di pensiero e azione, dellobbligo processuale del consulente di fare conoscere al magistrato la verità, prerogative che, invece, devono essere proprie del singolo professionista di cui si avvale la magistratura; - risulta che il CISMAI abbia richiesto lapprovazione e il riconoscimento del proprio modello e protocollo dintervento al Consiglio dellOrdine Nazionale degli Psicologi che, fino ad oggi, lo ha negato giusta aspre critiche scientifiche mosse dal Prof. Ranzato e dal Dott. Gulotta; - giusta il protocollo CISMAI lassociazione opera sul piano dellaccertamento clinico ed altresì dellaccertamento probatorio della violenza al minore; - dalla sua costituzione ad oggi svariate Procure della Repubblica Italiane, Tribunali e Uffici GIP provvedono alla scelta dei loro consulenti nellambito degli associati CISMAI, individuando in seno allo stesso tanto i consulenti dellaccusa, quanto i periti del Giudice per la trattazione della stessa vicenda processuale; - dal documento CISMAI si evince che, di fatto, gli associati avocano a sé il potere di qualificare e pronunciare lavvenuto abuso sessuale in capo al minore precedentemente alla pronuncia dellAutorità Giudiziaria; - risulta allo scrivente che la ASL di Mirandola, la dott.ssa Paola di Blasio, la dott.ssa Cristina Roccia, la dott.ssa Sabrina Farci, il dott. Giobatta Guasto, la dott.ssa Maria Rosa Giolito sono tutti associati CISMAI e tutti firmatari della dichiarazione di consenso; - tutti i menzionati hanno partecipato a vario titolo ( consulenti del PM; periti del GIP, periti del Tribunale) nei processi per i fatti di pedofilia della bassa modenese avanti il Tribunale di Modena, compreso quello che vedeva come imputato anche il defunto parroco Don Giorgio Govoni e parti offese parecchi minori, tra i quali i quattro fratellini di Massa Finalese; Si chiede: se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dellesistenza del CISMAI et soprattutto del fatto che questo opera seguendo un protocollo e un metodo che il Consiglio Nazionale dellOrdine degli Psicologi, dopo averlo disaminato, ne ha rifiutato lapprovazione; se considerata la mancata approvazione del Ordine Nazione degli psicologi non ritenga necessario il Ministro in indirizzo vietare immediatamente lutilizzo del protocollo CISMAI, stante lalta probabilità che tale modello sia pericoloso e lesivo di importanti norme deontologiche e norme legislative; 3) in quali e quanti procedimenti penali e minorili sia stato applicato il discusso protocollo CISMAI e in quali e quanti procedimenti e processi penali siano stati nominati prima come consulenti dellaccusa e successivamente come periti del GIP e del Tribunale soci-affiliati CISMAI; se sia rispondente al vero che la sola dott.ssa Cristina Maggioni, affiliata CISMAI, ha curato per le Procure Italiane 358 perizie, per essere poi qualificata, nel dicembre 2000, dal PM della Procura della Repubblica di Milano, la Dott.ssa Tiziana Siciliano, persona incompetente, inaffidabile, neofita della materia, se non in mala fede; se sia rispondente al vero che la ASL di Mirandola, in persona del responsabile dott. Marcello Burgoni e la psicologa a contratto Dott.ssa Valeria Donati siano affiliati CISMAI e abbiano sottoscritto la "dichiarazione di consenso" e, nellaffermativa, quali doveri si sono assunti nei confronti dell' Associazione e per converso quali impegni gli altri affiliati CISMAI, compreso la dott.ssa Cristina Maggioni; dott.ssa Cristina Roccia; dott.ssa Sabrina Farci; dott. Giobatta Guasto; dott.ssa Paola di Blasio; Dott.ssa Maria Rosa Giolito, si siano assunti nei confronti di dette ASL e Valeria Donati; se non sia vero che lapplicazione del protocollo CISMAI è palesemente lesiva dei diritti della difesa, del principio costituzionale del "Giusto Processo", nonché altamente idonea a snaturare le regole processuali penali esistenti giusta le quali laccertamento probatorio è rimesso esclusivamente alla magistratura e non ai periti e alle associazioni aderenti al CISMAI; se non sia vero che attraverso lapplicazione del metodo CISMAI si addiviene sempre e comunque a pronunce penali di condanna anche nei confronti di soggetti innocenti, giusta il fatto che il protocollo CISMAI prende le mosse dalla presunzione di colpevolezza certa dell indagato, altresì in spregio ai principi costituzionali; quali siano le fonti di finanziamento del CISMAI, dei suoi soci affilliati, quale sia lentità degli introiti di denaro derivanti agli associati dallo svolgimento dellattività per la magistratura, dai corsi di formazione tenuti presso gli enti pubblici e non, dai Congressi e ogni altra strumentale iniziativa; se il ministro non ritenga che giusta lideologia del CISMAI e dei suoi affilliati non sussista il pericolo che i soci, nellesercizio degli incarichi ricevuti dalla magistratura, giusta gli obblighi CISMAI a cui sono tenuti, perpetrino condotte penalmente rilevanti, come ad esempio la frode processuale, la falsa perizia o falsa interpretazione, intralciando, di conseguenza, lattività dellAutorità Giudiziaria et, dunque, se il Ministro in indirizzo non ritenga che il CISMAI sia associazione vietata dallarticolo 18 della Costituzione; se i Magistrati del Tribunale di Modena che, con differenti funzioni, si sono occupati dei presunti fatti di pedofilia della Bassa Modenese fossero a conoscenza, al momento del conferimento dell'incarico, che i consulenti e i periti da loro nominati facessero capo, così come la ASL di Mirandola e la dott.ssa Valeria Donati, alla stessa Associazione che agisce applicando un metodo non approvato dall'Ordine Nazionale degli Psicologi perché ritenuto altamente pericoloso all'accertamento della verità. Nell'affermativa quali provvedimenti intenda assumere nei confronti dei magistrati. se il Ministro in indirizzo ritenga che lavere tutti i magistrati del Tribunale di Modena nominato consulenti e periti non iscritti all'Albo del Tribunale di Modena, ma addirittura esterni alla Regione, e tutti affilliati CISMAI, integri comportamento non consono ai doveri ordinamentali. Roma lì, 09.02.01 Sen.Avv.Augusto Cortelloni, Sen.Roberto Napoli, Sen.Baldassarre Lauria, Sen. Vittorio Mundi, Sen.Davide Nava, Sen. Doriano di Benedetto, Sen.Tandredi Cimmino, Sen.Angelo Giorgianni, Sen.Alessandro Meluzzi, Sen. Marida Dentamaro =========================================== Dr Gaetano Giordano
13 Feb 2001 - Gianni Guasto Desidero innanzitutto ringraziare il Collega Giordano per aver diffuso questo "interessante" documento, del quale ignoravo l'esistenza. Essendovi io direttamente nominato, desidero, prima di ogni altro commento, fornirvi l'indirizzo web del CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l'Abuso all'Infanzia") <http://www.minori.it/coordinamento/>, all'interno del quale è possibile prendere visione del testo integrale della "Dichiarazione di Consenso" <http://www.minori.it/coordinamento/ddc_1999.html> (nonchè su Psychomedia TR all'indirizzo <http://www.psychomedia.it/sites/rompsil/consensus.htm>), ivi menzionata. Credo che la lettura di tale documento sia di per sè sufficiente a commentare le incredibili dichiarazioni del Sen. Avv. Cortelloni, estensore dell'interrogazione parlamentare, che oltre ad essere un Senatore della Repubblica è anche l'avvocato difensore di molti degli imputati di Mirandola, che difende le proprie posizioni in materia, attraverso metodi bizzarri e inequivocabilmente diffamatori. Nel suo fantasioso resoconto della Dichiarazione di Consenso, alla cui redazione io stesso ho collaborato come membro della Commissione CISMAI (organismo che all'epoca aveva una denominazione leggermente diversa) all'uopo destinata, l'avv. Cortelloni descrive tale documento una sorta di vincolo mafioso tra gli adepti ad una setta, anzichè, come ognuno può vedere con i propri occhi, come un insieme di linee guida atte a tratteggiare quella che a noi sembra essere la corretta impostazione giudiziaria che è necessario seguire in materia di maltrattamento ai minori. in particolare, è falso che: - al fine di ottenere la qualifica di associato, gli aspiranti sono >tenuti alla sottoscrizione di una dichiarazione di consenso con la quale, oltre ad impegnarsi allutilizzazione e applicazione del medesimo protocollo di intervento, si obbligano altresì, vicendevolmente, a sostenere e ad avallare ciascuno loperato dellaltro collega pure associato; ed è assolutamente falso che: - nellambito del CISMAI sono istituite altresì Commissioni permanenti con compiti differenziati: da quello di mantenere le relazioni e i contatti tra i vari associati, a quello di individuare strategie comuni per manifestare solidarietà e sostegno ai vari operatori che, a differente titolo, si occupano del medesimo caso, allorquando i medesimi siano colpiti da critiche esterne; basta leggere la descrizione del lavoro delle Commissioni per rendersene conto >- il CISMAI prevede che i casi maggiormente complessi siano portat quello che qui suona come riunione di Cupola, di Cosca o di Loggia (coperta) è da altri denominato "supervisione", "consulenza" "discussione di casi" >- il sistema CISMAI risulta vulnerare il principio non mi è mai capitato di sentirmi "vulnerato" in alcunchè, men che meno nella libertà di pensiero ed azione >- risulta che il CISMAI abbia richiesto lapprovazione e il Il prof. Gullotta è invitato al Convegno di Torino, promosso dal Centro Studi "Hansel e Gretel" aderente al CISMAI,come si può vedere dal programma al sito <http://www.psychomedia.it/pm-cong/2001/hansel-to.htm> >- giusta il protocollo CISMAI lassociazione opera sul piano da morire dal ridere. E poi ci riuniamo in camera di consiglio e stabiliamo la pena. > - risulta allo scrivente che la ASL di Mirandola, la dott.ssa Paola di Vero. >- tutti i menzionati hanno partecipato a vario titolo ( consulenti del Per quanto mi riguarda è vero. >Si chiede: la sintassi non è proprio il forte di Cortelloni >2) se considerata la mancata approvazione del Ordine Nazione degli >3) in quali e quanti procedimenti penali e minorili sia stato applicato >4) se sia rispondente al vero che la sola dott.ssa Cristina Maggioni, neofita dopo 358 perizie. Mah! >5) se sia rispondente al vero che la ASL di Mirandola, in persona del Ci siamo riuniti a Villa Wanda >6) se non sia vero che lapplicazione del protocollo CISMAI è io mi chiedo se il "giusto processo" non sia lesivo dei diritti dei bambini. eccetera eccetera. Gianni Guasto 13 Feb 2001 Gaetano Giordano > >6) se non sia vero che lapplicazione del protocollo CISMAI è capisco la precisazione di Gianni Guasto, e non sta a me entrare nel problema. Devo però esprimere un parere personale: occuparsi dei diritti dei bambini comporta, per il sistema che se ne occupa, entrate di miliardi. Fra perizie, corsi, sovvenzioni, io credo che le cifre siano alte. E' chiaro che si esige trasparenza: parliamo di famiglie distrutte per sempre, di padri incarcerati e poi assolti, di suicidi, di famiglie che non rivedono più i figli. Ogni bambino in Istituto frutta dalle 80.000 alle 300.000 AL GIORNO all'Istituto dove è sistemato. Togliere quattro figli ad una famiglia comporta un ricavo mensile, per chi li accoglie, di cifre estremamente ingenti. La trasparenza e l'obbiettività sono dunque d'obbligo: ho inviato tale interpellanza proprio per cominciare a discutere di tali problemi. Gaetano Giordano
13 Feb 2001 - Alfredo Verde Cari colleghi, non sta certo a me spezzare una lancia a favore di Gianni Guasto e della serietà e competenza delle sue posizioni, sempre in buona fede, sempre animate dal desiderio di conoscenza e di essere d'aiuto. Il campo dell'abuso muove a posizioni antitetiche, ma questa è la stessa natura del problema, che riguarda eventi che tendiamo, per la nostra cultura che tende a essere costruita sulla negazione e sul divieto dell'incesto, a rimuovere. Meglio non pensare che certi fatti possano essere veri... i genitori incestuosi sono proprio come noi, solo che non si fermano quando noi ci fermiamo. E poi ci fregano con le loro argomentazioni perverse. Quanto ai soldi, non pensiamo che le perizie siano un modo per guadagnare troppo denaro: pensiamo, invece, piuttosto ad altri business, quelli davvero poco seri, sulle spalle dei pazienti psichiatrici. Giordano forse ignora che per quanto attiene all'abuso due posizioni scientifiche si contendono il campo nel nostro paese, una collegata ai centri d'aiuto, l'altra a chi spesso difende gli imputati. Questa strombazzata è connessa alla seconda. Usare le interrogazioni parlamentari per attaccare la riflessione clinica e scientifica è come voler dimostrare scientificamente che D'Antoni non può stare al centro perché Berlusconi gli ha tolto lo spazio. Ma l'Itaglia è il paese dove le cure per il cancro le decidono i pretori. Con vis polemica Alfredo Verde 14 Feb 2001 - Gianni Guasto Sono perfettamente d'accordo sulla necessità di trasparenza del sistema. Ti dirò che, lavorando in questo settore da molto tempo, e ben prima di aver iniziato ad occuparmi di abusi, ho sentito parlare di questo problema soltanto da avvocati a corto di argomentazioni clincio giudiziarie. In una parola: in questo campo vige la regola della diffamazione, laddove non funzionano le controdeduzioni a perizie fatte bene. Per quanto riguarda padri incarcerati ingiustamente e famiglie distrutte, posso dirti di avere la certezza che sono a tutt'oggi molti di più gli abusi non riconosciuti o messi a tacere da periti compiacenti, collusivi o impreparati. L'ancor prevalente impossibilità per i bambini di avere una difesa efficace (sto occupandomi di un caso nel quale il curatore speciale apparteneva fino a poco tempo fa al medesimo studio dell'avvocato dell'abusante), fa si che essi, in mancanza di allontanamento restino (in dubio, pro reo) affidati a persone che hanno la possibilità di sottoporli ad intimidazioni costanti con gravissimo danno per la salute mentale, oltrechè per l'incolumità fisica. Per ciò che riguarda il "guadagno" di chi accoglie bambini in affido, bisognerebbe ascoltare il parere, per non dar credito alle leggende metropolitane sul "racket dei bambini" ad associazioni come l'ANFAA (associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie) o all'Associazione Nazionale Magistrati per i Minorenni e la Famiglia. Non so se la prassi sarebbe solo inusuale od eventualmente inaccettabile (chiedo in tal senso parere a Marco), ma mi piacerebbe che la m-l ospitasse loro interventi, rispetto ai quali potrei, eventualmente fungere da tramite. dott. Giobatta (Gianni) Guasto
14 Feb 2001 - Marco Lagazzi Una riflessione sulla corretta osservazione di Giordano e sulle ben più veementi reazioni di Guasto e Verde, senza nessuna vis polemica. Credo che il tema delle perizie sugli abusi sia troppo serio per poterlo affrontare sulla base delle pur vere considerazioni del business legato alle stesse.Solamente leggendo queste mail, si coglie come venga ancora una volta proposta dai Colleghi la logica dei "buoni" (quelli che difendono, solo loro, i diritti dei bambini), contro quelli "cattivi", che non si schierano con tale logica, ed addirittura parlano di garantismo e di "giusto processo", come se questa fosse una colpa. Tale scissione, con le sue implicanze persecutorie, si pone alla base della logica che sottende lo sviluppo di una nuova branca scientifica (io la chiamo la "abusologia"), e dovrebbe far riflettere. Sappiamo bene i danni che accadono ogni volta si ritiene che una motivazione sia tale da legittimare la alterazione delle regole del gioco giudiziario e dei diritti delle persone (la caccia alle streghe medievale, e quella americana degli anni 50, erano basate su motivazioni altrettanto valide). Credo sia necessario avviare un serio dibattito su questi temi, anche in lista, perché penso che nei prossimi decenni la paranoia collettiva sugli abusi costituirà oggetto di studio della storia della psichiatria, come oggi studiamo il manicomio e la frenologia. Vorrei però che si evitassero, per prevenire "flames", argomentazioni come quella che legittima una seria posizione scientifica (quella che fa riferimento alla c.d. "Carta di Noto", tra l'altro redatta in collaborazione con molti magistrati) come motivata dal fatto che i sostenitori della stessa lavorano come consulenti della Difesa; tutti gli estensori del documento, me compreso, lavorano abitualmente, e da ben prima che nascessero gli "abusologi", come consulenti del Giudice e del PM, anche (ma fortunatamente non solo) su vicende di abuso. Cerchiamo quindi di mantenere il confronto sui temi scientifici, e non su temi ben più scadenti e persecutori, poiché, in caso contrario, la diagnosi che verrà posta dai lettori della ml é dietro l'angolo. Senza polemica Marco Lagazzi
14 Feb 2001 - Gianni Guasto Bè, caro Marco: dopo l'interrogazione parlamentare del nostro comune conoscente Avv. Cortelloni, il tuo riferimento a noi "abusologi" come "veementi paranoici alteratori delle regole del gioco giudiziario", sembra davvero "senza polemica" .... In ogni caso di due cose mi rallegro: della notizia che non siamo soltanto noi a tutelare i diritti dei bambini, e dell'intendimento di mantenere la discussione su temi scientifici. Io dal canto mio, cerco di fare quello che posso: ho appena dato alle stampe un articolo intitolato "Abuso e mondo interno: trauma, difese, devastazione, mentalizzazione", che compare nella raccolta "Riconoscere e ascoltare il trauma - Maltrattamento e abuso sessuale sui minori: prevenzione e terapia", a cura di Cristina Roccia (sempre lei!). Se l'editore Franco Angeli mi autorizzerà, chiederò a Marco Longo di ripubblicarlo su PM, così potremo discuterne. E altrettanto potremmo fare con qualche tuo lavoro in materia. Che ne dici? Gianni Guasto
14 Feb 2001 - Marco Lagazzi ok, caro Gianni, apriamo la discussione, se ai Colleghi della ml interessa e se ML ritiene che si possano inserire i lavori in lista, o se non sia meglio mettere i riferimenti, così chi vuole se li pesca... Due domande: a) il problema del lavoro in tema di abuso non é quello delle persone che lo fanno, ma la interazione tra il lavoro clinico e quello "forense" (leggi: controllo, pena, processi, ecc.): se il primo non é rigorosamente distaccato dallo stesso (vedi psicoterapie) la sola alternativa é che entri direttamente al suo interno, facendone proprie le regole preesistenti (vedi medicina legale e psichiatria forense), sennò si rischia di creare ibridi pericolosissimi (il clinico non é consapevole di incarnare il peggio del controllo sociale) b) quanto il punto di vista del committente (vedi Pubblici Ministeri) può inquinare, in modo più o meno consapevole, il punto di vista del clinico? Per i Colleghi che non sono addentro alla questione: quello su cui si discute non é il dato clinico, quanto la interpretazione dello stesso, alla luce del metodo valutativo utilizzato e del contesto nel quale l'intervento del clinico viene richiesto. va bene come idea di avvio di un dibattito ? Marco
