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Psicoterapia e Scienze Umane, 2001, XXXIV, 3

Vygotskij a la psicoanalisi: relazione, linguaggio, coscienza riflessiva

Francesco Carnaroli

 
Il pensiero di Vygotskij viene presentato dall'A, in una lettura interpretativa, come uno strumento utile per riflettere sul funzionamento della relazione analitica. Lo scienziato russo afferma che lo sviluppo avviene attraverso la relazione, considerando quindi non solo, come creduto dai più, lo sviluppo cognitivo, ma anche l'intreccio fra sviluppo emotivo e sviluppo cognitivo, valutando in modo dialettico il rapporto tra motivazioni e pensieri e l'impalcatura storico-culturale fornita dall'esterno.
Interessato alla psicoanalisi, egli partecipò come membro ordinario alle attività della Società Psicoanalitica di Mosca, tenendo seminari sulla psicoanalisi della letteratura e dell'arte, facendo suo, sia pur criticamente rispetto alle posizioni associazionistiche di Freud, il concetto di inconscio freudiano. Vygotskij tuttavia critica la definizione della struttura freudiana, semantica e sintattica, dei processi inconsci, riguardo alle definizioni di "rappresentazione" e "processo associativo", mutuate alla psicologia associazionistica .
Secondo Vygotskij, il punto di vista associazionistico non è adatto a spiegare i salti qualitativi dalle funzioni psichiche elementari a quelle superiori. Egli ritiene che l'accumulo dei legami associativi non sfoci mai nella comparsa di una forma superiore di attività intellettiva. Secondariamente, egli contesta il fatto che vi sia un linguaggio prima del linguaggio, in cui quest'ultimo si limiterebbe ad etichettare un'organizzazione sintattica preesistente. Al contrario, i pensieri/affetti emergenti non hanno di per sé una forma. Infine, egli critica la pretesa di chi ascolta ( in particolare, l'analista) di porsi come perfetto decodificatore del messaggio altrui. Non è vero, dice Vygotskij, che la "rappresentazione di cosa" è già lì, a disposizione dell'analista, specchio neutrale, pronto ad etichettarla con la "rappresentazione di parola" corrispondente; invece, l'interpretazione riflette inevitabilmente un personale punto di vista. Inoltre Vygotskij non è d'accordo con la metafisica pessimistica dell'inconscio, mutuata a Freud da Schopenhauer, per cui ogni intenzionalità è illusoria: il conscio non solo non è passivo rispetto all'inconscio, ma anzi è attivo, come dimostra il potere trasmutativo e organizzativo dell'intepretazione da parte dell'analista rispetto ai contenuti inconsci del paziente.
Il linguaggio non è uno specchio neutro, ma struttura una visione delle cose, orientando il comportamento (aspetto pragmatico). Inoltre, il pensiero verbale è attivato da stati mentali preverbali, ma poi a sua volta agisce su di loro, rendendo visibili certi aspetti della realtà. Prima di organizzarsi nel segno, il pensiero è confusivo, e la sua spinta è costituita dal livello emotivo e motivazionale. Il linguaggio è contestualizzato rispetto agli stati della mente di chi parla, riferendosi a stati della mente personali , cioè a sentimenti, credenze e pensieri che, proprio tramite la parola, colui che parla intende trasferire e riprodurre nella mente di colui che ascolta.. Dunque, avviene un doppio movimento: dal pensiero al linguaggio in colui che parla, dal linguaggio al pensiero in chi ascolta.
Perché l'atto linguistico sia efficace, i dialoganti devono avere un'esperienza di attenzione condivisa, anche riguardo all'uso convenzionale delle parole in riferimento ai propri stati interni: quindi con un processo di organizzazione rispetto ad un codice linguistico condiviso. Non solo: le trasformazioni del pensiero nell'atto comunicativo mediato da segni modificano la mente, retroagendo. E gli atti linguistici, interiorizzati, divengono strumenti di azione mediata intrapsichica, utili alla regolazione di sé. Nel corso dello sviluppo, le funzioni psichiche del bambino interagiscono, appunto, nella comunicazione interpsichica, con i mezzi di attività mediata sviluppati nel tempo, ad iniziare dal primo rapporto con la madre, donde l'importanza del contesto socio-culturale per lo sviluppo di pensiero e linguaggio.
Quindi per Vygotskij la mente-cervello non è una tabula rasa completamente programmata dalle influenze esterne, ma un organismo biologicamente attivo, che si estende al di là dei "confini della pelle". Viene in tal modo sottolineata l'importanza dei rapporti interpsichici , l'"ecotipo" di Sameroff (1989). L'interazione è dunque il concetto chiave:
