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on-line del n. 2-3/2022 di Contemporary Psychoanalysis
Questo fascicolo (n. 2/3 del 2022) è un
numero doppio interamente dedicato a Philip M. Bromberg (1931-2020), uno
psicoanalista scomparso di recente, molto noto e influente, autore di vari libri
tre dei quali tradotti in italiano (Clinica del trauma
e della dissociazione. Standing in the Spaces [1998],
Destare il sognatore [2006] e
L’ombra dello tsunami [2011],
pubblicati dall'editore Raffaello Cortina di Milano rispettivamente nel 2007,
2009 e 2012). Si tratta di un fascicolo molto corposo, con cinque parti
distribuite in 336 pagine, che raccoglie i contributi di tanti amici e
collaboratori di Bromberg che lo ricordano, a volte anche in termini affettivi,
sottolineando quella che viene ritenuta da tutti una sua grande sensibilità
clinica e capacità di innovazione teorica. Per la verità quella che emerge è
soprattutto la sua capacità e sensibilità clinica, mentre più difficile da
sistematizzare è il suo contributo teorico. Bromberg è noto, ad esempio, per
essere stato uno degli autori, forse il più importante, ad avere lanciato il
termine "dissociazione", col risultato che il concetto di rimozione, una volta
centrale in psicoanalisi, oggi è praticamente scomparso dalla terminologia
psicoanalitica, e in questo come in altri articoli manca una approfondita
disamina di cosa questo implichi per l’impianto teorico complessivo della
psicoanalisi. Quello che è chiaro è quanto il termine "dissociazione" sia
appealing
e risulti utile agli psicoterapeuti contemporanei (anche italiani, se si guarda
il successo che hanno avuto i suoi libri nel nostro Paese), così influenzati
dalla psicoanalisi relazionale e dalla connessa importanza data al trauma e al
ruolo dei fattori sociali e ambientali. Ovviamente qui non è possibile
commentare i tanti contributi pubblicati in questo numero speciale, scritti da
autori a volte noti (si pensi, tra gli altri, a Jessica Benjamin, Donnel B.
Stern o Jonathan Shedler, conosciuti per i loro scritti pubblicati anche in
italiano); ci limiteremo a descrivere più in dettaglio il primo articolo, dello
stesso Bromberg, che è una relazione presentata il 12 settembre 2014 alla
School of Visual
Arts di New York e pubblicata solo ora, quindi postuma.
La relazione di Bromberg - che in parte
riprende un articolo del 1991 dal titolo "Artist and analyst", che poi è
diventato un capitolo del suo libro del 1998
Clinica
del trauma e della dissociazione.
Standing in the Spaces - si intitola "La psicoterapia come arte dell’incertezza" (il termine
"incertezza" fa venire
in mente l’articolo
di Pier Francesco Galli "L’identità terapeutica nel regno dell’incertezza", pubblicato nel n. 1/2009 di Psicoterapia e Scienze Umane). Qui
Bromberg, che si rivolge a un pubblico non specialistico ma di studiosi di
discipline artistiche, e in particolare di arti visive, dà per scontato che la
psicoterapia è un’arte, per cui, per così dire, si sente a casa. Infatti vede
uno stretto collegamento tra il rapporto interattivo che ad esempio una pittrice
- e qui fa riferimento a sua moglie, appunto una pittrice, che lui osservava al
lavoro - ha con la sua tela e il rapporto del terapeuta col suo paziente: la
tela del quadro, mano a mano che viene dipinta, evolve nella sua identità e
trasforma la direzione che la pittrice aveva preso nel dipingerla, in modo tale
che il quadro diventa una co-creazione; allo stesso modo, il terapeuta si
impegna in una attività che di fatto è artistica, mediata da un "processo di
apprendimento interpersonale" che evolve percettivamente per entrambi i partner.
Bromberg sottolinea molto il concetto di "percezione" (che si può illustrare ad
esempio nella dialettica - sia nel rapporto bambino/caregiver
sia nel rapporto paziente/terapeuta - del "vedere ed essere visti"), che a suo
parere caratterizza la psicoanalisi da lui definita "post-classica", ed è
convinto che sia la percezione (non la parola) quella che rende "personale" il
campo relazionale. Per Bromberg il linguaggio verbale spesso non produce
cambiamento, ma solo narrative che si ripetono sempre uguali a se stesse, col
possibile risultato di uno stallo dell’analisi. Sottolinea, come fanno tanti
autori oggi, il fatto che le esperienze chiave vengono registrate dal bambino
nella memoria procedurale, prima della acquisizione del linguaggio, per cui è
necessario lavorare nella interfaccia tra la realtà procedurale e la realtà
cognitiva. E cosa intende Bromberg con l’espressione Standing in the Spaces,
che fa da sottotitolo del suo libro del 1998, prima menzionato? Si riferisce
alla capacità del terapeuta di saper oscillare, nella inevitabile incertezza che
fa parte del suo mestiere, negli spazi vuoti che rimangono tra gli stati del Sé
dissociati allo scopo di aiutare il paziente a recuperare una fluidità della sua
esperienza soggettiva senza ricadere nell’uso della dissociazione.
Tante sono le riflessioni e le evocazioni
contenute in questo articolo di Bromberg, che scrive anche in un modo
accattivante, ricco di spunti che mostrano la sua indubbia sensibilità clinica e
il continuo piacere, da lui ammesso, che prova nel lavorare con i pazienti,
anche con quelli più gravi (fattore, questo, che non può non essere esso stesso
un fattore terapeutico, perché coinvolge i pazienti in una esperienza che, come
si è detto, è anche creativa e spesso nuova). Tra i riferimenti teorici
menzionati da Bromberg in questo lavoro vi sono soprattutto i contributi di
Peter Fonagy e del suo gruppo di ricerca (cita ad esempio la modalità di
"equivalenza psichica" [psychic equivalence mode],
che caratterizza la difficoltà del bambino a distinguere i contenuti della
propria mente da quelli del mondo esterno), e anche il testo di Jerome S. Bruner
del 1990 La ricerca del significato: per una psicologia culturale
(Torino: Bollati Boringhieri, 1992).
Nel complesso, gli ultimi due fascicoli di
Contemporary Psychoanalysis,
qui esaminati, mostrano bene alcuni sviluppi della psicoanalisi relazionale, di
cui - assieme ad altre riviste tra cui soprattutto Psychoanalytic Dialogues,
fondata da Stephen Mitchell nel 1991 - si fa portavoce. E questi sviluppi della psicoanalisi relazionale,
come si vede bene, non rappresentano sempre dei reali progressi nella storia
delle idee della psicoanalisi. |