Il costrutto di alexithymia è ormai diffuso ed è noto
a gran parte degli addetti ai lavori. Fra le caratteristiche cliniche dellâalexithymia
vi è la presenza di uno stile cognitivo concreto e orientato verso
la realtà esterna e quindi caratterizzato da scarsa immaginazione
e capacità di fantasticare ad occhi aperti (daydreaming). Quasi
tutti gli autori hanno descritto resoconti clinici secondo cui i pazienti
alessitimici non sognano o, se lo fanno, i loro sogni sono caratterizzati
da scarsa bizzarria, pochi dettagli, scene stereotipate che riproducono
la vita quotidiana e lavorativa del soggetto. Tuttavia, ci sono pochi studi
empirici che hanno indagato la relazione fra alexithymia e attività
onirica.
Unâindagine scientifica rigorosa sul sogno deve oggi necessariamente
essere effettuata in un laboratorio del sonno, utilizzando sia il resoconto
verbale dei sogni da parte dei soggetti che misurazioni standard del tracciato
polisomnografico. Questa impostazione della ricerca viene seguita oggi
dai (pochi) studi sul rapporto fra alexithymia e sogno, e si differenzia
fondamentalmente dal primo periodo storico di sviluppo del costrutto di
alexithymia (anni Î70-Î80) in cui tale rapporto veniva inferito solo clinicamente
sulla base dei resoconti soggettivi dei soggetti. Lâevoluzione del metodo
di indagine segue ovviamente il cambiamento di paradigma nella considerazione
dellâattività onirica, da unâenfasi puramente psicologica (soprattutto
in ambito psicodinamico) ad unâottica psiconeurobiologica integrata.
Questo lavoro del gruppo di ricerca di Mark Lumley (Wayne State University
di Detroit) ha lo scopo di indagare il rapporto fra alexithymia, attività
onirica e parametri elettrografici del sonno. Sono stati studiati 50 soggetti
volontari adulti sani (escludendo coloro che presentavano potenziali fattori
di confusione (disturbi psichiatrici, malattie croniche, assunzione di
farmaci, consumo di alcool, ecc) con caratteristiche omogenee delle abitudini
di sonno (orario serale di addormentamento fra le 23 e la 1, orario di
sveglia mattutina fra le 7 e le 9, variazioni delle abitudini di sonno
di max 2 ore nel corso della settimana compresi i festivi, durata media
di 6-9 ore di sonno per notte, latenza di addormentamento entro i 30 minuti).
Dopo aver completato la TAS-20 e la CES-D Scale per la valutazione di alexithymia
e depressione, i soggetti hanno dormito per una notte nel laboratorio del
sonno del centro universitario mentre veniva registrato il tracciato polisomnografico.
I risultati dello studio hanno indicato che lâalexithymia è
associata a differenze oggettive negli stadi del sonno e nelle caratteristiche
REM, indipendentemente dai fattori confondenti di sesso, età e depressione.
Lâalexithymia è risultata associata alla diminuzione del tempo
trascorso nelle fasi di sonno profondo (stadi 3-4) ed al parallelo aumento
del tempo trascorso nella fase leggera del sonno (stadi 1). Il pattern
di riduzione degli stadi profondi 3-4 ed aumento dello stadio leggero 1
del sonno viene trovata tipicamente in soggetti che riferiscono di dormire
male, svegliarsi in continuazione durante la notte, provare stanchezza
e sonnolenza il giorno dopo, fare sonni non ristoratori ed anche di non
dormire affatto (mentre trascorrono gran parte della notte nello stadio
1 del sonno).
Relativamente al sonno REM, lâalexithymia non ha mostrato alcuna correlazione
con il tempo totale trascorso in sonno REM. Se però si mettono in
relazione le fasi del sonno con quelle REM, è emerso che lâalexithymia
è associata ad un minor numero di episodi REM e ad un aumento di
sonno leggero di stadio 1 durante ed immediatamente dopo gli episodi REM
ma non con il numero di risvegli che si verificano durante il sonno REM.
Ciò pertanto suggerisce che gli episodi REM dei soggetti più
alessitimici siano più brevi a causa dellâinsorgenza del sonno leggero
(stadio 1). I brevi episodi REM potrebbero generare sogni di minore durata,
limitando quindi i dettagli onirici ricordati successivamente. In poche
parole, lâipotesi dei ricercatori americani è che lâarchitettura
neurofisiologica del sonno nei soggetti alessitimici sia responsabile del
mancato ricordo dei sogni.
Questo studio ha notevoli limitazioni che non consentono una piena
generalizzazione dei risultati. Anzitutto il tracciato è stato registrato
durante una sola notte ed i soggetti non avevano mai dormito nel laboratorio
del sonno. Il fatto che i soggetti non si fossero assuefatti alle condizioni
ambientali sperimentali può aver ragionevolmente alterato il tracciato
stesso. Inoltre i soggetti erano persone sane che non avevano alcun problema
di sonno, oltre ad avere punteggi bassi di alexithymia (un limite dello
studio è che non vi vengono riportati i punteggi ottenuti alla TAS-20).
Ciò che quindi si può più conservativamente concludere
è che in persone sane collocate nella fascia bassa della distribuzione
dei punteggi della TAS-20, lâalexithymia non è correlata con lâattività
onirica in quanto tale ma con lâarchitettura del sonno. Come sempre, lâestrapolazione
di questi risultati ad una popolazione clinica è molto problematica.
Lo studio, pertanto, merita di essere ripetuto su soggetti clinici e soprattutto
con elevati livelli di alexithymia.
Mark A. Lumley
Department of Psychology
Wayne State University
71 West Warren Avenue
Detroit, MI 48202 (USA)
Email: mlumley@sun.science.wayne.edu
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