15 Feb 2001 - Gaetano Giordano Avendolo forse incautamente aperto, vorrei intervenire nel dibattito in questione, che spero si mantenga sempre su un livello di comunicazione corretta e accettabile. Per quanto mi riguarda, devo ammettere che anche secondo me esiste, con gran probabilità, una nuova ipotesi di scienza, definibile - nel bene come nel male quanto nel male come nel bene - "abusologia". Il punto è dunque nella possibilità che hanno oggi la psichiatria e la psicologia forense di obiettivare la presenza di "indicatori di abusi", vale a dire di accertare, specie tramite test, la presenza certa di segni di abuso sessuale. Perché altrimenti l ' "abusologia" diviene veramente la scienza attraverso cui si può abusare del concetto di abuso. A quel che ne so - e vi prego di smentirmi - a tutt'oggi NON ESISTE LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE che OBIETTIVIZZI COME TALI I SEGNI DI ABUSO SESSUALE, specie in campo testologico. Nel caso ci fossero pareri contrari, gradirei una qualche bibliografica, relativa a ricerche scientifiche condotte su campioni validi e con metodologia ineccepibile (ripetibile e già ripetuta ), che affermi il contrario, e cioè che è possibile appurare obiettivamente la presenza di segni, testologica e non, patognomici di abuso sessuale, e che permettano una diagnosi univoca - vale a dire che permettano di escludere che quelli riscontrati non sono segni di altro tipo di abuso (emozionale, per esempio) o di altre problematiche (conflittualità genitoriali). Cito dunque da un articolo presentato al CONVEGNO DI PSICOLOGIA GIURIDICA "ABUSO SESSUALE DI MINORE E PROCESSO PENALE: RUOLI E RESPONSABILITA', svoltosi appunto a Noto, dal 6 - 9 giugno 1996 (il volume che ne raccoglie gli scritti, curato da L. De Cataldo, è edito dalla ISISC). L'articolo si intitola: I TEST PROIETTIVI IN AMBITO GIUDIZIARIO: LIMITI E POSSIBILITA' DI UTILIZZO", di P. Capri e Anita Lanotte, del CEIPA di Roma: " [relativamente "all'esame di un minore vittima o presunta tale di abusi sessuali] ... Come chiarisce ancora Ponti "anche in questa materia non verrà chiesto al perito di sapere se il minore ha detto il vero o il falso, ma unicamente di esprimersi sull'attendibilità, che il giudice apprezzerà poi nel confronto con gli altri elementi probatori e di giudizio da lui acquisiti" (87). Ciò che compete il perito, in questi casi, è esclusivamente la valutazione dei dati esterni e dei vissuti interni integrati ad una descrizione psicodinamica della personalità, cosa quest'ultima di per sè di non facile elaborazione; ciò vale, se possibile, ancora di più in situazioni in cui l'esaminatore si trova di fronte un minore vittima di abuso sessuale in cui dovrà valutare lo sviluppo psico-affettivo e l'adeguatezza dell'evoluzione personologica relativa alle medie statistiche della propria fascia d'età, non certo accertare o valutare l'eventuale veridicità delle sue affermazioni, soprattutto se ricercata attraverso le associazioni alle risposte al Test di Rorschach, da non confondersi dalla descrizione corretta di una personalità eventualmente orientata alle fantasticherie, alle confabulazioni, alle ricche immaginazioni, tipica di alcune fasce d'età infantile. All'inverso dall'eccessiva spregiudicatezza e superficialità nel valutare un Test Proiettivo come il Rorschach, di cui abbiamo finora parlato, vi è un'altra situazione che si può incontrare e deriva dal fatto che lo psicologo, alle volte, perde di vista che sta valutando una persona disperdendosi nella confusione dei piccoli dettagli tecnici del Test, che lo allontanano inevitabilmente da una visione generale interpretativa. Anche alla luce di tutto ciò riteniamo che elaborare una relazione è forse l'aspetto più difficile dell'attività psicodiagnostica, soprattutto in un contesto peritale in cui si privilegiano gli strumenti proiettivi. Infatti, è di enorme difficoltà organizzare ed integrare i risultati delle diverse prove a cui un paziente, un periziando, un adulto o un minore è stato sottoposto, e presentare i Test in una relazione che ne consenta la fruizione anche da parte di chi, non esperto nella materia, partecipa alle operazioni peritali in qualità di consulente, avvocato o giudice. Riteniamo quindi che un uso distorto dei Test, rappresentato da affrettate risposte psicodiagnostiche legate esclusivamente ad indici e dati estrapolati da un contesto ben più ampio e generale o addirittura a un libero arbitrio interpretativo, possa portare l'esaminatore a delle conclusioni peritali che, se acquisite dal giudice, possono condurre quest'ultimo ad errate valutazioni con danni materiali e psicologici conseguenti alle persone. .... L'utilizzazione distorta, più o meno volontariamente, di strumenti tecnici (Test Proiettivi) che mirano ad ampliare ed approfondire la conoscenza e la comprensione di dinamiche e processi intrapsichici individuali, significa la compromissione e mistificazione di tali strumenti e la sottolineatura del libero arbitrio rispetto a posizioni scientifiche acquisite. Pertanto, in ambito forense e ancor più nel campo di esame di personalità di minori vittime di abusi sessuali dove tutto sembra amplificarsi ed acquisire maggior valore, il perito dovrebbe evitare un'analisi contenutistica priva del "tessuto connettivo di sostegno" offerto dai dati statistici quantitativi nell'interpretazione di un Test Proiettivo come ad esempio il Rorschach e, soprattutto, dovrebbe evitare di assumersi il compito-dovere di accertare un'eventuale colpevolezza, di accertare la verità su di un fatto, o ancora nel valutare il grado del dolo, interpretando così in modo soggettivo e privo di fondamenta scientifiche un Test Proiettivo. Riteniamo, infine, che fenomeni complessi come quello relativo allo sviluppo e alla progressiva organizzazione delle strutture psichiche, di fondamentale importanza nella valutazione della personalità soprattutto in ambito minorile, devono essere necessariamente studiati e analizzati attraverso modelli complessi d'interpretazione, attraverso quindi un processo di integrazione fra i differenti campi ed orientamenti della conoscenza scientifica psicologica, dove, comunque, risposte probabilistiche saranno sempre in primo piano rispetto a verità assolute." Il collega Verde ha detto: >Giordano forse ignora che per quanto attiene all'abuso due posizioni Personalmente, sono sempre molto cauto e so di non sapere cosa non so - forse contrariamente al collega Verde. E non capisco quello che mi sembra (ma potrebbe essere una mia stigmata paranoide a farmi parlare) un attacco personale. Mi perdoni dunque Verde l'ignoranza, e mi permetta di scrivere qualcosa per farmi correggere bene da lui. Il punto su cui insisto è che io vorrei la garanzia e la trasparenza che l'operato di tutti i "centri di aiuto" fosse supportato da garanzie scientifiche e professionali massime. Altrimenti, potrei sostenere che i "centri di aiuto", solo per il fatto di nominarsi tali (e di essere utilizzati come tali anche in sede processuale), non sono necessariamente degni di fede. E che, conseguentemente, l'affermazione del collega Verde, di stimatissima preparazione, sia quantomeno incauta, perché eccessivamente generalizzatrice. E diviene proprio la dimostrazione che basta parlare di "centri di aiuto" per ottenere automaticamente e senza verifica alcuna la possibilità di parlare a nome della "scienza": mentre gli altri parlano per partito preso. Dire che tutti i centri di aiuto sono dalla parte della ricerca scientifica impklica o il dover dimostrare che proprio tutti sono degni di tale fede, oppure che, a volte, occorra non accogliere a priori le loro conclusioni. O no ? D'altra parte, l'esistenza di grandi finanziamenti per svolgere corsi, affidare perizie e bambini, mi induce a chiedere, come detto, trasparenza e possibilità di controllo (non difendo il senatore della interpellanza, ma mi chiedo: dal momento che perizie del genere comportano gravi risvolti giudiziari, non è possibilità del Parlamento e dei suoi componenti farsi carico dell'attività ispettiva in merito?). Riprendo, al proposito, quanto diceva Gianni Guasto della collega che, pare, ha svolto 358 perizie. Tale dato, a me, indica solo che le sono state affidate 358 perizie. E non - necessariamente - che erano tutte inappuntabili e che che la collega non le svolgesse - e credo di no, fino a prova contraria - "in serie" - senza ad esempio i dovuti riscontri oggettivi (fotografie, e rilievi varii). Il che sarebbe molto grave. Il problema è nella verifica della attendibilità peritale, e la verifica della atendibilità peritale è affidata proprio al magistrato, che non ha gli strumenti tecnici per tale verifica, e - semmai - si affida ad essa. Da questo punto di vista, di una perizia accolta come valida in sede forense, possiamo solo dire che è stata considerata valida, e basta. D'altra parte, proprio nel caso della Bassa Modenese, a quel che so (e preferirei sbagliarmi) si appurò che la perizia della ginecologa in questione era quantomeno contestabile: furono gli stessi periti del GIP a definire "illibata" una bambina che la collega aveva definita essere stata sottoposta non vergine e già sottoposta a centinaia di abusi (con rapporti vaginali), e contestata da docenti di non poco credito. Sugli abusi sessuali ai minori, vi è poi un altro dato, su cui vorrei si intervenisse. E' dimostrato che - almeno negli USA - il 77% delle accuse di abuso sessuale che avvengono in corso di separazione coniugale sono false (esistono una infinità di siti americani ed esteri proprio sulle FALSE ALLEGATIONE ABUSE). Anche in Italia sono in aumento le denunce di abuso sessuale in corso di separazione coniugale. ma mi sembra che nessuno si prenda la briga di ipotizzare se alla base di denunce di abuso sessuale, vi siano strategie conflittive coniugali o, anche, l'innestarsi di altre problematiche socioambientali (non ultimo, il cattivo rapporto con i servizi sociali). Vorrei, nel caso, essere smentito con idonee argomentazioni bibliografiche, anche perché, sull'argomento (quello delle denunce di abuso in corso di conflitto coniugale), io conosco solo l'articolo pubblicato su PM, e scritto da un avvocato (che probabilmente se ne intende bene). In tale articolo, si sostiene che gli indicatori di "lutto" per la separazione coniugale non sono differenti dai segni di abuso sessuale. Anche qui, vorrei indicata una opportuna bibliografia che smentisca o confermi questo assunto. Comincio a chiudere con una domanda. Chi si riconosce e applica la cosidetta "Carta di Noto" in Italia ? Per finire, cito un episodio che mi hanno raccontato. Non legato ad un abuso sessuale, ma all'operato di una CT. Non so se esso sia vero: ma mi auguro di no. Si riferisce appunto ad una collega psicologa del Sud, che operava in quel caso come CT del Tribunale dei Minori di una città siciliana.. Su decreto del T.d.M., quattro macchine della P.S., avevano prelevato due bambini dalla famiglia, all'alba, e portati immediatamente in Istituto. Durante l'udienza in proposito, il legale della famiglia dei minori chiese al perito del T.d.M. se a suo avviso tale modalità di prelievo dei bambini potesse esser risultata traumatica per gli stessi. Risposta del CT: - No. Domanda del legale: - Me ne dà una motivazione scientifica ? Risposta del CT (dopo un minuto circa di silenzio): - Speravo di essermela cavata così. - E non seppe aggiungere altro. Il legale chiese la verbalizzazione di tale risposta (per cui, prima o poi, sapremo se si tratta di episodio vero o no). Il problema però non è appurare tanto se questo episodio è vero, quanto se il livello peritale di casi del genere sia mediamente questo. Rivolgo la domanda ai colleghi intervenuti che, sicuramente, ne sanno più di me. E che credo mi smentiranno pienamente. Gaetano Giordano
15 Feb 2001 - Nicola Artico Vorrei entrare con prudenza ma interesse nel dibattito tra Giordano, Guasta e Verde (gli ultimi interventi di Lagazzi e le repliche di Guasto e Giordano gli ho letti solo ora mentre l'impostazione del mio intervento l'avevo abbozzata ieri vi prego di tenerne conto.) perche' il campo delle perizie di parte (ctu) d'ufficio (ctp) e consulenze e intervento per il Tribunale dei Minori in quanto psicologo ASL mi e' professionalmente noto. Mi sono trovato a fare il Consulente in tutte le parti del processo (rispetto a sospetti abusati e sospetti abusanti cosi' come in difficili separazioni giudiziali dove i minori sono spesso a rischio). Spero e comunque mi sono spesso sforzato di avere sul problema una visione prospettica, tridimensionale cercando di evitare appiattimenti (di visuale) di sorta. Utilizzero' "strumentalmente" l'intervento di Verde per dire la mia perche' e' quello che nei contenuti e un filo anche nello stile mi preoccupa di piu'. Sono tuttavia del parere che anche e soprattutto in un dibattito professionalmente e scientificamente delicato come questo si debba poter *molto liberamente* esprimersi senza rischiare di essere frettolosamente iscritti ad un "partito" od una fazione che e' anzi l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Ha scritto il collega Verde >Cari colleghi, E' quello che penso anch'io conoscendolo attraverso questa lista. Tuttavia non ho ravvisato nessuna critica personale ma semmai riferimento (pubblicizzando un'interrogazione parlamentare per aprire un dibattito) su opinioni e ipotetici modus operandi che in quanto tali sono legittimamente criticabili ed opinabili. Grazie a questo ho peraltro scaricato l'interessante "Dichiarazione di consenso" del CISMAI che condivido per molti parti ma, per es, non per tutte. Ha scritto Verde >Il campo dell'abuso muove a posizioni antitetiche, ma questa è la stessa E questo e' sicuramente vero. Aggiungerei anche che occuparsi di psicologia o psichiatria forense in genere trascina il tecnico in un *conflitto*, direi per definizione. Ora lavorare nel conflitto non e' affatto facile ed i movimenti emotivi di tutti gli attori (avvocati, poliziotti, giudici, familiari ecc..) sono particolarmente presenti ed interferenti. Soprattutto in attori che non sono affatto abituati a conoscerli, controllarli, analizzarli. Anzi, nella mia esperienza, piuttosto portati a subirli piu' spesso a re-agirli molto influenzati dal contesto socio-culturale (nelle migliori delle ipotesi) quando non dalla propria tasca (nella peggiore). >Quanto ai soldi, non pensiamo che le perizie siano un modo per guadagnare Lavoro in un DSM e, pur non escludendolo, dal mio osservatorio ho qualche difficolta' ad intravedere grandi ma soprattutto diffusi affari nel settore. Certamente esistono alcune realta' che non so stimare quanto presenti in Italia, dalle mie parti ben conosciamo le nostre. Credo si possa dire e scrivere che a Pisa lavorino con ottimo successo economico alcuni notissimi psichiatri. Pero' se poi cio' accada "sulle spalle" dei pazienti lascio ad altri colleghi eventualmente cimentarsi in una conversazione. Su *questo* dibattito invece volevo osservare che non e' cosi' infrequente che, facendo i consulenti di parte a ricche ed agiate quanto conflittuali famiglie in separazione giudiziale si possa e lungamente fare buoni guadagni. E cio' tanto piu' se il consulente (che a volte erroneamente secondo me fa anche il terapeuta del minore) opera piu' o meno consapevolmente in modo ego-sintonico con le fantasie, aggressivita', e sentimenti di rivalsa di uno o piu' degli attori in campo. Incapace o poco libero internamente dai pesanti meccanismi istigatori che non di rado abitano queste situazioni. Cio' fa poi pandant con analogo atteggiamento talvolta dello studio legale, con il quale il CT spesso opera. Con buona pace per la salute mentale del minore. >Giordano forse ignora che per quanto attiene all'abuso due posizioni (........) >Ma l'Italia è il paese dove le cure per il cancro le decidono i pretori. Ecco queste sono le due cose dell'intervento di Verde che piu' mi allarmano e mi preoccupano. Non so se cio' sia ignorato da Giordano sicuramente e' ignorato da me! Non e' strano o inverosimile che esistano due o piu' posizioni scientifiche su un tema. Ma e' preoccupante che invece di attraversare orizzontalmente i professionisti esse vengano *collegate* a qualcuno in questo ambito. Verde sembra intendere i difensori dei bambini da una parte e i difensori dei sospetti abusanti dall'altra. Conosco abbastanza la psicologia e la letteratura di settore (metodi di validation; psicologia della testimonianza ecc...) per ritenere che, pur nelle diversita', non esistono aspetti di base che non possano essere presi in considerazione da *tutti* i tecnici. (Su questo vorrei dire a Giordano che fermo restando le importanti e critiche implicazioni epistemologiche sull'uso di strumenti standardizzati, a cui i proiettivi sono piuttosto vulnerabili, oggi sulla *validation* non siamo proprio a zero ma almeno a tre, per citare Troisi. Per es. esiste un sostanziale accordo nella comunita' professionale di settore, al di la' dei protocolli di intervista adottabili, che debbano essere pochissimo presenti se non azzerate le cosiddette domande *suggestive*. E cio' tanto piu' piccoli sono i minori. Pena l'invalidazione o la forte criticita' del risultato.) Penso occorra un grande rigore e metodo nell'operare e notevoli capacita' di mettere a freno la nostra tendenziale autoreferenzialita'. Infatti quello che mi interessa (o mi preoccupa) di piu' nello stilare o leggere una perizia non sono tanto le conclusioni. Piuttosto il rigore, il metodo e le premesse di come il tecnico ha fatto affiorare dei fatti fisici o psicologici e, soprattutto, di come li mette in connessione tra loro. Di quanto infine e' consapevole che, inevitabilmente, deve interferire un po' (ma non troppo) con l'evento per poterlo "cogliere". Il *come* piu' che il *cosa* per dirlo con uno slogan. Se la scienza non potra' mai essere neutra, questo e' un campo dove rischia addirittura di schierarsi in fazioni. Con implicazioni drammatiche per i fruitori di questi servizi. Guasto ha scritto, temo giustamente, che sono piu' gli impuniti colpevoli degli innocenti distrutti dalla galera o dall'infamia psicologica (che spesso si affibbia gia' solo perche' uno e' sotto inchiesta indipendentemente da come ne esce!). Tuttavia, quando faccio il perito, e' un tormento ed una difficile contabilita' emotiva quella che contrappone propendere per un errore a danno del presunto reo o del presunto abusato. Sono pero' convinto che anche qui, come in tutte le professioni sanitarie, noi abbiamo l'obbligo del metodo piu' che del risultato. Una volta un P.M di cui ero consulente, dove pur spiegandole tutte le ragioni dei miei dubbi alla fine decidevo per un parere che, di fatto, favoriva il presunto abusante ebbe a dirmi una cosa cosi' sintetizzabile: "Non si preoccupi dottore ho visto lo zelo e l'impegno che ha messo in questo lavoro, scriva quello che ritiene in scienza e coscienza, dopotutto gia' aver fatto l'indagine e' un segnale. Nulla e' piu' come prima, nemmeno per l'eventuale abusante. In ogni caso abbiamo fatto bene a farla." Mi ricordo che allora interpretai in modo per me consolatorio quel parere del Procuratore. Delle due vie "strette" che vedevo allora quella era quella piu' accettabile per me e, spero, per la comunita' civile. Ma questo e' il mio parere mi piacerebbe sentirne altri si cresce solo nel *libero* confronto, senza paura, anche dei propri errori. Ma soprattutto tenendo conto che, alla fine, qualcuno giudichera' - comunque - e se non vogliamo finire all'inferno con gli ingnavi, un contributo in questo settore al sistema giudiziario dovremo pur darlo. nicola artico
15 Feb 2001 - M@rco Longo Gianni Guasto wrote: >>Bè, caro Marco (Lagazzi) .. ottima idea, Gianni; le aree di PM su "abuso" ed "infanzia", oltre quelle su "criminologia" e "psichiatria forense", sono pronte ad ospitare il materiale
At 23:14 14-02-2001, Marco Lagazzi wrote: >ok, caro Gianni, apriamo la discussione, se ai Colleghi della ml interessa onde evitare l'invio di attachment in lista, preferirei che fossero indicati dei links oppure mi faceste avere il materiale (possibilmente in files salvati in .rtf), in modo da poterli pubblicare, magari con qualche commento di introduzione, nelle aree suddette >Per i Colleghi che non sono addentro alla questione: quello su cui si ovviamente se il dibattito decollera', com'e' auspicabile, a suo tempo sara' raccolto in un file che apparira' nell'area "dibattiti tratti dalle liste" di PM buon lavoro a tutti Marco Longo
16 Feb 2001 - Gianni Guasto Marco Lagazzi ha scritto: Due domande: Così formulata, la tua domanda non è del tutto chiara, ma poiché conosco un po' il tuo pensiero avendo avuto svariate occasioni di discuterlo "sul campo", proverò a rispondere. Se, quando ti riferisci alla necessità di distaccare la psicoterapia dal lavoro peritale alludi all'incompatibilità dei ruoli, dici cosa che condivido pienamente; ma so che non è questo ciò che ti preme maggiormente, soprattutto perché fai riferimento alla necessità di "far proprie le regole preesistenti" della medicina legale e della psichiatria forense, che si differenziano parecchio dallo stile e dalla metodologia clinica di coloro che, un po' sprezzantemente chiami "abusologi" , e che io preferisco chiamare "esperti in psicotraumatologia clinica dell'età evolutiva". Il tuo severo richiamo alla necessità di rientrare nei ranghi della Medicina Legale o della Psichiatria Forense, non mi convince, caro Marco, perché non credo che possa esistere alcuna medicina legale che non si adegui alle acquisizioni tecnico scientifiche in campo diagnostico man mano che esse diventano patrimonio della clinica. Altrimenti quale contributo possiamo dare noi medici, noi psicologi, alla Giustizia, se non apportando saperi ad essa esterni? Sarebbe come se, in altri settori, la Medicina Legale rifiutasse, per esempio, le metodiche di accertamento del Dna, soltanto perché estranee alla sua tradizione. Ciò che non avviene in campo laboratoristico, avviene invece in campo psicodiagnostico, come se anche la tecnica del colloquio clinico in età evolutiva non avesse raggiunto standard elevati, e non rivendicasse una sua specificità, a fronte dell'aspecifico colloquio medicolegale tradizionale, condotto magari in presenza dei Consulenti di Parte (cioè, al di qua dallo specchio), e persino dei difensori. Sai bene che le esigenze di setting non sono contemplate da nessun trattato di medicina legale; se poi lo psicologo clinico avesse, come il sottoscritto, la pretesa di lavorare con strumenti diagnostici di matrice psicoanalitica, dovrebbe persino preoccuparsi di tener d'occhio il transfert e il controtransfert. Come vedi l'"abusologia" non è una patacca inventata da psicologi furbetti desiderosi di arricchirsi (ci vuole una bella malafede per affermare ciò in contemporanea all'accusa di lavorare solo per il GIP e il PM, che notoriamente ci pagano profumatamente e di tasca loro) ma piuttosto un tentativo che potrebbe anche riuscire di lavorare con strumenti adeguati in un campo per definizione impraticabile. Ciò che ci viene spesso rimproverato da chi sostiene le tue posizioni è il richiamarci ad un atteggiamento di tipo "empatico" nei confronti del periziando. Vedi, caro Marco, io ritengo (l'ho scritto più volte) che non si possa affrontare la realtà interna del bambino abusato (attenzione: è una realtà il più delle volte sepolta, che non può essere accessibile attraverso un atteggiamento di notarile indifferenza) senza sapere, o senza riuscire ad ipotizzare quale sia il destino, in termini psicodinamici, dell'esperienza di abuso (essa viene mentalizzata? Metabolizzata? Evacuata? È riconoscibile al soggetto? E le frequentissime ritrattazioni sono solo la prova che noia!- del mendacio, o rispondono ad esigenze di tipo economico? O sono la conseguenza, come suggeriva Ferenczi, dell'introiezione di parti dell'abusante?). Io credo che ci sia un mezzo infallibile per bloccare la rivelazione di un abuso: è quello di non fare nulla. Basta una dose sufficiente di freddezza, un tono di voce asettico, e un atteggiamento di attesa verso disegni e giochi. Non si vedrà nulla, non si diagnosticherà nulla, e il bambino potrà essere restituito all'abusante che ne ucciderà le funzioni psichiche. Scriveva Claudio Foti che non si può capire neppure la Storia dei Sumeri, se non si "empatizza" con i Sumeri. Io aggiungo che un abuso sessuale di origine genitoriale coincide con il crollo dell'universo, che sono i genitori, e che se non si ricostruisce un embrione di questo universo non si può ottenere alcuna confidenza, alcuna condivisione. Se non si ristabilisce almeno una molecola del rapporto contenitore-contenuto, per dirla con Bion, noi saremo sempre le copie di marmo di genitori destituiti di senso e perciò persecutori. Non ci meriteremo nulla della confidenza di un bambino e non ripareremo (anche una perizia può alludere alla, cioè restituire la fiducia nella, riparazione, e non per questo la chiameremo psicoterapia). Infine, caro Marco, desidero ribadire che credo pochissimo nella neutralità, nell'equidistanza dei periti, perché trovo tale concetto estremamente poco affidabile sul piano epistemologico. Ho trattato questo argomento in un mio lavoro presente anche su Psychomedia (http://www.psychomedia.it/pm/lifecycle/childhood/guasto.htm) e pubblicato sul n° 2/98 di Minori Giustizia con il titolo "ll trave e la pagliuzza: le emozioni del CTU di fronte al minore abusato", che fu discusso su questa lista un paio d'anni fa. E' un peccato che una tale "chicca" sia sfuggita a un mio lettore che tu conosci. b) quanto il punto di vista del committente (vedi Pubblici Ministeri) può inquinare, in modo più o meno consapevole, il punto di vista del clinico? A me non è mai capitato, anche se ho lavorato più spesso come perito del GIP che non del PM. A giudicare dall'effervescenza di certi avvocati, il problema non dev'essere davvero meno ostico per chi lavora a tutela dei diritti dei presunti abusanti. Gianni Guasto