"1) L'uomo con la sua azione strumentale modifica il mondo fisico, e questo mondo da lui modificato retroagisce su di lui modificando storicamente la sua soggettività (...)
2) L'uomo agisce sui piano della comunicazione interpsichica e la struttura del campo interpsichico retroagisce, per interiorizzazione, sulla sua struttura psichica. L'ambiente influisce sul soggetto sulla base dell'esperienza che ne ha il soggetto (...)
3) Avviene costantemente un'interazione intrapsichica, dalle motivazioni al pensiero al linguaggio, e dal linguaggio al pensiero e alle motivazioni...in ogni idea si trova, in forma rimaneggiata, la relazione affettiva dell'uomo con la realtà rappresentata in questa idea (...)
4) Un altro aspetto di interazione intrapsichica è costituito dal concetto di "sistema funzionale" .Le varie funzioni psichiche (percezione, emozione, memoria, pensiero, immaginazione, volontà) non hanno ciascuna una propria linea di sviluppo separata, ma costituiscono un sistema, in cui lo sviluppo di ogni elemento modifica il funzionamento degli altri." (ibid., pp. 57-58)
In questa fondamentale prima relazione madre-bambino, gioca un ruolo importante l'imitazione reciproca , ad iniziare dallo svilupparsi del linguaggio, in cui la madre imita il bambino, ma sempre un passo più avanti di lui dal punto di vista semantico e sintattico. Negli ultimi anni del 900 ( è uno dei tanti importanti parallelismi con la psicoanalisi attuale che l'A fa nel corso del suo lavoro), Stern ha ripreso tale interpretazione, sottolineando come la madre interpreti i comportamenti del bambino con riferimento a significati da lei creati, e insieme i due creino una griglia di significati . Come osserva Vygotskij, "diventiamo noi stessi attraverso gli altri": quindi non conosciamo gli altri attraverso l'empatia , bensì nella socializzazione primaria, in cui il bambino impara a conoscere l'altro e come l'altro lo interpreta, e in tal modo apprende a conoscersi. Perciò il linguaggio è anche uno strumento di comunicazione fra l'uomo e se stesso.
Di conseguenza, ogni funzione nel corso dello sviluppo culturale compare due volte, su due piani diversi, come categoria interpsichica, e intrapsichica. Da qui l'importanza di quella che Vygotskij chiama relazione tutoriale, che trascina lo sviluppo dietro di sé. La differenza fra quei problemi che il soggetto sa risolvere indipendentemente e quelli che riesce a risolvere in collaborazione è da lui chiamata "area dello sviluppo prossimale o potenziale", che, interiorizzata, farà parte sia dei rapporti interpersonali, che di quelli intrapsichici. Quindi, lo sviluppo si presenta come un processo costante circolare, dall'intersoggettivo all'intrapsichico all'intersoggettivo . Si cresce attraverso relazioni significative, una sorta di grande contenitore, in cui gli stimoli culturali costituiscono una specie di impalcatura , cioè dei "metodi ausiliari esterni".
Proprio come il genitore che si relaziona al figlio in rapporto allo stadio di maturità in cui il bambino si trova, seguendo ma anche precedendo lo sviluppo del figlio, così l'analista si relaziona al paziente in relazione ai mutevoli livelli di sviluppo che egli via via manifesta, sempre dal punto di vista di una crescita potenziale .
L'A fa continui paralleli con le varie psicologie degli ultimi decenni, per mostrane i punti di concordanza col pensiero precursore di Vygotskij, specie riguardo all'importanza dell'interazione nel processo di apprendimento, che diviene processo di crescita nella relazione in analisi. Tuttavia, l'intersoggettività non è basata solo sulla condivisione di significati, che fatalmente condurrebbe al collassarsi dei soggetti l'uno nell'altro, in quanto focalizzati unicamente su quanto è in comune. E' indispensabile anche una esperienza intersoggettiva del disaccordo e della diversità, che non distrugge l'intersoggettività stessa, e questo compito spetta inizialmente alla figura tutoriale. Lo stesso per quanto riguarda lo sviluppo emotivo: solo in uno spazio potenziale la gamma degli affetti può emergere ed essere simbolizzata, qualsiasi sia l'affetto, dice Vygotskij, diventando un elemento strutturante di azione mediata finalizzata alla crescita. Solo così il pensiero diviene autonomo. Se, al contrario, in periodi critici dello sviluppo, come la crisi dei tre anni e l'adolescenza, certi aspetti comportamentali-affettivi, come oppositività, negativismo e ostinazione, si svolgono fiaccamente, ne conseguirà un profondo ritardo nello sviluppo di affettività e volontà" nelle età successive. Chi ha il ruolo guida, genitore o analista che sia, deve rapidamente ristrutturarsi e rinegoziare la relazione. Da parte del bambino (o paziente che sia), verrà interiorizzato l'intero campo della relazione, come processo di adattamento reciproco e continuo di entrambi i campi.
