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Dibattito sulle psicoterapie brevi
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avvenuto nella lista "Psicoterapia"
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di PSYCHOMEDIA (PM-PT)
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nell'aprile 1999
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(interventi di Andrea
Angelozzi, Daniele Cacchioni, Tullio
Carere, Gaetano Dell'Anna,
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Wilfredo Galliano,
Gaetano Giordano, Paolo
Migone, Emilio Mordini, Fausto
Radaelli,
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Antonio Augusto
Rizzoli, Sandro Rosseti, Gian Paolo
Scano, Bruno Spinetoli)
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Editing a cura di Paolo
Migone, co-owner della lista PM-PT
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10 Aprile 1999, Sandro
Rosseti:
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Cari colleghi, sono Sandro Rosseti, psichiatra e psicoterapeuta
a Firenze, e
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Segretario dell'Istituto
Italiano di Psicoterapia Intensiva Dinamica Breve,
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che è nato nel 1996 per promuovere in Italia la conoscenza
e lo sviluppo di
-
questa tecnica, messa a punto nel corso degli ultimi trent'anni
dal Dr.
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Habib Davanloo, Professore di psichiatria alla McGill
University di Montreal,
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Canada. L'Istituto ha già organizzato nel 1997, a
Firenze, presso l'Università
-
degli Studi, un Simposio internazionale di due giorni con
il Dr. Davanloo.
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Il Simposio, introduttivo alla tecnica, ha visto una numerosa
ed attenta
-
partecipazione (oltre duecento i presenti, fra professionisti
e studenti).
-
Per quest'anno, l'Istituto ha organizzato, sempre a Firenze,
un
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Seminario
di tre giorni, dal 12 al 14 Novembre 1999, condotto dal Dr.
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Davanloo. Il corso, che sarà tenuto in inglese, con
traduzione simultanea,
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si propone una presentazione sistematica ed estensiva della
Tecnica di
-
accesso all'inconscio e della nuova metapsicologia di Davanloo,
attraverso
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la presentazione di materiale audiovisivo proveniente dalle
terapie di alcuni
-
pazienti. La partecipazione è limitata a 65 persone,
fra professionisti
-
dell'area della salute mentale e studenti, così da
permettere una
discussione approfondita
-
della tecnica attraverso il materiale
presentato
ed una sua più completa comprensione.
-
Gli interessati sono pregati di contattarmi già da
adesso personalmente,
-
per ulteriori informazioni. Sarò comunque lieto di
rispondere, anche in lista,
-
ad eventuali richieste di approfondimento su questa tecnica,
ancora da noi
-
poco nota, ancorché diffusa, oltre che in Nord America,
in Europa,
-
prevalentemente in Svizzera e Germania.
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10 Aprile 1999, Gaetano
Giordano:
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La presenteresti brevemente? Grazie
-
-
11 Aprile 1999, Paolo
Migone:
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Vorrei cogliere questa occasione per accennare brevemente
a come la penso sul tema
-
delle cosiddette psicoterapie brevi ad orientamento
psicoanalitico (o "intensive dinamiche
-
brevi"), come quella di Davanloo.
Anni fa, agli
inizi degli anni 1980, mi occupai molto
-
di questo tema, andai
ad un corso con
Davanloo e Malan a Montreal ecc.
-
Le conclusioni a cui sono arrivato sono che, se così
si può dire, non esiste
-
una "Tecnica di accesso all'inconscio e della nuova metapsicologia
di
-
Davanloo". Davanloo, così come altri terapeuti brevi,
può essere un ottimo
-
clinico, ma non è un buon teorico, nel senso che la
teoria utilizzata
-
presenta varie contraddizioni interne, e anche fraintendimenti
(non ultimo
-
quello di confondere terapie brevi con "brevi terapie").
Il dibattito
-
attorno alla questione dell'accorciamento della terapia non
è specifico a
-
Davanloo o al movimento di terapia breve, ma appartiene alla
tradizione
-
psicoanalitica, è il classico dibattito sulla tecnica,
sempre molto vivo dal
-
confronto Freud-Ferenczi in poi. I terapeuti brevi non hanno
aggiunto
-
niente, fanno solo leva su concetti metapsicologici in gran
parte superati
-
per muovere le loro critiche (tanto per fare un esempio,
già un Gill
[1984] supera
-
completamente tutte le questioni da loro poste). Ho analizzato
uno per uno tutti i concetti
-
chiave della teoria di Davanloo, e non ne
ho trovato uno
che restasse in piedi, tranne
-
quello di brevità, che
appunto è una tautologia, per cui non vi è nulla.
-
Ritengo che le psicoterapie dinamiche brevi possano essere
utilizzate, a
-
patto che si sappia cosa si intenda con esse e che si abbia
chiarezza sui
-
criteri con cui vengono praticate, criteri che, nella concezione
di Davanloo, sono sbagliati.
-
A mio parere le psicoterapie dinamiche brevi
sono
essenzialmente
-
un prodotto che deve essere venduto nel mercato
della salute
-
mentale, perché fa comodo a molte amministrazioni
pubbliche e private
-
(AUSL, agenzie assicurative in USA, ecc.), al "transfert"
di molti pazienti
-
(che vengono inconsciamente rassicurati che... "non cambieranno"),
e al
-
"controtransfert" di molti terapeuti (li rassicura sul fatto
che può non
-
essere difficile curare le persone, a volte li aiuta a colludere
con certi
pazienti, ecc.).
-
La sociologia della nostra professione è
molto ricca di
esempi dome questo.
-
Ciò non toglie che io ritenga utilissimo frequentare
un corso di Davanloo o
-
di altri terapeuti brevi (io lo frequentai con grande interesse),
perché è
-
così che si conosce bene come lavorano e come teorizzano
quello che fanno,
-
e ciascuno si può fare la propria idea (ben vengano
idee diverse!).
-
Non posso ovviamente qui entrare nei dettagli delle mie posizioni,
per cui
-
devo per forza rimandare, chi fosse interessato, a varie
cose che ho
-
scritto, riassunte ad esempio anche nel cap. 3 del mio libro
-
Terapia
psicoanalitica (Franco Angeli, 1995) (posso mandare anche
-
degli attachments a chi è interessato, ma preferirei
che si leggesse il
-
libro, sia per una questione di diritti editoriali, sia perché
una certa
-
teoria che fa da sfondo alla mia critica è esposta
in altri capitoli del libro).
- Inoltre vedi il dibattito
sulle terapie dinamiche brevi nella lista della Society for the
Explorayion of Psychotherapy Integration (SEPI), dove vengono toccati
alcuni punti centrali di questa problematica.
-
-
P.S.: se si aprisse un dibattito su questo argomento, proporrei
di
-
continuarlo solo sulla lista "Psicoterapia" di Psychomedia,
dato che è stato
-
mandato anche lì. Per me sarebbe faticoso e dispersivo
intervenire su più liste.
-
-
11 Aprile 1999, Antonio
Augusto Rizzoli:
-
Effettivamente la lettura del libro di Migone, molto chiaro
ed aggiornato,
-
è fondamentale per chi si occupi prevalentemente di
psicoterapia (ma anche
-
per chi non se ne occupi, perché amplia molto gli
orizzonti culturali). Saluti.
-
-
11 Aprile 1999, Bruno
Spinetoli (Home Page: http://users.iol.it/bruno.s/)
-
Esiste una mia recensione di un seminario effettuato nel
1997, l'URL è
-
il seguente: http://www.psychomedia.it/pm-cong/1997/dawrec.htm.
-
ovviamente su PM area congressi.
-
Con l'occasione saluto il Dott. Rossetti che conobbi a quel
Convegno.
-
-
11 Aprile 1999, Emilio
Mordini:
-
Paolo Migone ha scritto:
-
>Vorrei cogliere questa occasione per accennare brevemente
a come la penso
-
>sul tema delle cosiddette psicoterapie brevi ad orientamento
psicoanalitico
-
>(o "intensive dinamiche brevi"), come quella di Davanloo.
Anni fa, agli
-
>inizi degli anni '80, mi occupai molto di questo tema, andai
ad un corso con
-
>Davanloo e Malan a Montreal ecc.
-
>Le conclusioni a cui sono arrivato sono che, se così
si può dire, non esiste
-
>una "Tecnica di accesso all'inconscio e della nuova metapsicologia
di
-
>Davanloo". Davanloo, così come altri terapeuti brevi,
può essere un ottimo
-
>clinico, ma non è un buon teorico, nel senso che
la teoria utilizzata
-
>presenta varie contraddizioni interne, e anche fraintendimenti
(non ultimo
-
>quello di confondere terapie brevi con "brevi terapie").
-
-
Caro Migone, ti ho letto con il piacere che i concittadini
del fanciullino della
-
storia devono aver provato sentendo dire che il re è
nudo: Davanloo dice
-
(scrive) una marea di banalità (quando non peggio),
e le terapie brevi sono
-
delle truffe (speriamo che nessuno si offenda troppo!).
-
Sono delle truffe nel loro presupposto teorico di fondo,
al di là della
-
buona fede di chi le pratica, sia chiaro. Mi spiego: ogni
terapia (psico e
-
no) deve tendere ad essere il più breve possibile,
visto che il paziente, o
-
chi per lui, paga... e visto che nessuno dovrebbe amare farsi
curare ( e se
-
lo ama, deve essere curato da questa malattia). Quindi non
possono
-
coesistere terapie lunghe e terapie brevi, ma ogni cura deve
tendere a
-
durare il minimo indispensabile, se no è, in definitiva,
una forma di
-
sfruttamento del paziente o di collusione con la sua malattia.
Allora se le
-
psicoterapie brevi sono delle forme di trattamento valide,
bisogna avere il
-
coraggio di proclamare che i trattamenti lunghi, per le stesse
patologie,
-
sono truffe a danno dei pazienti. Oppure, se i trattamenti
"lunghi" sono
-
validi, le terapie brevi sono falsi trattamenti. Tertium
non datur!
-
Diverso il concetto di psicoterapie focalizzate su uno specifico
problema e
-
di psicoterapie limitate nel tempo. Per quanto riguarda il
primo gruppo, ho
-
di nuovo il sospetto che siano degli "estetistici
infingimenti",
per usare
-
un'espressione di Massimo Mila. Molte psicoterapie prendono
le mosse da
-
una richiesta specifica del paziente, tuttavia ben raramente
le persone
-
chiedono ciò che vogliono (o ciò che serve
loro). Accettare il contratto
-
così come appare in superficie non è, in realtà,
né eticamente corretto, né,
-
in definitiva, rispettoso del paziente. Ma se la richiesta
esplicita diventa
-
essa stessa un sintomo, che fine fa la terapia focalizzata?
-
Le terapie limitate nel tempo, per ragioni pratiche (il paziente
deve
-
partire, lo psicoterapeuta ha solo qualche mese a disposizione)
sono invece
-
un fatto che può accadere e che può porre interessanti
problemi. Ma sono
-
una sfida, un po' come un internista che, capitato in un
paesino sperduto,
-
dovesse curare una polmonite senza nessun ausilio della moderna
-
tecnologia... ripeto, può essere stimolante da un
punto di vista
-
professionale ma, se io fossi il paziente, mi augurerei che
la mia terapia
-
non fosse né breve, né lunga, ma giusta! "Troppe
note, caro Mozart!" -
-
"L'esatto numero, vostra Maestà".
-
-
12 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Caro Mordini, concordo al 100% con quello che dici. Tu sembri
fare gli
-
stessi ragionamenti che ho sempre fatto io. Ma il fatto è
che pare che pochi
-
facciano questi ragionamenti, non ho mai capito perché.
-
Riguardo alle tue parole:
-
>Le terapie limitate nel tempo, per ragioni pratiche (il
paziente deve
-
>partire, lo psicoterapeuta ha solo qualche mese a disposizione)
sono invece
-
>un fatto che può accadere e che può porre
interessanti problemi. Ma sono
-
>una sfida, un po' come un internista che, capitato in un
paesino sperduto,
-
>dovesse curare una polmonite senza nessun ausilio della
moderna
-
>tecnologia... ripeto, può essere stimolante da un
punto di vista
-
>professionale ma, se io fossi il paziente, mi augurerei
che la mia terapia
-
>non fosse né breve, né lunga, ma giusta! "Troppe
note, caro Mozart!" -
-
>"L'esatto numero, vostra Maestà".
-
-
Anche qui trovo giustissimo quello che dici. Se "il paziente
deve partire, o lo
-
psicoterapeuta ha solo qualche mese a disposizione", allora
non è una
-
terapia breve, ma una breve terapia. Qui i criteri della
tecnica sono
-
"esterni", non "interni" alla teoria. In altre parole: se
esistesse
-
veramente una tecnica "specifica" delle terapie brevi, che
bisogno vi
-
sarebbe di fissare un termine a priori? Si terminerebbe appena
il paziente
-
migliora e basta, come in ogni terapia. Qui infatti "casca
l'asino": non a
-
caso si insiste sul fissare una data a priori per il termine
(l'unica
-
caratteristica che definisce inequivocabilmente le terapie
brevi), come se
-
fosse questo il fattore importante. Ma questo è esattamente
quello che Freud
-
faceva in determinati casi (vedi l'Uomo dei Lupi), e anche
quello che
-
Eissler ci ha insegnato a fare quando si decide di usare
un "parametro", ecc.
-
(vedi K.R. Eissler, Effetto
della struttura dell'Io sulla tecnica psicoanalitica
-
[1953]. Psicoterapia e Scienze Umane, 1981, XV, 2:
50-79; anche in
-
Genovese C., a cura di, Setting e processo psicoanalitico. Milano: Cortina, 1988).
-
-
12 Aprile 1999, Fausto
Radaelli:
-
Seguo da alcuni mesi con interesse le discussioni che avvengono
in questa
-
lista. Trovo sempre molto stimolanti gli interventi di Migone
(del quale
-
apprezzo da anni gli scritti su Psicoterapia e Scienze Umane, le
-
sue
rubriche sul Il Ruolo Terapeutico e altre riviste). Sono interventi
sempre
-
ricchi di stimoli e di articolazioni concettuali interessanti
e mai banali.
-
Perché questa ricchezza è svanita, come neve
al sole primaverile,
-
nell'affrontare una tematica come quella della psicoterapia
breve ad
-
orientamento analitico, che offre, se non si vuole semplicemente
liquidare
-
l'eterodosso, molteplici spunti di riflessione teorici e
clinici a chi si
-
interessa del processo psicoterapeutico?
-
Mi pare che nessuno di coloro che finora sono intervenuti
al dibattito sulle
-
terapie brevi sia entrato in merito alle metodiche e agli
specifici elementi
-
costitutivi di tali tecniche. Ho letto affermazioni quali
"concetti chiavi
-
che non stanno in piedi", "criteri che sono sbagliati", "Davanloo
dice un
-
mare di banalità", "le terapie brevi sono delle truffe",
affermazioni che
-
suonano come meri giudizi perentori aprioristici se non vengono
sorrette da
-
adeguate argomentazioni. Vorrei capire meglio...
-
-
11 Aprile 1999, Tullio
Carere:
-
Concordo in pieno con il giudizio di Paolo Migone. Le terapie
cosiddette
-
brevi - tutte quelle di cui mi sono occupato, almeno - sono
molto deboli, o
-
del tutto inconsistenti, sul piano teorico. Vedi ad esempio
le "terapie
-
strategiche", di ispirazione watzlawickiana, del gruppo
di Arezzo. Però è
-
vero che "funzionano", almeno nelle mani dei loro inventori
o fautori: come
-
è vero che "funziona" l'ipnosi, soprattutto quando
è praticata da individui
-
molto abili o geniali come Milton Erickson. Il paragone con
l'ipnosi non è
-
casuale. Le terapie brevi o brevissime funzionano tutte -
tutte quelle di
-
cui mi sono occupato - grazie a un fortissimo elemento di
suggestione. Vedi
-
ad esempio Davanloo, che si piazza davanti al paziente avvolto
in un camice
-
bianco, sotto l'occhio di una telecamera e con varie modalità
intimidatorie
-
(per esempio dichiarando subito che se la terapia non funzionerà,
sarà per
-
responsabilità del paziente - grazie a Bruno Spinetoli
per la sua recensione).
-
Non importa affatto, quindi, se la teoria è debole
o debolissima: la teoria
-
infatti conta poco o nulla. L'unica cosa che conta veramente
è la capacità
-
di manipolazione del "terapeuta". La sfida posta da questo
tipo di
-
"terapeuti" è comunque intrigante: se grazie a manipolazioni
di vario
-
genere ed entità si ottiene una modificazione del
modo in cui il soggetto
-
"costruisce" la propria esperienza, e grazie a questa
-
decostruzione/ricostruzione il soggetto sta meglio, e sta
meglio in fretta,
-
più in fretta di quanto sia possibile con un processo
basato sulla
-
consapevolezza e la crescita personale, perché no?
Secondo i costruttivisti
-
radicali (dichiarati o mascherati) la verità, la consapevolezza,
la crescita
-
sono cose che non esistono. Esistono solo descrizioni (narrazioni,
costruzioni)
-
che funzionano o non funzionano. Da questo punto di vista,
l'ipnoterapia
-
è la terapia perfetta. Ed è brevissima: può
durare anche una sola seduta.
