L'approccio umanistico-esistenziale e quello narrativo-costruttivista
alla terapia rappresentano due tradizioni ben distinte sia storicamente
che concettualmente, tanto al livello della teoria generale che a quello
della teoria clinica, della strategia e della tecnica. A livello generale
Richert individua due differenze principali. La prima ha a che fare con
il modo in cui sono generati i significati. Nella teoria narrativa la produzione
del significato è decisamente una questione sociale. Per esempio
per Neimeyer l'unità fondamentale di significato è una distinzione
che può esistere solo nel sistema linguistico di una comunità.
La natura sociale del significato è evidente non solo al livello
delle unità discrete di significato, ma anche a quello di costruzioni
sociali più ampie come i miti, che possono essere tanto imprigionanti
quanto liberatori. Negli approcci umanistici ed esistenziali, invece, la
generazione del significato è eminentemente intrapsichica, dipendendo
dalla relazione che l'individuo ha con sé stesso piuttosto che con
gli altri: in questa tradizione il sé è visto come un agente
attivo e affidabile, il punto di riferimento centrale dell'esistenza. La
seconda differenza riguarda la relazione terapeutica. Nell'approccio narrativo
la funzione del terapeuta è quella di assistere il paziente nel
lavoro di riscrittura della sua storia, ma non di interagire con lui in
modo significativo. Al contrario nella tradizione umanistico esistenziale
la relazione terapeutica non è solo facilitativa, ma chiaramente
mutativa. Il fatto stesso di stabilire una connessione esperienziale da
soggetto a soggetto è qui il punto centrale del processo di cambiamento,
e tutto il resto è secondario.
A livello di teoria clinica, i terapeuti narrativo-costruzionisti aiutano
il paziente a decostruire le storie dominanti in cui sono rimasti intrappolati
e lo incoraggiano a esplorare modi alternativi di narrare la loro storia.
I terapeuti umanistico-esistenziali, invece, considerando centrale l'esperienza
implicita, corporea, preverbale del soggetto, lo aiutano a divenire consapevole
del flusso continuo dell'esperienza.
Se tra i due approcci esistessero solo differenze, non sarebbe possibile
alcun tipo di integrazione, secondo il parere di autori come Mahrer e Neimeyer,
per i quali l'integrazione può avvenire solo tra teorie che hanno
in comune una teoria-madre (parent theory) antropologica. Questa comunanza,
secondo Richert, esiste, e può essere identificata in quattro punti.
1. La vita è un processo evolutivo continuo. Questo processo è
inteso come movimento verso una sempre maggior e complessità come
risultato della tensione dinamica tra stasi e cambiamento, per i
costruttivisti; e come continuo processo di autosuperamento attraverso
sempre nuove scelte, per gli umanisti. 2. Per entrambe le tradizioni il
significato non è dato, in attesa di essere scoperto, ma deve essere
attivamente creato. 3. La disfunzione è vista come arresto del processo
evolutivo vitale: il soggetto non riesce più a vedersi come soggetto,
ma si sente un oggetto, una cosa tra altre cose; o si racconta una storia
in cui è in balia di forze esterne. 4. In entrambe le tradizioni
il terapeuta si pone in un atteggiamento di uguaglianza e collaborazione,
sempre rifiutando il ruolo dell'esperto che sa qualcosa di più del
paziente, in particolare rigettando il ruolo di rappresentante di una realtà
alla quale il paziente dovrebbe adattarsi.
Con un esempio clinico, Richert non ha difficoltà a mostrare
che i due approcci possono integrarsi potenziandosi reciprocamente, in
quanto l'esplorazione dell'esperienza vissuta è inquadrata nella
storia del paziente. E' certamente vero che la presenza di una radice antropologica
comune, cioè la condivisione di alcuni aspetti importanti nel modo
di vedere l'esistenza umana, facilita l'integrazione. Tuttavia questa condivisione
è necessaria solo per un approccio strettamente assimilativo, per
il quale una costruzione è possibile solo a partire da una base
teorica data. Da un punto di vista accomodativo, invece, due posizioni
teoriche possono essere integrate non sulla base teorica di una prototeoria-madre
comune (come vorrebbero Mahrer, Neimeyer e Richert), ma nella prospettiva
di una nuova sintesi. Per esempio la psicodinamica ciclica di Wachtel integra
elementi di derivazione psicoanalitica con altri di derivazione comportamentale
non sulla base di un'area comune condivisa dai due orientamenti, ma in
quanto essi, diversi e incompatibili se considerati separatamente, cessano
di esserlo se sono visti come parti di una visione più ampia che
li include. In altre parole, in un caso (approccio assimilativo) si parte
da una base comune, nell'altro (approccio accomodativo) si arriva a una
visione comune che toglie (nel senso dialettico dell'Aufhebung) le due
teorie di partenza alla loro unilateralità, mostrando la loro coappartenenza
a una unità superiore che trascende entrambe. Ma a questa visione
di livello superiore si perviene solo grazie alla sospensione della pretesa
della teorie di partenza di essere autosufficienti: sicché quella
che sembrava una incompatibilità tra due teorie rivali si rivela
come una modalità di negazione reciproca tra due visioni che restano
incompatibili solo finché non sono poste in relazione dialettica,
letteralmente negando la negazione che le rendeva incompatibili. |