Rodolfo De Bernart, Ignazio Senatore Cinema e terapia familiare Edizioni Franco Angeli, 2011
“Amo il cinema che non mi lascia in pace” “Il matrimonio è la continua attesa di un disastro imminente.” “Quando i padri vogliono occuparsi dei figli una-tantum e tutt’assieme “Mamma, sei come un grosso cuscino premuto sulla mia faccia” “Il matrimonio è una cosa esagerata; è come se uno che ha fame si compra un ristorante”
In un capitolo del volume“Curare con il cinema”, intitolato “Da Taxi driver a Blade runner. L’immagine della famiglia sullo schermo”, avevo analizzato come la rappresentazione della famiglia al cinema rispondesse a degli stereotipati codici seriali di rappresentazione; la famiglia ridicolizzata (nuclei simpatici, macchiettistici e divertenti); la famiglia disturbata (genitori isterici, figli violenti e disfunzionali, zii intrusivi e pasticcioni…); la famiglia divisa (famiglie scompaginate, lacerate da divorzi e da separazioni); la famiglia rimossa (adolescenti sbandati ed inquieti, cani sciolti e senza collare che, abbandonati la dimora familiare, dimentichi delle loro origini, vagano per il mondo, alla ricerca della propria identità perduta); la famiglia sfondo (parenti ed affini compaiono ai margini della storia come un mero pretesto narrativo o come una funzione decorativa e di contorno); la famiglia assente (protagonisti che nel corso della narrazione non facevano nessun riferimento alle famiglie d’origine). Sono passati diversi anni ed i codici iconografici di raffigurazione del nucleo familiare non sono mutati da allora. Più che confermare quest’ipotesi, in questo volume sono andato alla ricerca di quelle pellicole che potessero al meglio fotografare le variegate e complesse dinamiche intra ed extra-familiari. Scartate le pellicole recensite in altri miei volumi, nell’affrontare il compito propostomi, ho continuato a pescare nella soffitta della mia memoria. Dopo aver resistito a mille fascinazioni (schedare solo le pellicole vincitrici di Oscar e di altri prestigiosi premi della critica, inserire soltanto quei film sconosciuti al largo pubblico e legati strettamente ad un sapere più cinefilico, analizzare quelle pellicole che resistono ancora agli urti del tempo…) ho deciso di andare a zig zag tra le diverse cinematografie e di contrapporre ambienti e culture. Alle famiglie operaie (Il ferroviere) o contadine (La valle dell’Eden) degli anni Cinquanta ho accostato quelle della “middle class” dei giorni nostri (American beauty, Ricordati di me, Little miss sunshine); ai nuclei che vivono in una piccola cittadina di provincia (Tempesta di ghiaccio, La vita è un grande fiume tranquillo, La valle dell’Eden…) quelli che abitano in una grande città (Anche libero va bene, La guerra di Mario…) a chi vive nei bassifondi (Once were warriors) quei personaggi che ciondolano tra salotti ed ambienti borghesi (Dopo il matrimonio). Al lettore più smaliziato non sfuggirà che ho inserito pellicole prodotte dalle più svariate cinematografie; da quella nostrana a quella europea, da quella a stelle e strisce a quelle proveniente da altri continenti e che al fianco dei film diretti dai Maestri del cinema del calibro di De Sica, Visconti, Sirk, Truffaut, Ford Coppola, Loach, Frears, Leigh, Dardenne ho accostato registi giovani ed indipendenti come Jason Reitman, Jonathan Dayton e Valerie Farisl per sottolineare ancor più come il nucleo familiare, al di là della latitudine dove il film é stato prodotto o dalla specifica marca stilistica del regista, sia sempre stato letto come un coacervo di segreti e bugie, di passioni e tradimenti, di tensioni e ribellioni, di trasgressioni e convenzioni. Per evitare di appiattire il volume sulle pellicole recenti, fin troppo note al largo pubblico, ho allargato la forbice temporale del “campione” esaminato, inserendo dei film prodotti a partire dagli Anni Quaranta e, per sottolineare come l’oggetto famiglia sia stato coniugato da tutti i generi cinematografici, ho costeggiato le epiche stagioni del Neorealismo italiano (Bellissima, Umberto D…), del melodramma popolare degli Anni Cinquanta (I figli di nessuno…), della corrosiva ed irridente commedia all’italiana (Parenti serpenti…)… Sposando questa ipotesi non potevo non inserire quelle pellicole (Lo specchio della vita…) che hanno rimpolpato lo straordinario filone del “melodramma familiare americano” degli Anni Cinquanta a cui fanno da perfetto contro-altare quelle dirette dagli “arrabbiati” cineasti britannici (The snapper, Ladybird Ladybird )degli anni Settanta- Ottanta fino al recente filone del cinema indipendente americano (Denti, Juno, Tra le nuvole…) . In questo breve excursus sul tema non potevano mancare quelle pellicole che, avendo intercettato con acume e maestria, problematiche e disagi di un’epoca (Indovina chi viene a cena?, Kramer contro Kramer, American beauty…) hanno avuto una grande risonanza mediatica fino a diventare oggi dei veri e propri oggetto di culto. A completare la raffigurazione del gruppo familiare fratelli e sorelle legati tra loro in maniera malsana (Scacco pazzo, Aprimi il cuore), coppie in crisi (Ti do i miei occhi, Chi ha paura di Virginia Wolf?) o separate (Un giorno perfetto…) bambini abbandonati (Central do Brasil) ed emarginati (Certi bambini), adolescenti irrequieti (Thirtheen), allo sbando (Gummo) ed alla disperata ricerca di se stessi (Breakfast club), genitori divorati da rapporti ambivalenti e conflittuali con i propri figli (L’amore nascosto, Ma mere, I cento passi, Colpire il cuore..). Dai film schedati ne discende una rappresentazione dell’universo familiare difficile da perimetrare, letto generalmente come un agglomerato di individui riuniti sotto lo stesso tetto ma distanti mille miglia emotivamente tra loro, lacerato da conflitti intergenerazionali, incapace di contenere affanni e tensioni e dove non è permesso condividere e scambiare affetti ed emozioni. Solo adesso ho compreso che, al di là dei percorsi filmici proposti, nel circumnavigare l’arcipelago “famiglia”, “inconsapevolmente” mi sono lasciato guidare dalla fulminante annotazione di Erri De Luca che, in “Alzaia”, afferma: “Amo il cinema che non mi lascia in pace”. I film inseriti, infatti, non solo hanno messo in moto il mio immaginario ma mi hanno scavato dentro, aiutandomi a vedere squarci, sguardi e visioni del gruppo familiare a me sconosciuti. Del resto come affermava proditoriamente Eric Rohmer "La missione del cinema è più quella di dirigere i nostri occhi verso gli aspetti del mondo per i quali ancora non avevamo ancora avuto sguardi, che non porre davanti ad essi uno specchio deformante, sia pure di buona qualità." Ignazio Senatore |