-
-
12 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Caro Tullio, non solo può essere brevissima la terapia,
può essere
-
brevissima anche la permanenza del cambiamento ottenuto.
-
Il punto mi sembra questo: nessuno mette mai in discussione
che si possa
-
cambiare la gente con la psicoterapia. Questa situazione
fu proprio quella cui
-
si trovò di fronte Freud, prima di "inventare" la
psicoanalisi. Lui, che era
-
un ipnotista, voleva solo vedere se si riusciva ad ottenere
cambiamenti più
-
stabili, attraverso operazioni cliniche diverse, che agissero
sulla psiche
-
operando un diverso tipo di ristrutturazione psichica che
non fosse quella
-
dell'ipnosi o della suggestione. Sicuramente molti diranno
che la
-
suggestione avviene comunque, o che "tutto è suggestione",
ma a mio parere
-
solo il fatto di porre questo problema (se "è suggestione
o no") ci pone ad
-
un livello "meta", quindi più sofisticato, al limite
di "quale tipo di
-
suggestione è più suggestione dell'altra".
-
-
11 Aprile 1999, Gaetano
Giordano:
-
Paolo Migone ha scritto:
-
>Vorrei cogliere questa occasione per accennare brevemente
a come la penso
-
>sul tema delle cosiddette psicoterapie brevi ad orientamento
psicoanalitico
-
>(o "intensive dinamiche brevi"), come quella di Davanloo. (...)
-
>Ho analizzato uno per uno tutti i concetti chiave della teoria di
Davanloo,
-
>e non
ne ho trovato uno che restasse in piedi, tranne quello di brevità,
-
>che appunto è una tautologia, per cui non vi è nulla.
-
-
In che senso "non restavano in piedi"? Potresti (ho letto
il resoconto di
-
Spinetoli sul Convegno 1997) essere più chiaro sulla
tua analisi in proposito?
-
Poi dici:
-
>Ritengo che le psicoterapie dinamiche brevi possano essere
utilizzate, a
-
>patto che si sappia cosa si intenda con esse e che si abbia
chiarezza sui
-
>criteri con cui vengono praticate, criteri che, nella concezione
di
-
>Davanloo, sono sbagliati.
-
-
Perché sono sbagliati? Poi continui:
-
>A mio parere le psicoterapie dinamiche brevi sono
-
>essenzialmente un prodotto che deve essere venduto nel mercato
della
-
>salute mentale, perché fa comodo a molte amministrazioni
pubbliche e
-
>private (AUSL, agenzie assicurative in USA, ecc.), al "transfert"
di molti
-
>pazienti (che vengono inconsciamente rassicurati che...
"non cambieranno"),
-
>e al "controtransfert" di molti terapeuti (li rassicura
sul fatto che può non
-
>essere difficile curare le persone, a volte li aiuta a colludere
con certi
-
>pazienti, ecc.). La sociologia della nostra professione
è molto ricca di
-
>esempi dome questo.
-
-
Un'obiezione: questi fraintendimenti sono interni alle teorie
o alle persone
-
(o ai rapporti terapeutici), nella tua opinione ?
-
-
12 Aprile 1999, Sandro
Rosseti:
-
Non credevo che l'annuncio del seminario suscitasse un così
ampio
-
dibattito. Ha aperto una discussione che credo possa essere
-
(al di là delle opinioni di ciascuno) altro che utile
per la lista
-
(a proposito, anche questo messaggio è cross-posted
su PM-PT e
-
PM-SMC, visto che alcune delle risposte sono su quest'ultima
lista, ma
-
concordo con Migone e Giordano sull'opportunità di
proseguire - se
-
vorrete - la discussione solo su PM-PT, per evitare
duplicati o incompletezza
-
della thread). Cercherò di seguire quanto richiesto
da Giordano, delineando,
-
in breve, alcuni aspetti della Tecnica al suo stato attuale,
con la speranza
-
in tal modo di chiarire alcuni dei punti emersi nelle risposte
sino a qui giunte.
-
Vorrei ringraziare anzitutto Paolo Migone, il quale riporta
la sua
-
esperienza a Montreal agli inizi degli anni '80.
-
Ha colto, credo, l'aspetto fondamentale della Psicoterapia
Intensiva
-
Dinamica Breve (Intensive Short-Term Dynamic Psychotherapy):
quello
-
clinico. Questa è infatti una tecnica che si é
sviluppata secondo il
-
metodo scientifico fondato sulla continua verifica dei risultati,
per
-
finalità cliniche. L'inconscio è un sistema
psicobiologico il cui
-
funzionamento è organizzato in modo molto preciso
tanto da fornire
-
risposte specifiche a stimoli specifici. Come sempre nei
sistemi biologici
-
la riproducibilità è la base della verifica
di validazione e sviluppo di
-
una teoria: da questo punto di vista l'uso della (video)registrazione
della
-
terapia è stato lo strumento rivoluzionario per lo
sviluppo della ricerca
-
clinica in psicoterapia - vedi anche la scuola di Palo Alto
per le terapie
-
sistemiche, le ricerche di Thomae e Kaechele per la psicoanalisi.
-
Chiunque utilizzi questa tecnica verifica la possibilità,
pur nella
-
varietà delle organizzazioni inconsce, di riprodurre,
riconoscere ed utilizzare
-
clinicamente i segnali del funzionamento dinamico dell'inconscio.
I
-
parametri che il terapeuta deve seguire per arrivare all'apertura
-
dell'inconscio sono le caratteristiche di scarica e i livelli
dell'Ansia
-
Inconscia (attraverso cioè la muscolatura somatica,
la muscolatura liscia,
-
o il sistema cognitivo), l'attività dell'Alleanza
Terapeutica e della
-
Resistenza nel Transfert. L'ansia inconscia è il parametro
che meglio
-
orienta il clinico, fornendo preziose e continue informazioni
sulla
-
mobilizzazione della Organizzazione Primitiva Inconscia.
La IS-TDP é
-
quindi una tecnica che mira a mobilizzare la Alleanza Terapeutica
Inconscia
-
(UTA, Unconscious Therapeutic Alliance) contro la
Resistenza
-
al fine di sperimentare direttamente gli impulsi inconsci
-
(la rabbia primitiva ed il dolore della colpa) nel Transfert
e, in tal modo,
-
permette la comprensione (anche nella loro valenza autosabotante)
da parte
-
del paziente delle forze dinamiche che concorrono
a mantenerli
inconsapevoli.
-
La UTA inoltre permette che la PMR, sperimentata inizialmente
nel Transert,
-
sia successivamente vissuta nella sua realtà originaria
nel corso dello
-
sviluppo della nevrosi, verso un genitore o verso altre figure
importanti
-
dell'infanzia. Questo permette l'esperienza dolorosissima
della colpa che ha
-
un ruolo fondamentale nel sostenere la psicopatologia sia
di tratto che di stato.
-
La ricerca nella IS-TDP é in continuo sviluppo. Dagli
anni '80, cioè il
-
periodo a cui si riferiscono l'esperienza e gli studi di
Migone, la tecnica
-
si é modificata per la cura di pazienti fragili (nei
quali il pattern di
-
scarica dell'ansia inconscia coinvolge in maniera prevalente
od esclusiva il
-
sistema cognitivo), psicosomatici e depressi. Questi grandi
gruppi
-
richiedono interventi a livelli inconsci molto più
profondi dei nevrotici e
-
una analisi del Transfert e una integrazione cognitiva molto
più dettagliata.
-
Questo dal punto di vista tecnico ha portato allo sviluppo
della Tecnica
-
Psicoanalitica di Davanloo, ancora meno conosciuta in Italia,
e dal punto di
-
vista metapsicologico ha fornito informazioni molto più
precise ed
-
organiche, oltre che estremamente affascinanti, sul funzionamento
dell'inconscio.
-
Per altre notizie rimando al libro di Davanloo Il terapeuta
instancabile,
-
edito per FrancoAngeli, 1998. Lavori di Davanloo più
recenti sono
-
reperibili sull'International Journal of Short-Term Dynamic
-
Psychotherapy, pubblicato da Wiley (Vol. 10, 121-230,
1995; Vol. 11,
-
129-152, 1996): in questi testi molto materiale clinico viene
presentato e
-
discusso, al pari di quanto viene fatto nelle presentazioni
audiovisive.
-
Riguardo poi alla posizione, espressa da Tullio Carere, di
essere una
-
terapia suggestiva, si è recentemente occupata in
modo specifico di questo
-
aspetto la Dr.ssa Therese Augsburger sull'International
Journal of
-
Short-Term Dynamic Psychotherapy (Specificity of technical
interventions
-
in Davanloo's Intensive Short-term Dynamic Psychotherapy,
Part I-II-III,
-
Vol 12, 231-291, 1998); anche in questi articoli, come è
d'uso nella Rivista,
-
vengono riportati brani estesi di una prima intervista, attraverso
i quali
-
l'Autore mostra come solo la corretta valutazione dei parametri
anzidetti
-
permetta di applicare interventi tecnici corretti, nel senso
del permettere
-
l'accesso al materiale inconscio; quando ciò non avviene
(e nell'articolo sono
-
riportati, proprio a tale scopo, interventi errati del terapeuta
nel corso della
-
seduta, e la loro correzione), si ottiene solo un incremento
improduttivo della
-
Resistenza, e la terapia ristagna. In tal senso l'Autore
mostra come
-
l'inconscio non sia una struttura manipolabile, ma richieda
interventi
-
tecnici specifici.
-
Spero di aver contribuito a fare almeno una iniziale chiarezza
su questa
-
tecnica. Sono, naturalmente, a disposizione.
-
-
12 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Ringrazio Rosseti per la dettagliata descrizione della tecnica
di Davanloo.
-
Ritengo che non vi siano dubbi sulla abilità tecnica
di Davanloo, e sul su
-
acume clinico in determinati casi. Mi ricordo che imparai
molto da lui per
-
esempio nella tecnica di elaboarzione del lutto, per il suo
stile confrontativo.
-
Consiglierei a chiunque di seguire i suoi seminari e di vedere
i suoi videotapes.
-
Il mio punto è che qui non si tratta di terapie brevi,
ma questa tecnica,
-
giusta o sbagliata che sia, vorrebbe essere la tecnica di
una psicoterapia
-
ben condotta, che mira ad aiutare il paziente nel più
breve tempo possibile.
-
Non ha senso fare terapie lunghe se si possono fare corte,
quindi mi sembra
-
che tutta la questione decada, nel senso che rimane solo
la questione della
-
terapia migliore per ogni paziente.
-
-
13 aprile 1999, Paolo
Migone:
-
L'11/04/99, Gaetano Giordano ha scritto:
-
>In che senso [i concetti chiave della teoria di Davanloo]
"non restavano in
-
>piedi"? Potresti (ho letto il resoconto di Spinetoli sul
Convegno 1997)
-
>essere più chiaro sulla tua analisi in proposito?
-
-
I concetti chiave che ho analizzato sono quelli di "attività",
che in
-
terapia breve dovrebbe essere aumentata (non ha senso perché
siamo tutti
-
attivi, non si tratta di una questione comportamentale, ma
dei significati
-
di comportamenti, non esiste un "intervento passivo"), di
"focalità" (questo
-
avrebbe più senso, perché con meno tempo si
analizzano meno cose, ma
-
non esiste una analisi "totale", e si è sempre più
o meno focali, vedi ad
-
esempio la "terapia a focus variabile" con cui Thomä
& Kächele
-
definiscono la psicoanalisi stessa - vedi il cap. 9.4, pag.
445, del loro
-
Trattato di terapia psicoanalitica. 1: Fondamenti teorici [1985].
-
Torino: Bollati Boringhieri, 1990), di "evitamento di una
nevrosi di transfert"
-
(come si fa, se nel contempo si dice che si vuole coinvolgere
profondamente
-
il paziente?), e di setting a durata limitata (il "time-limit
setting", l'unico
-
fattore specifico, che però è una petitio
principii; esso ha vari effetti,
-
ma il punto è perché lo si usa).
-
Inoltre chiede Giordano:
-
>Un'obiezione: questi fraintendimenti sono interni alle teorie
o alle
-
>persone (o ai rapporti terapeutici), nella tua opinione?
-
-
Sono fraintendimenti teorici; naturalmente possono fare leva
anche su
-
aspetti caratterologici delle persone, come in tutte le cose.
-
Caro Giordano, mi rendo conto che il discorso è lungo
e complicato. Forse
-
la cosa migliore è che ti copi alcuni brani tratti
da miei lavori precedenti,
-
ringraziando gli editori per il permesso di citazione
-
("Le differenze tra psicoanalisi e psicoterapia breve ad
orientamento
-
psicoanalitico", in: Terapia
psicoanalitica, Franco Angeli, 1995, cap. 3;
-
"Le terapie brevi non esistono", in: Carla Giovannoli Vercellino,
a cura di,
-
Le psicoterapie "brevi" ad indirizzo psicodinamico: storia
e attualità.
-
Padova: Imprimitur, 1997, pp. 19-45. Per i riferimenti bibliografici,
-
rimando alla bibliografia al termine del libro Terapia
psicoanalitica):
-
-
"Molti si chiederanno come mai ho scelto il titolo 'Le terapie
brevi non
-
esistono'. Questo non vuole essere solo un titolo provocatorio,
ma esprimere
-
un importante concetto che intendo spiegare nel modo più
chiaro possibile.
-
Quando si discute delle terapie brevi, in genere quello a
cui si vuole
-
alludere è una teoria che ci permetta di accorciare
la durata delle terapie
-
ottenendo risultati simili alle terapie "lunghe": è
questa teoria che io
-
ritengo non esista. Non esiste cioè una teoria autonoma
dalla "teoria
-
generale" della psicoterapia, lunga o breve che sia. Infatti,
se è per
-
questo, ritengo che non esistano neanche le "terapie lunghe".
Esiste la
-
terapia e basta, la cui tecnica dipende da una determinata
teoria, teoria
-
che per esempio potrebbe portarci a ritenere che in un determinato
-
trattamento una interruzione anticipata potrebbe essere "terapeutica",
cioè
-
mutativa in senso lato, mentre in un altro potrebbe indurci
a ritenere il
-
contrario, cioè che solo la nostra insistenza nel
prolungare la terapia
-
sarebbe l'intervento più utile dell'intero trattamento.
Una terapia breve o
-
una terapia lunga possono essere entrambe terapeutiche o
contro-terapeutiche
-
a seconda dei significati che assume la fine della terapia,
cioè la
-
elaborazione di quella che viene chiamata termination.
Non sapere elaborare
-
i significati della termination non implica solo fare
errori tecnici nella
-
conduzione della stessa terapia breve che si vuole fare,
ma potenzialmente
-
anche non capire il significato di tutte le altre variabili,
ad esempio
-
dell'eventuale uso delle cosiddette associazioni libere,
dell'uso o non uso
-
del lettino, o di qualunque intervento all'interno del setting
in terapie
-
sia brevi che lunghe. Significa non capire il motivo per
cui una determinata
-
regola è stata proposta nel corso della storia della
teoria della tecnica:
-
una confusione quindi non da poco.
-
Molti penseranno che tutto ciò è scontato,
e che ogni analista sa benissimo
-
che un determinato comportamento in analisi non ha valore
in quanto tale
-
(come secondo un approccio "comportamentistico"), ma acquista
significato
-
secondo la costellazione transferale. Eppure sono convinto
che in una certa
-
tradizione - che qui per brevità chiamerò ortodossa
- questo non è così
-
scontato: basti pensare a alcune inveterate discussioni sulla
importanza del
-
lettino, o della alta frequenza settimanale, o del silenzio
analitico, e
-
così via, dove questi elementi del setting vengono
trattati come dotati di
-
un significato proprio e quindi prescritti per tutti i pazienti
"in
-
analisi", tanto da identificare la psicoanalisi proprio con
questi elementi
-
"estrinseci" (altrove [nel cap. 3 del libro Terapia
psicoanalitica, Franco
-
Angeli, 1995] ho cercato di dimostrare che in realtà
questa operazione, con
-
buona pace di questi analisti "ortodossi", è una operazione
antipsicoanalitica).
-
Molti terapeuti brevi, senza rendersene conto, ragionano
proprio come i
-
terapeuti "ortodossi" che loro stessi criticano. Mentre cercano
di essere
-
innovatori, ricadono nel vecchio modo di ragionare basato
su una certa
-
stereotipia secondo la quale, potremmo dire, la tecnica viene
mostruosamente
-
innalzata al rango di teoria: non vi sono più dei
precisi principi teorici, ma solo
-
delle regole di comportamento da rispettare all'interno di
un setting prestabilito,
-
così come erano state insegnate dai propri supervisori
e analisti didatti, i
-
quali a loro volta le avevano apprese dalla generazione precedente.
Con una
-
differenza però: mentre i maestri hanno insegnato
a fare le terapie lunghe,
-
questi terapeuti le fanno brevi, senza rendersi conto di
ripetere, in modo
-
uguale e contrario, gli stessi errori che credono di voler
correggere.
-
In questo mio intervento entrerò dettagliatamente
nel merito di queste
-
affermazioni e le spiegherò il più chiaramente
possibile, e per fare questo
-
presenterò anche due esempi clinici per essere sicuro
che i miei passaggi
-
teorici vengano compresi nella loro declinazione clinica.