La sequenza evolutiva tracciata da Vygotskij parte dal linguaggio sociale, passa attraverso l'egocentrismo, per poi raggiungere il linguaggio interno, interiorizzazione del dialogo, con funzioni di comprensione del sé, di contatto, di guida e di organizzazione, vicariate dall'adulto. Esso ha particolari caratteristiche: è ellittico, predicativo (assenza di soggetto), agglutinato, in quanto ogni parola ha un senso assai allargato. Questo tipo di linguaggio costituisce il primo strato di annotazione/costruzione del pensiero, che prelude al linguaggio socializzato. Avviene una sorta di dissociazione, senza la quale non potrebbe esservi la formazione dei concetti, costitutivi del pensiero astratto, in cui certi elementi assumono rilievo, altri invece cadono nell'oblio, per un influsso affettivo, prima che abbia luogo la riunione associativa. La possibilità di distruggere l'ordine precedente degli oggetti interni, perché essi ne possano assumere uno nuovo, fa parte del pensiero associativo. Anche questa è un'importante intuizione di Vygotskij che è stata poi ripresa dalle correnti più recenti della psicoanalisi in anni a noi vicini, toccando il problema del pensiero, quello dell'immaginazione e della volontà.
Viene poi sottolineato come, anche nella persona adulta, esista un grado zero, prelinguistico dell'esperienza, con una coscienza breve dei pensieri, che appaiono indifferenziati; per quanto avvertito come ansiogeno, si tratta tuttavia di un livello vivo e dinamico dell'esperienza. Al di sopra di questo, sta il livello della sicurezza e della noia. Importantissime, quindi, quelle modalità del linguaggio che permettono di esprimere il grado zero dell'esperienza. Vygotskij mette in luce l'importanza del linguaggio dell'arte, che allontana il soggetto dal carattere automatizzato delle percezioni abitudinarie, ridandogli viva pienezza percettiva ed emotiva, e offrendogli gli strumenti linguistici per il padroneggiamento di tale esperienza. Del resto, proprio i primi interessi di Vygotskij per la letteratura e per l'arte hanno dato vita alla sua opera successiva. Se è indubbio che, nel momento in cui sono coscienti, gli affetti possono essere elaborati dal pensiero verbale, è altrettanto vero che il linguaggio può suscitare gli affetti, esercitando su di essi un'azione regolatrice e favorendo il processo di integrazione ed un allargamento della coscienza, nonché il passaggio ad un tipo superiore di attività psichica interna. 
Dunque, l'attività mnestica è favorita da questa attività combinatoria, dalla costruzione e dal cambiamento delle strutture, dalla percezione delle relazioni, dal pensiero in senso lato Si capisce così l'importanza delle interpretazioni sintetiche, nel corso del processo analitico, considerato che una parola ricca di senso contiene in sé tutta una serie di rimandi percettivi, emotivi, cognitivi. 
L'A. poi osserva come il modello di funzionamento mentale proposto da Vygotskij possa caratterizzarsi dal punto di vista della psicologia storica. Il modello dello sguardo distaccato, l'oggettivazione appunto, che permette il controllo razionale, viene integrato da Vygotskij con l'assimilazione del modello ricettivo dell'ascolto romantico, che porta al recupero dell'esperienza globale del sé tramite il ricorso al grado zero dell'esperienza. Dunque, Vygotskij sviluppa un arricchente modello della mente continuamente aperta agli stimoli interni ed esterni, capace di un'autonoma e attiva integrazione dialogica. "Il soggetto che spinge per uscire dalla ripetizione, non trova ad aspettarlo né un sé autentico già confezionato, né una singola monoliti-ca realtà a cui adattarsi: si trova invece di fronte a quello sforzo co-struttivo di individuazione, a quel 'tormento della parola', al quale egli è ben spesso tentato di rinunciare" (ibid, p. 74).
Non mi resta che consigliare di leggere nella sua integrità il bel lavoro di Francesco Carnaroli e, possibilmente, di risalire direttamente ai testi di Vygotskij, in cui spesso, con ricchezza e freschezza maggiore rispetto ad AA a noi contemporanei, vengono esposti concetti che frequentemente, sparsi in vari modelli della mente, e talora trattati con minor approfondimento, ritroviamo nella psicoanalisi degli ultimi anni.

Seminario tenuto al Centro Psicoanalitico di Firenze, 8 febbraio 2001

Francesco Carnaroli, Via Fra' Jacopo Passavanti 17, 50133 Firenze

 

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