Donata Miglietta (a cura di)
Bambini e adolescenti in gruppo Recensione
Ancora poco diffuso in Italia, il piccolo gruppo analitico è la terapia che meglio si adatta al mondo infantile per un infinità di ragioni che il libro ci racconta attraverso numerose esemplificazioni cliniche. In gruppo i bambini costruiscono legami e rispecchiamento, imparano a condividere il tempo e lo spazio, imparano ad esprimersi e a separarsi e lo fanno prevalente attraverso il linguaggio elettivo del gioco con la guida di uno psicoterapeuta che ha la funzione di testimone e guardiano dello sviluppo dei processi. In gruppo i bambini sono aiutati a trasformare la sensorialità, le somatizzazioni, gli atti, le scariche motorie, in scene e in storie che, dando forme e suono alle emozioni, conducono all'alfabetizzazione degli affetti: sono i giochi, le scene e le storie che rendono pensabili i pensieri sugli eventi. Il gioco tra bambini in gruppo permette che le cariche emozionali, invece di essere evacuate nell'agire, possano essere canalizzate nel linguaggio e quindi diventare pensiero. Il gioco come linguaggio elettivo in gruppo narra la crescita e, contemporaneamente, la promuove sviluppando l'apparato capace di mettere in moto la funzione alfa e quella gamma. I racconti clinici mettono in luce che, quanto più sono piccoli i bambini, tanto più il trattamento terapeutico richiede di usare il gioco. Dalle pagine del libro si vede come allo psicoterapeuta che conduce il gruppo arrivi spesso un bombardamento di stimoli che si susseguono in sequenze disordinate e come le azioni ludiche che attraversano la stanza i cui si svolge la psicoterapia siano, all'inizio dei gruppi, traiettorie caotiche. Tuttavia, ci ripete più volte la curatrice del libro, che ogni piccolo gruppo di bambini a funzione analitica si conduce continuando ad essere curiosi proprio di ciò che nasce da questo caos il cui senso è ignoto. Il libro ci racconta, attraverso molti esempi, come con gruppi di bambini ci si trovi immessi in pieno in un campo sensoriale - emotivo ma ci fa anche scoprire chele forme primitive delle emozioni, una volta messe in condizione di apparire in una scena, possano prendere una vita e una forma che da visiva si trasforma in linguistica e diventa narrabile. Tutto ciò sembra sempre più evidente durante la lettura del testo e viene ripreso nelle pagine di Boatti e Cormaio: il lavoro terapeutico di gruppo con bambini piccoli non può prescindere dall'uso del gioco condiviso che include la messa in gioco a livello corporeo del terapeuta stesso. Il tragitto della terapia si muove a partire da questo piano motorio e, attraverso le emozioni che vengono messe in condizione di venire descritte, arriva alla verbalizzazione degli affetti Ogni gruppo di bambini a conduzione analitica si fonda sulla produzione di sequenze sceniche, queste sequenze, a loro volta, generano brani di storie e le storie che vengono giocate generano nuove scene. Nello spazio delle scene cadono frammenti di senso, di lettere, di parole che col lavoro onirico della veglia diventano frammenti di racconto. Perché tutto questo non si trasformi in una fuga nell'immaginario è fondamentale la funzione del conduttore che attraverso la sua revérie, al momento opportuno interverrà per immettere senso scenico e narrativo come elementi per tessere la trama della storia. Il libro sottolinea ripetutamente che ai conduttori che si avventurano in questo campo occorre una solida formazione che consenta loro di riconoscere e accogliere il linguaggio del corpo, le sensazioni e le emozioni primitive, confuse e "bollenti" e successivamente trasformarle in immagini, in rappresentazioni, racconti di ciò che sta avvenendo in quel momento nella stanza. Il libro è il frutto di un lavoro di ricerca durato più di dieci anni con lo scopo di individuare i principali parametri del lavoro con i gruppi a funzione analitica. Questo è stato fatto attraverso la somministrazione di una serie questionari che sono