-
Ho incominciato ad interessarmi delle terapie brevi agli
inizi degli anni
-
'80, quando lavoravo negli Stati Uniti e ebbi la opportunità
di vedere da
-
vicino come lavoravano e teorizzavano i principali terapeuti
brevi
-
(soprattutto Malan, Sifneos, e Davanloo). Scrissi poi una
critica teorica
-
alla terapia breve, che mi fu chiesto di presentare in una
conferenza a New
-
York il 10-10-82, e che fu poi pubblicata su The Psychoanalytic
Review nel
-
1985. Negli anni seguenti mi convinsi sempre di più
delle mie posizioni, che
-
resi ancor più radicali grazie anche alla revisione
teorica della tecnica
-
psicoanalitica e della concezione del transfert compiuta
da Merton Gill
-
(1982, 1983, 1984,
1993, 1994), un autore al quale sono stato molto vicino.
-
Le idee di Gill ebbero in me l'effetto di sentire cose che
mi sembrava di
-
aver sempre pensato ma che per la prima volta vedevo teorizzate
in modo così
-
coerente e lucido. La critica di Gill non riguarda direttamente
le terapie
-
brevi (vedi però la prefazione di Gill al manuale
sulle terapie brevi
-
scritto da Strupp & Binder nel 1984 [Psicoterapie
dinamiche brevi. Bologna:
-
Il Mulino, 1994], che a mio parere sono tra i pochi autori
-
a inquadrare la loro tecnica in una più vasta e coerente
teoria della
-
psicoterapia), ma riguarda la problematica che ne è
a monte, cioè la
-
differenza tra psicoanalisi e psicoterapia: una questione
che ha fatto
-
discutere generazioni di analisti, e che a mio parere si
è aperta fin dal
-
momento in cui si è imposta la Psicologia dell'Io
(con i concetti di difesa,
-
adattamento, sviluppo, ecc., concetti che tendenzialmente
resero
-
sovrapponibili psicoanalisi e psicoterapia [vedi il cap.
4 del mio libro,
-
prima citato, Terapia
psicoanalitica, Franco Angeli, 1995]).
-
In questa sede riprenderò la mia critica teorica,
necessariamente
-
sintetizzandola. Per un approfondimento, rimando al mio libro
Terapia
-
psicoanalitica (1995), dove nel cap. 3 vi è
anche una storia del movimento
-
di terapia breve e una esposizione della tecnica dei principali
terapeuti
-
brevi dell'ultima generazione (Malan, Sifneos, Mann, e Davanloo),
mentre nel
-
cap. 4 vi è una presentazione dettagliata della revisione
teorica compiuta
-
da Gill, che, come ho detto, costituisce un più completo
retroterra teorico
-
delle mie posizioni.
-
-
Terapie brevi o "brevi terapie"? Contraddizioni non risolte
-
Innanzitutto va ricordato che quando si parla di terapie
brevi si
-
sottintende sempre "ad orientamento psicoanalitico", perché
al di fuori
-
della psicoanalisi le terapie in genere sono sempre state
brevi, per cui non
-
si è sviluppato un dibattito attorno alla esigenza
di accorciare la terapia.
-
Da Ferenczi (1920) in poi esistono molti autori che hanno
proposto tecniche
-
per accorciare l'analisi. Da un punto di vista generale si
può dire che le
-
tecniche di terapia breve abbiano in comune due caratteristiche
generali: da
-
una parte quella di far riferimento al modello psicoanalitico,
e dall'altra
-
quella di individuare strategie tecniche per abbreviare la
durata
-
dell'analisi. Ad uno sguardo più attento però
ci accorgiamo che dietro a
-
questa semplice formulazione si nascondono varie contraddizioni
che vanno
chiarite.
-
Ad esempio potremmo chiederci: la terapia breve va concepita
come una
-
soluzione di ripiego, con la quale cioè si ottengono
risultati minori
-
rispetto alla psicoanalisi a lungo termine, oppure essa è
la tecnica più
-
indicata per un certo tipo di pazienti? E in quest'ultimo
caso, se è vero -
-
come affermano i principali terapeuti brevi tra cui Sifneos
- che è indicata
-
per quel tipo di pazienti definiti "classici nevrotici" (cioè
con un
-
conflitto circoscritto, discreta "forza dell'Io", motivazione,
ecc.), non
-
sono forse questi stessi pazienti quelli che da sempre sono
considerati i
-
candidati alla psicoanalisi classica? Inoltre, se è
possibile accorciare la
-
durata del trattamento riuscendo ugualmente ad ottenere risultati
-
soddisfacenti e stabili, con quale giustificazione etica
possiamo chiedere
-
un così alto investimento di tempo e denaro per la
psicoanalisi tradizionale?
-
In effetti, come ha giustamente osservato Malan (1976), all'interno
del
-
variegato movimento di terapia breve esistono due tendenze,
quella dei
-
"conservatori" e quella dei "radicali". Ciò rivela
innanzitutto che questo
-
movimento non ha una precisa identità teorica. Ma
vediamo brevemente in che
-
cosa consistono queste due anime presenti nel movimento di
psicoterapia breve.
-
Secondo il punto di vista dei "conservatori", la psicoterapia
breve sarebbe
-
una tecnica di efficacia più limitata rispetto alla
psicoanalisi, indicata
-
per certi pazienti e in determinate situazioni cliniche o
istituzionali in
-
cui non è possibile fare una psicoanalisi a lungo
termine a causa di fattori
-
"esterni", quali le situazioni di emergenza o comunque quando
non vi è
-
sufficiente tempo a disposizione, quando il paziente non
ha disponibilità
-
economiche tali da permettersi di pagare un alto numero di
sedute, oppure
-
quando si lavora in un setting di ricerca sulle terapie brevi,
e così via.
-
In certi casi, sempre secondo il punto di vista dei "conservatori",
si
-
ricorre all'uso del time-limit setting, cioè
si stabilisce in anticipo un
-
limite alla durata della terapia, quando il terapeuta ritiene
che il
-
paziente non possa tollerare una analisi prolungata, in quanto
ad esempio
-
potrebbe non controllare il suo bisogno di dipendenza dal
terapeuta o
-
regredire eccessivamente, o per altri motivi che comunque
dipendono dal
-
livello di patologia del paziente. In tutti questi casi si
modifica la
-
tecnica classica ricorrendo a un cosiddetto "parametro",
termine coniato da
-
Eissler in un importante lavoro del 1953 in cui viene giustificata
-
l'introduzione di modificazioni al modello della tecnica
psicoanalitica di
-
base per motivi che dipendono dalla struttura dell'Io del
paziente1.
-
In conclusione, non vi è nulla da eccepire riguardo
alla posizione dei
-
"conservatori", e ogni contraddizione verrebbe risolta: ci
troveremmo
-
semplicemente di fronte a una psicoanalisi modificata, cioè
a una
-
applicazione dei principi psicoanalitici a situazioni diverse
da quelle
-
tradizionali, con i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano.
-
Le cose sono molto diverse se consideriamo il punto di vista
dei "radicali".
-
Essi considerano la terapia dinamica breve come una vera
e propria terapia
-
che mira ad ottenere dei cambiamenti strutturali nel paziente,
e che è
-
applicabile a una vasta gamma diagnostica che comprende anche
quella per la
-
quale è indicata la psicoanalisi. Un tipico esempio
di questa tendenza è
-
rappresentato da Davanloo (1980), ma a ben vedere la tendenza
radicale
-
serpeggia anche negli altri autori, in quanto sembra che
mirino a
-
individuare una diversa teoria della tecnica che permetta
di accorciare la
-
durata del trattamento. A questo riguardo si può citare
una provocatoria
-
affermazione di Malan a proposito della tecnica di terapia
breve di Davanloo:
-
Essa è il più importante sviluppo in psicoterapia
dopo la scoperta
-
dell'inconscio... Freud ha scoperto l'inconscio, Davanloo
ha scoperto come
-
usarlo terapeuticamente. (Malan, 1980, p. 23).
-
Sembra quindi che il movimento di terapia breve ponga una
sfida alla
-
psicoanalisi classica, mettendo in dubbio la necessità
di un trattamento
-
prolungato, e sollevando quindi delle critiche a livello
di teoria della
-
tecnica. Dal punto di vista teorico, questa tendenza radicale
è l'aspetto
-
più interessante del dibattito sulla psicoterapia
analitica breve. Ma va
-
ricordato questa problematica non è originale né
propria del dibattito sulle
-
terapie brevi, perché è stata sempre presente
nella storia della
-
psicoanalisi, dove non a caso Ferenczi (1920), con il concetto
di "tecnica attiva",
-
e Alexander
(1946), con il concetto di "esperienza emozionale correttiva"
-
(Psicoterapia
e Scienze Umane, 1993, XXVII, 2: 85-101),
furono
-
considerati dei "radicali" o dei dissidenti dall'ortodossia
psicoanalitica.
-
La problematica teorica delle terapie brevi quindi non è
originale, ma fa
-
parte del dibattito storico sulla teoria della tecnica, e
sconfina in temi
-
più generali che riguardano, da un lato, l'identità
della psicoanalisi nei
-
confronti della cosiddetta "psicoterapia psicoanalitica",
e, dall'altro,
-
l'annoso problema della teoria dei fattori curativi (per
un approfondimento
-
rimando, rispettivamente, ai capitoli 4 e 6 del mio libro
Terapia
-
psicoanalitica [1995] prima citato).
-
Quello che intendo fare qui è discutere alcuni aspetti
caratterizzanti la
-
tendenza radicale della psicoterapia breve: come si vedrà,
ne mostrerò, uno
-
per uno, la inconsistenza teorica.
-
-
La inconsistenza teorica della terapia breve
-
Considererò solamente i seguenti quattro aspetti caratterizzanti
la tecnica
-
della terapia dinamica breve: 1) la tecnica "attiva"; 2)
la focalità; 3)
-
l'evitamento della nevrosi di traslazione e di altri fenomeni
regressivi; 4)
-
il time-limit setting (cioè la decisione presa
a priori, come regola del
-
setting, di fissare una data per la fine della terapia).
Questi quattro
-
aspetti sono separati tra loro un po' artificiosamente, in
quanto, come si
-
vedrà, vi sono varie interdipendenze (per la discussione
di un quinto
-
fattore spesso presente nelle terapie brevi, che consiste
nell'uso
-
sistematico del videotape a scopo di ricerca, vedi Migone,
1982, pp. 76-77).
-
.... (omissis)
-
-
4. Il "time-limit setting"
-
La decisione presa a priori, come regola di base, di stabilire
una data per
-
la fine della terapia è sicuramente un fattore comune
a tutte le terapie
-
brevi. Anzi, alla luce della discussione fatta prima sugli
altri tre
-
fattori, si può dire che il time-limit setting
sia l'unico fattore specifico
-
delle terapie brevi; questa affermazione, dato che non è
altro che una
-
tautologia, ribadisce il fatto che le terapie brevi non hanno
una differenza
-
teorica qualitativa rispetto alla psicoanalisi (e quindi
che esse "non
-
esistono"). E' scontato che la durata deve essere stabilita
prima
-
dell'inizio della terapia, non durante il suo decorso, altrimenti
la terapia
-
breve diventerebbe semplicemente una "breve terapia".
-
Gli effetti del time-limit setting sono stati discussi
da vari autori (Mann,
-
1973; Schafer, 1973; ecc.). Esso può aiutare a far
emergere fin dall'inizio
-
della terapia le dinamiche di separazione e di perdita. Secondo
Marmor
-
(1979, p. 153), rinforza l'indipendenza e l'autostima del
paziente,
-
trasmettendogli un messaggio di speranza e di guarigione
possibile (ma -
-
potremmo chiederci - perché mai dovremmo a tutti i
costi trasmettergli
-
questa speranza? Abbiamo forse pura che non sappia vedere
e analizzare il
-
suo pessimismo?). Vi è anche chi afferma che il time-limit
setting può
-
aiutare a superare le resistenze, sia del paziente che del
terapeuta, a
-
lavorare analiticamente, a non "sprecare sedute", ricordando,
come elemento
-
di realtà, che l'analisi ha un termine. In altre parole,
il time-limit
-
setting può far diminuire il rischio che la
terapia diventi una tranquilla e
-
interminabile analisi, che forse non è altro che il
risultato della
-
resistenza del paziente in collusione con problemi controtransferali
-
dell'analista (la comune fantasia di trovare un paziente
ricco come "buon
-
investimento economico" esprime bene la razionalizzazione
di alcuni di
-
questi problemi controtransferali - inutile far notare quanto
sia
-
"antipsicoanalitico" illudersi di risolvere questo controtransfert
-
impedendone la comparsa anziché interpretandolo).
-
Queste considerazioni, se generalizzate, portano ad errori
tecnici, sia
-
perché si basano sull'assunto che esistano solo questi
tipi di resistenze
-
transferali e non altre (ad esempio di tipo opposto, come
la paura della
-
terapia lunga e il conseguente desiderio di accorciarla),
sia perché, come
-
si è detto, questo utilizzo del time-limit setting
rischia di aggirare una
-
resistenza senza analizzarla. Non viene cioè esplorato
a sufficienza perché
-
mai vi dovrebbe essere una tendenza a "sprecare sedute",
quasi come se
-
essa fosse "normale", o inanalizzabile, o una "pulsione"
che andrebbe solo
-
controllata da un intervento educativo del terapeuta che
autoritariamente
-
pone un limite alle sedute. Si rischia anche di concepire
la resistenza in
-
senso moralistico, come se essa non dovesse essere compresa
ma eliminata
-
in quanto tale. Inoltre in una terapia breve certe fantasie
narcisistiche (come
-
quella di essere in eterna fusione col terapeuta e così
via) rischiano di
-
non venire alla luce, sfuggendo al lavoro analitico e all'interpretazione.
-
Il setting di terapia breve insomma potrebbe favorire la
resistenza in certi
-
pazienti, offrendo loro una scusa per "fuggire impunemente",
se così si può
-
dire (si ricordino le considerazioni di Eissler, citate prima,
sul
-
"sequestro di materiale analitico"). Non a caso alcuni terapeuti
brevi
-
sottolineano l'importanza di una "alta motivazione" (Sifneos,
1980) come uno
-
dei criteri di selezione dei pazienti: ciò fa venire
il sospetto che questi
-
terapeuti brevi abbiano la implicita consapevolezza che i
pazienti che
-
preferiscono la terapia breve rischiano di essere proprio
quelli che hanno
-
determinate paure ad intraprendere una terapia a lungo termine,
cioè che
-
sono "poco motivati" ad analizzare i conflitti legati alla
paura dei
-
significati da loro attribuiti alla analisi a lungo termine.
Ma, come ho
-
detto prima, aggirare queste resistenze è cosa ben
diversa dall'analizzarle,
-
ed eliminare i pazienti con poca motivazione non significa
certo curarli.
-
Ma per tornare alla nostra discussione teorica, la domanda
che dobbiamo
-
porci è la seguente: il time-limit setting
è l'unico fattore caratterizzante
-
la terapia breve, o esiste anche una tecnica specifica? Infatti,
allo scopo
-
di isolare un fattore dall'altro, possiamo chiederci: se
esiste una tecnica
-
specifica di terapia breve che porta a risultati soddisfacenti
nel breve
-
periodo, perché dobbiamo stabilire a priori la data
del termine, e non
-
semplicemente terminare la terapia quando si ottengono dei
risultati così
-
come si fa in psicoanalisi e nelle altre terapie? Se poi
questi pazienti
-
sono anche dotati di una "alta motivazione", tanto meglio,
e a maggior
-
ragione potremmo aspettarci che essi elaborino i propri problemi
e finiscano
-
la terapia nel breve periodo, senza la necessità che
noi imponiamo loro di
-
aderire a un contratto di terapia breve.
-
In altre parole, la domanda che dobbiamo porci è perché
si decide di fare
-
una terapia breve, cioè secondo quale teoria della
tecnica si decide di
-
introdurre il time-limit setting: se per motivi "esterni"
(mancanza di tempo
-
o di denaro, decisione presa a priori perché si lavora
in un progetto di
-
ricerca sulle terapie brevi, ecc.), e nel qual caso si rientrerebbe
nella
-
posizione conservatrice e non vi sarebbe nulla da eccepire;
oppure per
-
motivi "interni" a una precisa teoria della tecnica. Sembra
questo il caso,
-
secondo i terapeuti brevi radicali: si assume che il paziente,
avendo già
-
fin dall'inizio la consapevolezza che la terapia ha una durata
limitata,
-
mobilizzi più in fretta determinati contenuti e superi
certe resistenze.
-
L'ipotesi è che il time-limit setting abbia
un effetto "terapeutico" sul
-
paziente (e forse anche sul terapeuta).