16 Feb 2001 - Gianni Guasto Nicola Artico ha scritto: >Grazie a questo ho peraltro scaricato l'interessante "Dichiarazione di Ti è piacuto il punto in cui pugnaliamo le Ostie? ;-)) Gianni Guasto 16 Feb 2001 - Gaetano Giordano Mi dispiace che Gianni Guasto (come, mi sembra, il collega Verde) non abbia risposto - tra le tante email che ha inviato - anche alla mia. Dato che ritengo che, se discorso vada fatto sull'accertamento dell'abuso sessuale nei minori, esso debba partire dalle premesse di "scientificità" di tali accertamenti, ripropongo parzialmente quel che avevo chiesto e espresso nel precedente scritto: Comincio dal punto che più mi appare determinante. A quel che ne so - e vi prego di smentirmi - a tutt'oggi NON ESISTE LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE che OBIETTIVIZZI COME TALI I SEGNI DI ABUSO SESSUALE, specie in campo testologico. Nel caso ci fossero pareri contrari, gradirei una qualche bibliografia che affermi il contrario, che cioè indichi la possibilità di ogettivare segni patognomici di abuso sessuale, e che permettano una diagnosi univoca - vale a dire che permettano di escludere che quelli riscontrati non sono segni di altro tipo di abuso (emozionale, per esempio) o di altre problematiche (conflittualità genitoriali). Il punto è cruciale, perché se tale obiettività non esiste, occorre comprendere su quali basi ciascun CT si formi le sue convinzioni, e come le definisce - cioé se le percepisce ed esplicita come "personali" o come "obiettive". L'altro punto su cui chiedevo lumi al prof. Verde, è se - alla luce della sua frase sui "centri di aiuto" - esiste la garanzia e la trasparenza che l'operato di tutti i "centri di aiuto" è supportato da garanzie scientifiche e professionali massime. Altrimenti, si può sostenere che i "centri di aiuto", solo per il fatto di nominarsi tali (e di essere utilizzati come tali anche in sede processuale), non sono necessariamente degni di fede e che ipotizzare il contrario è appunto la dimostrazione che basta parlare di "centri di aiuto" per ottenere automaticamente e senza verifica alcuna la possibilità di parlare a nome della "scienza": mentre è possibile insinuare il contrario senza dimnostrarlo, e cioè che "gli altri" gli altri parlano per partito preso. Dire che tutti i centri di aiuto sono dalla parte della ricerca scientifica implica o il dover dimostrare che proprio tutti sono degni di tale fede, oppure che, a volte, occorra non accogliere a priori le loro conclusioni. O no ? Rilevo poi che Gianni Guasto, a proposito della collega delle 358 perizie, nonmi ha risposto proprio su quella che riguarda i bambini della Bassa Modenese (vicenda che mi è effettivamente risultata collegata al senatore dell'interpellanza da me inviata). E' vero o no che di tale perizia (che contribuì a condanne pesantissime) si appurò che era quantomeno contestabile ? Furono - o no - gli stessi periti del GIP a definire "illibata" una bambina che la collega aveva definita essere stata sottoposta non vergine e già sottoposta a centinaia di abusi (con rapporti vaginali), ed è vero che la perizia venne definita totalmente carente persino nei rilievi antropometrici da docenti di grande credito ? L'altro punto in questione sono le denunce di abuso sessuale che avvengono in corso di separazione coniugale. Un articolo statunitense del 1990 appurò (con metodologia scientifica: nel senso che andarono proprio a vedere l'esito di ciascuna singola accusa in ciascuno stato) che il 77% delle accuse di abuso sessuale esaminate erano false. I CT italiani che operano nella psicotraumatologia clinica dell'età evolutiva, ne tengono conto, e come ? E, soprattutto: CI SONO DATI ITALIANI IN PROPOSITO ? Punto che segue in relazione a questo: si sostiene che gli indicatori di "lutto" per la separazione coniugale non sono differenti dai segni di abuso sessuale. Vorrei indicata una bibliografia che smentisca o confermi questo assunto, o - per converso - sapere come si regola chi opera come CT in casi del genere. Se secondo una metodologia personale, una metodologia standardizzata, o meno. Vorrei a questo punto chiedere lumi a Gianni Guasto circa due punti della sua email: 1) REGOLE (E METAREGOLE) >necessità di "far proprie le regole La domanda che io pongo è la seguente: che esista uno specifico della psicotraumatologia clinica dell'età evolutiva, è un'asserzione che può trovarmi favorevole. Il problema però è su quali premesse metodoliche si basi. Il paragone che fa Gianni Guasto tra l'esame del Dna e la Medicina Lgale è secondo me del tutto disfunzionale, come paragone. L'introduzione dell'esame del DNA in tale disciplina è infatti avvenuto secondo regole accettate dalla comunità scientifica internazionale. Lo specifico dell'esame entra nella Medicina Legale proprio perché rientra in questi canoni. La domanda è: lo specifico - e le prassi metodologiche della "psicotraumatologia clinica dell'età evolutiva" rientrano nei canoni accettati dalla comunità scientifica internazionale ? 2) LA FREDDEZZA E L'EMPATIA >Io credo che ci sia un mezzo infallibile per bloccare la rivelazione di un Cosa implica, questo, nella pratica forense: come e in che terminini si deve "empatizzare" col minore da decifrare ? Come riconoscere il confine fra l' "empatia" e l'induzione involontaria di "falsi ricordi", nati magari dal bisogno di corrispondere all'empatia dell'intervistatore ? In finale, nella mia email precedente facevo due domande forse provocatorie, ma che ripropongo. 1) Chi si riconosce e applica la cosidetta "Carta di Noto" in Italia ? 2) Citazione di un episodio che mi hanno raccontato. Non legato ad un abuso sessuale, ma all'operato di una CT. Non so se esso sia vero: ma mi auguro di no. Si riferisce appunto ad una collega psicologa del Sud, che operava in quel caso come CT del Tribunale dei Minori di una città siciliana.. Su decreto del T.d.M., quattro macchine della P.S., avevano prelevato due bambini dalla famiglia, all'alba, e portati immediatamente in Istituto. Durante l'udienza in proposito, il legale della famiglia dei minori chiese al perito del T.d.M. se a suo avviso tale modalità di prelievo dei bambini potesse esser risultata traumatica per gli stessi. Risposta del CT: - No. Domanda del legale: - Me ne dà una motivazione scientifica ? Risposta del CT (dopo un minuto circa di silenzio): - Speravo di essermela cavata così. - E non seppe aggiungere altro. Il legale chiese la verbalizzazione di tale risposta (per cui, prima o poi, sapremo se si tratta di episodio vero o no). Il problema però non è appurare tanto se questo episodio è vero, quanto se il livello peritale di casi del genere sia mediamente questo. Rivolgo la domanda ai colleghi intervenuti che, sicuramente, ne sanno più di me. E che credo mi smentiranno pienamente. Gaetano Giordano
16 Feb 2001 - Gianni Guasto Gaetano Giordano ha scritto: >Rilevo poi che Gianni Guasto, a proposito della collega delle 358 perizie, Non ho risposto e non intendo farlo, poiché, come sai perfettamente anche tu, sono coinvolto come CTU in un procedimento connesso. Chiedo scusa ai Colleghi e all'Owner, se per un po' mi asterrò dall'intervenire in lista su questo argomento, che rischia di assumere contorni inopportuni. 16 Feb 2001 - Gaetano Giordano Mi dispiace molto che la prendi così, Gianni. Io ho fatto cinque domande, e tu mi dici che non puoi rispondere ad una. D'accordo: sei CTU in procedimento connesso. Ma le altre quattro ? Gianni Guasto ha scritto: > Gaetano Giordano ha scritto: No, non lo sapevo. Me lo stai dicendo tu ora, credimi. E mi sembra un clima curioso, questo: perché dovrei saperlo "perfettamente" anche io ? Comunque, scusami per tale problema. Ma c'è il resto: > Chiedo scusa ai Colleghi e all'Owner, se per un po' mi asterrò dall'intervenire in lista su questo Il punto è che io avevo fatto altre domande, che NON C'ENTRAVANO NULLA con questa vicenda. Domande che tu non citi affatto. PERCHE' NON RISPONDERMI ALLORA A QUESTE DOMANDE E NON CITARLE NEMMENO ? Le domande sono queste che seguono: non c'entrano NULLA con la vicenda in esame e TUTTO con il dibattito che stavamo avviando e al quale hai cominciato a partecipare tranquillamente tu per primo: 1) ESISTE LETTERATURA SCIENTIFICA INTERNAZIONALE che OBIETTIVIZZI COME TALI I SEGNI DI ABUSO SESSUALE, specie in campo testologico ? 2) Le denunce di abuso sessuale in corso di separazione coniugale: vi sono articoli italiani ? I CT italiani che operano nella psicotraumatologia clinica dell'età evolutiva, tengono conto del fatto che in articoli USA i falsi risultano essere rappresentati nel 77% dei casi ? e come tengono conto di tali dati ? 3) gli indicatori di "lutto" per la separazione coniugale sono differenti dai segni di abuso sessuale ? Vorrei indicata una bibliografia che smentisca o confermi questo assunto, o - per converso - sapere come si regola chi opera come CT in casi del genere. 4) lo specifico - e le prassi metodologiche - della "psicotraumatologia clinica dell'età evolutiva" rientrano nei canoni accettati dalla comunità scientifica internazionale ? Quali sono le prassi testate scientificamente di tale disciplina ? Queste sono domande più che legittime, e non vedo in cosa c'entrino con le CTU. Che ti infastidisca la domanda sulla collega, lo comprendo e me ne scuso. Ma il non rispondere al resto no, non lo comprendo affatto. Iniziamo un dibattito, vuoi pubblicare i tuoi testi, e via dicendo, e ora dici che ti astieni del tutto ? Me ne dispiace. Gaetano Giordano Sat, 17 Feb 2001 - Gianni Guasto >Iniziamo un dibattito, vuoi pubblicare i tuoi testi, e via dicendo, e ora Anche a me. Tuttavia ribadisco per la seconda (e ultima) volta che non interverrò più in rete a discussioni sulle perizie in materia di abuso sessuale, perlomeno fintanto che alcune situazioni giudiziarie particolarmente delicate non saranno concluse. E' la paranoia dei prudenti. O la prudenza dei paranoici. Nulla di personale. Guasto
17 Feb 2001 - Gaetano Giordano Gianni Guasto ha scritto: > E' la paranoia dei prudenti. O la prudenza dei paranoici. Nulla di personale. Scusami: hai iniziato TU PER PRIMO A PARLARE SUL CASO DEL QUALE ERI CTU. Nella TUA email del 13 Feb 2001 ( ore 00:34:05, per cui se volevi potevi anche andare a riposarti e pensarci con calma) questi sono, fra gli altri, i passaggi che lo enunciano: 1) MI HAI RINGRAZIATO per aver inviato l'ordinanza 2) HAI COSI RIBATTUTO ai brani della interpellanza relativi al caso in cui sei CTU: ( TESTO DELL'INTERPELLANZA: >> - risulta allo scrivente che la ASL di Mirandola, la dott.ssa Paola di TUA RISPOSTA: >Vero. TESTO DELL'INTERPELLANZA: >>- tutti i menzionati hanno partecipato a vario titolo ( consulenti del TUA RISPOSTA >Per quanto mi riguarda è vero. Questo è un giudizio preciso, emesso in termini precisi, su una vicenda giudiziaria. O no ? Me ne accusi a me, adesso ? A questo punto sono infatti confuso e dispiaciuto: - per l'uso del concetto di paranoico, - per questo repentino abbandono che sembra quasi una accusa a me di aver trattato un argomento SUL QUALE TU SEI VOLUTO INTERVENIRE PER PRIMO Comunque, io preferirei che il dibattito in Lista proseguisse anche se purtroppo senza il tuo contributo, perchè ritengo eccessivamente importante il problema della obiettività del CTU e della relativa metodologia. Soli argomenti dei quali volevo discutere Comunque: saluti cari a tutti Gaetano Giordano
19 Feb 2001 - Marco Lagazzi Rispondo con piacere a Gianni, dopo aver evitato 8 virus inviati inconsapevolmente dal Dr. Telleschi, scusandomi se la mail non sarà breve ed augurandomi che Guasto voglia proseguire a contribuire al dibattito; sono d'accordo sul fatto che sia opportuno non discutere in ml i casi ancora aperti, si tratterebbe di una violazione della privacy, oltre che del segreto processuale. Dunque: 1) Gianni ha pienamente ragione quando dice che non si può lavorare con un bambino se non ci si fa carico del suo trauma; la stessa necessità si pone in tutte le CTU su minori, ad esempio in quelle dove il trauma é il conflitto dei genitori per l'affidamento, giungendo a quelle in tema di risarcimento del danno psichico (es.: da morso di cane). L'abuso é il trauma per eccellenza, quindi Gianni, ed il filone di pensiero al quale fa riferimento, sono nel giusto. Però, come si fa ad instaurare validamente un setting, ed a "farsi carico", in perizie che quasi sempre sono limitate a meno di 5 incontri ? So che Gianni, quando può lavorare con i tempi "suoi", giustamente lavora per mesi con i bambini; ma la quasi totalità degli altri CT, pur riferendosi allo stesso modello, non lo fa. In secondo luogo, come notava Giordano, é essenziale il punto dei criteri diagnostici: sono criteri solamente empirici. Per l'affidamento del minore, ad esempio, abbiamo le ricerche base di Wallerstein e Kelly, validate da decine di altre; qui il riferimento é solamente a linee-guida, americane o auto-elaborate in Italia. Spesso, addirittura, il CTU fa partire la segnalazione alla Polizia solamente dopo il primo colloquio o dopo aver interpretato "fallicamente" un solo disegno. Ciò causa l'immediato allontanamento del bambino e la sua istitutizzazione, creando quindi a sua volta un trauma ed una modifica nel vissuto del minore, le cui conseguenze su quello che dirà sono comprensibili, e che rappresenta, se il CTU si é sbagliato, un danno gravissimo. Il punto é proprio questo: di fronte a criteri empirici, occorre avere molta cautela e porre una severa diagnosi differenziale, ma quasi sempre questo non avviene. Non si tiene poi conto del vissuto del minore nell'essere posto di fronte ad un sistema che percepisce come così forte da sradicarlo da casa, di fronte alla polizia che lo va a prendere a scuola, di fronte a psicologi ed assistenti sociali che spesso lo interrogano in modo suggestivo, se non esplicitamente pressante e direttivo (non parlo ovviamente né di Gianni né dei Colleghi più qualificati). 2) Circa il condizionamento del clinico da parte del committente, il mio dubbio deriva da questo: se io vedo solamente abusi, e non mi occupo di altro, non rischio di avere un'ottica selettiva e di porre minore attenzione alla diagnosi differenziale? Se sono un giovane professionista, che non fa altro, avrò se occorre la forza interiore e la competenza per "deludere" la tesi accusatoria che mi viene posta, con il dubbio che il PM o la parte civile che mi incaricano si rivolgano la prossima volta ad altri? Se sono esperto in psicotraumatologia, porrò ogni volta diagnosi differenziale o mi adeguerò alla tesi più facile ed apparentemente evidente? Circa la pertinenza disciplinare della materia, non intendevo sostenere la dominanza della medicina legale sulla clinica; volevo dire che le regole procedurali e metodologiche del lavoro peritale sono una forma codificata di garanzia per tutti, soprattutto per lo stesso minore. Ho visto dozzine di pseudo-perizie, nelle quali la sola base scientifica del CTU era il "potere" che gli veniva dal giudice, con affermazioni motivate solamente dalla ignoranza dello stesso CTU; la sola garanzia rispetto al perito incompetente viene dalla presenza dei consulenti di parte e dalle regole procedurali e medico-legali, che garantiscono la trasparenza e la verificabilità di ogni passo dell'indagine. 3) In ultimo: CTU e CTP. Vero che il CTP é spesso ancor più condizionato dal committente, ed in molti casi troviamo CTP inqualificabili, che cercano perfino di far passare per matto il minore abusato o di screditare a livello personale il CTU. Il solo modo per poter fare onestamente il CTP in questo settore é accettare l'incarico con l'accordo che, se si condivideranno i risultati del CTU, lo si dichiari esplicitamente, o si rinunci all'incarico, perché siamo medici, e non avvocati. Questo comporta spesso rapporti difficili con i difensori, ma é l'unico modo per non essere condizionati. Ancora una volta, comunque, questo ci riporta al punto nodale del lavoro peritale: se non si ha una professionalità autonoma, e non si é in grado di dire NO a quello che non condividiamo o che ci può condizionare (venga da un PM o da un difensore), si sarà sempre dipendenti dal committente. Io stesso ho sperimentato questa realtà sulla mia pelle: per anni, all'inizio della professione, ho lavorato solamente come CTU in ambito minorile, per poi rendermi conto che istintivamente ragionavo come una sorta di "giudice a latere"; accettando anche CTP, ho capito cosa significhi vivere i casi anche "dall'altra parte". In questo settore ho visto genitori distrutti da accuse che non erano state poste neppure dal figlio, ma da maestre o assistenti sociali; bambini sottratti alle famiglie senza un solo dato scientifico che non risiedesse nell'ignoranza del CTU e nella sua arroganza, o nelle sue personali problematiche circa la sessualità e la genitorialità; disegni qualificati come indicativi di abuso che poi si é scoperto essere stati fatti non con il CTU ma con la Polizia, e così via. Questo é stato molto didattico. In sintesi: non c'é un metodo clinico ed un metodo medico - legale. Ogni perizia deve essere sia clinica, sia medico-legale, sennò non sarebbe una perizia, ma una relazione clinica o, all'opposto, un atto giuridico. E' l'unione dei due elementi che costituisce la perizia come tale. Il problema, sul quale non si può non concordare, é quello dell'abuso delle certezze, senza adeguata base scientifica, e del contesto nel quale il lavoro peritale si colloca. In assenza di procedure corrette, di garantismo e di rigorosa scientificità, la perizia sarà inevitabilmente fuorviante e dannosa per tutti. Oggi, a mio personalissimo parere, il contesto delle indagini in tema di abuso é spesso privo delle necersarie garanzie di scientificità e di pariteticità tra accusa e difesa. Da ciò derivano gravissimi danni. Tutto qua. Marco 20 Feb 2001 - Gaetano Giordano Marco Lagazzi ha scritto: > Dunque: certo. Però il discorso rischia di essere autoreferenziale. Se il bambino non ha il trauma, o non ha avuto "quel" trauma, e bisogna lavorare con lui per esigenze di giustizia, che succede ? Che si costruisce senza volerlo una "realtà" nel quale il trauma sia l'ipotesi di lavoro: e dunque diviene l'unica possibile realtà con cui far confrontare il bambino. Il che può far diventare estremamente facile creare una "memoria" che sia una fantasia sull'ipotesi di lavoro. Parte delle mie domande, a cui in verità attendo ancora una risposta, vertono sulla metodologia e le prassi utilizzate per evitare questo rischio. > In secondo luogo, come notava Giordano, é