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JOURNAL OF PSYCHOTHERAPY INTEGRATION - VOL.9, N. 2 / 1999

Some Thoughts on the Integration of Narrative and Humanistic/ Existential Approaches to Psychotherapy 

Alphons J. Richert

L'approccio umanistico-esistenziale e quello narrativo-costruttivista alla terapia rappresentano due tradizioni ben distinte sia storicamente che concettualmente, tanto al livello della teoria generale che a quello della teoria clinica, della strategia e della tecnica. A livello generale Richert individua due differenze principali. La prima ha a che fare con il modo in cui sono generati i significati. Nella teoria narrativa la produzione del significato è decisamente una questione sociale. Per esempio per Neimeyer l'unità fondamentale di significato è una distinzione che può esistere solo nel sistema linguistico di una comunità. La natura sociale del significato è evidente non solo al livello delle unità discrete di significato, ma anche a quello di costruzioni sociali più ampie come i miti, che possono essere tanto imprigionanti quanto liberatori. Negli approcci umanistici ed esistenziali, invece, la generazione del significato è eminentemente intrapsichica, dipendendo dalla relazione che l'individuo ha con sé stesso piuttosto che con gli altri: in questa tradizione il sé è visto come un agente attivo e affidabile, il punto di riferimento centrale dell'esistenza. La seconda differenza riguarda la relazione terapeutica. Nell'approccio narrativo la funzione del terapeuta è quella di assistere il paziente nel lavoro di riscrittura della sua storia, ma non di interagire con lui in modo significativo. Al contrario nella tradizione umanistico esistenziale la relazione terapeutica non è solo facilitativa, ma chiaramente mutativa. Il fatto stesso di stabilire una connessione esperienziale da soggetto a soggetto è qui il punto centrale del processo di cambiamento, e tutto il resto è secondario.

A livello di teoria clinica, i terapeuti narrativo-costruzionisti aiutano il paziente a decostruire le storie dominanti in cui sono rimasti intrappolati e lo incoraggiano a esplorare modi alternativi di narrare la loro storia. I terapeuti umanistico-esistenziali, invece, considerando centrale l'esperienza implicita, corporea, preverbale del soggetto, lo aiutano a divenire consapevole del flusso continuo dell'esperienza.

Se tra i due approcci esistessero solo differenze, non sarebbe possibile alcun tipo di integrazione, secondo il parere di autori come Mahrer e Neimeyer, per i quali l'integrazione può avvenire solo tra teorie che hanno in comune una teoria-madre (parent theory) antropologica. Questa comunanza, secondo Richert, esiste, e può essere identificata in quattro punti. 1. La vita è un processo evolutivo continuo. Questo processo è inteso come movimento verso una sempre maggior e complessità come risultato della tensione dinamica  tra stasi e cambiamento, per i costruttivisti; e come continuo processo di autosuperamento attraverso sempre nuove scelte, per gli umanisti. 2. Per entrambe le tradizioni il significato non è dato, in attesa di essere scoperto, ma deve essere attivamente creato. 3. La disfunzione è vista come arresto del processo evolutivo vitale: il soggetto non riesce più a vedersi come soggetto, ma si sente un oggetto, una cosa tra altre cose; o si racconta una storia in cui è in balia di forze esterne. 4. In entrambe le tradizioni il terapeuta si pone in un atteggiamento di uguaglianza e collaborazione, sempre rifiutando il ruolo dell'esperto che sa qualcosa di più del paziente, in particolare rigettando il ruolo di rappresentante di una realtà alla quale il paziente dovrebbe adattarsi.

Con un esempio clinico, Richert non ha difficoltà a mostrare che i due approcci possono integrarsi potenziandosi reciprocamente, in quanto l'esplorazione dell'esperienza vissuta è inquadrata nella storia del paziente. E' certamente vero che la presenza di una radice antropologica comune, cioè la condivisione di alcuni aspetti importanti nel modo di vedere l'esistenza umana, facilita l'integrazione. Tuttavia questa condivisione è necessaria solo per un approccio strettamente assimilativo, per il quale una costruzione è possibile solo a partire da una base teorica data. Da un punto di vista accomodativo, invece, due posizioni teoriche possono essere integrate non sulla base teorica di una prototeoria-madre comune (come vorrebbero Mahrer, Neimeyer e Richert), ma nella prospettiva di una nuova sintesi. Per esempio la psicodinamica ciclica di Wachtel integra elementi di derivazione psicoanalitica con altri di derivazione comportamentale non sulla base di un'area comune condivisa dai due orientamenti, ma in quanto essi, diversi e incompatibili se considerati separatamente, cessano di esserlo se sono visti come parti di una visione più ampia che li include. In altre parole, in un caso (approccio assimilativo) si parte da una base comune, nell'altro (approccio accomodativo) si arriva a una visione comune che toglie (nel senso dialettico dell'Aufhebung) le due teorie di partenza alla loro unilateralità, mostrando la loro coappartenenza a una unità superiore che trascende entrambe. Ma a questa visione di livello superiore si perviene solo grazie alla sospensione della pretesa della teorie di partenza di essere autosufficienti: sicché quella che sembrava una incompatibilità tra due teorie rivali si rivela come una modalità di negazione reciproca tra due visioni che restano incompatibili solo finché non sono poste in relazione dialettica, letteralmente negando la negazione che le rendeva incompatibili. 

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