-
Ebbene, se questo è il caso, bisogna osservare che
la cosa è nota da sempre
-
agli psicoanalisti; basti ricordare l'Uomo dei lupi, dove
Freud (1914) usò
-
questo parametro per mobilizzare i conflitti inconsci del
paziente. Come si
-
è già detto, Eissler (1953) ha teorizzato la
legittimità dell'introduzione
-
di modificazioni alla tecnica di base, da lui definiti "parametri",
nel caso
-
la struttura dell'Io del paziente presenti determinati deficit
che non
-
rendono possibile l'impiego della tecnica standard. Ma secondo
Eissler per
-
fare un appropriato lavoro analitico il parametro deve essere
interpretato
-
ed eliminato prima della fine della terapia, non introdotto
a priori come
-
componente fissa del setting così come avviene nelle
terapie brevi. Quindi
-
considerare il time-limit setting come "terapeutico"
implicherebbe assumere
-
che i pazienti candidati alla terapia breve siano tutti inanalizzabili
per quanto
-
riguarda questo specifico problema: essi cioè svilupperebbero
sempre
-
una eccessiva dipendenza dal terapeuta e altri fenomeni regressivi
che
-
impedirebbero di terminare la terapia in un tempo ragionevole.
-
A riprova di una possibile funzione "difensiva" della terapia
breve, ho
-
notato, nella mia pratica professionale, che i pazienti che
si presentano
-
con una richiesta esplicita (e a volte pressante) di terapia
breve spesso
-
sono proprio quelli che poi entrano in una analisi interminabile
o fanno
-
fatica a terminare la terapia; quelli invece che senza timore
chiedono
-
semplicemente una analisi o esprimono una richiesta di approfondimento
e
-
di conoscenza di sé, generalmente terminano in un
tempo ragionevole senza
-
eccessivi problemi. Possiamo cioè ipotizzare che certi
pazienti chiedano una
-
terapia breve (con varie razionalizzazioni, come mancanza
di tempo, di
-
denaro, sfiducia nella psicoanalisi "freudiana", ecc.) perché
inconsciamente
-
vogliono difendersi dalla paura di legarsi troppo al terapeuta,
col quale
-
entrerebbero in una viva conflittualità attorno a
problemi di dipendenza.
-
Sta al terapeuta esperto, sempre che voglia lavorare attorno
a questi nuclei
-
conflittuali, non cadere nella trappola tesagli da questi
pazienti, a meno
-
che l'offerta di una terapia breve venga fatta come estremo
rimedio per
-
coinvolgere il paziente in terapia (per "sedurlo"), e quindi
come vero e
-
proprio "parametro" secondo Eissler, parametro che poi nel
corso delle
-
successive sedute viene elaborato ed eventualmente eliminato
tornando a
-
un setting senza limite di tempo prestabilito. Considerazioni
simili sulla
-
possibile funzione difensiva della terapia breve da parte
del paziente
-
possono essere fatte a proposito del terapeuta, che può
preferire le terapie
-
brevi a scopo difensivo, temendo di non saper gestire un
eccessivo
-
coinvolgimento coi pazienti (le scelte teoriche e tecniche
dei terapeuti
-
sono sempre condizionate da precise fantasie inconsce; si
veda a questo
-
proposito l'interessante articolo di Arlow [1981] sulle "teorie
della
-
patogenesi").
-
La psicoterapia breve avrebbe dunque una efficacia limitata,
essendo
-
indicata solo per quei pazienti che si suppone abbiano un
conflitto "non
-
analizzabile" riguardante la dipendenza o l'attaccamento,
per cui si decide
-
a priori di non elaborare questo problema in terapia (la
terapia breve
-
sarebbe dunque, per così dire, una "non terapia").
E' comunque difficile per
-
un terapeuta, anche molto preparato, fare tale diagnosi all'inizio
del
-
trattamento, ma anche ammettendo che ciò sia possibile,
rientreremmo
-
comunque nella posizione conservatrice: i pazienti per i
quali la
-
conflittualità è legata alla dipendenza e ad
un rapporto a lungo termine
-
(paura e desiderio di un rapporto di accettazione "incondizionato",
di una
-
terapia lunga come una delle prove per sentirsi "amati" e
non rifiutati, e
-
così via), troverebbero nell'offerta di terapia breve
una buona conferma
-
delle proprie credenze patogene inconsce. In questo senso,
estremizzando,
-
potremmo dire che questi pazienti chiedono una terapia breve
"per non
-
cambiare", e che i terapeuti brevi li accettano in terapia
"per non
-
cambiarli", o "per rassicurarli che non cambieranno".
-
In conclusione, si può dire che il time-limit setting,
che è l'aspetto
-
maggiormente caratterizzante le terapie brevi, è proprio
l'elemento che
-
rivela la debolezza teorica della tendenza radicale.
-
Infine, giova ricordare che anche in psicoanalisi si prevede
un periodo per
-
così dire di "terapia breve", e precisamente quella
fase finale dell'analisi
-
detta termination. Questa fase, che dura alcuni mesi
e che è considerata
-
una delle fasi più importanti dell'analisi, inizia
quando paziente e analista si
-
accordano su una data in cui terminare le sedute. In questa
tanto delicata
-
quanto importante fase della terapia si sottopone il paziente
alla
-
consapevolezza della data del termine, onde osservare configurazioni
emotive
-
e movimenti transferali nuovi in genere legati al tema della
separazione e
-
alla capacità del paziente di interiorizzare i risultati
raggiunti, proprio
-
come accade in terapia breve. Quindi la psicoanalisi, che
inizia open ended,
-
cioè senza fissare una data per la fine della terapia
(esponendo così il
-
paziente ad una esperienza di accettazione "illimitata" per
analizzarne le
-
reazioni transferali), con la inevitabile fase di termination
si trasforma
-
in una "terapia breve" (esponendo il paziente anche allo
stimolo opposto,
-
quello della fine del rapporto, affinché sia appropriatamente
analizzato).
-
-
L'elaborazione della fine della terapia come intervento
terapeutico:
-
due esempi clinici uguali e opposti
-
Per approfondire meglio questa discussione teorica sulle
complesse
-
implicazioni della termination, e per dare una idea
più chiara sui vantaggi
-
di un approccio che non prevede il time-limit setting
come regola di base
-
della tecnica, farò due esempi clinici in cui vengono
descritte due
-
situazioni opposte caratterizzate però dalla stessa
problematica teorica:
-
una situazione in cui un contratto di terapia breve permise
un importante
-
cambiamento terapeutico, e una situazione invece in cui fu
proprio la ferma
-
opposizione del terapeuta alla intenzione della paziente
di terminare la
-
terapia il decisivo punto di svolta nel senso del miglioramento.
Presento
-
questi due casi clinici anche per cercare di evitare ogni
fraintendimento
-
sulle mie posizioni: con la mia critica alle terapie brevi
non intendo dire
-
che "sono meglio le terapie lunghe", anzi, ragionare in questi
termini
-
vorrebbe dire proprio non aver capito la mia critica teorica
e ripetere gli
-
stessi errori uguali e contrari. Invito il lettore a prestare
attenzione,
-
più che ai dettagli clinici, alle implicazioni teoriche
sottostanti che sono
-
le stesse nei due casi: i significati specifici, consci e
inconsci, dati dal
-
paziente alla esperienza terapeutica nel suo complesso, e
l'importanza per
-
l'analista di saperli interpretare." (ecc.) [questi due casi
clinici sono stati riportati
-
anche nelle rubriche n.
62/1993 e 68/1995
de Il Ruolo Terapeutico]
-
-
13 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Cari Fausto Radaelli e Gaetano Giordano,
-
mi scuso col ritardo (di alcune ore!) con cui ho risposto
alle vostre
-
richieste di chiarimento espresse nelle mail del 12-4-99,
e se alcune
-
espressioni hanno risentito di una certa emotività,
che riconosco che è
-
inutile e controproducente. Evidentemente questo argomento
mi coinvolge
-
un po'. Ho esposto queste posizioni da quasi 20 anni, in
molti contesti, e
-
non ho mai avuto la soddisfazione che qualcuno entrasse nel
merito e me
-
le criticasse. Spero tanto che qualcuno prima o poi mi faccia
questo regalo.
-
-
14 Aprile 1999, Gian
Paolo Scano:
-
Paolo Migone ha scritto:
-
>Quando si discute delle terapie brevi, in genere quello
a cui si vuole
-
>alludere è una teoria che ci permetta di accorciare
la durata delle terapie
-
>ottenendo risultati simili alle terapie "lunghe": è
questa teoria che io
-
>ritengo non esista. Non esiste cioè una teoria autonoma
dalla "teoria
-
>generale" della psicoterapia, lunga o breve che sia. Infatti,
se è per
-
>questo, ritengo che non esistano neanche le "terapie lunghe".
Esiste la
-
>terapia e basta, la cui tecnica dipende da una determinata
teoria, teoria
-
>che per esempio potrebbe portarci a ritenere che in un determinato
-
>trattamento una interruzione anticipata potrebbe essere
"terapeutica", cioè
-
>mutativa in senso lato, mentre in un altro potrebbe indurci
a ritenere il
-
>contrario, cioè che solo la nostra insistenza nel
prolungare la terapia
-
>sarebbe l'intervento più utile dell'intero trattamento. (...)
-
>(Freud) che era un ipnotista, voleva solo vedere se si riusciva
ad
-
>ottenere cambiamenti più stabili, attraverso
-
>operazioni cliniche diverse, che agissero
sulla psiche
-
>operando un diverso tipo di ristrutturazione psichica che
non fosse quella
-
>dell'ipnosi o della suggestione. Sicuramente molti diranno
che la
-
>suggestione avviene comunque, o che "tutto è suggestione",
ma a mio parere
-
>solo il fatto di porre questo problema (se "è suggestione
o no") ci pone ad
-
>un livello "meta", quindi più sofisticato, al limite
di "quale tipo di
-
>suggestione è più suggestione dell'altra".
-
-
Caro Paolo,
ti scrivo in margine alla discussione sulle "terapie brevi"
per
-
proporre
due riflessioni. Dico "in margine" perché sullo specifico
la penso
-
come
te e anch'io tendo a impostare e risolvere il problema in
termini
-
gilliani. Ho riflettuto, però, sulla "forma" del ragionamento
(che,
-
ripeto, è anche mio riguardo a questo e ad altri problemi),
che
-
sintetizzo in questo modo: non esiste una teoria autonoma
della
-
psicoterapia breve, esiste (una teoria che istruisce) una
teoria della
-
tecnica, che istruisce una tecnica, quindi la psicoterapia
breve o è un
-
caso particolare di tale tecnica (il paziente parte per l'Australia
tra
-
quattro mesi; resta lo spazio per una necessaria, ma "breve"
terapia)
-
oppure la tecnica "breve", se valida e validata, sarebbe
alternativa alla
-
tecnica "lunga", che diventerebbe obsoleta a parità
di indicazione. Il
-
ragionamento ha un punto debole nel primo anello e cioè
nella nozione di
-
teoria della tecnica. Se diamo a tale termine un significato
formale siamo
-
nelle peste, perché la teoria della tecnica è
istruita dalla "teoria" e in
-
concreto dalla metapsicologia, se la metaspicologia è
confutata, non
-
possiamo più fare riferimento solido alla teoria della
tecnica, che ha
-
perso il suo fondamento. Di conseguenza Eissler, cui giustamente
fai
-
riferimento, poteva negli anni cinquanta, fare il ragionamento
in modo
-
formale; noi no, perché ci siamo persi lo sgabello
su cui la teoria della
-
tecnica sedeva e non lo abbiamo sostituito con un'altra sedia.
Resta
-
un'alternativa e cioè che assumiamo "teoria della
tecnica" in modo meno
-
preciso e come istruita non da una teoria formale (per esempio
da una
-
formale teoria del cambiamento), ma piuttosto da "generalizzazioni
-
affidabili tratte dall'esercizio secolare della tecnica"
oppure da
-
"spezzoni di teoria non formalizzata" (per esempio istruzioni
ricavate da
-
una "teoria dell'attaccamento"). In questo caso il ragionamento
resta
-
verosimile e affidabile, ma non decisivo.
-
Credo che questa riflessione sia importante non tanto per
quanto riguarda
-
lo specifico problema della terapia breve, ma perché
sono molte le
-
questioni tecniche e cliniche, in cui siamo costretti a utilizzare
questa
-
forma di ragionamento e ciò potrebbe indurci a dare
per scontato,
-
surretiziamente, che esista una vera teoria della tecnica
e che non sia
-
così urgente e primario lavorare per costruirne una.
Credo invece che
-
riguardo all'assenza di teoria dobbiamo comportarci come
i monaci con la
-
morte: "memento mori!" e cioè "ricordati sempre che
la tua borsa teorica si
-
è svuotata e che dunque la teoria della tecnica poggia
quantomeno su uno
-
sgabello a due gambe!"
-
La seconda osservazione riguarda la nozione di suggestione.
Credo di aver
-
compreso quanto vuoi dire e di poterlo condividere; mi chiedo
però se non
-
faremmo bene a evitare il termine di "suggestione", che era
ben definito
-
nel '900, (quando la psicoanalisi si costruì in opposizione),
ma che è meno
-
chiaro (e anzi francamente equivoco), oggi. "Suggestione"
non è, per così
-
dire, un "numero primo" e confonde almeno tre livelli differenti.
Un primo
-
livello rimanda ad azioni o a situazioni intenzionalmente
manipolatorie,
-
che non vengono analizzate e che si pongono come da non analizzare.
-
Secondo la concezione corrente tali tecniche manipolatorie
sono estranee
-
alla terapia psicoanalitica. Potremo fare riferimento ad
esse con il termine di
-
"manipolazione", che è più ampio e più
definibile di quanto non sia
-
"suggestione". Un secondo livello rimanda, invece, a sempre
più evidenti
-
"implicazioni suggestive" proprie di ogni rapporto abbastanza
stretto. Di
-
queste implicazioni parla Gill, che le intende inevitabili
e intrinseche
-
all'interazione terapeutica e oggetto necessario dell'analisi
e
-
dell'interpretazione. Anche Freud considerava inevitabile
e necessaria una
-
"implicazione suggestiva" di questo tipo, nel transfert positivo
e non
-
solo, come sai meglio di me. Su questo livello, grazie al
transfert e al
-
controtransfert, sappiamo, se non abbastanza, almeno quanto
pensiamo basti
-
a farci sentire meno vuota la borsa della teoria della tecnica
rimasta
-
orfana del suo sgabello. Se ne sapessimo di più, forse
potremmo costruire
-
una rinnovata e "formale" teoria della tecnica. C'è
infine un terzo
-
livello, che presumibilmente sta sotto tutti gli altri e
di cui
-
cominciarono ad aver sentore proprio gli ipnotisti del XVIII
secolo, oltre
-
che Freud quando si imbatté nel non gradito "fenomeno"
del transfert.
-
Questo livello di base potrebbe riguardare la struttura,
formazione e
-
funzionamento della "macchina per costruire e decodificare
significati" e
-
se ne sapessimo di più potrebbe essere la base della
teoria formale del
-
cambiamento, che potrebbe istruire una vera teoria della
tecnica. Quando
-
parliamo di suggestione tendiamo a confondere i tre livelli.
Freud, invece,
-
cominciò proprio distinguendo il primo dal secondo
livello. Perché
-
dovremmo tornare indietro? Ti ringrazio per il gran lavoro
che fai.
-
-
14 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Caro Gian Paolo,
tu sollevi due questioni. Nella prima metti in dubbio che
-
esista una
assodata teoria "forte" della tecnica, come ad esempio traspare
dalla
-
teorizzazione di Eissler che io cito. Io sono d'accordo con
te, infatti
-
considero Eissler coerente al suo interno, ma superato per
quanto riguarda
-
alcuni assunti da cui parte. Il punto è che io usavo
Eissler (come peraltro
-
ho usato anche Gill, che è ben diverso da lui) come
esempi di un modo di
-
teorizzare, e non per dire che loro hanno assolutamente ragione
o che esiste
-
oggi una metapsicologia "forte". Come è emerso anche
dal nostro dibattito
su Gill,
-
se scaviamo attorno a Gill scopriamo anche lì dei problemi,
e tu sei
il primo a vederli.
-
Ma il mio discorso era un altro. A me interessavano solo
le terapie brevi, e
-
più precisamente mi interessava dimostrare che qualunque
teoria o
-
metapsicologia noi usiamo (forte, debole, giusta, sbagliata,
ecc.), siamo
-
nelle stesse peste sia che siamo terapeuti brevi che lunghi.
Non solo: sono
-
i terapeuti brevi quelli che per primi vantano una teoria
forte (non
-
dimentichiamo che si è parlato di "nuova metapsicologia
di Davanloo", e sono
-
proprio queste affermazioni, che ho spesso sentito fare dai
terapeuti brevi,
-
quelle che mi hanno reso un po' emotivo). Ed è naturale
che sia così, perché
-
se i terapeuti brevi non avessero questo carattere "forte",
radicale, non
-
avrebbero più quella identità che li caratterizza,
e non vi sarebbe più
-
differenza tra noi, cadrebbe ogni discorso.