essenziale il punto dei criteri Non esistono metodiche, test, segni scientificamente convalidati che possano condurre con certezza alla diagnosi di abuso sessuale, o anche al solo sospetto che si sia trattato di abuso sessuale e non emozionale (conflitto per l'affido, ad esempio). A questo punto ritengo che sarebbe più corretto affermare che esiste una "scienza" - la "psicotraumatologia dell'età evolutiva" - che non ha alcunché di scientifico su cui basarsi (il che non significa che non si debba cercarlo), ma le cui risultanze pesano in modo quanto mai grave e drammatico sul futuro di famiglie intere. Sarebbe quanto meno doverosamente etico - allora - che lo psicotraumatologo dell'età evolutiva esplicitasse da dove salgono le sue certezze, e quali prassi gli consentano di definirle tali. > >Per l'affidamento del In Italia, a seconda dell'età, il 92%-99% per cento dei bambini è affidato, nei casi di separazione coniugale, alle madri. In caso di CTU, il dato si modifica solo lievemente. A mio avviso, ciò indica - almeno tendenzialmente - una scarsissima professionalità e una scarsissima preparazione della categoria in merito al tema specifico. Una categoria, per di più, che - stando alle cifre di cui sopra (e che vorrei fossero smentite, dati alla mano) o non ha ragione di esistere in questo tipo di procedure legali (perché non modifica in alcun modo la casistica che si avrebbe senza il proprio intervento) o non ha la preparazione adeguata ad intervenire (e proprio per questo non è in grado di creare alcunché di nuovo e specifico col proprio intervento), o che ha come obiettivo reale il confermare le tendenze (o le volontà) della giurisprudenza. Se qualcuno può smentire tutto ciò, lo prego di smentirmi o di spiegarmi il perché delle cifre che ho prima citato. E qui vorrei aprire un discorso che, curiosamente, resta sempre chiuso. Dal mio punto di vista, infatti, le cause di separazioni svolte nei termini con cui sono svolte adesso, tendono a costituire un vero e proprio abuso sui minori (e non a caso non c'è molta differenza fra i segni testologici e clinici i segni di abuso emozionale che si ritrovano nelle separazioni conflittuali e negli abusi sessuali, così come non è un caso che anche in Italia sta nascendo la moda di denunciare l'abuso sessuale come strategia in corso di separazione coniugale). Ma quali sono gli "psicotraumatologici dell'età evolutiva" che lo denunciano ? Il punto è che se le cause di separazione creano abuso, allora il ruolo - e NON LA PERSONA - del CTU nella causa di separazione (come il ruolo del CTP, quello dei genitori conflittuali, così come quello di tutti gli altri partecipanti al problema) è il ruolo di un potenziale "abusatore" 8insieme a tutti gli altri). Ma - lasciatemelo dire - io assisto all'emergere della "psicotraumatologia dell'età evolutiva" senza che tale scienza ponga proprio la prassi legale e conflittuale a cui i professionisti che la propugnano in stragrande maggioranza concorrono - come maggior causa di abuso (emozionale) nel nostro paese. In altri termini: nessuno dei "CTU" e dei "CTP" nelle cause di separazione si chiede se il suo ruolo non sia quello di concorrere all'abuso dei minori di cui si occupa nelle separazioni. E' curioso infatti notare che i tanti "centri di aiuto" per bambini abusati non sono centri d'aiuto per i figli coinvolti nella separazione, che non esistono "centri di aiuto" per tali bambini, che nelle separazioni coniugali oggi si fa il CTU e domani il CTP (e dunque che non ci sono nè i Centri che aiutano il bambino né i difensori degli imputati a loro contrapposizione, perché tutti hanno ruoli interscambiabili con quelli altrui) e che mentre il tema dell'abuso sessuale vede insorgere tanti paladini a difesa dei bambini abusati, nessuno protesta mai con la stessa veemenza, né si erge a difensore dei bambini coinvolti, nell'abuso che si fa dei bambini in corso di separazione coniugale. In Italia la grandissima mole di studi statunitensi sulle patologie emergenti nelle separazioni coniugali, e che hanno come obiettivo i bambini, sono praticamente ignorate, e non ho mai assistito all'emergere di alcun centro di ascolto o di aiuto per i bambini abusati da perizie, conflitti legali, strategie di avvocati, genitori, periti di parte e CTU. Sappiamo benissimo - poi - che coloro che in Italia più propugnano la Mediazione del Conflitto sono gli stess periti più pagati nei tribunali, ma nessuno ha mai posto in luce tale patologico paradosso (che confonde in senso conflittuale la coppia che si separa). Tutto ciò a mio avviso dovrebbe implicare una serissima riflessione di tutti coloro che parlano - giustamente - di abuso sui minori: una riflessione che dovrebbe avere per oggetto proprio il proprio ruolo ed il perché lo si voglia confinare "solo" alla denuncia e alla clinica dell'abuso sessuale. > >Spesso, addirittura, il CTU fa Il collega dr. Verde - ha detto: >Giordano forse ignora che per quanto attiene all'abuso due posizioni La frase mi appare sollevare molti interrogativi, e io ancora attendo, con molta umiltà, una spiegazione dal collega. Una spiegazione che credo doverosa, dal momento che egli sarà CTU in nuovi processi di abuso minorile. Da quanto egli dice, si evince infatti - in primis - l'esistenza di "posizioni scientifiche" che - abbiamo visto - in realtà pare non abbiano a proprio supporto alcun dato scientifico. Vorrei che il prof. Verde mi spiegasse allora quali sono i capisaldi scientifici - e le relative evidenze - di tali posizioni. In secondo luogo, credo che andrebbe spiegato quello che appare il nodo centrale del termine: il difensore dell'imputato (e l'imputato, dunque) hanno torto fino a prova contraria, mentre i "centri d'aiuto" hanno invece una verità scientifica che è tale invece fino a prova contraria ? La frase così come è stata scritta appare avere una sua credibilità in una lista psichiatrica; portata però - e resa esecutiva - in un contesto giudiziario, può essere malauguratamente letta, sicuramente oltre le intenzioni dell'autore, quale anticipazione assolutamente a priori di un giudizio (o di una "diagnosi"), espressi prima ancora di aver sentito i fatti. Un giudizio secondo cui il "centro d'aiuto" ha ragione a priori e l'imputato avanza a priori evidenze strumentali al proprio interesse e che sviano la verità dei fatti. Gradirei dunque che il collega Verde contestualizzasse bene il suo parere, perché credo non credo che il suo punto di vista fosse questo, né tantomeno credo che lo sarebbe come CTU: quanto egli afferma è dunque forse condivisibile in sede di ipotesi teorica (e dibattibile - non voglio dire "discutibile" - in una ML), ma credo sia opportuno chiarire meglio i limiti di tale affermazione. Proprio a garanzia dei futuri procedimenti giudiziari. E se non altro perché in questo è bene evitare quel che a volte è un riscontro possibile: > in questo settore ho visto genitori distrutti da accuse che non erano state poste Da questo punto di vista, ritengo che la "psicotraumatologia dell'età evolutiva" non solo debba esistere, ma debba cominciare a porre a fondamento scientifico di sé stessa lo studio di chi la definisce come scienza, e le premesse da cui ci si muove. Gaetano Giordano
22 Feb 2001 - Marco Lagazzi Caro Giordano, sollevi punti sui quali mi trovo totalmente d'accordo. Una rapida premessa: il famoso dato sulla quasi totalità degli affidamenti alla madre non é fruibile se non é contestualizzato, perché comprende tutte le separazioni, comprese quelle consensuali, nelle quali l'affidamento alla madre é sancito direttamente dai due genitori. In quelle giudiziali, che finiscono a CTU, la tendenza é sempre preponderante per l'affido alla madre, ma la percentuale di affido al padre (o congiunto o alternato) é più alta, anche se sempre inferiore, nei vari tribunali, al 50%, su questi casi. Tieni comunque conto che, anche nei casi contenziosi, l'affido viene chiesto raramente dal padre, di solito il punto del contrasto é sulle modalità di visita o sul contatto del bambino con il convivente dell'uno o dell'altro. Per il resto, é comunque vero che (e lo dico non solo come CT ma anche come padre separato) in Italia il ruolo materno é vissuto in Tribunale come del tutto stereotipico, e si sottovaluta ancora la figura paterna, il cui ruolo, per i Tribunali italiani, é di fatto definito solo in negativo, come erogatore di assegno mensile. Circa la psicotraumatologia dell'età evolutiva, sono d'accordo sul fatto che, se non si ha una base scientifica validata dalla ricerca, si va per funghi; ed é chiaro che, se io cerco solamente funghi porcini, e la mia esclusiva competenza é in questo senso, probabilmente finirò per mettere nel mio paniere funghi di tutti i tipi, convinto che siano porcini. I danni, tuttavia, non saranno i miei, ma saranno di chi mangerà i funghi da me raccolti. Per il resto, sono d'accordo sul fatto che CTU e CTP sono spesso privi di competenza e sono essi stessi "abusanti" sul piano psicologico e della responsabilità professionale. Da anni il mio campo di studio si é spostato dalla metodologia del lavoro peritale al "setting" della "scena peritale", e concordo sul fatto che oggi il lavoro sui minori é spesso equiparabile ad un vero abuso, compiuto al di fuori di ogni minima regola scientifica e deontologica. Non sono molto d'accordo sul discorso mediazione. Ho seguito la MF dai suoi inizi, mi sono formato, ne ho scritto molto, ma oggi, in Italia, si tratta di un Circo Barnum, nel quale sono fiorite scuole di mediazione che formano in modo del tutto inadeguato, con professionisti che spesso riciclano in questo settore pseudo-competenze che con lo stesso non hanno nulla a che fare. basti pensare che spesso i mediatori si propongono poi come CTP o fanno certificazioni per l'una o l'altra parte. Sintesi: anziché litigare come i capponi di Renzo, sarebbe giusto ammettere che oggi, in Italia, il lavoro peritale sui minori é ad un punto zero, e ridiscutere tutto quanto. Questo non avverrà mai, perché ci sono troppi interessi. Triste, ma vero. Marco
23 Feb 2001 - Gaetano Giordano Ti ringrazio, anche perché, degli invianti partiti sull'argomento, sei ormai l'unico. Il silenzio che sta accogliendo queste email, nelle quali NON si parla di procedimenti in corso, ma di come il minore venga abusato NON SOLO dai genitori, ma in senso psicologico da tutto un sistema - e dunque dai ruoli (NON DALLE PERSONE) - che lo compongono, è un silenzio molto esplicativo. Io ho cercato di parlare di una diffusissima forma di abuso del minore, quella che avviene nei procedimenti di separazione genitoriale e di affido minori, e nessuno ha (mai) risposto. A questo punto devo pensare che è molto facile diventare paladini delle vittime dei pedofili permettendosi poi di ignorare abusi sulla cui minore gravità non giurerei con facilità: come mai, ripeto, non sento nessuna voce contro gli abusi che questo sistema compie sui bambini allorché collude con chi li pone a TROFEO di una contesa che è redditizia per tutti (in specie per coloro che in altri campi difenderebbero i bambini dagli abusi?) ma che distrugge i bambini stessi (come acclarato)? Cioè: come mai nessuno strilla o parla di "trauma" ed "abuso" in relazione alle diffusissime guerre per gli affidi, in cui TUTTI - dai CTP ai CTU ai legali ci guadagnano - E GLI UNICI AD ESSERE DAVVERO ABUSATI SONO I BAMBINI ? TALE SILENZIO E' IL SILENZIO DI UN SISTEMA ABUSANTE, E CHIEDO: LA PSICOTRAUNATOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA SI OCCUPA O NO DEI TRAUMI DA CONFLITTUALITA' LEGALE IN CORSO DI SEPARAZIONE GENITORIALE ? E, altra domanda, la psicotraumatologia dell'età evolutiva come descrive la figura del professionista che partecipa a tale conflittualità e ne ricava un guadagno economico e sociale ? > Una rapida premessa: il famoso dato sulla quasi totalità degli affidamenti A livello "monosistemico" (passami il neologismo: e cioè, se guardiamo alle sole alternative oggi offerte dal solo sistema giudiziario) hai ragione. Ma se sposti lo sguardo a livello "macrosistemico", hai risultati interessanti. Ho citato i dati in questione (quelli sull'affido ai padri) con confusione voluta: fra separazioni "consensuali" e separazioni "giudiziarie", forse vi sono delle differenze, ma a mio avviso non incidono sulla "qualità (o disqualità) emergente" dal macrosistema. Gran parte degli scarsi affidi al padre nelle separazioni consensuali sono motivati dalla consapevolezza del padre che i magistrati e i periti preferiscono di gran lunga l'affido MONOGENITORIALE -invece di quello ad entrambi i genitori, come a conti fatti sarebbe obbligatorio nonché "terapeutico"(*)- e la madre come genitore "MONOaffidatario". Il padre è così demotivato, anche perché nella maggior parte dei casi ha già una cultura di fondo che lo spinge a tale disinteresse, a battersi per l'affido ad entrambi i genitori (volutamente taccio sulle varie differenze tra "affido congiunto", a "entrambi i genitori" e via di seguito) o a lui. Il relativo disinteresse che accompagnerà i rapporti fra "padre" e "figlio" accompagna (ne è causa ed effetto, dunque) tale logica: ma, anche qui, dobbiamo osservare che già dover decidere se "far causa o no" per l'affido, è un livello comportamentale che denuncia come il sistema istighi al conflitto nel momento stesso in cui vuole gestirlo (attraverso un altro conflitto). Ciò premesso, occorre dibattere allora quanto questo sistema - e chi ne fa parte - sia un sistema abusante, dal momento in cui favorisce a tutti i livelli una conflittualità coniugale che si sa essere la più diffusa forma di abuso sul minore che si abbia. Il livello di abuso sistemico emerge a mio avviso in modo quanto mai evidente allorché ci si rende conto della follia stessa che questo sistema offre alla famiglia in difficoltà. Come detto, per sedare un conflitto, offre come soluzione "più accettabile", o - per dirla con Luhmann - come soluzione che più garantisce dal "rischio" il riaccendere il conflitto a livelli più elevati, cioè a livello legale (con tutto il peso pragmatico ed emotico che ciò comporta per tutti)., e rende appunto ricorsiva la patologia sulla quale crede e pretende di intervenire. Il problema è: la psicotraumatologia dell'età evolutiva ha qualcosa da dire, al riguardo, o dopo aver parlato di "centri di aiuto per i bambini abusati", dimentica che questi somno abusi gravissimi ? > Circa la psicotraumatologia dell'età evolutiva, sono d'accordo sul fatto Il problema, a mio avviso è: , quali REALI strumenti offre questo macrosistema sociale al minore, relativamente a TUTTI gli abusi che subisce in famiglia e nel macrosistema (ivi compreso in questo il sistema giudiziario che si pone a sua tutela)? La psicotraumatologia dell'età evolutiva è capace di pensare in termini macrosistemici ? Grazie per la tua risposta. E grazie anche per quelle che non verranno: come si sa, già del 1967 l'impossibilità di non comunicare era dato risaputa a una curiosa scienza chiamata "pragmatica della comunicazione umana". Gaetano Giordano 24 Feb 2001 - Nicola Artico Caro Giordano, tra le tante cose critiche che hai scritto molto interessanti per l'aspetto di *contenuto* ma per me e forse anche per altri piu' delicate per l'aspetto di *relazione* , citero' volontariamente solo queste ultime sotto (in seguito vedremo). Prendendomi anche la liberta' di farti osservare, serenamente, che la Rete ha un suo linguaggio e che scrivere in stampatello convenzionalmente equivale ad urlare. Hai scritto: >Ti ringrazio, anche perché, degli invianti partiti sull'argomento, sei ormai l'unico. E poi ancora: >E grazie anche per quelle che non verranno: come si sa, già del 1967 Siccome non abbiamo l'analogico voglio prendere un accorgimento. Istruzioni per l'uso di questa mail: - vorrei sinceramente fare un dibattito costruttivo su questo tema con piu' persone possibile - non ho nessun intento polemico fine a se stesso o a vincere nessuna partita nello "stadio" della M.L. - vorrei la liberta' di criticare le opinioni e gli stili comunicativi (almeno come in questo caso quando mi sembra possano interferire con lo svolgimento di un dibattito) e cio' ovviamente e' reciproco - sono disposto a proporre le mie idee e la mia prassi al confronto e, una volta persuaso, a modificare entrambe - vorrei poter quindi scrivere e "sbagliare" sulla tastiera con una certa tranquillita'. - last but not least; vorrei poter rispondere con calma e con i miei tempi di lavoro senza entrare in un circuito stressante, dibattere mi dovrebbe dare piacere piu' che problemi almeno in questo contesto. Premesso cio', visto che citi quel fondamento della psicologia della comunicazione della scuola di Palo Alto potresti rileggerti anche quella parte che dice che le persone sono disposte a comunicare e conversare solo che entrambi i dialoganti possano ricevere un'immagine positiva o comunque accettabile di se'? Perche' altrimenti temo che, siccome non tutti hanno sempre voglia come adesso provo a fare io di recuperare le "cadute comunicative" (facili in Rete, ma faticose da riprendere) la bonta' o comunque la fecondita' di alcuni punti che sollevi cada, per l'appunto, nel vuoto trasformandosi in sterile. Nell'augurarmi che Verde, Guasto e chiunque si occupi a vario titolo di CT sui minori voglia riprendere il discorso vengo adesso agli aspetti di *contenuto*. Condivido molte delle tue critiche come le cose che ha scritto Lagazzi sono largamente condivisibili. In buona sostanza sull'inadeguatezza quando non sulla perversione del sistema giuridico che accoglie e condiziona in modo circolare il sistema peritale. Cosi' come sulla generalmente bassa qualita' del livello professionale degli psico-periti. Peraltro mi piacerebbe focalizzare, per semplicita', la discussione sul tema degli abusi sessuali e relativo sistema di accertamento come mi sembra era nata. Pero' dalla radicalita' delle tue osservazioni non ho capito alcune cose fondamentali. Ritieni attualmente tale sistema incorreggibile e nemmeno minimamente migliorabile? Ritieni che nessun psico-perito, allo stato attuale, possa dare il benche' minimo contributo per aiutare il sistema giuridico nel valutare la compatibilita' tra un resoconto di abuso (ed altri indizi vari) ed il fatto che l'abuso ci sia stato veramente o storicamente? Svolgi CT? Se la risposta alla prime due domande fosse si questa mi aspetterei fosse no. Ritieni invece come per adesso penso io (altrimenti mi sentirei un mercenario in malafede) che lo stato dell'arte sulle validation sugli abusi sex possa fornire una certa misura (variabile da caso a caso) di aiuto nel sistema giuridico? Che esista una seppur artigianale competenza (non poi cosi' tanto piu' artigianale di tante altre branche mediche, psichiatria e psicopatologia in primis), comunque superiore a quella media di un Giudice medio? Sono conosciuti da te (e da chi partecipa al nostro dibattito) strumenti come la *step wise interview*; la *statement validity analysis* (SVA) e relativi *criteria-based content analysis* (CBCA)? Insomma vogliamo conversare se e' possibile o meno, con le conoscenze di oggi, fare CT al fine di accertare o contestare la compatibilita' di certe situazioni con reali abusi oppure su come sia possibile operare al meglio e magari aiutarci *condiviso* che e' possibile comunque operare con una qualche ragionevole probabilita' di successo legata al metodo. E per successo intendo anche poter escludere con buona probabilita' l'eventuale abuso. Naturalmente queste domande le rivolgo idealmente alla lista, quantomeno a coloro che sono gia' intervenuti. Una volta delimitato il campo del dibattere sara' forse piu' agevole intervenire per tutti. Puo' darsi che, visto che dietro alle CT girano un po' di soldi, ci sia un po' di reticenza a confrontarsi, ad esporsi, ma mi piacerebbe pensare che in questa lista prevalga una visione etico-scientifica, di amore per il conoscere, e di supporto professionale su ogni altro interesse. nicola artico
