Vai all'Indice
on-line del n. 4/2019 di Contemporary Psychoanalysis
Il n. 4/2019 si apre con tre articoli di
autori uomini che, guarda caso, affrontano tematiche teoriche e non cliniche.
Nell'articolo di testa l'ormai novantacinquenne Edgar Levenson, una figura molto
autorevole nel William Alanson White
Insitute e noto per due suoi libri tradotti in italiano - L'ambiguità
del cambiamento, del 1972 (Roma: Astrolabio, 1985), e Psicoanalisi
contemporanea (Urbino: Quattroventi, 2006) a cura di Roberto de Ponte-Conti
e Sandra Caverni - si chiede dove stia andando la psicoanalisi (Quo vadis?),
e dice che stiamo assistendo a una nuova rivoluzione cartesiana nel senso che la
mente è diventata più importante del corpo, si pensi ad esempio alle questioni
del gender e all'intelligenza artificiale dove i corpi diventano sempre
più irrilevanti per il funzionamento mentale. Donnel B. Stern, pure lui molto
noto anche in Italia per il suo concetto di "esperienza non formulata", di cui
ha parlato già alla fine degli anni 1980 e poi nel libro del 1997
L'esperienza non formulata. Dalla dissociazione all'immaginazione
in psicoanalisi (Pisa: Edizioni del Cerro, 2007),
continua la sua linea di ricerca e mostra, sulla base di un esempio clinico,
come l'inconscio sia formato da potenzialità fluttuanti che si attivano a
seconda del campo interpersonale, per cui il compito del terapeuta non è tanto
quello di interpretare quanto di "liberare il campo" per far esprimere quelle
potenzialità (Morris Eagle ha più volte criticato le idee di Donnel B. Stern, ad
esempio p. 10 dell'articolo "La
natura sociale della mente" nel
n. 1/2011 di
Psicoterapia e Scienze Umane). Leon Hoffman (che è anche un
collaboratore di Wilma Bucci) si chiede cosa sia il "processo analitico" e
conclude, tra le altre cose, che è importante integrare la ricerca empirica con
la clinica. Leah Lipton, sulla base di un caso clinico, mostra quanto l'accordo
legale di tenere segreto un abuso sessuale, a fronte di un risarcimento
economico, possa essere foriero di gravi danni intrapsichici (vergogna,
indegnità, etc.) ed ennesimo esempio di una cultura patriarcale. Infine,
Margaret Crastnopol, anche lei con esempi clinici, analizza in dettaglio quello
che definisce il "tallone d'Achille" dell'analista, cioè i suoi difetti
caratterologici non riconosciuti né analizzati (ad esempio distacco emotivo,
tratti aggressivi, etc.) che possono avere effetti deleteri sulla relazione
terapeutica, e suggerisce come possano essere meglio riconosciuti e gestiti.
Tra le recensioni, tra le
quali merita di essere segnalata quella scritta da Lynne Layton del libro
di Philip Cushman Travels with the Self. Interpreting Psychology as Cultural
History (New York: Routledge, 2019). Cushman - noto ai lettori di
Psicoterapia e Scienze Umane
per il suo interessante articolo "Ideologia mascherata.
Impieghi politici del Sé nella teoria dello sviluppo infantile di Daniel Stern",
pubblicato nel n.
3/1993
- da circa trent'anni è un accesso sostenitore di un movimento di "psicologia
critica" che concepisce la psicoterapia soprattutto come "impresa morale" e non
semplicemente come una terapia di sintomi senza interrogarsi delle ragioni per
cui la società contribuisce a produrli. Cushman dichiara il suo debito culturale
nei confronti di Foucault e di Heidegger, e soprattutto sottolinea l'importanza
del concetto di dialogo e di circolo ermeneutico di Gadamer; mette in contrasto
l'approccio ermeneutico, di cui si fa portavoce, col "fondamentalismo" della
psicologia contemporanea e delle sue procedure terapeutiche derivate piattamente
dallo "scientismo" di certa ricerca empirica (noto è uno scontro che ebbe anni
fa con Jeremy Safran che non negava una utilità della ricerca empirica). I vari
capitoli del libro illustrano gli studi di Cushman sulla storia del concetto di
Sé nel mondo occidentale, ad esempio dal Sé come "carattere" agli inizi del XIX
secolo, al Sé come "personalità" alla fine del XIX secolo, al "Sé vuoto" della
metà del XX secolo (che doveva essere riempito dai prodotti del consumismo),
fino ai "Sé multipli" e al "Sé appiattito" del XXI secolo, in cui l'interiorità
viene svalorizzata e prevale una idea del Sé come "impressionante mistura di
consumismo, esperienze di comunicazione elettronica e cultura neoliberista".
Questi sono solo alcuni spunti del libro dello storico della cultura e
psicologo Philip Cushman. |