-
Come emerge bene anche dalla bella descrizione di Davanloo
che ci ha fatto
-
Sandro Rosseti, emerge una teoria della tecnica (e una metapsicologia)
di
-
tutto rispetto, giusta e sbagliata che sia. Ma appunto per
questo io non ho
-
voluto entrare nel merito di questa teoria, perché
non mi interessava farlo,
-
non era indispensabile per il mio ragionamento. Anzi: più
i terapeuti brevi
-
sono bravi, più hanno una forte teoria alle spalle,
più mi danno ragione,
-
infatti meno si spiega perché devono prefissare un
termine alla terapia (è
-
ovvio che se non prefissassero un termine alla terapia -
unico criterio
-
definitorio delle terapie bervi - loro non farebbero mai
delle terapie
-
brevi, ma delle terapie che finiscono prima per il fatto
che sono bravi, e
-
allora si ricomincia da capo: se sono così bravi,
perché devono vincolare il
-
paziente con un termine prefissato? Se non prefissassero
un termine, non
-
sarebbero più dei terapeuti brevi, sarebbero solo
dei terapeuti bravi, come
-
ciascuno di noi agogna di essere).
-
La seconda questione che sollevi è quella, annosa,
della suggestione. E' un
-
terreno minato, molto complesso, sul quale al momento non
me la sento di
-
intervenire oltre alle cose dette, a mo' di battuta, alla
fine della mia
-
ultima mail. Temo che prima o poi qualcuno (ad esempio Angelozzi,
che ha
-
studiato a fondo l'ipnosi, Milton Erickson, gli stati di
coscienza, ecc.) ci
-
provocherà e ci costringerà ad approfondire
questo tema, ma io per il
-
momento non penso di avere gli strumenti concettuali per
farlo seriamente.
-
Capisco bene comunque le tue perplessità, però
di nuovo, come anche tu dici,
-
questo non centra con le terapie brevi.
-
-
16 Aprile 1999, Gian
Paolo Scano:
-
Caro Paolo,
sull'argomento specifico sono (ed ero) d'accordo. Naturalmente,
-
proponendoti le riflessioni della mia precedente mail, sapevo
di andare
-
"fuori tema" e, anzi, (mi scuserai per questo), lo facevo
in modo un pò
-
malandrino, tentando in prima persona la provocazione che
"temevi" da
-
Angelozzi. Anch' io mi aspettavo, che egli riprendesse il
tema che aveva
-
introdotto in una mail di un mesetto fa, che trovai molto
bella,
-
interessante e, dal mio punto di vista, anche sorprendente
perché non so
-
(quasi) nulla di ipnosi e di Erikson, ma mi ritrovo a pensare
in modo
-
abbastanza simile a partire da tutt'altre premesse. Ho appena
visto che
-
Angelozzi ha colto l'occasione (e anche Rossetti) e adesso
speriamo si
-
accenda un bel fuoco. E sarebbe un bel fuoco se terapisti
di differente
-
estrazione teorica e tecnica si interrogassero sui temi cruciali
della
-
teoria della tecnica . La "suggestione" (o i tre livelli
di significato che
-
credo di poter leggere nella suggestione) può essere
un punto di partenza
-
ottimo tra i tanti possibili: chissà che non riusciamo
almeno a eliminare
-
questo homuncolus!
-
Apprezzo e rispetto la tua prudenza e il tuo desiderio di
non entrare in
-
questo campo minato. Però purtroppo in questo campo
minato ci siamo
-
con tutti i piedi. Qualunque questione tecnica di maggiore
o minore rilevanza
-
affrontiamo (terapia breve, setting fisso o variabile, interpretazione\
-
insight e\o esperienza correttiva... per stare agli ultimi
che sono stati
-
affrontati) possiamo certo spendere la saggezza che ci deriva
dagli
-
antichi, la critica, la logica, il buon senso, ma non potremo
mai attingere
-
una posizione sufficientemente solida, perché nella
mappa viaria delle
-
argomentazioni, in definitiva, tutti i sentieri, le strade
e le autostrade
-
prima o poi portano inesorabilmente al nodo del "come" e
del "perché" e,
-
purtroppo, le nostre risposte più confortanti sono
andate in pezzi con la
-
metapsicologia. Anche il sentiero della terapia breve porta
a questo nodo.
-
In fondo l'unica maniera seria di accorciare le terapie (troppo)
"lunghe"
-
consiste nel conoscere meglio il cambiamento e nel mettere
a punto
-
strategie che siano più efficaci e precise nel renderlo
più possibile e più
-
probabile. A presto.
-
-
15 Aprile 1999, Daniele
Cacchioni:
-
Sono il dr. Daniele Cacchioni e posso provare a rispondere
io anche
-
se su una vecchia discussione tecnica c'è stato un
po' di maretta.
-
L'antica lingua egizia non è stata capita e tradotta
finché non è stata
-
trovata la "stele di rosetta" dopodiché è stato
facile tradurre l'egiziano e
-
il tempo di traduzione dipende dalla singola persona.
-
Watzlawick (pragmatica delle relazioni umane) nell'ultimo
libro di Nardone
-
(la terapia strategica) afferma che questo tipo di terapia
è indicata per
-
chi mostra un sintomo mentre per chi "cerca" "sé stesso"
è opportuno e
-
indicato una terapia del profondo.
-
Bandler (PNL, Programmazione Neuro-Linguistica) ha
curato un
-
"matto" che si credeva Gesù andando da Lui, prendendogli
le misure
-
e presentandosi con assi di legno, martello e chiodi.
-
Mony Elkaim invece riesce a produrre il cambiamento tramite
le assonanze
-
(cosa mi colpisce in quello che dice la persona) e rispondendo
così al
-
principio della teoria sistemica che l'osservatore dipende
ed è integrato
all'osservato.
-
In altre parole secondo la terapia sistemica TUTTE le terapie
riescono
-
(anche quelle del profondo) in quanto costruiscono delle
nuove realtà (la
-
realtà inventata) e perché nel momento in cui
si crede in ciò che si dice
-
quel "momento" diventa una "profezia che si autodetermina".
-
La Palazzoli (l'anoressia mentale) nel suo ultimo libro (mi
sembra
-
s'intitoli "ragazze anoressiche e bulimiche") dimostra come
in poche sedute
-
(max 20) di terapia familiare (ad orientamento sistemico)
riesce a risolvere
-
le gravi difficoltà delle persone che si rivolgono
a lei ma verifica anche
-
come le stesse persone "guarite" (la verifica è stata
fatta dopo 20 anni )
-
non capendo "come" sia avvenuto ciò siano andate a
fare psicoterapia
-
individuale. Inutile dire, quindi, che esistono terapie truffa
o simili.
-
-
16 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Sono d'accordo con te che vi sono tanti modi, anche geniali
e rapidi, per
-
modificare quello che tu chiami un "sintomo", nessuno ha
mai negato questo.
-
Ma, a scopo di esempio, vorrei farti una domanda: se la Selvini
(o chi per lei)
-
è stata così brava da eliminare in poche sedute
un sintomo così grave come
-
un disturbo alimentare, come mai non è stata capace
di evitare che la paziente
-
fosse ancora convinta di essere malata? La richiesta da parte
della paziente di
-
un'altra terapia non è anch'essa un "sintomo"? Cosa
significa "sintomo"? Per di
-
più in questo caso non si trattava di un vissuto soggettivo,
ma di un dato
-
comportamentale (fare un'altra terapia), cosa che i sistemici
sono stati sempre
-
maestri nel modificare. A mio modo di vedere un terapeuta
bravo (breve o
-
lungo che sia) è quello che riesce a dare coerenza
di significati, maggiore
-
adattamento, e stabilità nel tempo al cambiamento.
-
-
15 Aprile 1999, Sandro
Rosseti:
-
Caro Migone, scrivevi ieri sera (il 14 Aprile 1999):
-
>Anzi: più i terapeuti brevi
-
>sono bravi, più hanno una forte teoria alle spalle,
più mi danno ragione,
-
>infatti meno si spiega perché devono prefissare un
termine alla terapia (è
-
>ovvio che se non prefissassero un termine alla terapia -
unico criterio
-
>definitorio delle terapie bervi - loro non farebbero mai
delle terapie
-
>brevi, ma delle terapie che finiscono prima per il fatto
che sono bravi, e
-
>allora si ricomincia da capo: se sono così bravi,
perché devono vincolare il
-
>paziente con un termine prefissato? Se non prefissassero
un termine, non
-
>sarebbero più dei terapeuti brevi, sarebbero solo
dei terapeuti bravi, come
-
>ciascuno di noi agogna di essere).
-
-
Certo che hai ragione, ma non perché io mi senta un
terapeuta "bravo" e/o
-
"breve". Quanto dici tu, ed è stato detto da altri
in questi giorni,
-
sull'inesistenza delle terapie brevi in quanto tali, ed in
particolare la
-
critica che fai al time-limit, non può che
essere condivisa.
-
Tuttavia, il discorso sulla psicoterapia, sui suoi sviluppi,
deve
-
(dovrebbe) ripartire proprio da lì; ci sono, e quella
messa a punto da
-
Davanloo lo è, terapie che, a parità di indicazione,
permettono una cura
-
(e una stabilità di risultati) in tempi inferiori
di altre (vorrei/potrei
-
essere ancora più radicale, e dire che permettono
una cura, tout-court, ma
-
poi finirei essere preso da alcuni per un "true believer"
che cerca di fare
-
accoliti, e non è questo che mi interessa), non perché
il terapeuta sia
-
bravo, ma perché sta usando una tecnica, nuova o modificata
che sia, che
-
ha questa "conseguenza"; usa e mette a punto, cioè,
uno strumento diverso
-
per guardare e trattare la stessa cosa, la patologia dell'inconscio.
Credo
-
allora che non si possa non riconoscere a Davanloo quantomeno
l'onestà
-
intellettuale di mostrare il proprio lavoro nei suoi tapes
(e non solo a
-
lui, e non solo sui suoi nastri), di far "vedere", non solo
di dire, cioè,
-
cosa fa e il materiale inconscio che emerge come conseguenza
degli
-
interventi, e di lasciare che chi li vede valuti da solo
quello che osserva
-
e quella che è la teoria della tecnica e la metapsicologia
che la sottende
-
(e chi, come Migone, ha avuto modo di osservare a lungo quel
materiale -
-
anche se quello che tu hai visto negli anni '80 è
riferito allo stato
-
dell'arte di allora, e molta acqua è passata nel frattempo
sotto quei
-
ponti, strutturando di più quelle che allora, per
Davanloo stesso, erano
-
poco più che intuizioni - ne conosce la ricchezza).
-
C'è poi la questione della "nuova metapsicologia":
perché se io voglio
-
studiare qualcosa che non conosco completamente, ma di cui
ho un'idea,
-
che pure derivo da chi mi ha preceduto, non posso costruirmi
uno strumento
-
che mi permetta, sulla base di un principio di trial and
error, di raggiungere
-
il livello di accuratezza (di informazione) che io ricerco?
E perché,
-
allora, come avviene peraltro con l'introduzione di altri
strumenti in
-
altri campi (microscopio/Rx/TAC/RMN ecc.), a questo non può
conseguire
-
la possibilità di conoscere nuovi aspetti di ciò
che si cerca, o di rivedere
-
aspetti già conosciuti sotto nuova luce? Questo è,
sostanzialmente,
-
quello che Davanloo ha fatto e continua a fare, utilizzando
come principi
-
quelli fisiologici di stimolo/risposta/feedback, e come mezzo
di verifica e
-
validazione quello delle registrazioni audiovisive.
-
Gian Paolo Scano diceva a proposito del "terzo livello" del
concetto di
-
manipolazione in una mail di ieri:
-
>C'è infine un terzo livello, che presumibilmente
-
>sta sotto tutti gli altri e
di cui cominciarono
-
>ad aver sentore proprio gli ipnotisti del XVIII
secolo, oltre
-
>che Freud quando si imbatté nel non gradito "fenomeno"
del transfert.
-
>Questo livello di base potrebbe riguardare la struttura,
formazione e
-
>funzionamento della "macchina per costruire e decodificare
significati" e
-
>se ne sapessimo di più potrebbe essere la base della
teoria formale del
-
>cambiamento, che potrebbe istruire una vera teoria della
tecnica.
-
-
Ecco, se capisco bene quello che Scano vuol dire, credo che
il lavoro di
-
Davanloo permetta di gettare luce in quella direzione, di-mostrando
-
(letteralmente) come l'inconscio psicobiologico sia tutto
sommato regolato
-
dalle medesime leggi fisiologiche che regolano il funzionamento
di altri
-
sistemi ed apparati biologici. Questa non è una conclusione,
o una ipotesi
-
a priori, ma passa ed è passata attraverso
un processo costante di
-
revisione, che è poi quello che permette di utilizzare
una (qualunque)
-
tecnica in situazioni o in modi precedentemente impraticati.
Che poi
-
ognuno, di fronte a ciò che vede, possa, consciamente
e inconsciamente,
-
prendere una posizione, è parte del processo di sviluppo
della
-
psicoterapia: quello che mi premeva sottolineare, ancorché
banale, è che
-
il processo di cura (perché ricordiamoci che stiamo
parlando di "terapia",
-
di cura delle persone, e non di mero sviluppo della conoscenza)
non è
-
basato (solo) sulla capacità del terapeuta, ma su
quello che il terapeuta
-
fa, in base a quella che è la sua teoria e la tecnica
che ne consegue; e
-
questo anche per sgombrare il campo da riduzionismi, per
fortuna non letti
-
qui, del tipo che a Davanloo riesce perché è
Davanloo (un terapeuta
-
"bravo"): se una tecnica è tale, deve poter essere
insegnabile ad
-
apprendibile, altrimenti resta improvvisazione.
-
Grazie per l'attenzione e lo stimolo che dai.
-
-
16 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Caro Sandro, sono completamente d'accordo con tutto quello
che tu dici.
-
La questione non è della bravura di una persona o del
suo talento innato,
-
quanto della possibilità di trasmettere questa
conoscenza ad altri, la questione del training,
-
della replicabilità,
altrimenti la psicoterapia non sarebbe una scienza
-
(questo problema non
riguarda solo Davanloo, ma anche tanti altri teraputi,
-
es. Kernberg col
manuale per i borderline, ecc., e la posta in gioco, la sfida, è
appunto
-
quella della replicazione dell'"esperimento", la questione "scientifica"
della psicoterapia).
-
Riguardo al videotape, anche qui sono d'accordissimo,
ma con me sfondi
-
una porta aperta (tra le altre cose ho fondato la sezione
italiana della
-
Society
for Psychotherapy Research [SPR], i cui pionieri, andando
-
spesso controcorrente, usavano il registratore, il video,
ecc.).
-
Hai ragione anche nel dire che la tecnica di Davanloo si
è molto evoluta
-
negli ultimi 15-20 anni, e non conosco bene quella attuale
a parte la tua
-
descrizione. Mi rimane l'impressione comunque che sia più
adatta a certi
-
pazienti e non ad altri (dovrei però conoscerla meglio
per esprimere una
-
opinione più precisa), e anche che la "brevità"
a priori (su cui in fondo
-
ruota tutto il suo discorso, a meno che non sia un fattore
propagandistico)
-
sia un forte vincolo, che ne inficia la coerenza teorica,
nell'interesse stesso
-
dei risultati sintomatologici.
-
-
15 Aprile 1999, Wilfredo
Galliano:
-
Caro Paolo, il 14/04/99 hai scritto:
-
>...Anzi: più i terapeuti brevi
-
>sono bravi, più hanno una forte teoria alle spalle,
più mi danno ragione,
-
>infatti meno si spiega perché devono prefissare un
termine alla terapia (è
-
>ovvio che se non prefissassero un termine alla terapia -
unico criterio
-
>definitorio delle terapie bervi - loro non farebbero mai
delle terapie
-
>brevi, ma delle terapie che finiscono prima per il fatto
che sono bravi, e
-
>allora si ricomincia da capo: se sono così bravi,
perché devono vincolare il
-
>paziente con un termine prefissato? Se non prefissassero
un termine, non
-
>sarebbero più dei terapeuti brevi, sarebbero solo
dei terapeuti bravi, come
-
>ciascuno di noi agogna di essere).
-
-
In linea generale sono molto d'accordo con te (come anche
con quanto
-
Scano dice nella lettera cui tu rispondi, ma questo effettivamente
è un altro
discorso).
-
Rispetto alla citazione di sopra, tuttavia, ho da porti una
questione:
-
"Perché noi terapeuti (lunghi) dobbiamo NON porre
un limite di tempo alla
-
terapia?", ovvero "Dove sta scritto che la terapia e basta
è quella che non
-
ha un limite di tempo prefissato?"
-
Il ragionamento che c'è dietro a queste domande, ovviamente,
è il mio
-
tormentone: oltre a una tecnica le terapie, come qualsiasi
altra cosa, hanno
-
una forma, un aspetto ed è da un aspetto che noi guardiamo
ogni altro aspetto.
-
(Certo che una bella discussione sulla suggestione sarebbe
proprio da fare,
-
nel nostro gruppetto o qui in lista: speriamo che Andrea
raccolga l'invito). Ciao.