25 Feb 2001 - Gaetano Giordano Nicola Artico ha scritto: > Caro Giordano, Grazie per la serenità: ma per me lo scrivere in maiuscolo NON HA IL SENSO DELL'URLARE BENSI' DEL SOTTOLINEARE (pur essendo a conoscenza che nella Rete, in genere lo scrivere in maiuscolo equivalga ad urlare). Attribuisco tale valenza al maiuscolo perché si possono avere dei problemi tra HTML e text se si usa la sottolineatura. Pertanto, dal momento che il linguaggio può essere condiviso, mi scuserete e tradurrete il mio maiuscolo non come urlare ma come SOTTOLINEARE [anche qui, tale maiuscolo va inteso come SOTTOLINEATURA della parola e del relativo concetto]. Salto allora la parte che non mi interessa e comincio a giungere ai punti chiave. > Nell'augurarmi che Verde, Guasto e chiunque si occupi a vario titolo E' quello che mi auguro e che spero. D'altra parte, non ho capito bene perché l'abbiano interrotto. Una caduta comunicativa ? > Peraltro mi piacerebbe focalizzare, per semplicita', la discussione Preferirei di no, e troverei inutile parteciparvi, nel caso. Non lo ritengo scientificamente ed epistemologicamente corretto, dal mio punto di vista. In parte spiego dopo il perché non ritengo corretto tale limitazione del discorso. Ma in parte l'accenno subito: io imputo a chi si occupa di abusi sui bambini, proprio il NON VOLERSI OCCUPARE DEGLI ABUSI CHE AVVENGONO NELLE SEPARAZIONI CONIUGALI [sottolineatura della parola e dell'importanza che ha per me il relativo concetto]. Che sono abusi emozionali frequentissimi, gravi (alcuni molto più gravi - specie se protratti per anni - di un singolo episodio di abuso sessuale), ma reddititizi. Pertanto, parlare solo degli abusi sessuali e non di quelli emozionali che avvengono nelle separazioni, falsifica tutto il discutere sul ruolo dello psicologo forense: perché impedisce di chiedersi quali siano i suoi limiti e confini, e quale il senso delle sue azioni. Come ripeterò oltre, emerge proprio da tale problematica (occupiamoci solo dell'abuso sessuale) una visione che a mio avviso (ma mi si dimostri il contrario) è schizoide (in senso non personale) o eticamente (quanto culturalmente ed "ecologicamente") inaccettabile. E che mi fa chiedere: perché nell'occuparsi di abusi sessuali, lo psicooperatore si autoelegge con facilità paladino del "bambino" mentre se deve occuparsi degli abusi che avvengono nelle separazioni coniugali, non scopre mai che il CT partecipa di fatto ad un insieme abusante, dal momento che è proprio in nome del conflitto cui lo psicooperatore forense partecipa che il minore viene abusato emozionalmente ? E' proprio accostando i due temi - CT nell'abuso sessuale e CT nell'affido minori - che si può dibattere con trasparenza sulla figura del CT e su quanto la "psicotraumatologia dell'età evolutiva" voglia occuparsi realmente di "abusi". E quanto - invece - del proprio divenire centro di potere (inteso in senso largo: e cioè nel senso che è la "psicotraumatologia dell'età evolutiva" a decidere quali sono gli abusi di cui parlare, quali sono quelli avvenuti realmnente, e quali invece gli interventi peritali da cui guadagnare, anche se favoriscono la distruzione psichica di un minore). No: se si vuole parlare di "abusi", si deve parlare di TUTTI GLI ABUSI, IN SPECIE DI QUELLI CHE AVVENGONO CON LA PARTECIPAZIONE (PAGATA) DEGLI PSICOOPERATORI. > Ritieni attualmente tale sistema incorreggibile e nemmeno minimamente migliorabile? Quello relativo alle reparazioni coniugali e all'affido minori NON E' MIGLIORABILE, perché opera su premesse schizoidi . Quello relativo alle diagnosi di abuso sessuale SI. Il primo non è migliorabile perchè si fonda sulla ricorsività del problema, una ricorsività che crea un indotto economico e di potere molto elevato per chi vi partecipa. Tale ricorsività si fonda sul fatto che il *sistema separazioni* offre come soluzione ad un conflitto un altro conflitto. Fino a che il procedimento legale sarà la chiave di gestione del problema, i minori continueranno a subire abusi dal *sistema separazioni* - di cui fanno parte il loro genitori quanto i relativi periti, avvocati, magistrati, assistenti sociali e via monetizzando. Secondo Luhmann, il Diritto è un sistema sociale destinato a ridurre la complessità delle nostre possibilità di essere nel mondo; non è quindi un ordinamento coattivo, ma un rimedio generalizzato verso le aspettative: tende a ridurre considerevolmente il rischio implicito nelle relazioni umane e la sua funzione risiede nella sua efficienza selettiva, dunque nella sua capacità di selezionare aspettative comportamentali generalizzabili a tutte le relazioni umane. E' considerato un sistema autoreferenziale e autopoietico perché definisce da se i propri limiti: tutta la sua catena operativa si configura nello stesso codice ricorsivo, che è la distinzione fra "diritto" e "non-diritto". La sua funzione è dunque quella di essere garanzia e conferma delle aspettative di ottenere diritto A fronte di tale premessa (che io ammetto come funzionale), la capacità del Diritto di evocare il ricorso a sé stesso per sedare il conflitto coniugale, è immensamente più elevata di qualunque altra forma di intervento sociale disponibile. Oltre un certo limite di instabilità, la coppia in conflitto tenderà a cercare la sicurezza nel conflitto legale. E per definizione si aprirà allora un paradosso, perché per sentirsi il più sicuri possibili (il che avviene ricorrendo al giudice) i genitori in conflitto adiranno un conflitto più potentemente distruttivo, da cui cui emerge l'abuso sul minore come "comportamento" che è un nesso emergente NON SOLO DAI singoli genitori, ma da tutto il sistema che gestisce il conflitto esasperandolo per gestirlo (e, verrebbe da dire: gestendolo per esasperarlo). Nel campo dell'affido minori, questo sistema è un sistema abusante, e non è migliorabile, se non smontando la appartenenza al "Diritto" della sua soluzione: d'altra parte, Jemolo (un giurista, come sai meglio di me) sosteneva che il Diritto dovrebbe "limitarsi a lambire la famiglia", mentre Carnelutti era molto più drastico: "quando il Diritto entra nella famiglia, la famiglia perde ogni Diritto". Il discorso PUO' essere diverso se si guarda all'abuso SESSUALE sui minori, ma l'abuso sessuale sui minori è una delle tante forme di abuso sui minori. Con una piccola differenza: la tendenza del Diritto e dei tanti operatori psi- che lavorano nel campo forense, è quella di indicarla come l'UNICA FORMA DI ABUSO. Perché tale illusione di alternative è funzionale ad un sistema che si regge, appunto, sul decidere QUALE E' L'ABUSO DI CUI DISCUTERE (e se vi è stato quell'abuso). Diventa cioè estremamente facile occuparsi del SOLO ABUSO SESSUALE, perché è quello in cui lo psicologo può sostenere di stare "dalla parte del bambino". Quando invece si occupa di separazioni, col suo RUOLO collude o partecipa all'abuso del minore, ma tace su tale significato della sua presenza. Parlare o no di "abuso" diventa dunque una questione di "prospettive". L'abuso è da smascherare quando se ne può incolpare il solo genitore, mentre è occultato quando vi partecipa professionalmente lo psicologo/psichiatra/avvocato e via sentenziando (e al proposito si sente sempre uno strano silenzio che ricorda TUTTI gli enunciati di Palo Alto, perché non mi sembra un silenzio di accettazione positiva). Tutto ciò tende - a mio avviso - a facilitare proprio l'emergere di un abuso: perché invoglia ad esempio il genitore conflittuale a elevare sempre più il conflitto, e spesso a farlo denunciando l'altro per abuso sessuale. Si crea infatti, a mio avviso, una equazione perversa così composta: si nega che il conflitto legale comporti un abuso sul minore si tende a focalizzare l'accertamento sull'abuso sessuale e non sull'abuso da conflittualità legale. Ho conosciuto padri cui più volte (parliamo dunque di anni) sono stati sospesi gli incontri con i figli dietro denuncia di "violenza sessuale" da parte dell'ex partner. A nessun perito è però mai venuto in mente di verificare se l'abuso NON FOSSE LA DENUNCIA DI ABUSO STESSA, e questo perché la denuncia di abuso E' REDDITIZIA PER TUTTI MA ABUSANTE DEL BAMBINO E DEL GENITORE CHE LA SUBISCE. Per tutti questi motivi, ritengo che non si possa assolutamente discutere solo di "abusi sessuali" in una discussione come questa, se non si discute, cioè, anche di "abusi emozionali" legati proprio all'intervento della conflittualità legale cui partecipa lo psicologo forense. > Ritieni che nessun psico-perito, allo stato attuale, possa dare il Il problema è molto più vasto. Ritengo comunque che ci siano periti in grado di dare un valido apporto all'accertamento dei fatti. Ma allo stato attuale dell'arte, credo che solo la magistratura possa e debba trovare le prove dell'abuso. Perché, in altri termini, non credo che vi sia attualmente la possibilità di stabilire indicatori specifici di abuso sessuale sul minore. Ritengo però che il ruolo peritale debba essere avvolto da garanzie deontologiche ed etiche ferree, e che tali garanzie oggi manchino quasi del tutto, il che affida al caso la validità dell'intervento peritale. Il problema è qui vastissimo e va dalla competenza specifica del CT, ai suoi rapporti col magistrato e al condizionamento che può riceverne, al "potere" che il CTU ed il CTP hanno nell'habitat sociogiuridico del Tribunale in cui operano entrambi, e via di seguito. > Svolgi CT? No. Ritengo la CT una potenziale forma di gravissimo abuso, perché opera, nel sistema atuale, distruggendo il figlio come entità affettivo-cognitiva. Il procedimento legale pone un genitore contro l'altro. Il figlio - invece - "emerge" come tale SOLO nella relazione genitoriale, (e nel caso delle separazioni, allorché essa sopravvive al sottosistema coniugale). E' evidente dunque che un sistema che opera dissolvendo la coppia genitoriale dissolve anche il "figlio", lasciando un bambino computato come mera somma di diritti e doveri altrui (un tot ore di visite mensili, un tot di denaro da versare, e via di seguito). Confondendo la "sonna" (dei diritti e dei doveri) col totale (un figlio è più della somma fra ore e soldi che riceve da un genitore), il sistema cui partecipa il CT abusa terribilmente del minore. Ed è ora di dirlo. > Ritieni invece come per adesso penso io (altrimenti mi sentirei un Ripeto: il problema è estremamente più complesso. La *qualità emergente* dal sistema va al di là della preparazione dei singoli: per eseguire una CTU, non è nemmeno necessario conoscere tests specifici, perché puoi sempre nominare un testista di fiducia, o un valente collaboratore. Il problema è, appunto, nella prassi e nella sua metodologia. Perché se anche io conosco tutti i test e tutti gli strumenti necessari, il risultato finale potrà essere influenzato in modo molto esasperato da tutt'altri fattori. Per cui un CTU che ne sa più di un magistrato non è difficile da trovare, il punto è poi come utilizza questo suo "sapere". E, fra questo suo "sapere", vi deve essere il dibattere sull'effetto che esercita sul sistema che *osserva* o a cui *partecipa*. Ritengo dunque obiettivo primario di ogni discussione sull'abuso ai minori, il discutere appunto di tutto ciò. E - ad essere onesto - questo silenzio continua ad essere indecifrabile. Gaetano Giordano
26 Feb 2001 - Alfredo Verde Le questioni che solleva Giordano meriterebbero un convegno più che una discussione in rete, per l'ampiezza dei problemi e la quantità di questioni poste. Questa mia non vuole, quindi, essere una risposta esaustiva quanto un dare un segnale di avere preso nota del dibattito e di esserne stato stimolato. Quanto al tema della validazione dell'abuso, credo riguardi solo l'autorità giudiziaria, che si avvale, come è noto, delle consulenze. E' vero però, come rileva Artico, che sono emersi ultimamente strumenti che consentirebbero al clinico di validare resoconti da parte dei minori (SVA e CBCT, per cui rimando all'ottimo libro, recente, di Davide Déttore): credo tuttavia che debba essere il magistrato a utilizzarli. Altro è il discorso che riguarda la "scientificità" dei risultati e la "patognominicità" degli indicatori. Vero è che negli States c'è stata negli anni novanta un'epidemia di casi, spesso dovuta a esami clinici effettuati in modo approssimativo, da parte di personale non formato né competente (ad esempio, poliziotti, operatori sociali, etc.): questo ha portato l'American Psychological Association a riconsiderare la questione, a ridimensionare l'uso di bambole anatomiche, a controllare con attenzione i risultati delle ricerche. Se non vado errato, un testo dell'APA sulla validazione delle testimonianze dei minori e sulla varietà dei problemi dovrebbe essere uscito nel 1998 e se interessa posso inviare i dati bibliografici. Credo comunque che non dobbiamo dimenticare sia la natura congetturale delle nostre supposizioni, sia la natura invece non congetturale (ma che "fa verità") delle sentenze dell'A.G. Quanto alle perizie di affidamento, la posizione iconoclastica di Giordano non mi vede completamente favorevole. Anche in caso di CTP, amo dire e insegnare che il nostro cliente non è l'adulto, né (sarebbe ipocrita) il minore, che, per questioni deontologiche, non posso vedere. Cliente è la relazione fra adulto e minore, che andrebbe sempre promossa e salvaguardata. Vero è che le denunce di abuso presentate in corso di causa di separazione sono spesso infondate (sempre da ricerche USA). Come psicologo, trovo molto pesante la complessità di queste perizie, e credo che un "mercato delle vacche" non sia molto possibile in questo settore, salvo il deterioramento della qualità del nostro intervento. Già tre perizie di questo tipo contemporaneamente sono un peso notevole. Le affermazioni di Giordano relative all'abuso di minori da parte del sistema delle CT mi sembrano comunque un po' esagerate: credo che questo possa succedere, ma ho visto altre volte, tante volte, le parti ricevere un aiuto da parte della situazione di CT. Mi sembra importante che gli operatori psi che intervengono mantengano un setting che corrisponde alla loro professionalità in situazione. Con gi avvocati, ad esempio, bisogna saper dire di no. Va senza dire che non credo che ci si possa specializzare solo nelle CTU: è necessario, a mio parere, tenere uno - tutti e due - i piedi nella pratica clinica. Saluti Alfredo Verde 27 Feb 2001 - Marco Lagazzi Dunque: validazione degli abusi nelle indagini in tema di abuso, denunce di abuso nella separazione e CT nella vicenda legale di separazione come abuso sul minore. Innanzitutto, é vero che le CT nella separazione entrano in un sistema perverso, nel quale la logica del diritto prevale sulla clinica; basti pensare ai tempi della CT, ai modi, al ruolo di CTP che sono peggiori del più becero degli avvocati, ed alla crescente frequenza delle denunce di falsi abusi nelle cause più conflittuali. La stessa CTU é in ampia misura una forma di abuso sul minore, perché non lo ascolta veramente: il primo obiettivo del CTU é di tutelare se stesso all'interno del sistema e del conflitto, e quasi mai si prendono quelle decisioni che potrebbero tutelare realmente il minore. E'peraltro vero che il sistema del Diritto cerca, anche se in modo inadeguato, e con i mezzi dei quali dispone (il procedimento contenzioso) di dare una risposta a due genitori in conflitto che accettano di veder vivisezionato il figlio in perizia, pur di vincere la causa. L'intervento clinico dovrebbe quindi essere preventivo, ad esempio prevedendo che, nei casi più conflittuali, prima della CTU si effettuasse un iter di vera mediazione, e quindi restituendo alla CTU quello che dovrebbe essere il suo carattere residuale, di valutazione unicamente dei casi più gravi e patologici (oggi, invece, si tende a demandare alla CTU, o all'intervento dei servizi sociali, la impossibile soluzione di casi che protraggono il conflitto giudiziario da anni). Circa la validazione degli abusi, confermo che le scale di validazione sono in ampia misura autoreferenziate, anche se si tratta dei soli strumenti dei quali oggi si dispone. Il punto però é un altro: il vissuto del bambino che, a fronte di una segnalazione di possibile abuso, viene allontanato dalla famiglia, e che quindi sperimenta un trauma, le cui conseguenze poi vengono validate come indicatori di abuso. Inoltre, si qualificano come indicatori di abuso anche elementi aspecifici, come disegni interpretati come fallici, o interpretazioni psicanalesi di singoli aspetti dei test mentali. Quando questo entra nel contesto della separazione, come sempre più spesso avviene, la situazione diventa tragica. Marco 27 Feb 2001 - Alfredo Verde Intervengo nuovamente in questo stimolante dibattito. > Innanzitutto, é vero che le CT nella separazione entrano in un sistema Non sono pienamente d'accordo con quanto scrive Marco Lagazzi. Non credo che il sistema sia di per sé perverso (è meno perverso, ad esempio, del sistema penale, saturo di violenza e vendetta collettive). La clinica può avere spazio nelle CT se, ad esempio, i tempi della CTU sono quelli della clinica (utilizzazione del rinvio come tempo per comprendere); se i CTP e i CTU hanno una formazione clinica e lavorano anche fuori dal campo psicogiudiziario (amo dire che la competenza alla psicologia giudiziaria è la più difficoltosa da acquisire, perché deve coniugare il sapere giuridico con molteplici aspetti di quello psicologico e psichiatrico: psicologia clinica dell'età evolutiva, psicodiagnostica, psicopatologia della coppia, psichiatria e psicologia cliniche, organizzazione dei servizi, e mi sto sicuramente dimenticando qualcosa). >La stessa CTU é in ampia misura una forma di abuso sul minore, perché non lo Di nuovo, non sono d'accordo. Il primo obiettivo del CTU dovrebbe essere quello di ascoltare e tutelare il minore. Essere visti da uno psicologo, con le opportune cautele, non dovrebbe far sentire vivisezionato nessuno. Spesso nelle CTU ci sono situazioni, anche personali, difficili: il compito del CTP dovrebbe appunto essere quello di migliorare la qualità dei rapporti fra genitore e figlio (relazione come cliente). Quanto alla tutela di se stesso, credo che riguardi tutti i settori dell'intervento clinico: la prima tutela di sé è quella che si connette a un intervento fatto in scienza e coscienza. >L'intervento clinico dovrebbe quindi essere preventivo, ad D'accordo per la mediazione; ma i casi più conflittuali non sono quelli che si protraggono da anni? Forse bisognerà inventare qualcosa, anche se penso che la metodologia della CTU vari lentamente, insieme alla nostra riflessione ed ai nostri approfondimenti. > Circa la validazione degli abusi, confermo che le scale di validazione Nella mia precedente mail segnalavo appunto queste difficoltà e mi riferivo al restringimento dei criteri di validazione ad opera dell'APA (il testo è stato edito nel 1998 ad opera di Ceci ed Hembrook, se non vado errato). Il mio personale suggerimento è quello di una formazione ad ampio spettro: chi,come l'amico Gianni Guasto, opera anche in campo terapeutico sa che spesso è necessario aspettare tempo, prendere tempo. In definitiva, questa è l'unica critica che mi sento di muovere al sistema giudiziario, il muoversi nell'urgenza. Urgenza che spesso sta nella realtà, ma più spesso nella testa di qualcuno. Cordialità Alfredo Verde 28 Feb 2001 - Marco Lagazzi Rispondo alla mail del Prof. Verde, anche se penso che, in assenza di altri contributi, il dibattito stia diventando un dialogo, che non ha molto senso in ml. La risposta del prof. Verde é coerente con la posizione "ufficiale" dei docenti della disciplina, la stessa che anch'io ho seguito e scritto per anni, per poi rendermi conto della sua "falsità" epistemologica, etica e scientifica. Il fatto che il Prof.Verde non sia d'accordo con me é quindi soggettivamente confortante. Dire che il sistema giudiziario che interviene sul minore non é "perverso" costituisce una semplice negazione della realtà: chiunque si sia trovato, come "vittima" piuttosto che come CT, ad affrontare una separazione con affidamento della prole, sa benissimo che la logica non é quella della realtà, ma del Diritto. Conta solo ciò che é dimostrato in sede cartacea, gli affetti non significano nulla, le prassi dominano su tutto. La tua vita é decisa spesso superficialmente da un giudice che segue mille altre cause, conta chi sia il tuo avvocato e se sia simpatico al giudice; conta, in caso di CTU, la tua capacità, e quella del tuo CTP, di dire al perito quello che lui si aspetta, o di intimidirlo attraverso il tuo CTP. A seconda del CTU nominato, del suo rapporto con i rispettivi legali e del suo mondo di stereotipi, si può già prevedere come concluderà. ll sistema penale é molto meno "perverso" di quello civile in tema di affidamento, perché il gioco é chiaro, le istanze di sanzione collettiva sono palesi, si considera come prova ciò che é reale. Il ruolo del CTP come consulente della relazione genitore - figlio e come CT del bambino é un mito, che anch'io, come chiunque abbia scritto su queste cose, ho contribuito a creare. Poi, basta vedere cosa accade nelle CTU, per capire che la realtà ed i diritti del bambino cambiano a seconda di quale sia la parte committente del lavoro di uno stesso CTP. Certamente, le cose cambiano piano piano e cambieranno, ma oggi la realtà é questa, con buona pace delle "balle" che raccontiamo nei nostri congressi ed a noi stessi. Circa la inutilità della mediazione nei casi più conflittuali, é vero che é inutile tentare di mediare dopo anni di lite; sarebbe più utile mediare subito. In Canada ed in altre nazioni é prevista, nei casi in cui non vi é accordo iniziale, una mediazione preliminare, perché ci sia un terzo neutrale ed estraneo al gioco giudiziario che tenti di portare ai genitori in contrasto la "voce" del figlio. Se il sistema accettasse il fatto che, con eccezione di pochi e gravi casi, al bambino non importa nulla di chi sia l'affidatario, ma che lo stesso chiede contatti stabili e sereni con entrambi i genitori, verrebbe meno l'intero "circo" contemporaneo. Circa il tema degli abusi, concordo sul fatto che la fretta é il peggior ostacolo rispetto alla comprensione della realtà clinica: ma, allora, come mai proprio i CTU ed i periti, che fanno riferimento alla corrente di pensiero della "psicotraumatologia dell'età evolutiva", sono soliti far partire immediatamente segnalazione alla Polizia, quando vedono un disegno fallico o sentono le dichiarazioni del bambino, ed il giorno dopo il bambino viene allontanato da scuola, per non vedere più, spesso per anni, nessuno della sua famiglia? Credo si debba dare atto del fatto che, come CT sui traumi dei minori (separazione conflittuale o abusi), offriamo alle persone, e soprattutto ai bambini, un ben triste panorama, nel quale, in molti casi, proponiamo un bric-à-brac pseudo-scientifico, nel quale si fondono il peggio della psicologia e delle prassi giudiziarie, con il risultato, non sempre ma spesso, di ledere la vita delle persone ed i loro diritti fondamentali. Questo é contrario alla logica della autocelebrazione, ma é reale. Con ciò, se non vi saranno altri interventi di diversi Colleghi, considero chiusa la mia partecipazione al dibattito, poiché il dialogo con singoli Colleghi può proficuamente svolgersi, se desiderato, in mail private. Marco Lagazzi