stati sottoposti ad un buon numero di conduttori. Tuttavia quello che emerge dai racconti e che colpisce il lettore è prevalentemente la testimonianza in presa diretta sui vissuti controtransferali raccontati dai conduttori stessi. Si i vede attraverso questi resoconti clinici che il conduttore ha il compito di orientare i bam-bini verso il compito comune, di creare i legami tra le attività, di individuare gli scopi, di confezionare con i bambini una trama che serve da base narcisistica al gruppo. Anche se talvolta egli fa la parte del giocattolo o del burattino, ma resta un burattino intelligente e un giocattolo che pensa: si vede chiaramente nella clinica che quando il conduttore riesce a svolgere e a personificare questa funzione di burattino pensante, attraverso essa favorisce il contenimento e la trasformazione dell'eccitazione. Col suo ascolto e la sua presenza è il conduttore che permette l'integrazione di impulsi contrastanti fornisce un potenziale argine al senso di di-spersione e di perdita dei confini che l'attivazione dei contenuti incon-sci può produrre. Il testo si rivolge agli psicoterapeuti che lavorano con l'infanzia e l'adolescenza e in certo senso è a loro che "insegna" a fare gruppi con la fascia evolutiva. Il libro offre alcuni interessanti contributi anche delle attività in gruppo nella prevenzione, viste sia attraverso i percorsi scolastici sia in quelli che avvengono all'interno delle reti istituzionali allargate. Nella seconda parte del libro l'attenzione viene infatti rivolta ai cosiddetti "gruppi non terapeutici", con un focus rivolto al tema della prevenzione, che va dal lavoro nelle classi o negli istituti scolastici a quello che ha visto uno staff di psicosocioanalisti impegnati su un'intera città nel contributo di Ermete Ronchi. Nella parte del libro che riguarda il lavoro di prevenzione vediamo che gli autori individuano comunque il gruppo come strumento elettivo di intervento sull'adolescenza. Essi infatti considerano le sue potenzialità per promuovere il cambiamento e l'evoluzione dei ragazzi da "pecore impaurite" a esseri che pensino autonomamente. Questo capitolo del libro nasce dal lavoro, anch'esso decennale, dell'equipe prevenzione del dipartimento interaziendale delle dipendenze della ASL 21. Le esperienze citate variano da interventi di educazione alla salute ad interventi di supporto alla costruzione del gruppo-classe, fino a progetti di "Peer Education", che prevedono la costituzione, nell'ambito di Istituti scolastici, di gruppi di adolescenti disposti ad assumersi il ruolo di attori primari nella progettazione e realizzazione di iniziative di prevenzione rivolte a coetanei ed infine di interventi per l'attivazione di gruppi di discussione a termine, rivolti a ragazzi che presentano consumi occasionali di droghe e difficoltà evolutive. Il modello psicosocioanalitico, presentato da E. Ronchi nell'ultimo capitolo ci descrive il lavoro di uno staff di addetti ai lavori che aveva avuto l'incarico di ripensare il tema degli "adolescenti" in una realtà cittadina. Come ci ricorda E. Ronchi noi tutti che lavoriamo in gruppo e attraverso il gruppo dobbiamo tener presente che il collettivo contiene anche potenti fattori distruttivi, per vigilare sui primi segni della loro comparsa ed arginarli in tempo. In questa seconda parte del testo si chiarisce anche come l'azione preventiva si sviluppi con obiettivi, destinatari e tempi di realizzazione diversi ma talvolta comprende azioni che si collocano al confine tra prevenzione e terapia. Sia nella parte più propriamente clinica che in quella sulla prevenzione emerge che con i piccoli utenti è necessario muoversi nella relazione utilizzando il linguaggio ludico come strumento interattivo e che questa condizione è indispensabile per lavorare coi bambini, essa è sia il presupposto per aver qualche possibilità di essere seriamente ascoltati da loro, sia il presupposto della realizzazione di una comunicazione e di un contatto autentico. |