-
-
16 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Caro Wilfredo, tu mi chiedi "perché noi terapeuti
(lunghi) dobbiamo NON porre un limite
-
di tempo alla terapia", e "dove sta
scritto che la terapia e basta è quella che non ha un limite
-
di
tempo prefissato". Mi stupisci, perché dietro mia richiesta fosti
proprio tu a leggermi,
-
molto gentilmente, il capitolo sulle terapie brevi
del mio libro prima che fosse dato alle stampe,
-
facendomi una ultima revisione
generale, e mi desti preziosi consigli! Il fatto che quindi
-
ancora una
volta sia difficile fare chiarezza su questo punto deve significare qualcosa,
-
anche se non so bene cosa, forse riguardo a pregiudizi radicati, prevalentemente
preconsci,
-
sulla terapia così come ce l'hanno insegnata. O probabilmente
la tua domanda è "ad arte",
-
e vuoi darmi un preteso affinché
spieghi meglio agli altri cose che potrebbero non essere chiare.
-
In breve, non è assolutamente vero che noi terapeuti
lunghi non siamo liberi di
-
fare terapie brevi, cioè di interrompere la terapia,
sono i terapeuti brevi che
-
non sono liberi di fare le terapie lunghe, e questo per una
loro precisa questione di identità teorica
-
e pratica, che, come
ho già argomentato, a mio parere li limita nelle loro potenzialità
terapeutiche.
-
L'interruzione della terapia è uno dei più
potenti strumenti terapeutici, noto e
-
discusso fin dai tempi di Freud. Ha tanti effetti, uno dei
quali può essere quello
-
di fare improvvisamente "guarire" il paziente, a volte con
grande sorpresa di
-
entrambi i partner della terapia. Ogni terapeuta "bravo"
che si rispetti deve sapere
-
quando essere "breve", cioè quando ad esempio
dire gentilmente al suo
-
paziente (o non gentilmente, o contro la sua volontà),
che la terapia finisce
-
subito o ad una certa data, proprio come fece Freud con l'Uomo
dei Lupi
-
(Freud, che era sempre stato un "sistemico", aveva una tecnica
molto dinamica,
-
collegata sempre alla teoria che stava costruendo). Il
fatto che queste cose non siano
-
chiare a tanti psicoanalisti fa parte del
modo con cui certi aspetti della teoria della tecnica
-
sono stati trasmessi
e deformati dalla tradizione. Come ben sai la Selvini (che si chiama
-
sistemica
ma senza saperlo è una "psicoanalista inconscia") usa la "non terapia"
(es. il rifiuto
-
di farla a un paziente, lo scacciarlo, l'interromperla,
ecc.) come un potente modo di
-
"fare terapia", appunto perché guarda
al significato degli interventi, al loro impatto.
-
In sintesi: partendo con una terapia open ended, il
terapeuta può farla sia corta che lunga,
-
può usare tutti
gli interventi ad libitum. Può farla durare solo una
-
seduta. E poi, anche se l'analisi dura 10 anni, è
costretto comunque a
-
sperimentare la tecnica della terapia breve nel momento in
cui entra nella fase
-
di termination (in genere 6 mesi), per cui espone il
paziente anche a quella
-
(l'unico caso in cui un terapeuta lungo non fa una terapia
breve è quando uno
-
dei due muore nel corso della terapia).
-
Se invece parti con il time-limit setting, non potrai
mai analizzare il tipo di
-
reazioni che sarebbero sorte (quel transfert) se tu fossi
partito con uno stimolo
-
diverso, di terapia lunga (es. transfert narcisistici, di
fusione, paura della intimità ecc.
-
- perdona qui il riduzionismo).
-
Tu eri ben presente quando nel 1991 venne al nostro gruppo
di Bologna
-
George Silberschatz, del gruppo di Weiss & Sampson (abbiamo
avuto l'onore
-
di organizzare il primo seminario in Italia di un membro
del
-
San Francisco
Psychotherapy Research Group, che tra le altre cose ha alle
-
spalle alcuni decenni di ricerca empirica fatta con registrazione
di sedute).
-
Ci parlò di uno straordinario esempio clinico (indipendenetemente
dalla "verità" delle ipotesi
-
fatte, che qui non ci interessano assolutamente,
ci interessano le implicazioni teoriche)
-
che si riferisce appunto ai possibili
effetti di una termination. Riporto qui questo caso clinico,
-
che
farebbe invidia a qualunque sistemico, copiandolo da quel capitolo del mio
libro:
-
-
Un professionista di 35 anni chiese una terapia con la motivazione
conscia di trovare il coraggio di sposare la fidanzata e di impegnarsi
in questo progetto di vita con lei. Fu messo in un programma di ricerca
di terapia breve (16 sedute), con un terapeuta che seguiva la tecnica di
Davanloo. Dalla anamnesi il terapeuta apprese che il paziente era figlio
unico di genitori infelicemente sposati; il padre era operaio, e la madre
una donna cronicamente depressa che si lamentava sempre del marito. Essa
aveva usato il figlio come amico e confidente e si era appoggiata a lui,
il quale era arrivato al punto di trascurare le sue amicizie per stare
accanto alla madre. Quando il paziente si trasferì in un'altra città
per frequentare l'università, i rapporti che incominciò ad
avere con le ragazze mimavano quello avuto con la madre: erano donne che
avevano bisogno di lui, che aiutava e per le quali si sacrificava. L'analista
aveva formulato l'ipotesi di una "inibizione edipica verso il matrimonio",
e era convinto che lo scopo della terapia fosse quello di liberarlo dai
suoi sensi di colpa di "tradire" la madre e di sposare la fidanzata.
-
Osserviamo ora come andò il trattamento. Nelle prime
9 sedute la terapia procedette con fatica, più o meno in uno stallo:
il terapeuta continuava a far notare al paziente le sue paure di sposarsi
interpretando le dinamiche edipiche e il legame con la madre che non voleva
tradire. Alla 10a seduta il paziente disse che non era migliorato, e che
temeva di non migliorare neanche nelle restanti 6 sedute; questo materiale
venne elaborato e infine considerato una forma di resistenza. Alla 12a
seduta il paziente era sempre più agitato, e chiese ancora di poter
continuare la terapia oltre le 16 sedute. Il terapeuta non cedette, e rimase
legato al contratto iniziale. Il paziente continuava a peggiorare mostrando
sempre più ansia e agitazione, fino a quando inaspettatamente, alla
14a seduta, annunciò di aver lasciato la fidanzata. Il terapeuta
rimase sorpreso, continuò nella sua linea interpretativa della resistenza
verso il matrimonio, non cedette sul contratto, e alla 16a seduta terminarono
come stabilito, senza una chiara comprensione di cosa fosse accaduto e
cosa avesse fatto in modo che il paziente lasciasse la fidanzata.
-
Questo caso clinico, una volta completato e interamente registrato
su nastro, viene studiato da una équipe di ricercatori del San
Francisco Psychotherapy Research Group guidato da Weiss e Sampson.
I ricercatori ipotizzano che in realtà il paziente, contrariamente
alle sue intenzioni consce, avesse il "piano inconscio" che la terapia
lo aiutasse a districarsi da questo rapporto, e incominciano a cercare
elementi che convalidino questa loro ipotesi. Osservano ad esempio che
la attuale fidanzata era più anziana di 12 anni, alcolista, con
due bambini da un precedente matrimonio. Fanno quindi l'ipotesi che il
paziente inconsciamente avesse voluto "testare" il terapeuta sulla capacità
di interrompere il rapporto con una persona dipendente e bisognosa di aiuto
come la madre. Col meccanismo del "rivolgimento del passivo in attivo"
avrebbe invertito i ruoli nel transfert e voluto vedere se il terapeuta
fosse stato capace di separarsi da lui. Lo supplicò di non lasciarlo,
ma il terapeuta avrebbe superato il test terminando ugualmente la terapia,
rispondendo così, inconsapevolmente, non alla sua richiesta conscia
ma a quella inconscia.
-
Il terapeuta, intervistato dai ricercatori, dice che interruppe
alla data prefissata per tener fede all'impegno della terapia breve del
programma di ricerca di cui faceva parte. Interrogato su possibili altri
motivi per cui fu capace di resistere alle pressioni del paziente, superando
anche eventuali questioni etiche, dice che comunque non avrebbe potuto
continuare perché doveva assentarsi per impegni presi in precedenza
(ironicamente questi impegni si rivelarono poi essere il proprio matrimonio
e successivo viaggio di nozze!). Nonostante quindi le motivazioni per l'interruzione
fossero state molto diverse, il terapeuta senza saperlo avrebbe superato
il test del paziente e sarebbe stato capace di aiutarlo. Al follow up il
paziente risultò ancora non sposato, e non fidanzato con quella
donna né impegnato in relazioni masochistiche, ma non troppo insoddisfatto
della propria condizione di single.
-
-
Commentando brevemente questo caso, e ammettendo che le ipotesi
fatte dai ricercatori siano corrette, sembra si tratti un tipico esempio
di miglioramento senza insight. L'insight avrebbe potuto avvenire se il
terapeuta avesse avuto un'altra teoria alle spalle, o se la terapia fosse
continuata e il terapeuta avesse potuto elaborare meglio i problemi del
paziente. Ma non sappiamo se la continuazione del trattamento avrebbe potuto
privare il paziente di questa importante "esperienza
emozionale correttiva" (Alexander, 1946: vedi Psicoterapia e
Scienze Umane, 1993, XXVII, 2: 85-101) e se l'interpretazione da sola sarebbe
bastata. Conoscere il peso dei rispettivi ruoli dell'"esperienza emozionale"
e della interpretazione cognitiva, come fattori terapeutici, fa parte del
mistero della psicoterapia (per una discussione dei fattori curativi, vedi
Migone, 1995, cap. 6, la rubrica
n. 52/1989 del Ruolo Terapeutico). Fu comunque proprio Alexander
(1946) il primo a riflettere sulle ragioni per cui molti pazienti che non
erano migliorati in lunghe analisi miglioravano inaspettatamente quando
finalmente l'analista decideva di arrendersi e terminarle. Mentre anche
altri hanno osservato questi fenomeni (ad esempio Milner, 1950), Alexander
fu capace di capirli come una forma di "esperienza emozionale correttiva",
e di studiarne le implicazioni teoriche.
-
-
(segue un altro caso clinico, mio, in cui si vede l'esempio
uguale e
-
contrario, cioè di una paziente che fece un importante
passo avanti nella
-
terapia solo grazie al fatto che il terapeuta si rifiutò
categoricamente
-
di cedere alla sua richiesta di terminare)
-
-
15 Aprile 1999, Andrea
Angelozzi:
-
Colgo al volo la provocazione di Paolo Migone circa la faccenda
della
-
suggestione. Secondo me è un discorso molto difficile
soprattutto perché
-
molto ampio e in cui tutta una serie di relazioni, ad esempio
il rapporto fra
-
ipnosi e suggestione, è tutt'altro che definito.
-
Cominciamo da alcune considerazioni sulla natura della suggestione.
-
-
a) Che io sappia la questione viene posta da Liebault e Bernheim
(la cosiddetta Scuola di Nancy)
-
in contrasto con Charcot, ed è strettamente
legata alla ipnosi. Charcot dice che la isteria
-
è una lesione neurologica
irreversibile e la ipnosi che ne riproduce i sintomi è una lesione
reversibile;
-
mentre la Scuola di Nancy dice che la faccenda non è
neurologica, non comporta lesione, ma
-
rimanda a una plasticità ideativa,
per cui una persona può influenzare la forma che assumono
-
le idee
e le convinzioni di un'altra persona. Questa potenzialità rimanda
a caratteristiche della
-
persona soggetto (la suggestionabilità,
appunto) e dell'operatore (ruolo, autorità, carisma, etc).
-
Questa visione della suggestione, considerata anche come
base della ipnosi,
-
rimane a lungo dominante.
-
-
b) Il rapporto di Freud con la suggestione e la ipnosi è
molto complesso.
-
E' arcinoto come il lettino e la tecnica della mano sulla fronte
fossero stati
-
imparati presso Berheim; anche dopo l'abbandono dell'ipnosi
continua ad
-
imbattersi in fenomeni "simil allucinatori" analoghi a quelli
che aveva
-
conosciuto quando praticava ipnosi. Vi sono dei passi (se
qualcuno vuole
-
posso anche riferire dove) dove si domanda se non stia facendo
ipnosi
-
senza saperlo (e quindi senza usare tecniche formali di induzione);
afferma
-
che non sa rispondere a questi problemi e che può
solo decidere che non
-
vuole più occuparsene; il problema riemerge di fronte
alla discussione fra la
-
analisi come costruzione o come ricostruzione, imposta dalle
prime scissioni
-
nelle varie scuole, in cui ritiene che aspetti suggestivi
siano in gioco; lo
-
perseguita anche in Costruzioni nell'analisi.
-
-
c) la concezione della suggestione viene radicalmente modificata
con Erickson.
-
Per due motivi. Il primo è l'introduzione della cosiddetta
suggestione
-
indiretta. In pratica mentre le suggestione dirette
(aria autoritaria,
-
sguardo profondo, voce tonante : ora ti addormenterai) sono
esposte alla
-
coscienza, alla opposizione o alla compiacenza (ed in quest'ultimo
caso si
-
scambia per mutamento di stato di coscienza una pura adesione,
un desiderio di assecondare
-
o un gioco di ruolo), e al rituale, le suggestioni
indirette fanno
-
riferimento a meccanismi molto più sottili, che per
definizione devono sfuggire
-
alla consapevolezza. Sono strettamente imparentati con le
modalità con cui
-
costruiamo il nostro mondo mentale. Qualche esempio:
-
un meccanismo (fra i tanti) è la presupposizione,
che ha un suo correlato
-
specifico in logica. Riguarda la costruzioni di parti implicite
di realtà, date
-
per scontate (a quando non lo sono affatto). In logica: "è
stato John a
-
catturare il ladro". Anche se neghiamo questa frase (non
è stato John)
-
avvaloriamo la parte implicita (esiste un ladro e qualcuno
lo ha catturato).
-
Pensate alla banale frase "Maria ha telefonato di nuovo"
e alla sua negazione
-
che lascia inalterato il fatto che chi ascolta da per scontato
che "ha già
-
chiamato"; oppure a tutto un uso di verbi come "accorgersi",
"rendersi conto",
-
"sapere" "scoprire", detti fattivi e che nel nostro linguaggio
ordinario
-
vengono usati solo in relazione a cose di cui è data
per sconatata la esistenza.
-
Gli esempi ulteriori di come nel linguaggio ordinario noi
creiamo un universo
-
dato per scontato, sono infiniti. Ma cosa succede se utilizziamo
queste frasi
-
per costruire un universo che, per nulla implicito, viene
invece ad essere dato
-
per scontato? Questa è una forma di suggestione indiretta.
In Erickson diventa
-
(è il primo esempio che mi viene in mente) che non
dice: "il tuo braccio
-
diventa pesante", bensì "Ti sei già accorto
della pesantezza del braccio?".
-
Pensate a frasi "non fare" o "non sapere" in cui affermiamo
una frase
-
negandola: "non hai bisogno di sapere quanto profondamente
stai dormendo".
-
Oppure ai condizionamenti indiretti di tipo non verbale,
dove il terapeuta
-
induce il rilassamento rilassandosi lui o modificazioni nel
respiro
-
sincronizzando prima il proprio respiro e poi alterandone
il ritmo
-
O la tecnica di disseminazione, dove non si dice al soggetto
di levitare il
-
braccio, ma si comincia a raccontare infinite storie (magari
una dentro
-
l'altra) in cui il braccio si muove spontaneamente.
-
Non ho intenzione di tirarla per le lunghe: vorrei fare notare
come esista un
-
livello della suggestione che affonda nel linguaggio
ordinario. Di qui le
-
ipnosi informali, cioè senza rituale induttivo. Il
linguaggio ordinario ci
-
mostra poi un altro livello, a volta ancora più sottile,
che riguarda tutti gli
-
aspetti "pragmatici" del linguaggio. Anche l'aspetto conversazionale
che
-
crediamo più esente da "suggestione", di fatto è
infarcito dei suoi meccanismi.
-
Ed anche il linguaggio non verbale: Erickson amava raccontare
una serie di
-
esperimenti che segnalavano come le persone si segnalino
non verbalmente ed in modo
-
inconsapevole le loro aspettative, trovando
spesso piena risposta.
-
Siamo davvero sicuri di non usare questi meccanismi (di cui
forse nemmeno
-
sospettavamo l'esistenza) nelle nostre psicoterapie "consapevoli"?
-
Quando parliamo di inconscio con il paziente e dei suoi meccanismi,
non stiamo
-
dando per scontato un intero mondo?
-
-
d) vi è un altro punto che secondo me è importante.
Le suggestioni, dirette o
-
indirette, sono solo una parte della ipnosi di Erickson.
Una parte essenziale
-
sono le tecniche "dissociative" che sono utilizzate per modificare
lo stato di
-
coscienza del soggetto. Alcune sono: lasciare che il soggetto
si immerga nei
-
propri pensieri ed anzi agevolarlo in questo; operare una
osservazione del
-
proprio pensiero, che dissoci appunto un io sperimentante
da quello osservante;
-
usare "referenti parziali" in terza persona per rompere l'idea di unità della identità
-
(ad esempio che vi è
un inconscio che ha una sua vita autonoma, pensa, decide);
-
entrare nei
meccanismi in cui affonda la nostra identità, cioè la memoria
e il ricordo.
-
Ma se Erickson usava questi meccanismi per indurre ipnosi,
nelle psicoterapie usuali
-
che cosa stiamo facendo
effettivamente?
