Una delle controversie che animano il dibattito in psicopatologia riguardano la natura dei costrutti psicopatologici, ossia se
essi debbano essere considerati in una prospettiva dimensionale o categoriale. In genere, i sistemi diagnostici - come il DSM-IV -
definiscono le sindromi (o costrutti) come categorie discrete basate sul tipo di sintomi e non come dimensioni lungo un continuum
di livelli di gradualità o di gravità. Uno dei casi tipici al centro di questo dibattito riguarda il costrutto di depressione: si
tratta di una sindrome che differisce qualitativamente sia dalla normalità che da altre forme di psicopatologia (ad es. l'ansia)
o di un polo estremo lungo un continuum che va da forme più blande e transitorie a forme più severe e stabili nel tempo?
Gli autori di questo lavoro (fra cui Roger Greene, uno dei maggiori esperti di MMPI, autore di un famoso libro sull'interpretazione
del MMPI-2) hanno affrontato questo problema mediante un'analisi statistica particolare - l'analisi tassometrica - applicata ad
alcune scale del MMPI-2. L'analisi tassometrica è stata sviluppata negli ultimi 20 anni circa dal gruppo di Meehl per individuare
le variabili latenti per classi o tassi. Un tasso può esser definito come il verificarsi di un certo dato naturale che consente di
raggruppare alcuni elementi in una singola classe omogenea, come ad esempio "maschio o femmina" oppure "rettile o mammifero".
Applicata alla depressione, l'analisi tassometrica di alcune scale del MMPI-2 dovrebbe rivelare se esiste un punteggio-soglia che
consente di individuare la classe omogenea dei depressi (approccio categoriale alla psicopatologia) o se la classificazione di
depressione nasconde una varietà di sintomi e di livelli di gravità dei sintomi da minore a maggiore (approccio dimensionale alla
psicopatologia).
Gli autori hanno selezionato in modo random pazienti psichiatrici ricoverati e ambulatoriali (1000 uomini e 1000 donne) con
diagnosi DSM-IV di depressione maggiore da un database di oltre 75.000 pazienti a cui era stato somministrato di routine il
MMPI-2. Sono state prese in considerazione 3 scale MMPI-2: la scala clinica 2 (D), la scala di contenuto DEP, e la scala INTR
dalla PSY-5, una scala sviluppata da Ben Porath dal MMPI-2. Ciascuna di queste scale individua aspetti differenti del costrutto di
depressione, come è ben noto a chi utilizza clinicamente questo test di personalità.
L'analisi tassometrica, in breve, usa degli indicatori (in questo caso, il punteggio dei soggetti a ciascuna delle 3 scale in
esame) sia come input che come output per verificare la presenza di una struttura tassometrica. I punteggi vengono prima assunti
come input e vengono inseriti dei valori di soglia (cutoff points) ad intervalli regolari della distribuzione (ad es. ad ogni
quarto di una deviazione standard). Per ogni punto critico di soglia, i punteggi vengono considerati come output per cui viene
calcolata la media di coloro che si situano al di sotto ed al di sopra del valore di soglia. Sottraendo la media al di sotto del
valore critico dalla media al di sopra dello stesso, si ottiene un punteggio che rappresenta un punto su un grafico di
distribuzione. Se esiste un tasso latente nella distribuzione dei punteggi, il grafico produce un picco ben individuabile: il
punto massimo di picco indica il punteggio della scala che consente di differenziare in maniera ottimale i soggetti positivi (hit
rates), ossia se esiste o meno una categoria unica ed omogenea.
L'analisi tassometrica non ha rivelato alcun picco nella distribuzione dei punteggi delle 3 scale del MMPI-2, sia nei maschi che
nelle donne. Questo può significare due cose. La prima è che non esiste alcuna dimensione latente unica della depressione,
contrariamente a quanto definisce la classificazione categoriale del DSM. La seconda è che le scale del MMPI-2 relative al
costrutto di depressione non consentono di fare diagnosi di depressione. Il punteggio critico di 65 punti T, valore soglia delle
scale del MMPI-2, è clinicamente utile ma bisogna sempre tener presente che le scale misurano la depressione come una dimensione
lungo un continuum di sintomi che variano per numero e gravità, e non per tipo (sintomi peculiarmente differenti).
In sintesi, si tratta di un ennesimo studio che dimostra che gli strumenti di assessment di personalità non sono utili perché
replicano semplicemente altri strumenti tipici della diagnosi psichiatrica (ad es. le interviste strutturate specifiche, come la
SCID) ma perché indagano su dimensioni latenti di psicopatologia altrimenti non individuabili con gli strumenti classici della
diagnosi psichiatrica. L'utilità quindi consiste nella capacità di cogliere prospettive diverse dello stesso fenomeno e non nel
ripetere inutilmente quanto si può fare meglio e più velocemente con le usuali rating scales di sintomi psichiatrici.
Laurel Franklin
Brown University, Rhode Island Hospital
235 Plain Street
Suite 501
Providence, RI 02905
USA
E-mail: laurelfranklin@aol.com
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