28 Feb 2001 - M@rco Longo"
Marco Lagazzi wrote: >Rispondo alla mail del Prof. Verde, anche se penso che, in assenza di altri vedo che pian piano diversi partecipanti al dibattito tendono a tirarsi indietro ... rispetto la loro posizione, ci saranno pure validissimi motivi (che magari in parte potrebbero anche essere espressi), ma personalmente non sono d'accordo una mailing list professionale (come vorrebbe essere ed in parte gia' e' a sufficienza, se pure a sprazzi, PM-SMC) e' un *luogo scientifico*, una *tavola rotonda virtuale* sempre aperta, uno spazio dove il dialogo, anche tra pochi colleghi spesso (e tutti conosciamo la difficolta' a lanciarsi nell'agone telematico) viene seguito con interesse da oltre 400 colleghi iscritti questa e' la sostanziale novita' del mezzo telematico rispetto alla comunicazione privata: la comunicazione aperta di fronte al gruppo dei colleghi membri della ML, che si sono iscritti proprio per questo; e non mi pare del resto che nessuno degli iscritti abbia dato segni di fastidio per questo dialogo al limite credo, casomai, che per un dibattito di genere specifico come quello in corso (che in seguito potrebbe essere ripreso e pubblicato su PM, com'e' nostro uso) potrebbe essere meglio utilizzare una *lista specialistica* come quella di PM su infanzia e adolescenza (PM-INFAD), piuttosto che la *lista generale* PM-SMC; ma questo al solo scopo di rendere piu' fluente la conversazione computer-mediata sull'argomento, senza l'interruzione o l'invasione di altri messaggi o annunci ecc., com'e' proprio invece della lista *generale* PM-SMC inoltre, visto che sono in tema, come gia' annunciato sulla lista PM-INFAD e' tuttora aperta la discussione sui temi e sui lavori presentati nella nuova rivista telematica (edita da PM) Adolescenza e Psicoanalisi Periodico on-line Direttore Arnaldo Novelletto http://www.psychomedia.it/aep buon lavoro nelle liste di PM Marco Longo
28 Feb 2001 - Alfredo Verde Una sola puntualizzazione, per poi aderire alla proposta di chiudere il dibattito (proprio quando si stava facendo interessante: mi sembra infatti che l'idea che il sistema sia abusante sia anch'essa un'opinione). Il discorso del Dott. Lagazzi concorda comunque implicitamente col mio nel giudicare la psicologia giudiziaria sterile, abusante e falsa se esercitata senza un contemporaneo impegno nella clinica. Secondo la mia concezione, la competenza di tipo psicogiuridico dovrebbe essere riassinta da tutto il corpo della psicologia clinica, proprio per evitare gli abusi di cui parla il dott.Lagazzi. Dobbiamo cioé, come categoria, occupare di più il campo giudiziario giocando in esso non utilizzando le competenze altrui, ma la nostra. Non saremo, allora, per usare vecchie similitudini, come cuculi, ma coveremo un nostro nido sull'albero della giustizia. Come presidente dell'Ordine degli Psicologi della Liguria inviterei comunque il Dott. Lagazzi a segnalare all'Ordine i casi in cui i colleghi abusino di minori. La deontologia è una cosa che gli psicologi prendono sul serio. Quanto al problema della "segnalazione immediata", il Dott. Lagazzi sa che sono d'accordo con lui, e che la segnalazione dovrebbe avvenire a mio parere solo quando lo psicologo si sia soggettivamente sì, ma anche professionalmente convinto che un'ipotesi d'abuso si sia verificata. Disponibile a riprendere il dibattito quando piaccia agli esimi colleghi, vi saluto cordialmente. Alfredo Verde 28 Feb 2001 - Nicola Grenno Marco Lagazzi wrote > Con ciò, se non vi saranno altri interventi di diversi Colleghi, considero Credo che il mio intervento non possa aggiungere nulla alla discussione, non ho infatti conoscenze specifiche sull'argomento e posso solo testimoniare che mi pare una delle più interessanti ed istruttive lette su questa lista. Non nascondo di avere la massima stima sia professionale che personale del Dr. Verde e del Dr. Guasto, ma non posso fare a meno di essere un po' sedotto dalla sua posizione. Sarebbe per me e per la lista una grave perdita se lei ed il Dr. Verde proseguiste quella che mi sembra una aperta e franca discussione dialettica su un tema così scottante solo privatamente. Se così comunque decideste vi prego, se é possibile, di comunicarmi in posta privata gli eventuali ulteriori contributi all'indirizzo nicola.grenno@tin.it Cordiali saluti e buon lavoro. Nicola Grenno 28 Feb 2001 - Marco Lagazzi ok, caro ML, grazie del saggio consiglio. Nel caso, allora, proseguirei sulla lista generale, perché quello di cui parliamo non é un fatto limitato all'adolescenza ed all'infanzia, ma, trattando il rapporto tra lo "psi" ed il "potere", ha valenze che vanno al di là del settore di intervento. Marco Lagazzi
28 Feb 2001 - Marco Lagazzi OK, proseguiamo qui ed ora il dibattito. Concordo con il Prof. Verde sul fatto che il lavoro peritale non può prescindere dalla clinica, perché, in assenza della stessa, diviene solamente uno scimmiottare avvocati e giudici, a seconda del ruolo di CTP o CTU del clinico. Il rispetto della clinica, se ci fosse, sarebbe anche rispetto della nostra identità di base, per la quale, prima del giuramento innanzi al giudice o dell'incarico da parte del legale, abbiamo già un giuramento etico, con regole morali molto precise rispetto ai diritti delle persone ed al nostro ruolo. Ma questo é quasi sempre dimenticato quando ci si confronta con il "potere" del sistema giudiziario. Circa le segnalazioni di abusi psicologici su minori, o sulle persone che a qualunque titolo giungono a perizia, so bene che l'Ordine degli Psicologi é molto attento, e da sempre, su questi temi, molto di più di quanto avvenga nel nostro Ordine dei Medici (anche per l'inevitabile alienità dei Colleghi del Consiglio, chirurghi o ortopedici, rispetto alle cose "psi"). Non credo, però, che la via giusta, per migliorare la qualità del servizio, sia quella sanzionatoria, rispetto non solo alla scarsa significatività della "ammonizione" verso il professionista meno corretto, ma anche rispetto all'esigenza di "crescere" come categoria degli psico-giuridici. Traslando la notazione sul fatto che la delega ai giudici della gestione della cosa pubblica é indice di malessere della democrazia, si può pensare che la delega agli Ordini del malessere della nostra disciplina sia indice di scarsa capacità di crescita della stessa. La risposta viene solamente da una formazione corretta, per la quale, quando la maggioranza dei professionisti lavorerà in modo condivisibile, chi non risponde a tali regole sarà automaticamente emarginato. E questo apre il capitolo della formazione, altro settore lucroso nel quale tutti si gettano, con esiti assai discutibili. Marco Lagazzi
28 Feb 2001 - Marco Lagazzi Nicola Grenno ha scritto >Credo che il mio intervento non possa aggiungere nulla alla discussione, non Grazie per l'apprezzamento, credo che il dibattito in ml sia in realtà davvero costruttivo, perché ai congressi e nelle perizie si finisce spesso per litigare ... ;-)) Ma pongo una domanda: solamente pochi di noi si occupano di perizie, però il tema della dipendenza del clinico dal "potere", da Foucault e Basaglia in poi, é sempre stato centrale. Come mai molti colleghi, competenti sul tema anche se non di perizie, non si sentono interessati ? Marco Lagazzi 28 Feb 2001 - Gaetano Giordano Alfredo Verde ha scritto: > Non sono pienamente d'accordo con quanto scrive Marco Lagazzi. Non credo A mio avviso, invece, il sistema "separazioni" è fondato su una vera e propria "perversione" del pensiero, nel senso che si basa su una ricorsività che esaspera il problema che vorrebbe gestire. E ciò è facilmente apprezzabile, se si osserva il "sistema separazioni" da un altro punto di vista, vale a dire astraendoci dalla logica secondo cui l'unico sistema sociale destinato a dire la parola definitiva nelle separazioni coniugali debba essere il sistema giudiziario. Se noi immaginiamo altri percorsi, si appalesa infatti, a mio avviso, che questo sistema condivide la "follia" che crede di gestire. E lo fa "abusando" del minore di cui si prende carico. Il punto è nel considerare quanto (esemplifico) la soluzione (quella giudiziaria) sia - o evochi ad un livello ancora più elevato - il problema. Il procedimento giudiziario di affido minori è - attualmente - un tipico gioco a "somma zero", e prevede di necessità due antagonisti. Si fonda solo e soprattutto sull'antagonismo delle posizioni e prevede, pur con tutti i ritocchi e rigiri (e raggiri ?) che si vogliono, una sola possibilità: l'equilibrio a zero. Dunque: un vinto ed un vincitore. Da questo punto di vista è difficile sostenere che possa rappresentare una soluzione al conflitto familiare. La soluzione "giuridica" è infatti una efficace chiave di convivenza sociale allorché si tratta di stabilire quanto un muro deve essere distante da una casa, e chi è il possessore di un immobile o, forse, chi ha ammazzato la madre di Erika - anche se neppure in questi casi può placare il conflitto emotivo sottostante a decisioni del genere. Allorché il contendere è però una relazione affettiva in sé (e che non scaturisce dal problema da risolvere), la soluzione giudiziaria diventa ricorsivamente in grado di autoannullare il proprio, perché le proprie premesse rendono ricorsivo il problema. Il nodo è proprio qui: nella capacità del sistema giudiziario di essere ricorsivo rispetto al conflitto che deve gestire. Per brevità, indico in punti il mio parere al proposito, e li ripartisco in più email (dietro suggerimento del M@rco Longo) 1) il Diritto (Luhmann) crea l'aspettativa di esenzione dal rischio della complessità del convivere (es.: se esco per strada, so che regola almeno teoricamente - condivisa è quella che non posso essere ammazzato). Questo - nella coppia conflittuale - evoca l'idea che un intervento del Diritto stabilisca regole precise in base alle quali la mia relazione di coppia venga subordinata a regole "certe" e "giuste". In realtà, quello che il Diritto attualmente mi offre, relativamente al problema delle separazioni coniugali, è un conflitto. In altri termini, mi offre - come regola per la soluzione del mio problema - proprio la metaregola che lo crea. Mascherandola però da certezza "sociale" e dunque anche "familiare". E' qui che imputo una prima falla a chi si occupa di CT nelle separazioni. Perché si assume sempre che la coppia "conflittuale" agisca le proprie patologie relazionali attraverso il sistema conflittivo legale. Questa non è una prospettiva sistemica: è una prospettiva monadica che strumentalizza il concetto di "sistema" per limitarlo alla famiglia, e che crea una punteggiatura arbitraria, mistificatoria e di comodo per non *osservare l'osservatore*, cioè, per mistificare il ruolo di chi interviene sul fenomeno, in realtà partecipandovi e creandolo non più di tutti gli altri attori del problema. Si può infatti sostenere con altrettanta evidenza che se la coppia conflittuale avesse di fronte a sé l'impossibilità del conflitto (ad es.: una Mediazione obbligatoria, o, in alternativa, un affido eterofamiliare se uno deI partner insiste per l'affido monogenitoriale ?), l' "agito" sarebbe totalmente diverso. In altre parole, è la conflittualità della coppia a creare un percorso di conflittualità legale, o l'esistenza di un percorso di conflittualità legale a "creare" (o elicitare, sollecitare, disincatenare) una esasperazione della conflittualità della coppia ? In termini molto elementarizzati, dire che la coppia conflittuale agisce la propria patologia attraverso la conflittualità legale, equivale a ignorare che la logica circolare deve essere vista anche nella relazione fra coppia e contesto sociale, e secondo la regola (banale quanto... circolare) per la quale l'input è l'output, e viceversa. A mio avviso, il risultato raggiungibile nello spazio di interazione fra il *sistema coppia* ed i *macrosistemi sociali* deputati alla gestione del conflitto coniugale, fa sì che in tutto il contesto interattivo si abbiano: un reciproco "influenzamento", del quale è impossibile dire (come si fa nella conflittualità coniugale stessa) chi genera l'altro e viceversa (a mio avviso, dicendo che la coppia va in causa perché conflittuale, ripetiamo ad un livello "meta" l'errore del coniuge che inputa all'altro la volontà di litigare). In altri termini, sarebbe ora di ammettere che la "patologia" (epistemologica, per così dire) è in realtà nell' *operatore [/osservatore] psi-* allorché non riesce a comprendere che è la conflittualità legale a generare la conflittualità genitoriale quanto la conflittualità genitoriale a generare quella legale. D'altra parte, abbiamo un dato spaventoso: non solo le accuse di abuso sessuale, ma anche le stragi di famigliari, i suicidi-omicidi, e i fatti di sangue in genere (ivi compresi i suicidi di bambini), sono in drammatico aumento (posso fornire quando volete ogni aggiornamento o "ritaglio" di stampa) proprio nell'ambito delle famiglie incappate nel *sistema separazioni* o nella giustizia minorile. Sono dati su cui sarebbe ora di riflettere. Rinvio ad una ulteriore, spero non altrettanto lunga, parte, le mie osservazioni sul come e perché questo sistema giudiziario compie di fatto un "abuso" nel momento in cui pone il "figlio" come oggetto di una contesa giudiziaria. Saluti a tutti Gaetano Giordano
28 Feb 2001 - Alfredo Verde Il dibattito, effettivamente, è stimolante. Allora: non è sempre vero che nel sistema separazioni ci siano sempre vinti e vincitori. Non ci sono, se il CT riesce a passare la logica dell'interesse del minore. Quanto dovrebbe essere promosso è la generazione di una "terzietà", che diventa quella del minore, da un lato, e quella della funzione genitoriale, dall'altro: queswte due terzietà rimandano una all'altra. Il conflitto davanti al giudice, aldilà del formalismo delle tre figure, genera davvero una posizione "terza" se si riesce a parlare di come gestire l'aggressività reciproca; cioé se si elude il discorso delle azioni/controazioni, delle vendette e delle contrapposizioni. Altrimenti si ricade in quella che si può definire come impossibilità del terzo, impossibilità cioé di parlare di sé da una posizione intermedia (su questo consiglierei lo splendido libro appena uscito da Cortina sulla "funzione riflessiva" a firma di Fonagy e Target); che è quello che rende così difficile interloquire in psicoterapia con i nostri pazienti regrediti, e nelle perizie con i nostri clienti e con certi consulenti di parte, che magari predicano bene in apertura, ma poi razzolano male. L'impossibilità di questa posizione, che ha a che fare con l'empatia e col contatto, a mio avviso non ha a che fare col contesto giudiziario, ma con il non sapersi porre al di fuori dal conflitto. Sono d'accordo con Giordano sulla mediazione obbligatoria; meno sulle minacce di togliere il bambino, per quanto paradossali (rimedio peggiore del male, introduzione di livelli più afflittivi di giudizio). Su questi problemi e su come affrontarli mantenendo una posizione psicoanalitica ho scritto un lavoro forse un po' datato, comparso negli anni scorsi su "Minorigiustizia", insieme alla collega Adele Montobbio. Cordialmente Alfredo Verde
28 Feb 2001 - Marco Lagazzi Gaetano Giordano ha scritto >A mio avviso, invece, il sistema "separazioni" è fondato su una vera e Dunque, integrando le complesse ed interessanti note di Giordano con la nota di Verde, credo che si deliniino due punti di vista: quello del rifiuto del sistema (Giordano) e quello del miglioramento del sistema (Verde). Pur lavorando ogni giorno nel sistema, mi sento più vicino a Giordano, le cui osservazioni sono corrette. Il punto é la terzietà dell'osservatore. Quanto può essere terzo un osservatore in un sistema di potere ? Può essere tale solamente se dispone a sua volta di un proprio "potere", che lo rende autonomo. Tale "potere" deriva dalla professionalità, dalla capacità di rifiutare ciò che non condivide e dalla disponibilità di una credibilità così forte da far sì che la sua posizione (e, in perizia, la sua parola) siano accettate, anche se dirompenti rispetto al sistema. In questo sistema, infatti, essere realmente i portavoce del bambino fa spesso sì che ci si debba porre in conflitto con gli interessi di tutte le diverse parti. Allora, come ha giustamente intuito Giordano, il gatto si morde la coda. Quanti CT hanno questa terzietà ? Quanti di noi sono in grado di reggere il confronto con il conflitto e con le pressioni legate allo stesso, e quanti di noi sono in grado di restare terzi ? E, ancora, pensando ai lavori di De Leo, quale terzietà esiste, quando si é comunque parte di quella stessa scena che stiamo osservando, e noi stessi, per il solo fatto di esserci, la stiamo modificando ? Tradotto in soldoni: se XY é un consulente che deve pensare alla pagnotta, avrà questa competenza ed autonomia? Marco Lagazzi
28 Feb 2001 - Gaetano Giordano Marco Lagazzi ha scritto: > due punti di vista: quello del Quel che le posizioni "sistemiche" a mio avviso ignorano, è che questa possibile "terzietà" dell'osservatore/CTU non è affatto ed in alcun modo possibile, proprio perché egli fa parte di in "metasistema" formato dalla interazione fra *famiglia conflittuale* e *sistema separazioni* che non gli permette di esser terzo, ma solo "parte". Per di più, parte di un sistema che ha come regola chiave la contrapposizione delle parti. Il CT(U/P) Può dunque anche avere l'illusione di esser terzo, come sembra (credere e/o dire ?) Verde, ma si percepirà come terzo solo se non si rende conto che in realtà obbedisce a regole ben precise, che lo pongono di fatto quale arbitro di un sistema conflittuale. In quanto tale, parlare di terzietà del CTU è un paradosso: un arbitro sarà "terzo" rispetto alle squadre in gara, ma fedele osservante delle regole del *sistema calcio*. Ciò implica - a meno di non mistificare fra regole e metaregole - che egli fa parte di un sistema che pone il conflitto fra due antagonisti come chiave di rapporto fra loro. Potrà poi mitigare o meno questa chiave di lettura della soluzione offerta dal macrosistema sociale (che a mio avviso è una soluzione ricorsiva: una ruota che slitta sempre più nella sabbia delle soluzioni lineari e punteggiate), ma non potrà che adoperare quella. In altri termini, egli accetta di partecipare ad un conflitto, ed accetta di dirigerlo, dal momento che la prassi giudiziaria per l'affido minori è una prassi COMUNQUE fondata sull'antagonismo e non sulla cooperazione. Che poi all'interno di tale prassi conflittiva egli possa trovare lo spazio per una moderazione dell'aggressività che accompagna questa prassi, ciò può anche esser "vero", ma ciò sarà possibile fino a che glielo consentiranno le regole del gioco - e le interpretazioni che di queste regole ne daranno chi partecipa al gioco: avvocati, CTP, Servizi Sociali, genitori. Da questo punto di vista il CTU è dunque tutt'altro che terzo: è - AL CONTRARIO - ESECUTORE FEDELE E OBBEDIENTE di un sistema. Nella migliore delle ipotesi, dunque, la soluzione non è nel suo ruolo, e nemmeno nelle sue competenze: bensì nell'Etica e nel senso della deontologia cui si ispirano lui e gli altri e in ciò che DA TUTTO CIO' emerge come TOTALE! La terzietà di un CTU ALL'INTERNO DELLE REGOLE CONFLITTUALI CUI PARTECIPA, è dunque ineffabile, forse non è conoscibile nemmeno da lui stesso (è la stessa con giudici e CTP differenti ?), e sicuramente dipende dall'insieme cui partecipa, e cioè dalle regole e metaregole che lo governano. Punto chiave, in altri termini, è che il percorso giudiziario è un percorso conflittuale e antagonistico che esclude la cooperazione come chiave pragmatica della sua esecuzione. D'altra parte, a sostegno di tale impossibilità, vi è un dato inequivocabile: il CTU potrà anche tentare quanto vuole di moderare l'aggressività delle parti: MA STA DI FATTO CHE L'AFFIDO CONGIUNTO E' UNA PRASSI RARISSIMA IN ITALIA. CIO' IMPLICA, di fatto, CHE L'OBIETTIVO DI UNA TRASFORMAZIONE DELLA CONFLITTUALITA' E AGGRESSIVITA' DEL PERCORSO GIUDIZIARIO IN COOPERAZIONE CHE ESPRIMA UN SUPERAMENTO DELLE REGOLE ANTAGONISTICHE DI ESSO, NON VIENE MAI NE' TENTATO NE' RAGGIUNTO [*metacommento*: nelle mie email il maiuscolo è sottolineare e non gridare].