-
-
e) questi sono solo frammenti delle questioni poste da Erickson
e dalla ipnosi
-
in genere. Io non intendo sostenere che è tutto suggestione,
né tantomeno
-
ipnosi. Intendo avanzare il sospetto che tanti meccanismi
che utilizziamo e
-
crediamo siano una cosa, in realtà sono altro; e che
in effetti siamo molto
-
poco consapevoli di cosa effettivamente facciamo.
Scusate la prolissità.
-
-
21 Aprile 1999, Gian
Paolo Scano:
-
Il 16/04/99 Andra Angelozzi scritto:
-
>Colgo al volo la provocazione di Paolo Migone circa la faccenda
della
-
>suggestione. (·)
-
>e) questi sono solo frammenti delle questioni poste da Erickson
e dalla
-
>ipnosi in genere. Io non intendo sostenere che è
tutto suggestione, né
-
>tantomeno ipnosi. Intendo avanzare il sospetto che tanti
meccanismi che
-
>utilizziamo e crediamo siano una cosa, in realtà
sono altro; e che in effetti
-
>siamo molto poco consapevoli di cosa effettivamente facciamo.
-
-
Ho trovato molto stimolante il tuo ultimo intervento e sono
anche andato a
-
rileggermi una tua mail del 27.02.99, che avevo trovato molto
interessante.
-
In quel contesto (si parlava di Gill e della suggestione)
mi trovavo molto in
-
sintonia su due punti e cioè
-
1° "che i meccanismi con cui creiamo il mondo e lo possiamo
modificare, sono infinitamente
-
più sottili della suggestione di
cui parla Gill... fanno parte di ogni nostro evento mentale
-
e di ogni
psicoterapia"
-
2° che "la distinzione di Gill basata sull'analizzare
quella che lui ritiene suggestione (...)
-
urta irrimediabilmente
contro la vastità e la
sottigliezza (...) dei meccanismi con cui il linguaggio
-
verbale
e non verbale
del terapeuta può agire sui meccanismi con cui il
paziente costruisce
-
la sua
realtà e la sua identità (anche quella di malato)".
In maniera più chiara
-
stavolta affermi di nutrire il sospetto "...che tanti meccanismi
che
-
utilizziamo e crediamo siano una cosa, in realtà sono
altro; e che in effetti
-
siamo molto poco consapevoli di cosa effettivamente facciamo".
Io so molto
-
poco di Erickson e di ipnosi e anche di suggestione (a proposito
ti sarei grato
-
se mi indicassi una bibliografia essenziale sui "meccanismi"
visti da questo
-
punto di vista), ma nutro lo stesso sospetto a partire da
considerazioni di
-
ordine differente partite, originariamente, proprio dalla
riflessione sul testo
-
di Gill oltre che dal problema di come poter intendere i
due ordini di fattori
-
(e l'articolazione tra i due ordini di fattori) cui, in modo
diseguale, la
-
psicoanalisi ha sempre ricondotto il cambiamento e cioè
i fattori "conoscitivi"
-
e "di rapporto".
-
Se pensi che mentre pensiamo di fare una cosa in realtà
ne stiamo facendo
-
altre, forse avrai qualche idea più precisa riguardo
a ciò che facciamo e ti
-
inviterei a dire qualcosa di più, non tanto in riferimento
alla suggestione in
-
sé, ma piuttosto in relazione all'azione "inconsapevole"
di questi meccanismi e
-
fattori nell'ambito dell'attività tecnica e clinica.
Spero di riuscire a farlo
-
anch' io se riuscirò a dirlo i modo conciso e tuttavia
chiaro (e se interesserà a
-
qualcuno!).
-
Per ora mi attengo alla suggestione. Sono un po' allergico
a questo termine
-
perché, nella sua accezione corrente, lascia presupporre
una causazione
-
lineare diretta tra soggetti e, contemporaneamente, tende
a dare per scontata
-
una essenzialistica "suggestionabilità" da mettere
nella testa delle persone
-
per spiegare l'effetto del comportamento suggestivo. Credo,
invece, che ciò
-
che, con termine confusivo, viene chiamato suggestione, (aldilà
delle azioni
-
intenzionalmente manipolatorie o anche semplicemente "direttive",
che in
-
contesti differenti da quello psicoanalitico potrebbero anche
essere
-
considerate giustificabili), debba essere "scomposto in fattori"
e riportato,
-
da un lato, a quell'ambito che normalmente indichiamo come
transfert e
-
controtransfert e, dall'altro, ad un livello ancora sottostante,
che dovrebbe
-
riguardare le regole e i meccanismi della comunicazione e
relazione tra
-
soggetti, cui tu direttamente fai riferimento e, da un punto
di vista più
-
eminentemente intrasoggettivo, le regole e i meccanismi che
governano i
-
processi di attribuzione, costruzione e ricostruzione del
senso. Forse questi
-
elementi ultimi non sono analizzabili nel senso corrente
o forse lo sono
-
soltanto se scegliamo una griglia abbastanza alta come i
vari livelli di
-
aspettative congetturate da Weiss e Sampson, mentre lo sono
certamente
-
meno se la griglia si colloca, invece, a un livello prossimo
o analogo a quello
-
delle ipotesi formulate e studiate, ad esempio, da Seganti
-
(La memoria sensoriale delle relazioni: ipotesi verificabili
di psicoterapia
-
psicoanalitica. Torino: Bollati Boringhieri, 1995),
mentre risulterebbero forse
-
per nulla analizzabili se il livello scelto fosse decisamente
micro come, come
-
quello disegnato, ad esempio, dal quadro delle ipotesi di
Damasio
-
(L'errore di Cartesio, 1995). Mi piacerebbe che si
creasse la possibilità
-
di discutere con calma di questecose e delle relative inevitabili
conseguenze
-
sulla teoria della tecnica.
-
-
22 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Credo che questo tipo di riflessioni su cosa si possa intendere
per
-
"suggestione", questo scomporla, verrebbe considerato da
Gill come un tipico
-
esempio appunto di una approfondita "analisi della suggestione",
dei suoi
-
meccanismi, cioè un modo di riflettere sulla relazione.
-
-
23 Aprile 1999, Gian
Paolo Scano:
-
Sono più che d'accordo, infatti, qualche tempo fa
sottolineavo la necessità
-
di superare una lettura prevalentemente tecnica della lezione
gilliana e
-
di approfondirne e prolungarne, invece, il solco teorico.
Nella stessa linea
-
proponevo, successivamente, di lasciar cadere il termine
poco perspicuo di
-
suggestione. Poiché, però, il fuoco non si
era acceso con i rami della
-
"interazione", ho provato a buttare un fiammifero sotto le
frasche della
-
"suggestione": relazione, suggestione, interazione, a mio
modo di vedere,
-
appartengono alla stessa specie "botanico-logica", ma sono
tutti termini
-
del linguaggio quotidiano da "scomporre in fattori". La concordanza
con
-
Angelozzi riguarda la complessità della "cosa-suggestione"
(o relazione o
-
interazione), non la lettera del testo di Gill, che utilizza
il termine
-
"suggestione" in un modo che mi sembra facilmente spiegabile.
-
-
18 Aprile 1999, Gaetano
Dell'Anna:
-
Cari Colleghi e dotti Maestri,
-
senza nulla aggiungere alle considerazioni per le quali la
durata della
-
terapia è una variabile dipendente solo dalle necessità
di cura del paziente
-
escludendo ogni altra che riguardi presupposti meramente
teorici e (non sia
-
mai) bisogni economici del terapeuta o di taluna istituzione,
mi sono chiesto:
-
Se il paziente ha le idee molto chiare e vuole stare bene
subito e non
-
importa quanto costerà, purché sia solo denaro
e si faccia in fretta, non
-
si potrebbe prendere il suo denaro e dargli quello che chiede?
-
Ed è conveniente coltivare nell'attesa sociale l'illusione
che ci siano
-
terapie buone solo perché corte, e quindi meno costose
(in tutti i sensi), e
-
quindi condotte da professionisti meno avidi e perciò
più simpatici anche
ideologicamente?
-
E non è prevedibile che il paziente che fallisce al
più presto la
-
psicoterapia altrettanto presto potrà divenire abituale
consumatore di
-
prodotti farmaceutici sempre grazie al denaro che non gli
manca (specie se
-
lo passa l'assicurazione)?
-
E ci sono ricerche longitudinali sull'efficacia delle cosiddette
psicoterapie brevi?
-
E non sono basate solo sulla consistenza dei rientri in specifica
recidiva
-
Della precedente diagnosi? E qualche grande istituzione della
Sanità Mondiale
-
le ha verificate e certificate?
Ora, ignorante che sono, mi piacerebbe anche avere
-
chiarimenti
su qualche
elemento di teoria:
-
Quali sono, per favore, senza escludere naturalmente il carisma
del dott.
-
Davanloo, i presupposti fondanti, nella teoria e nella prassi,
cui si può
-
fare riferimento e in base ai quali si ammettono i seguenti
parad... ehm...
-
enunciati contenuti nella mail di Sandro Rosseti del 12-4-99?
-
>L'inconscio è un sistema psicobiologico il cui
-
>funzionamento è organizzato in modo molto preciso
tanto da fornire
-
>risposte specifiche a stimoli specifici. (·)
-
>Chiunque utilizzi questa tecnica verifica la possibilità,
pur nella
-
>varietà delle organizzazioni inconsce, di riprodurre,
riconoscere ed
-
>utilizzare clinicamente i segnali del funzionamento dinamico
dell'inconscio. (...)
-
>I parametri che il terapeuta deve seguire per arrivare all'apertura
- >dell'inconscio... (...)
-
>L'ansia inconscia è il parametro che meglio
-
>orienta il clinico, fornendo preziose e continue informazioni...
ecc.
-
-
20 Aprile 1999, Paolo
Migone:
-
Il 18/04/99 Gaetano Dell'Anna ha scritto:
-
>Se il paziente ha le idee molto chiare e vuole stare bene
subito e non
-
>importa quanto costerà, purché sia solo denaro
e si faccia in fretta, non
-
>si potrebbe prendere il suo denaro e dargli quello che chiede?
-
-
Non sono sicuro di capire cosa intendi qui. Poi dici:
-
>Ed è conveniente coltivare nell'attesa sociale l'illusione
che ci siano
-
>terapie buone solo perché corte, e quindi meno costose
(in tutti i sensi), e
-
>quindi condotte da professionisti meno avidi e perciò
più simpatici anche ideologicamente?
-
-
Il coltivare questa illusione è un rischio, sono d'accordo.
Cito sempre
-
dalla fonte
(dove si può vedere anche la bibliografia)
-
che ho utilizzato nell'altra mia mail (sono le ultime righe):
-
-
"Infine, se è vero che dalla discussione teorica che
abbiamo fatto risulta
-
che la posizione radicale è meno giustificata di quella
conservatrice, è
-
anche vero che una anima teorica radicale all'interno del
movimento
-
psicoterapeutico non può che essere di stimolo ai
molti analisti ortodossi e
-
conservatori che rimangono ancorati su concezioni del setting
classico ormai
superate.
-
Un pericolo però deve essere evitato, insito in una
adesione alla posizione
-
radicale: quello di giustificare l'uso delle terapie brevi
come terapia
-
ottimale o di elezione per determinati pazienti, mascherando
il fatto che
-
invece spesso questi pazienti sono semplicemente meno privilegiati
di altri.
-
Infatti una cosa è affermare che la terapia breve
è l'unica terapia che
-
certi pazienti si possono permettere dato il servizio sanitario
attuale,
-
un'altra è affermare che è l'unica terapia
che essi si meritano. E'
-
importante invece mantenere aperto questo arco di tensione
verso il continuo
-
miglioramento del servizio pubblico. In questo senso, i teorici
radicali
-
della terapia breve rischiano di servire come strumento di
propaganda per un
-
prodotto di consumo che oggi deve a tutti i costi essere
venduto nel mercato
-
della salute, un prodotto chiamato "le psicoterapie brevi
ad orientamento
-
psicoanalitico". Come lucidamente fece notare Eissler nel
1950
-
(Il
Chicago Institute of Psychoanalysis e il sesto periodo dello sviluppo
della tecnica psicoanalitica.
-
Psicoterapia e
Scienze Umane,
1984, XVIII, 4: 5-35 [II parte], p. 27) a proposito di Alexander,
-
storicamente
l'interesse per le terapie brevi è stato più vivo in periodi
in cui erano molto sentite
-
determinate pressioni economiche, e oggi potremmo
essere in una simile fase."
-
-
Inoltre chiedi:
-
>E non è prevedibile che il paziente che fallisce
al più presto la
-
>psicoterapia altrettanto presto potrà divenire abituale
consumatore di
-
>prodotti farmaceutici sempre grazie al denaro che non gli
manca (specie se
-
>lo passa l'assicurazione)?
-
-
Tutto è possibile. Continui:
-
>E ci sono ricerche longitudinali sull'efficacia delle c.d.
psicoterapie brevi?
-
>E non sono basate solo sulla consistenza dei rientri in
specifica recidiva
-
>della precedente diagnosi?
-
>E qualche grande istituzione della Sanità Mondiale
le ha verificate e certificate?
-
-
Qui il discorso sarebbe lungo. I risultati delle ricerche
spesso sono
-
ingannevoli, dipende da come sono fatte le ricerche ecc.
-
Per brevità, cito di nuovo dalla stessa fonte:
-
-
"Veniamo ora ad una sintetica revisione della letteratura
sull'efficacia
-
delle terapie brevi. Questa problematica è talmente
vasta che non è
-
possibile in questa sede darne un panorama completo (vedi
anche Cap. 11, pp.
-
186-192). La discussione verrà limitata ad alcuni
problemi generali e alla
-
segnalazione di alcuni studi in riferimento alle psicoterapie
brevi ad
-
orientamento psicoanalitico (per una review più
completa, vedi Brusa, 1994).
-
Innanzitutto va notato che nel complesso gli autori che abbiamo
considerato
-
e la maggioranza di quelli che si sono dedicati alle psicoterapie
brevi ad
-
orientamento psicoanalitico sono dei clinici, non dei ricercatori.
Come
-
Parloff (1985) ha fatto notare, nel campo della psicoterapia
esiste tra
-
clinici e ricercatori una "lotta fratricida, solo apparentemente
fatta di
-
buone maniere" (p. 10). Il principale interesse dei terapeuti
brevi è
-
rivolto al lavoro clinico, o eventualmente alla teorizzazione
della loro
-
tecnica (e abbiamo visto qui anche le difficoltà che
hanno incontrato). E'
-
vero che essi hanno prodotto alcune ricerche sull'efficacia
dei loro
-
interventi, ma molte volte si è trattato del resoconto
di un limitato numero
-
di casi o di studi il cui livello di sofisticazione metodologica
non è molto
-
alto se paragonato a quello oggi accettabile in questo campo.
-
Può essere interessante qui ricordare quello che mi
disse una volta Davanloo
-
(1981) il quale, quando gli mossi delle critiche alla metodologia
delle sue
-
ricerche di follow up, ammise che esse peccavano di una certa
-
approssimazione, ma che "la ricerca sui risultati della psicoterapia
è
-
talmente complessa e difficile che se noi vogliamo applicare
i carismi di
-
una seria metodologia scientifica ciò significa semplicemente
non fare
-
nessuna ricerca in psicoterapia". Una certa approssimazione
degli standard
-
scientifici quindi viene a volte giustificata dall'esigenza
di fare ricerca.
-
Oggi però non possiamo guardare con leggerezza alle
questioni metodologiche,
-
e forse è proprio il caso di dire che se una ricerca
non poggia su un metodo
-
rigoroso è meglio non farla, perché i suoi
risultati aumenterebbero solo la
-
confusione in questo campo, essendo inattendibili (per avere
un panorama
-
della contradditorietà dei risultati delle ricerche
sui risultati della
-
psicoterapia, vedi anche Minguzzi, 1986).
-
Le difficoltà della ricerca sulla psicoterapia sono
molte, ed aumentano se
-
si tratta di psicoterapia psicoanalitica. Si pensi alla difficoltà
a
-
misurare il miglioramento del paziente (sintomatico o psicodinamico;
in
-
valori assoluti o relativo alla gravità della diagnosi;
ecc.), oppure alla
-
impraticabilità della formazione di gruppi di controllo,
sia per motivi
-
etici che per la difficoltà a distinguere la psicoterapia
dal placebo
-
essendo esso stesso un intervento psicologico, oppure ancora
alla
-
impossibilità a praticare in psicoterapia il "doppio
cieco" per ovvi motivi,
e così via.
-
Ma uno degli ostacoli principali alla ricerca sulla psicoterapia
è, come ho
-
detto all'inizio di questo capitolo, la sua durata. Ed è
per questo che
-
l'interesse dei ricercatori va soprattutto alle terapie brevi.
A questo
-
proposito è interessante notare che se noi guardiamo
attentamente
-
all'insieme delle ricerche sulla efficacia della psicoterapia
scopriamo che
-
la stragrande maggioranza di queste ricerche sono su terapie
brevi. Va
-
notato inoltre che solo in una piccola percentuale di casi
si tratta di
-
psicoterapie ad orientamento psicoanalitico.
