Su un punto i terapeuti di ogni orientamento sono tendenzialmente d'accordo:
"i modelli di comportamento che creano problemi al paziente nella sua vita
di tutti i giorni gli creeranno problemi probabilmente anche nella relazione
terapeutica; pertanto proprio le caratteristiche che abbiamo più
interesse a scoprire sono quelle che più facilmente frustreranno
i nostri sforzi". La differenza tra gli psicoanalisti e gli altri terapeuti
sta essenzialmente nel fatto che i primi, a differenza degli altri, tendono
a ritenere universale il processo della resistenza, e a considerare prioritario
il lavoro su di essa.
Per quanto le valutazioni tra terapeuti di diverso orientamento divergano
sull'incidenza e l'importanza dei processi di resistenza (intesi come sopra,
cioè come ripetizione e messa in atto nella relazione di terapia
degli schemi di esperienza e comportamento che sono alla base dei problemi
presentati), c'è un accordo generale, trasversale a tutte le scuole,
sul fatto che gli ostacoli posti dai pazienti sulla strada della guarigione
sono una notevole opportunità che il terapeuta può cogliere,
sia per riconoscere in vivo gli schemi da correggere, sia per la possibilità
di lavorare su di essi nelle condizioni privilegiate del laboratorio terapeutico.
Detto questo, l'attenzione si sposta sul "surplus" di resistenza, cioè
su quella parte della resistenza che non dipende dallo sviluppo intrinseco
del processo, che non è cioè una necessità propria
della terapia, ma rappresenta piuttosto una reazione del paziente ad atteggiamenti
troppo rigidi o meccanici o comunque errati del terapeuta. Il processo
analitico stesso come originariamente inteso da Freud, ricorda Wachtel,
tende a suscitare resistenze iatrogene, in quanto la terapia è fatta
coincidere con la ricerca: se il paziente avverte che il terapeuta ha l'atteggiamento
di uno scienziato che vuole fare delle scoperte, piuttosto che di una persona
umanamente interessata a lui, è del tutto probabile che non collaborerà
al successo delle fantasie scientifiche del suo analista.
In generale, osserva Wachtel, quanto più puro è l'atteggiamento
cognitivo del terapeuta (di orientamento sia psicoanalitico sia cognitivo),
tanto meno utile sarà il suo lavoro per il paziente. Inversamente,
diverse ricerche stabiliscono un legame preciso tra la qualità della
relazione terapeutica e i cambiamenti che produce: le interpretazioni possono
essere accurate e precise, la tecnica terapeutica eseguita in modo impeccabile,
ma tutto questo non porterà a nulla se la qualità dell'alleanza
terapeutica è insufficiente.
Ma quali sono le caratteristiche che la relazione terapeutica deve avere
per ridurre al minimo le resistenze iatrogene, e al contrario attivare
la volontà di collaborazione del paziente? La risposta di Wachtel
è netta: è necessario abbandonare la visione classica, di
origine freudiana, del paziente come bambino recalcitrante ad affrontare
la realtà e avido di gratificazioni, a favore di una visione più
benevola e più corrispondente al vero: quella di una persona che
ha paura di ciò che può emergere se abbandona i suoi schemi
comportamentali di riferimento. Una paura del tutto comprensibile e giustificata,
se pensiamo al dolore e allo smarrimento che attende chiunque osi abbandonare
la sicurezza degli schemi appresi. L'atteggiamento base del terapeuta,
dunque, deve essere di validazione degli sforzi difensivi del paziente,
nel momento stesso in cui lo aiuta a liberarsene. L'atteggiamento classico
di lotta alla resistenza, invece, carico di rimprovero implicito, può
più facilmente portare a un rinforzo della resistenza, che al suo
abbandono.
Questo spostamento di enfasi, dalla lotta cognitiva contro le resistenze
alla loro validazione come mezzi legittimi di protezione da sofferenze
intollerabili, è del tutto condivisibile. C'è solo da chiedersi
se questo spostamento dalla severità alla giustificazione non sia
andato troppo in là. Se cioè dagli eccessi in senso "paterno"
di Freud non si sia giunti a un certo eccesso in senso opposto, "materno".
E se non convenga piuttosto cercare di avere entrambe le frecce a disposizione
del proprio arco, pronti a dosare accoglimento materno e fermezza paterna
nelle proporzioni richieste da ogni singola persona, in ogni momento del
processo terapeutico. |