Se il CTU lavorasse per "trascendere" le regole conflittive e di "linearità" delle relazioni su cui si fonda la prassi giudiziaria, IL NUMERO DEGLI AFFIDI MONOGENITORIALI SAREBBE INFINITAMENTE PIU' BASSO. I dati sugli affidi congiunti (meno del 3%) dicono invece CHE SALVO RARISSIME ECCEZIONI IL CTU OPERA SEGUENDO UNO SCHEMA DI GIOCO IN CUI IL RISULTATO FINALE PREVEDE UN VINTO ED UN VINCITORE, E NON UNA COLLABORAZIONE. Se esiste un'altra interpretazione di questa scarsità degli affidi congiunti, datemela: se però si tenta di imputare alla "conflittualità della coppia" la scarsità degli affidi congiunti, è inevitabile pensare CHE COMUNQUE LA CTU NON RIESCE MAI A SUPERARE LA CONFLITTUALITA' COME CHIAVE DI LETTURA E DECISIONI DELLE PUNTEGGIATURE IN ATTO. In altri termini, che il CTU è condizionato comunque dall'antagonismo e il conflitto come chiavi di lettura delle relazioni presenti nel sistema. In questo senso, la STRAGRANDE MAGGIORANZA DEGLI AFFIDI *MONO*GENITORIALI (e la stragrande maggioranza di questi a favore delle madri) sono la cartina di tornasole su cui leggere come il CTU del *sistema separazioni* non può essere un osservatore neutro del problema su cui interviene, ma E', AL CONTRARIO, L'ESPRESSIONE DI UNA PATOLOGICA E ABUSANTE COLLUSIONE FRA LA CONFLITTUALITA' COME EGOLA DEL SISTEMA E LA CONFLITTUALITA' DELLA COPPIA (altrimenti, vorrei che qualcuno mi spiegasse perché l'affido a entrambi i genitori non è quasi mai praticato). Nel dominio di interazione fra le due conflittualità di questi sistemi (conflittualità di livello diverso e dunque destinate a creare un sistema ricorsivo e autoreferenziale) emerge l' "abuso" sul minore. Un "abuso" che virgoletto perché non voglio attribuirlo ad una entità fisica precisa: come abuso non appartiene infatti a nessuna delle individualità in gioco, ma emerge dal dominio dell'interazione fra *famiglia conflittuale* e *sistema separazioni*: anche il peggiore degli avvocati o il migliore dei CTU nulla possono al di fuori dei "vincoli e delle possibilità" permesse dal sistema cui partecipano. In altri termini, il sistema è abusante perché crea regole in cui il bambino non è un figlio ma una somma di diritti e doveri ripartiti a somma zero fra due antagonisti che sono i genitori che se lo contendono e a cui il CTU legittima tale gioco. Il "figlio" come tale (e non il bambino fisico destinatario dei provvedimenti) esiste infatti solo nella relazione genitoriale. Il sistema giuridico, rende il "figlio" inesistente, perché spezza il sottosistema genitoriale - entro cui IL FIGLIO VIVE COME TALE - in una coppia di antagonisti. Una coppia che - forse - un giorno si metterà d'accordo (ma la percentuale di affidi monogenitoriali è un no quasi totale a tale illusione). Detto con altre parole, il "figlio" muore e al suo posto resta un soggetto fisico destinatario di diritti e doveri a somma zero. E questo è l'abuso - un abuso che comincia dal piano "cognitivo" (nel senso che il *sistema* ignora che il figlio che pretende di tutelare si dissolve e scompare nell'antagonismo fra i suoi genitori biologici) - e da cui discendono tutti gli altri, che sono quelli possibili a seconda delle varie interazioni possibili fra tutti i ruoli presenti nel gioco e gli individui che li impersonano. Cito dunque il Lagazzi perché mi trova pienamente d'accordo: >chiunque si sia trovato, come "vittima" piuttosto che come CT, ad affrontare una Il ruolo del CT (U/P) è dunque un ruolo di abusante, e l'individuo che lo impersona può - col consenso e la partecipazione di quanti partecipano alle regole cui lui partecipa - tentare di mitigare o meno questo abuso. Non può però trascendere le regole del sistema in cui esiste COME TALE, cioè come CT(U/P) Ed è conseguentemente mistificatorio sostenere che in CTU si possa tentare una Mediazione o assumere ruoli "terapeutici" o indirizzati alla "clinica". Al massimo, le conoscenze cliniche e la sensibilità etica del professionista che opera come CT(U/P) possono essere utilizzate per mitigare gli effetti di fondo del conflitto cui (pagati !) si partecipa. Ma i suoi vincoli al sistema rimangono immutati: ed in questo senso, possiamo anche dire che il "professionista" può subire un "abuso" da parte di tale sistema, ma è sicuramente in grado di decidere se farne parte o meno. Il minore coinvolto nella separazione, no. Non può decidere se essere oggetto di una CTU: e non è questo (ANCHE questo) un abuso (nel senso non dei test e dei colloqui cui è sottoposto, ma del clima che tutto ciò accompagna)? Riflettiamoci un attimo Gaetano Giordano 28 Feb 2001 - Gaetano Giordano Sarà solo un "lancio" dell'ultima ora, ma a me sembra l'ennesima notizia del genere: Alfredo Verde ha scritto: > Quanto al problema della "segnalazione immediata", il Dott. Lagazzi sa che da LA REPUBBLICA, mercoledì 28 febbraio 2001 Pedofilia: assolto dopo 3 anni da accuse violenza su figlia LECCO - Un padre lecchese è stato prosciolto oggi in udienza preliminare a Lecco dall'accusa di violenza sessuale a danno della figlioletta maggiore che, all'epoca dei fatti contestati, aveva 7 anni. In un primo tempo si era sospettato che anche la seconda bambina della coppia avesse subito violenza. La conclusione di quello che è stato definito "un incubo" dall'avvocato difensore dell'uomo, è giunta oggi a quasi tre anni dalla formulazione delle accuse. Nel frattempo la figlia maggiore era stata allontanata dalla famiglia ed è tutt'ora affidata a un istituto. La seconda bimba vive invece con la madre, mentre il padre, un uomo incensurato che aveva sempre respinto ogni accusa, era tornato a vivere dai propri genitori per evitare il possibile allontanamento della madre anche della seconda bimba. A chiedere e ottenere il non luogo a procedere per insussistenza del fatto è stato oggi il pm Valeria Bove, sulla scorta degli esiti degli incidenti probatori e delle indagini supplettive svolte. L'ACCUSA ERA STATA FORMULATA A SEGUITO DI UN CONSULTO SULLA BIMBA CHE I GENITORI AVEVANO CHIESTO A UNA PSICOLOGA: OGGI L'AVVOCATO DIFENSORE DEL PADRE PROSCIOLTO HA PREANNUNCIATO CHE VALUTERÀ COL SUO ASSISTITO SE E COME PROCEDERE NEI CONFRONTI DELLA PROFESSIONISTA.
2 Mar 2001 - Nicola Artico Credo che questo dibattito sia interessante perche' in un corpus unico ci costringe a parlare di clinica e assessment psicologico; di aspetti storico-sociali e giuridici; di aspetti epistemologici e - come sempre - di noi. Nel suo penultimo intervento Giordano ha scritto concludendo "riflettiamoci un attimo". Concordo - appunto - riflettiamoci un attimo. Possibilmente accettando di "spostarsi" (come osservatori) per osservare piu' lati del problema possibile da cui fare emergere la migliore *verita' storica* possibile. Perche', per quanto costruttivisti o costruzionisti sociali radicali si possa essere, qualcosa poi *accade* tra le persone ma soprattutto nella *storia* delle persone. Ed i fatti storici, a differenza di quelli psicologici hanno per quanto ne so la caratteristica dell' *irreversibilita'"*. C'e' un prima ed un dopo la nascita di un figlio, c'e' un prima e un dopo l'elezione del Presidente della Repubblica, c'e' un prima e dopo un abuso e, per dirla con Arnaldo Momigliano citato dall'interessante Alfonso M. Iacono, (che ebbi il piacere di sentire parlare di cio' ad un seminario all' Universita' di Pisa) "L'Impero romano e' caduto, qualunque sia il punto di vista sui momenti storicamente decisivi di questa caduta. E la caduta dell'Impero romano ha a che fare con quel processo di cambiamento che non e' correlativo alla stabilita'". Allora le famiglie e quello che accade alle famiglie attiene a senz'altro ai sistemi viventi e psicologici interpretabili secondo le dinamiche della stabilita' e del cambiamento correlativi e dipendenti dal contesto e dall'osservatore. Ma sono *anche* unita' storico-sociali dove un cambiamento puo' produrre qualcosa di irreversibile. Sempre con le parole di Iacono "la storia ha a che fare con il cambiamento e con l'irreversibilita'". Trovo convincente questo assunto. Un abuso e' un fatto psicologico ma e' anche un fatto storico quindi degno di analisi con entrambi gli strumenti dell'accertamento psicologico e dell'accertamento storico. >Marco Lagazzi ha scritto: Fatico ad immaginare che non possa che essere che cosi'. Che qualcuno possa operare in qualunque sistema di relazioni umane essendo una *non-parte*. Vale anche per qualunque attivita' psicologica sia essa educativa o psicoterapeutica. Il problema semmai e' quanto consapevole ne sono e quanto riesco ad introdurre *novita'* e/o *imprevedibilita'* nelle situazioni in cui mi immergo con uno scopo di cambiamento. Conscio della mia non-onnipotenza ma tuttavia di una *potere* che puo' variare per gradi. >Per di più, parte di un sistema che ha come regola chiave la contrapposizione delle parti. C'e' qualcosa, a mio parere, di confuso in questo esempio. Un operatore che intervenga a vario titolo in un conflitto puo' essere neutro? Senza storia, vincoli o appartenenze? Puo' non fare parte di un sistema? Quale arbitro, psicologo, giudice, medico, psicoterapeuta puo' rientrare in questa categoria? Se per operare bene in qualunque professione che attiene ai pensieri alle emozioni ai comportamenti ai conflitti dovessimo avere questa sorta di terzieta' "celeste" chi di noi potrebbe lavorare? >Potrà poi mitigare o meno questa chiave di lettura della soluzione offerta dal E' un rischio non una certezza. Posso dire di aver lavorato e visto lavorare in altre direzioni. >Che poi all'interno di tale prassi conflittiva egli possa trovare lo spazio per E come potrebbe essere diversamente. Perche' ogni qualvolta qualcuno di noi si immerge in un sistema di relazioni umane con l'intento di far affiorare un cambiamento o con qualunque intento non e' vincolato dalle stesse regole? Le *opportunita'* che si possono realizzare non emergono proprio e perche' esistono dei *vincoli*? Come e' noto il vincolo non definisce solo un limite ma anche una possibilita'. Credo che sia la nostra capacita' di essere *attori sociali consapevoli di ruolo* tra gli attori sociali a promuovere in questo contesto come nei contesti psicoterapeutici movimenti emotivi, ridefinizioni, intuizioni ecc.. Offrire uno spazio protetto ed adeguato di ascolto ad un minore nella cui casa si parla di un presunto abuso sessuale (extra od intrafamiliare) se ben condotto puo' disinnescare questa mina. Puo' rassicurare e puo' restituire fiducia che se c'e' un sistema che sta impazzendo puo' esserci qualcuno che se ne occupa. Dove per impazzimento voglio intendere sia l'eventualita' che l'abuso ci sia stato ma, con la stessa importanza l'eventulita' che non ci sia stato. In quest'ultimo caso per far affiorare evidenti manovre di istigazione, imbrogli o di pesante triangolazione del minore. Con tutto quello che cio' comporta di devastante quanto un abuso sessuale subito veramente e storicamente. Si dira' certo, ma una volta che il meccanismo dell'accertamento e' partito (e dovrebbe partire solo con segni rilevanti ma questo vale anche per altri reati) molto danno e' gia' stato fatto! Ed anche il meccanismo in se' non e' indolore. Probabilmente si. Ma se e' in atto un abuso di un minore sia perche' questi e' costretto veramente a rapporti sessuali con il nonno sia perche' c'e' qualcuno che, mentendo o allucinando o partecipando ad un gioco familiare patologico e mistificante, racconta che c'e' un nonno con dei compotamenti strani. Forse e' bene *comunque* che parta un accertamento psicologico a tutela di quel minore. Per quanto problematica puo' essere e' un'opportunita' che porta il sistema familiare ad avere una "sponda". Chi critica radicalmente il sistema peritale-giudiziario non riflette su questi fatti: se parte una denuncia comunque qualcuno se ne occupera' e non mi rassicura affatto che siano soltanto poliziotti, avvocati, giudici se non parte una denuncia nella peggiore delle ipotesi nessuno se ne occupera' (a meno che il sistema chieda in qualche modo aiuto e sia in grado di accettare di riceverlo ma allora saremmo gia' un pezzo avanti) e sia che l'abuso sia vero sia che sia alluso perversamente i danni saranno devastanti, soprattutto per i minori. Cio' vale anche quando l'abuso non e' sessuale ma emotivo e psicologico perche' si usa violentemente un figlio nel gioco di una coppia o di una famiglia allargata per tematiche, spesso gravemente irrisolte, degli adulti. Insomma la comunita' sociale non puo' avere *neutralita'* sulle dinamiche di uno dei suoi piu' importanti architravi storico-sociali come la famiglia. Qualunque cosa fara' o non fara' si definira' e ne influenzera' il decorso. Personalmente non penso che i bambini siano dei genitori e ritengo questa concezione dei figli come *proprieta'* (seppur molto popolare e diffusa) una visione pre-moderna ed un po' tribale dei rapporti umani. Credo invece che i figli siano in *custodia* alle loro famiglie naturali. Che siano una risorsa importantissima per tutta la comunita' sociale che quindi ha dovere ed interesse ad occuparsene. Come lo fara' e' uno dei vari indicatori di civilta' di una societa'. Detto questo pero' condivido che lo scenario di rapporti professionali ed istituzionali nel nostro paese ed i sottesi rischi di annullamento della soggettivita', del minore in primis, siano reali. Ma anche per la parte del problema che mi sono sforzato di sollevare: l' impossibile *neutralita'* (Mi si permetta una digressione credo valga anche per molti altri campi di intervento *psi*, istituzionali e non.) E che il motivo per cui la comunita' si dota di istituzioni che dovrebbero avere come scopo principale la miglior tutela *possibile* (non dimentichiamoci mai la misura delle cose) del minore e delle famiglie rischi di tradire non di rado il proprio mandato. Ma non condivido le severe e quasi inappellabili conclusioni a cui alcuni interlocutori arrivano >Da questo punto di vista il CTU è dunque tutt'altro che terzo: è - perche' le premesse su cui si fondano sembrano ipotizzare come unica alternativa una sorta di *liberta'* o *neutralita'* che non mi e' dato di conoscere. Mentre i rapporti umani cambiano secondo me solo in inevitabili cornici di vincoli e relative possibilita'. Per salti di livello che possono accadere per vari e non sempre ponderabili motivi. Sono persuaso che abbiano ruolo il caso come la necessita' ma che noi abbiamo il dovere di favorire. Riassumendo Le famiglie confliggono, talvolta con una violenza emotiva e psicologica (quando non fisica) enorme, i minori sono spesso i piu' esposti alle schegge di queste implosioni. Sara' il caso che la Comunita' si dia strumenti per occuparsene? Non occuparsene, evitare di partecipare a questo "gioco" nel campo del diritto ha comunque conseguenze. Il non-intervento della psicologia e degli psicologi produce *effetti* esattamente come l'intervento. Siamo sicuri che gli effetti del non-intervento siano i migliori? >Nella migliore delle ipotesi, dunque, la soluzione non è nel suo ruolo, e nemmeno Non mi e' completamente chiaro cosa si intenda con "e in ciò che DA TUTTO CIO' emerge come TOTALE!". Tuttavia siamo peraltro cosi' sicuri che tutte le altre psico-professioni esercitate con ragionevole beneficio per l'utenza, si fondino invece sostanzialmente sul *ruolo* e sulle *competenze* e, solo sullo sfondo, ci sia l'Etica e la deontologia? Non credono, i miei interlocutori ed in genere chi ci sta leggendo, che nel nostro "mestiere" tra l'Etica; la deontologia, la competenza ed il ruolo ci sia un legame stringente? >La terzietà di un CTU ALL'INTERNO DELLE REGOLE CONFLITTUALI CUI Il tipo di terzieta' a cui sembra alludere Giordano in tutto il suo discorso concordo che sia ineffabile, semplicemente perche' non credo esista. Come sono convinto che la posizione psicologica di qualunque CTU muti al variare del sistema di relazioni che si va a configurare al suo intorno. Ma questo vale per qualunque gruppo di lavoro che deve operare insieme a vario titolo. E' tanto vero quanto ovvio. I nostri stessi utenti ci condizionano in questo senso anche in campo clinico. Il punto e' *quanto* siamo suscettibili all'inter-dipendenza ed al condizionamento e *quanto* siamo in grado di organizzare un setting di lavoro che ci aiuti a non cadere nelle "trappole della follia". Cio' e' tanto piu' importante in contesti di assessment psicologico forense. >Punto chiave, in altri termini, è che il percorso giudiziario è un percorso Quanto sopra scritto cita un dato le percentuali di affido monogenitoriale ed alla madre, credo corretto, come prova delle opinioni precedentemente esposte. Soprattutto la chiave di lettura proposta e' che cio' indica che l'intervento dei CT non serve a niente in quanto cio' dimostrerebbe che non c'e' nessun abbassamento del conflitto familiare in atto, ne' che il percorso di CT si ponga come possibilita' per ricostruire un primo spazio protetto da cui partire per tutelare o ricostruire relazioni (genitori-figli) possibili. Questa invece la mia lettura sovrapponibile, ma solo per una parte, a quella proposta. Sicuramente c'e' una parte di CT che vengono fatte male o che comunque falliscono appieno il loro scopo, quando non aggravano la situazione. C'e' poi un dato culturale forte nel nostro paese, che attraversa tutta la societa' e tutte le professioni, che vuole la madre come colei che e', nel dubbio e salvo macroscopiche evidenze, la piu' attrezzata e preposta all'accudimento dei figli e di contro che promuove anche nei padri identica convinzione. Dato che personalmente non condivido affatto ma che devo registrare non foss'altro per provare a modificarlo. I Giudici spesso, premesso quanto sopra, si sentono piu' tranquilli e devono faticare meno nell'assecondare il dato culturale. Magari mettendo nel dispositivo piu' o meno importanti ed efficaci presidi a tutela del genitore non-affidatario ed, implicitamente, del minore stesso. Provare a risolvere il conflitto piu' efficacemente in sede di CT implicherebbe uno sforzo professionale spesso molto costoso per i tempi che richiederebbe. Costi che comunemente non siamo in grado di affrontare come societa'. Ad oggi credo che ad una CT si possa ragionevolmente chiedere di avviare un percorso di abbassamento del