-
Tra i molti studi prodotti riguardo all'efficacia della psicoterapia,
vanno
-
ricordati innanzitutto quelli storicamente importanti di
Eysenck (1952,
-
1966), il quale avanzò seri dubbi sull'efficacia di
qualsiasi psicoterapia,
-
e disse che i suoi effetti erano dovuti alla "remissione
spontanea". Questo
-
autore prese in considerazione una vasta mole di ricerche:
psicoanalitiche,
-
eclettiche (tutte della durata inferiore alle 40 sedute)
e brevi. Una prima
-
risposta venne da Meltzoff & Kornreich (1970) che revisionarono
101 studi
-
controllati, sostenendo invece che dal loro punto di vista
la psicoterapia
-
era efficace. A simili risultati alcuni anni dopo giunsero
vari gruppi di
-
ricercatori (Luborsky, Singer & Luborsky, 1975; Smith
& Glass, 1977; Smith,
-
Glass & Miller, 1980; VandenBos & Pino, 1980; Yates
& Newman, 1980; Office
-
of Technology and Assessment, 1980; Shapiro & Shapiro,
1982; American
-
Psychiatric Association Commission on Psychotherapies, 1982;
Banta & Saxe,
-
1983; ecc.), anche se vi è ancora chi è meno
convinto che la controversia
-
sia del tutto risolta (Garfield, 1984). Eysenck (1985, p.
66-91) dal canto
-
suo ha ribadito la sua tesi originaria criticando le recenti
ricerche (vedi
-
anche Rachman & Wilson, 1980).
-
Vari autori hanno studiato esplicitamente gli effetti delle
psicoterapie
-
brevi, eventualmente paragonandole a terapie a lungo termine
o ad altre
-
forme di terapia. Nel Temple Study (Sloane et al., 1975)
sono stati
-
paragonati tre tipi di interventi: terapia comportamentale,
psicoterapia
-
breve ad orientamento psicoanalitico, lista d'attesa; la
conclusione è che
-
l'80% dei pazienti dei due gruppi di trattamento migliora,
ed entrambi i
-
gruppi migliorano più della lista d'attesa. Reid &
Shyne (1982) hanno
-
paragonato terapie brevi e lunghe, dimostrando che sono più
efficaci le
-
prime. Invece Luborsky et al. (1975) hanno revisionato 8
studi che
-
paragonano terapie brevi e lunghe, e non hanno trovato una
differenza
-
significativa nei risultati. A simili conclusioni sono giunte
anche le
-
imponenti review meta-analitiche di Smith, Glass & Miller
(1980) e Shapiro &
-
Shapiro (1982), ma va notato che la media delle sedute delle
terapie
-
considerate in questi studi è molto bassa, per cui
l'interpretazione di
-
questi risultati diventa discutibile (si pensi che nello
studio di Smith et
-
al. le terapie hanno una durata media di 16 sedute, e in
quello dei Shapiro
-
solo 7; questo è un esempio di come bisogna fare attenzione
a valutare i
-
risultati delle ricerche). Per contro, Howard et al. (1986)
hanno trovato
-
una correlazione positiva tra durata e risultato nelle terapie
brevi: il 50%
-
dei pazienti miglioravano in media all'8a seduta, e il 75%
alla 26a.
-
Recentemente sono state fatte alcune importanti review meta-analitiche
-
sull'efficacia delle terapie dinamiche brevi, come quella
di Svartberg &
-
Stiles (1991), Crits-Cristoph (1992), e Luborsky et al. (1993),
e nel
-
complesso non si è riusciti a dimostrare una superiorità
della dimensione
-
del risultato (effect size) delle terapie dinamiche rispetto
alle altre
-
terapie; la review di Svartberg & Stiles (che però
è meno selettiva delle
-
altre due e contiene alcuni errori segnalati da Luborsky
et al. [1993, p.
-
501]), addirittura ha trovato le terapie dinamiche leggermente
inferiori
-
alle altre terapie (per il significato dei termini "meta-analisi"
ed "effect
-
size", vedi Cap. 11, p. 189, nota 2).
-
Va inoltre segnalato che vi sono vari studi (Mumford et al.,
1984; ecc.)
-
tesi a dimostrare l'utilità delle terapie brevi sui
pazienti ricoverati nei
-
reparti di medicina (dove si otterrebbe l'effetto di diminuire
la durata dei
-
ricoveri, le richieste di farmaci e di esami di laboratorio),
nei pazienti
-
medici ambulatoriali (Meyer et al., 1981), nella psichiatria
militare, nella
-
popolazione degli studenti universitari, ecc.
-
Volendo trarre delle conclusioni sulle ricerche dell'efficacia
delle
-
psicoterapie brevi ad orientamento psicoanalitico, bisogna
dire che in
-
effetti esse sono contraddittorie. La diversità dei
campioni presi in esame
-
nei vari studi, le varie metodologie di ricerca, le scale
di valutazione
-
spesso non sufficentemente sensibili alle modificazioni indotte
dalle
-
terapie dinamiche, e così via, si riflettono direttamente
sulla
-
contradditorietà dei risultati (per un elenco delle
ragioni per cui è
-
difficile dimostrare la superiorità di una tecnica
rispetto a un'altra, vedi
-
Miller et al., 1993, pp. 507-511). Come giustamente Parloff
(1985, p. 9) ha
-
osservato, la situazione attuale della ricerca sui risultati
della
-
psicoterapia è paradossale, in quanto è caratterizzata
da due sviluppi
-
apparentemente contraddittori: da una parte si è assistito
a un enorme
-
aumento della sofisticazione concettuale e metodologica,
e dall'altra a un
-
aumentato scetticismo sul significato dei dati raccolti.
Vi è insomma una
-
innegabile crisi di identità in questo campo di ricerca,
e la
-
contradditorietà dei risultati lo sta a testimoniare.
La causa di tutto ciò
-
va ricercata, come si è detto, nella difficoltà
ad identificare quello che
-
potremmo chiamare "l'oscuro oggetto della psicoterapia".
-
Importanti passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni
con
-
l'introduzione di nuovi strumenti per la ricerca. Tra questi
vanno ricordati
-
i progressi avvenuti nel campo della diagnostica (American
Psychiatric
-
Association, 1980, 1987, 1994; vedi Cap. 12), le misurazioni
-
individualizzate dei risultati delle psicoterapie (Mintz
& Kiesler, 1982), e
-
la formulazione dei "manuali" per le psicoterapie (vedi Cap.
11, pp.
-
190-191). La novità è che negli ultimi anni
vari ricercatori hanno lavorato
-
anche attorno alla formulazione di manuali per la psicoterapia
dinamica
-
breve (Luborsky, 1984, p. 159-166; Luborsky & Mark, 1991;
Strupp & Binder,
-
1984; Klerman et al., 1984; Sifneos, 1992). Le ricerche sono
necessariamente
-
lente, ma è probabile che tra poco assisteremo a un
netto miglioramento
-
della situazione della ricerca in questo campo."
-
-
Va detto però che se
-
"inizialmente non si riusciva a trovare nessuna
-
apprezzabile correlazione tra risultati e durata della psicoterapia
(Smith,
-
Glass & Miller, 1980; Shapiro & Shapiro, 1982), col
risultato che si poteva
-
desumere che la semplice durata della terapia probabilmente
era meno
-
importante della "intensità" o qualità del
trattamento (Orlinsky & Howard,
-
1978), negli anni recenti invece è sempre più
emersa una correlazione
-
positiva tra risultati e durata della terapia: più
è lunga la terapia,
-
maggiori sono i risultati e più è la probabilità
che essi si consolidino
-
(Orlinsky & Howard, 1986, p. 361; Orlinsky, Grawe &
Parks, 1994, p. 360)."
-
-
Non sono comunque d'accordo col tono un po' svalutante che
usi nei confronti di Davanloo.
-
Penso che Davanloo, così come ogni
altro collega che fa ricerca in questo campo,
-
vada trattato con rispetto,
se non altro per gli sforzi che fa
-
di mostrare quello che fa con chiarezza, usando i videotapes,
ecc. Ritengo
-
che possa essere molto bravo con determinati pazienti, la
mia critica
-
riguarda prevalentemente il suo modo di utilizzare a priori
e in modo
-
generalizzante il setting di terapia breve, come ho spiegato
in altre mail.
-
Entrare nei dettagli del suo modello teorico qui sarebbe
complicato, e io
-
del resto non conosco bene i suoi sviluppi più recenti.
Ma io mi sentirei
-
di condividere le citazioni di Davanloo da te riportate,
in quanto
-
essenzialmente sono corrette: lui cerca di individuare dei
criteri precisi,
-
di insegnarli ecc., e questo e quello che dovrebbe fare ogni
clinico e
-
ricercatore serio.
-
In questo caso quindi, mentre prima avevo mosso delle critiche
a
-
Davanloo, ora in un certo senso lo difendo.
-
-
20 Aprile 1999, Gaetano
Dell'Anna:
-
Paolo Migone ha chiesto cosa intendevo dire quando scrivevo:
-
>Se il paziente ha le idee molto chiare e vuole stare bene
subito e non
-
>importa quanto costerà, purché sia solo denaro
e si faccia in fretta, non
-
>si potrebbe prendere il suo denaro e dargli quello che chiede?
-
-
Sinceramente mi dispiace, uno dei miei difetti, e non il
peggiore, è
-
la presunzione assertiva; cioè mi basta se mi capisco
da me.
-
Daccordo è narcisismo, e allora? ;-)
-
Comunque era solo retorica ironia nei riguardi dello stile
assortamente
-
messianico che informa le discussioni, i convegni, le pubblicazioni
in
-
ambito clinico dalle quali parrebbe che ci si adoperi sempre
per l'altrui
-
bene e mai per il proprio tornaconto.
-
Io credo che una più aperta sincerità consentirebbe
di lavorare meglio sia
-
per il tornaconto che per il bene altrui.
-
Siccome anche Sandro Rosseti era nel mirino del mio tenue
sarcasmo (ma
-
Non ti ho fatto male, vero?), ci ho ficcato Davanloo; però
non volevo essere
-
svalutante e fai bene a difenderlo dal mio incauto ironizzare,
anzi dirò che
-
apprezzo più chi, come lui, espone alla discussione
enunciati discutibili
-
che quelli che si riparano sotto l'ombrello rassicurante
di scolastici e mal
-
digeriti teoremi.
-
Avevo citato i seguenti enunciati di Rosseti:
-
>L'inconscio è un sistema psicobiologico il cui
-
>funzionamento è organizzato in modo molto preciso
tanto da fornire
-
>risposte specifiche a stimoli specifici. (...)
-
>Chiunque utilizzi questa tecnica verifica la possibilità,
pur nella
-
>varietà delle organizzazioni inconsce, di riprodurre,
riconoscere ed
-
>utilizzare clinicamente i segnali del funzionamento dinamico
dell'inconscio. (...)
-
>I parametri che il terapeuta deve seguire per arrivare all'apertura
dell'inconscio... (...)
-
>L'ansia inconscia è il parametro che meglio
-
>orienta il clinico, fornendo preziose e continue informazioni...
ecc.
-
-
Discutibili mi sembrano questi enunciati, non la Ricerca
che, in quanto tale, non
-
ha fine e Davanloo ha certamente il diritto di portarla avanti
come crede.
-
Quello che non mi convince è l'esplicito meccanicismo
che traspare dalla
-
spiegazione, forse assai sintetica, è vero, di Sandro
Rosseti.
-
Se dico che il software di un computer è un sistema
psicoelettronico il cui
-
funzionamento è organizzato in modo molto preciso
tanto da fornire risposte
-
specifiche a segnali specifici, potrò affermare che
esiste una tecnica
-
grazie alla quale chiunque potrà verificare la possibilità,
pur nella
-
varietà dei software oggi generati, di riprodurre,
riconoscere ed
-
utilizzare clinicamente (in senso tecnico) i segnali del
funzionamento
-
dinamico dello stesso software e generalizzare tale esperienza
ad altri
-
programmi. Naturalmente seguirò le istruzioni per
l'uso al fine di arrivare
-
all'apertura di quel software seguendo proprio le tracce
dei sistemi di
-
protezione che il pogrammatore ha lasciato.
-
Mi sembra un modo di parlare dell'inconscio troppo simile
a quello di un
-
hacker che dimostra come forzare un programma.
-
Grazie della esauriente e approfondita lezione, ne farò
tesoro e in futuro
-
cercherò di essere meno ermetico. :-)
-
-
27 Aprile 1999, Sandro
Rosseti:
-
Mi scuso anzitutto per il ritardo con cui rispondo, dovuto
alla mia assenza
-
nella settimana passata. Il 20/04/99 Gaetano Dell'Anna ha
scritto:
-
>Siccome anche Sandro Rosseti era nel mirino del mio tenue
sarcasmo (ma
-
>non ti ho fatto male, vero?),
-
-
Vedi Dell'Anna, credo che questo modo sarcastico faccia del
male più a te
-
che a me... ;-) Poi dici:
-
>Quello che non mi convince è l'esplicito meccanicismo
che traspare
-
>dalla spiegazione, forse assai sintetica, è vero,
di Sandro Rosseti.
-
-
E' vero, la spiegazione è sintetica (peraltro, se
interessa, non ho
-
difficoltà ad essere più esplicito, salvo rimandare
direttamente ai testi
-
di Davanloo già citati in un precedente messaggio
e che qui riporto:
-
H.Davanloo Il Terapeuta instancabile, edito per FrancoAngeli,
1998.
-
Lavori di Davanloo più recenti sono reperibili sull'International
Journal of
-
Short-Term Dynamic Psychotherapy, di Wiley (Vol. 10, 121-230,
1995;
-
Vol. 11, 129-152, 1996) ma credo che emerga un punto di fondo:
l'inconscio
-
non è qualcosa di astratto nel suo funzionamento,
ma segue leggi e meccanismi
-
propri dei sistemi biologici. Se questo è il "meccanicismo",
allora ben
-
venga: la mia formazione è quella di medico, prima
che di psichiatra e
-
psicoterapeuta, e questo modo di ragionare in termini di
funzionamento dei
-
sistemi biologici mi è familiare sin dai primi studi
universitari; questo
-
non vuol dire comunque che poi la tecnica sia "meccanica"
(nel senso di
-
rigida, "one size fits all"), perché si adatta alla
situazione
-
transferale presente al momento, e quindi alla patologia
inconscia che la
-
sottende: in medicina, come esiste la fisiologia, esiste
la fisiopatologia,
-
e le terapie farmacologiche (ad esempio cardiologiche) che
somministriamo
-
si basano(almeno)su entrambe: uno scompenso cardiaco congestizio
non è
-
una fibrillazione atriale (mi si perdoni il divagare in altri
campi), e la
-
terapia, in misura maggiore o minore, cambia.
Dici inoltre:
-
>Se dico che il software di un computer è un sistema
psicoelettronico il cui
-
>funzionamento è organizzato in modo molto preciso
tanto da fornire
-
>risposte specifiche a segnali specifici (...)
-
>Naturalmente seguirò le istruzioni per l'uso al fine
di arrivare
-
>all'apertura di quel software seguendo proprio le tracce
dei sistemi di
-
>protezione che il programmatore ha lasciato. (...)
-
>Mi sembra un modo di parlare dell'inconscio troppo simile
a quello di un
-
>hacker che dimostra come forzare un programma.
-
-
Per certi versi hai ragione (salvo che Davanloo parla di
"unlocking" e non
-
di "hacking"): d'altronde, se vuoi accedere all'organizzazione
inconscia
-
dei pazienti devi pur avere un metodo di trattare con la
Resistenza, e
-
questo è una parte di quello che Davanloo ha messo
(e continua a mettere) a
-
punto. In questo senso la ricerca di Davanloo mira anzitutto
a capire quali
-
sono le "istruzioni", per poi utilizzarle per accedere all'inconscio.
-
Spero di essermi fatto capire meglio :-) Buon lavoro
-
-
27 Aprile 1999, Sandro
Rosseti:
-
Una rapidisssima chiosa (esplicativa) di quanto dicevo nella
mail di risposta
-
a Dell'Anna ("Mi sembra un modo di parlare dell'inconscio
troppo simile a
-
quello di un hacker che dimostra come forzare un programma").
-
Avevo scritto:
-
>Per certi versi hai ragione (salvo che Davanloo parla di
"unlocking"
-
>e non di "hacking").
-
-
C'è una differenza sostanziale fra hacking
e unlocking, che ritengo
-
implicita, ma che forse è bene sottolineare, non si
sa mai: l'hacking
-
avviene "contro" il programma, senza una sua "partecipazione",
per la sola
-
bravura dell'hacker, e la corrispondente poca avvedutezza
dell'estensore
-
del programma stesso, di fatto un furto ai suoi danni. L'unlocking
-
dell'inconscio avviene solo con la collaborazione del paziente,
attraverso
-
la mobilizzazione delle forze dell'alleanza terapeutica conscia
e
-
inconscia, contro la Resistenza. In altri termini, puoi "hackerare"
quanto
-
vuoi un inconscio, anche se non ne vedo il senso, ma non
necessariamente a
-
questo segue un unlocking (cioè un accesso
pieno alle forze dinamiche
-
in gioco).
|