conflitto non certo di concluderlo. Ma soprattutto anche di ricordare al genitore meno disponibile che c'e' qualcuno che sorveglia nell'interesse del minore. Il ruolo del CTU E CTP puo' essere determinante non tanto, come prova la statistica, nel produrre affidi congiunti (che quando ci fossero le condizioni, anche storico-culturali, sarebbero ovviamente la miglior cosa) ma sia nel momento della consulenza in se', per aprire uno spiraglio di salute, sia nell'orientare il sistema giudiziario nella definizione del dispositivo finale. Aspetto da non sottovalutare affatto perche', se ben costrutito, puo' essere l'unico baluardo di una relazione genitore non-affidatario e figlio. Dispositivo che non dovrebbe appellarsi a generiche indicazioni di tempi e di modi ma, piu' concretamente, indicare operativamente percorsi *controllabili* e *verificabili* quantomeno dal CTU stesso. Quindi con validita' temporanea e suscettibili di cambiamento qual'ora per es. uno dei genitori trasgredisca palesemente le indicazioni. Insomma piu' e' ancora alto il conflitto tra gli adulti piu' il giudice dovrebbe limitarne e controllarne la discrezionalita'. >Cito dunque il Lagazzi perché mi trova pienamente d'accordo: Credo che lo scenario drammatico che descrive Lagazzi sia talvolta possibile ma non sempre e comunque inevitabile. Ed anche quando si realizza esso ha una gradazione che va da un massimo ad un minimo. E' la sua percezione delle cose ma non la mia, per questo sarebbe anche interessante il parere di altri. Del resto il dramma esisterebbe comunque, anche fuori dalle CT e dai tribunali, questo e' secondo me l'aspetto piu' saliente e mi sembra poco valutato negli argomenti che ho letto. La domanda al solito e' in quale posizione dobbiamo metterci per provare a mitigarlo. Questo mi sembra il vero punto del dibattito. Ruolo del CTU e' di fare una buona analisi della situazione con gli strumenti e le tecniche che gli sono propri ed aiutare il Giudice *documentando* nel miglior modo possibile quello che osserva. Ruolo del CTP non e' certo quello di intimidire nessuno ma di *controllare* nelle procedure nel modo piu' rigoroso possibile l'operato del CTU. In questo costringendo il CTU ad adoperare con il massimo di competenza, etica e deontologica e contenendone le tendenze autoreferenziali. Creando alla fine un possibile sistema di garanzie professionali a tutela di coloro per cui la consulenza e' richiesta. Detto questo la disonesta', la corruzione, la collusione economica, il "pelo sullo stomaco", l'asservimento a poteri forti, e quant'altro non attraversano solo il mondo delle perizie. E questo discorso ci porterebbe lontano solo che lo riferissimmo a tutti i quattrocento iscritti a questa M.L. che operano nelle asl, nell'universita', come liberi professionisti, nelle varie societa' ed istituzioni professionali ecc......Tuttavia non mi sento abusante solo perche' partecipo a questi sistemi di relazione (come molti ne condivido piu' d'uno). Semmai tengo bene a mente che corro il rischio di esserlo, qualche volta mio malgrado, anche quando lavoro alla ASL o come libero professionista intendo. Francamente non vedo molte alternative. >Al massimo, le conoscenze cliniche e la sensibilità etica del professionista che Anche uno psicologo o uno psichiatra che si trovi ad operare (pagato) in un servizio di salute mentale dove non sempre condivide tutte le premesse e vincoli del servizio o di parte di esso gioca una partita dove rischia di contribuire, in buona fede, all' abuso di un paziente. Nel senso di danneggiarlo invece di aiutarlo. Ed anche in questo caso lui puo' scegliere se far parte di quel sistema ed il povero schizofrenico, bipolare, depresso no. Ed estenderei questo esempio anche ad un serio libero professionista che si trovi ad operare con un paziente impegnato dove hanno ruolo anche altri servizi non sempre cosi' seri e rigorosi. Sono consapevole di quanto puo' essere faticoso provare a giocare un ruolo positivo in questi casi e quanto il contesto ci vincoli, di come quindi possa essere anche incerto il risultato. Tuttavia non sono molto persuaso che la cosa migliore da fare sia abbandonare il campo. Ne' che gli psicologi (per quello che ho detto all'inizio del mio intervento) non debbano contribuire e collaborare agli accertamenti di fatti *storico-sociali* in quanto le famiglie ed i loro accadimenti sono *anche* un fatto storico-sociale. Sono quindi ed ovviamente molto interessato a possibili alternative operative e conseguenti suggerimenti ed a capire meglio dove alcuni colleghi si collochino, nella prassi e non solo nelle idee, davanti a questo grande problema. nicola artico
3 Mar 2001 - Gaetano Giordano Nicola Artico ha scritto: >Perche', per quanto costruttivisti o costruzionisti sociali radicali si possa essere, Bene: l'affido monogenitoriale è un fatto storico che spesso segna fin troppo irreversibilmente la vita di una famiglia e dei suoi bambini. Allo stesso modo, fatto storico appurabile e irreversibile (ancorché prolungato nel tempo) può essere definita quella particolare forma di abuso emozionale che è la trascuratezza emotiva (e fisica) verso il minore. Il punto è che se un genitore si occupasse (DI PROPRIA VOLONTA') del proprio figlio secondo le modalità previste di norma dall'affido monogenitoriale (un week end ogni quindici giorni, un giorno e una notte ogni quindici)chiunque lo considererebbe un GENITORE TRASCURANTE. E TRASCURANTE LO DEFINIREBBE SOPRATTUTTO QUALUNQUE PERITO INCARICATO DI VALUTARNE LA ADEGUATEZZA GENITORIALE. Se - al contrario - un genitore NON AFFIDATORIO TENTA DI VEDERE IL FIGLIO PIU' DI QUESTI RITMI, IMPOSTIGLI PER "DIRITTO", INCORRE INTANTO IN UN REATO, E POI VIENE ANCHE ETICHETTATO COME "CONFLITTUALE". A rovescio ancora: se io voglio separarmi dal mio attuale partner, il fatto che egli si occupi del figlio A CADENZA QUINDICINALE DIVERREBBE UN'OTTIMA PROVA PER SEPARARMI, OTTENERE L'AFFIDO DEL BAMBINO, E FAR SI' CHE IL MIO EX PARTNER LO VEDA SOLO OGNI QUINDICI GIORNI. Trovo dunque psicopatologica tale mentalità, dal momento che opera secondo un codice tipicamente schizofrenico, e trovo inapplicabile il concetto di "fatto storico" in tale campo: l'esempio di cui sopra dimostra che - parlando di "abuso", troppo facilmente l'abuso esiste o non esiste a seconda di chi compie, ordina, punteggia, legge le punteggiature, dei nessi emergenti dalle relazioni umane. Nessuno può negare infatti che un genitore che si occupi del proprio figlio con le cadenze in voga attualmente nelle separazioni coniugali con affido monogenitoriale (E SUGGERITE DAI CTU) compia di fatto quello che gli verrebbe rinfacciato come abuso se lo decidessse di suo. Cosa hanno da dire circa la rarefazioni degli incontri che si ha nell'affido monogenitoriale, i CT CHE SI OCCUPANO DI PSICOTRAUMATOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA MA CHE CONSIGLIANO QUESTE FORME DI RAREFATTA FREQUENTAZIONE? Sostengono che si tratta di fatti storici irreversibili ? O sostengono che i concetti di "trascuratezza" - e dunque di "abuso" - concretizzano dei "fatti" o dei "non fatti" a seconda del parere che la stessa persona dà come CT o come consulente di un genitore ? (PARLO OVVIAMENTE DEI PROVVEDIMENTI DI SEPARAZIONE PRESI IN ASSENZA DI ALTRE PROBLEMATICHE PIU' GRAVI, cioè dei provvedimenti standard, che sono appunto l'affido monogenitoriale con visite quindicinali). E come giustificano, gli psicotraumatologici che fanno anche CT, che non viene mai suggerito l'affido a entrambi i genitori ? A mio avviso, l'unica risposta a tale assenza di affidi congiunti è che nell'attuale sistema giudiziario il CT è uno psicologo o psichiatra forense che per un versante si occupa di "abusi" ma per un altro versante concorre - magari senza il suo volere - a creare i paradossi di cui sopra (che emergono come "abuso" nella vita del minore coinvolto). > Fatico ad immaginare che non possa che essere che cosi'. Che qualcuno Mi sembra di no, stando alle statistiche. Le cifre degli affidi sono di fatto sempre le stesse, e le norme di frequentazione anche. Non vedo novità e imprevedibilità: vedo molta OMOGENEITA' ALLA TRADIZIONE. In realtà, quello che io voglio dire è molto semplice: l'attuale regolamentazione delle separazioni coniugali crea abuso. CTU o non CTU che ci sia. In questo senso, la presenza del CTU è una falsa garanzia di tutela del minore, perché, bene che vada, arriva dove può e fino a dove gli permettono gli altri. Altrimenti, si dovrebbe sostenere CHE TUTTI GLI PSICOLOGI CHE SUGGERISCONO TALI MODALITA' DI FREQUENTAZIONE CONVENGONO CHE NON COMPORTA TRASCURATEZZA E CARENZA DELLA FIGURA GENITORIALE POTERSI OCCUPARE DEL PROPRIO FIGLIO - E AVERE ACCANTO A SE' IL PROPRIO GENITORE - SOLO OGNI QUINDICI GIORNI. Se qualcuno la pensa così, è pregato di dirlo. Se qualcuno pensa che vedere il figlio ogni quindici giorni comporti trascuratezza (anche se non l'unica forma di trascuratezza), è pregato di dire perché la suggerisce come prassi di frequentazione (o perché non suggerisce contatti più frequenti e ravvicinati). Il punto è che, per quanti sforzi possa fare il CTU (e ammesso che voglia e possa farli sempre: pur considerando che ha in mano vite intere di bambini), nella stragrande maggioranza dei casi concorrerà sempre a creare più patologia di quanta non ne trovi. Occorre dunque chiedersi: perchè la psicologia e la psichiatria tacciono su ciò che si crea quando le conoscenze psicologiche e psichiatriche, e gli individui che le posseggono, vengono applicate e utilizzati al sistema giudiziario delle separazioni coniugali con affido di minore ? A mio avviso, ad essere onesti occorrerebbe sostenere che SI PUO' EVITARE L'ABUSO SUL MINORE SE IL MINORE : - ha contatti frequenti e regolari con entrambi i genitori (quante Convenzioni Internazionali abbiamo firmato al proposito ?) in caso di loro separazione - NON VIENE COINVOLTO IN UN PROCEDUIMENTO GIUDIZIARIO MA IN UN PERCORSO DI MEDIAZIONE OBBLIGATORIA (in alternativa alla quale porrei sì l'affido eterofamiliare: perché anche i genitori conflittuali hanno il "diritto/dovere" di rendersi conto che il LORO conflitto toglie ad entrambi il figlio) > > In altri termini, egli accetta di partecipare ad un conflitto, ed accetta di No, scusa: il CONFLITTO E' - NEL PROCEDIMENTO GIURIDICO - L'UNICA CERTEZZA DI PARTENZA. Il procedimento giudiziario è incontestabilmente - un tipico "gioco a somma zero". E' dunque una prassi COMUNQUE fondata sull'antagonismo. Il vero "rischio" - al contrario - è che "degeneri" in un accordo (e in tal caso ci rimettono l'avvocato e il CTP, se non anche il CTU). Evento sempre possibile, ma non probabile. Voglio dire, in altri termini, che la regola è comunque il conflitto: con buona volontà e molta fortuna si può tentare di superarlo. Ma se si partisse con regole totalmente differenti ? E' un dato certo - e "storico" - che quando si trattò di discutere la nuova legge per le separazioni (che non è mai decollata, E NON E' UN CASO), vennero chiamati come "consulenti" alla Commissione Giustizia, proprio i più noti avvocati matrimonialisti. Posso fare nomi e cognomi e fornire almeno parte dei verbali delle riunioni. Quello che l'on. Marcella Lucidi aveva all'epoca concordato come "insostituibile" con certe associazioni di genitori separati - e in primis vi erano l'obbligatorietà dell'affido congiunto, la divisione dell'assegno di mantenimento per capitoli di spesa, l'aumento delle pene per le violazioni ex 388 alle disposizioni di frequentazione del magistrato, e la facilitazione per le forme di Mediazione del Conflitto - venne giudicato "inamissibile" dai "Consulenti" della Commissione (gli avvocati matrimonialisti, tutti di gran nome). E' notorio, poi, che l'AIAF - associazione avvocati per la famiglia e i minori (presidente: l'ex PM del Tribunale per i Minorenni di Roma G. Dosi http://www.aiaf-avvocati.it/) -NON A CASO E': a) schierata CONTRO L'AFFIDO CONGIUNTO E A ENTRAMBI I GENITORI (vedi: http://www.aiaf-avvocati.it/documenti/cong_98b.htm): "4) ferma la posizione dell'AIAF sulla contrarietà all'affidamento congiunto dei figli espressa nel documento congressuale, di prevedere precise garanzie sulle modalità di audizione del minore anche in relazione all'età". b) convinta che la Mediazione Familiare non debba sostituire o affiancare o entrare nel procedimento civile né essere obbligatoria: "8) di prevedere che la "mediazione familiare" avvenga al di fuori della giurisdizione e con il consenso delle parti". Come si può facilmente dedurre, è chiaro che tali prese di posizione favoriscono "OGGETTIVAMENTE" la conflittualità implicita nel procedimento legale, e il ricorso al procedimento conflittivo legale come arma di soluzione della contesa. Dunque: che in corso di CTU si possa lavorare in altre direzioni rispetto al conflitto, è possibile, ma nell'ambito delle regole permesse dal procedimento, e da chi vi partecipa. E con molta difficoltà. A questo punto, è doveroso esprimere un pensiero radicale. A mio avviso, cioè, la psichiatria e la psicologia a questo punto DOVREBBERO SENTIRE IL DOVERE ETICO DI DICHIARARE SE RITENGONO O NO CHE L'ATTUALE PERCORSO GIUDIZIARIO RELATIVO ALLE SEPARAZIONI CONIUGALI SIA - SALVO IMPREVISTI - UNA COSTANTE FONTE DI ABUSI SUI MINORI. E dunque - al di là di molte chiacchiere - ciascuno (con la sua coscienza ?) dovrebbe pronunciarsi su DUE SOLI PUNTI: - LA PSICOTRAUMATOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA PREVEDE COME MIGLIOR FORMA DI REGOLAMENTAZIONE DELL'AFFIDO MINORI IL PROCEDIMENTO GIUDIZIARIO O LA MEDIAZIONE DEL CONFLITTO ? - SE RITIENE CHE LA MENO TRAUMATICA SIA LA MEDIAZIONE, COME CIASCUN PSICOTRAUMATOLOGO - NONCHE' TUTTA LA CATEGORIA DEGLI PSICHIATRI E PSICOLOGI - DOVREBBE ESPRIMERE TALE POSIZIONE E QUALE ATTEGGIAMENTO PRENDERE RISPETTO AL SISTEMA GIURIDICO E A QUELLO POLITICO E ALLE ALTRE CATEGORIE DI PROFESSIONISTI O spiegare e spiegarmi l'inutilità di queste due domande Gaetano Giordano 4 Mar 2001 - Gaetano Giordano DOMANDA In tema di psicotraumatologia dell'età evolutiva, di "abusologia", e di CT (e di... rilievi fotografici non prodotti per abusi diagnosticati ma inesistenti) ricevo e, autorizzato, ritrasmetto. E chiedo: una spiegazione da chi forse se ne intende di situazioni e persone del genere. Perché a quel che capisco non è la prima volta che accade. A proposito: trattasi di procedimento nel quale NESSUNO DEI PARTECIPANTI E' INTERESSATO QUALE CT. Dunque: roba sulla quale si può discutere. O no ? Gaetano Giordano -------- Original Message -------- Data: Sun, 4 Mar 2001 00:52:40 +0100 Da: A.A. <A.A.@...> A: "Gaetano Giordano" <gaetano.giordano@flashnet.it> Egregio Dott Giordano. Mi sento in dovere ... Proprio da quì [sito WEB] io personalmente digitando il nome ** [ginecologa, CT del P.M.] ho potuto scaricare l'interrogazione parlamentare che riguardava questa ginecologa e che ho depositato alla procura di **. Di conseguenza il GUP ha accolto la nostra istanza di procedere con incidente probatorio ad una perizia ginecologica nei confronti di **, alle quale questa consulente aveva certificato abuso certo, naturalmente senza allegare alcuna fotografia contrariamente a quanto richiesto dal PM in fase di incarico, tanto che il GUP ha ritenuto di chiamarla a chiarimenti e anche in questa circostanza ha confermato gli avvenuti abusi. Alla domanda del mio legale dove fossero le fotografie la ** non dava nessuna spiegazione, silenzio assoluto. E' inutile ribadire che dalla perizia disposta dal GUP su richiesta del mio Avvocato [YY] , le risultanze sono state che le lesioni accertate dalla dott.ssa **, non esistevano affatto. la bimba presentava alla visita un imene semilunare del tutto normale. Il mio ringraziamento si estende anche al Senatore Augusto Cortelloni per la sua dedizione nella ricerca della verità. Per quanto riguarda il mio caso, è esattamente la fotocopia di quello che già in passato è accaduto ad alcuni genitori che hanno avuto la sfortuna di capitare nelle mani di psicologhe impreparate e assistenti sociali che pensano solo a fare carriera sulle spalle della povera gente, come ha bene espresso il Senatore Cortelloni nel libro pedofilia e satanismo, i comportamenti dei servizi sociali sono gli stessi a Bologna come qui. Credo che nel mio caso l'unica fortuna, se così la possiamo chiamare, è stata che la difesa si è avvalsa della consulenza tecnica sia ginecologica che psicologica di professionisti seri e preparati , i quali hanno capito gli errori nei quali sono incappati i servizi sociali e quello più clamoroso nel quale è incappata quella che viene ormai definita "un'abusologa" di professione come la dott.ssa **. Volutamente non nomino i nomi dei nostri consulenti tecnici , non vorrei che da parte di alcuni PM non vengano nominati, per una semplice ragione, che questi galantuomini credo che potrebbero trovare difficoltà a fare consulenze in quanto non sono "Abusologi" ma semplicemente delle persone serie che agiscono in base a scienza e coscienza.,e ai quali va tutta la mia stima. Vale la pena sottolineare che lo stesso pubblico ministero dopo aver visionato la perizia e le risultanze, coerentemente ha chiesto il mio proscioglimento e ha detto che non si avvarrà più della consulenza tecnica della Dott.ssa **. Da ultimo vorrei dire che per mè questa non è una vittoria ma una profonda amarezza, in quanto ancora non ho la possibilità di riabbracciare la mia piccola bimba .Solo all'ora il mio calvario potrà concludersi. Nei prossimi giorni la aggiornerò sui nuovi sviluppi. Ancora GRAZIE!!! A.A. 7 Mar 2001 Gaetano Giordano Non ci sono più state commenti o risposte a queste mie domande: > - LA PSICOTRAUMATOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA PREVEDE COME MIGLIOR Nè a quelle relative al padre che, accusato come abusatore e allontanato dalla propria figlia e costrettosi a separare, veniva scagionato proprio perché la segnalazione della psicologa si era rivelata quanto meno intempestiva e la perizia ginecologica spaventosamente quantomeno omissiva. Ritengo che a nessuno interessi più questo dibattito e lo considero dunque chiuso. I miei complimenti a tutti i partecipanti al dibattito Gaetano Giordano |
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