PM - HOME PAGE ITALIANA TESI

PM-TP
PSYCHOMEDIA
Tesi

Tesi di Laurea di Giuseppe Dimitri

La ricomposizione familiare dal punto di vista dei figli del divorzio
Riorganizzazione delle relazioni familiari tra continuità e cambiamento


Il difficile compito di divenire “Famiglia Ricostituita”

4.3. Problematiche dei figli nelle famiglie ricostituite



Visher e Visher (1970) nel valutare le difficoltà incontrate dalle famiglie ricomposte con figli prendono in considerazione alcuni importanti fattori come:

1) il grado di accettazione della precedente perdita (per morte o per divorzio);
2) l'intervallo di tempo disponibile tra i due matrimoni per elaborare la perdita;
3) il grado in cui la perdita della famiglia originaria e/o il conflitto sono stati risolti;
4) il riconoscimento e l'accettazione delle profonde difficoltà incontrate dai figli al momento del rimatrimonio.
Gli stessi autori identificano anche gli ostacoli che si trovano a dover affrontare i figli al momento del nuovo matrimonio dei genitori:
1) devono elaborare la perdita della famiglia di origine e del genitore non affidatario;
2) devono essere in grado di mantenere rapporti leali con entrambi i genitori;
3) devono riacquistare il proprio senso di appartenenza, adattarsi al cambiamento di posizione nella fratria, del ruolo nella struttura familiare e delle abitudini;
4) devono accettare di essere contemporaneamente membri di due famiglie;
5) devono abbandonare le aspettative irreali e le fantasie di riconciliazione tra i genitori biologici;
6) devono superare i sensi di colpa connessi al divorzio;
7) infine, gli adolescenti, devono affrontare gli ulteriori problemi connessi alla definizione della propria identità e sessualità.

I bambini che devono mettere in atto questi adattamenti presentano più spesso disturbi del comportamento e/o scolastici, un isolamento dalla famiglia e dalle amicizie, comportamenti di acting out, alcuni dei quali anche gravi, che possono ostacolare il processo di riorganizzazione familiare.
Qualunque sia la situazione familiare e la cultura di cui i figli fanno parte, essi hanno un duplice bisogno d'appartenenza e di autonomia.
Al momento dello scioglimento della propria famiglia di origine il bisogno di appartenenza è seriamente minacciato e ciò porta spesso il figlio ad un iperinvestimento verso il genitore con il quale resta a convivere, ma talvolta, anche ad un rifiuto di questo, per un senso di lealtà all'altro genitore da cui è stato separato.
Il bisogno d'autonomia è a sua volta troppo stimolato dalla nuova situazione, sia perché la madre, nel caso in cui resta per un lungo periodo di tempo da sola senza un nuovo compagno, tende a chiedere ai propri figli un'autonomia di cui spesso non sono ancora necessariamente capaci; sia perché i due nuovi amanti passano la gran parte del tempo a pensare più a se stessi che ai bisogni dei rispettivi figli. E', inoltre, importante considerare che la maggioranza dei figli al di sotto degli otto-nove anni si considerano colpevoli della separazione dei loro genitori. Anche se può sembrare irrazionale, questo senso di colpa è molto frequente e può persistere per parecchio tempo determinando, altrettanto spesso, un senso di "ansia da separazione" che può portare i bambini alla realizzazione di una serie di "acting out" che sono in gran parte incomprensibili se isolati dal loro contesto.
Sempre secondo le ricerche di Ausloos (1998) altre variabili che si intrecciano e si sovrappongono giocano un ruolo parimenti importante nel definire la qualità dell'adattamento dei figli alla ricostituzione:

La posizione all'interno della fratria
L'ordine di successione nella fratria è importante. Per esempio, la nascita del primo figlio ha sempre un significato particolare, poiché è spesso desiderato e partecipa alla formazione della famiglia. Le nascite seguenti, invece, sono previste secondo l'evoluzione della coppia e della famiglia. Ogni figlio, quindi, ha una posizione funzionale determinata: il primo crea la famiglia ed obbliga i giovani sposi ad assumere il ruolo genitoriale e ad organizzare nuove relazioni tra di loro, il secondo, invece, si deve creare uno spazio in essa. Tuttavia nelle famiglie "sane" le funzioni assegnate ad ogni membro potranno essere modificate con flessibilità, nel caso si presenti l'occasione, e ciò garantirà a tutti la possibilità di maturare, mentre, se una posizione funzionale si irrigidisce, potranno comparire dei disturbi di comportamento (Van Cutsem, 1999).
Spesso, quando si parla delle famiglie ricomposte, ci si dimentica che anche per i figli il processo della ricomposizione può rappresentare una fonte di importanti cambiamenti di status. Il primogenito può diventare, nella nuova famiglia, il terzo figlio in ordine di età; l'ultimogenito può perdere il suo posto privilegiato e ritrovarsi ad essere un figlio maggiore; il figlio unico può, ad un tratto, dover condividere gli oggetti, gli spazi, le attenzioni e l'amore dei familiari, con fratelli e sorelle (Adler, 1962; Toman, 1989)(53). Il cambiamento di status risulta più facile da accettare solo in quei casi in cui colui che era il primogenito o ultimogenito nella famiglia originaria continua ad esserlo anche in quella ricostituita senza dover modificare la sua posizione all'interno della fratria ricomposta. Così, se accettare ed accogliere l'arrivo in casa di un nuovo adulto è difficile sembra lo sia ancora di più, per i figli, il doversi adattare al nuovo ruolo che la riorganizzazione della fratria comporta.

L'età dei figli al momento della ricostituzione
L'età del figlio è un fattore importante per la riorganizzazione del sistema familiare separato che necessita di flessibilità tanto più quanto il bambino è piccolo. I genitori sono chiamati ad una collaborazione intensa che pone al centro di tutto i bisogni dei figli, bisogni che si modificano velocemente e a cui i genitori devono saper dare risposte adeguate.
Sono stati i Visher (1996) a suggerire di considerare l'età dei figli come un fattore determinante per comprendere le loro reazioni al processo di ricomposizione familiare.
Le tre fasce di età indicate dai Visher come significative sono:

1) l'età prescolare: il bambino a questa età reagisce alla separazione dei genitori con massicce regressioni nel comportamento, rispetto alle prime acquisizioni di autonomia, e sviluppa paura ed ansia rispetto alla separazione dai genitori cosi da fare emergere un forte bisogno di accudimento e di cura. Tuttavia, se il bambino di questa età non è coinvolto nel conflitto dei genitori sembra riesca ad accettare il rapporto con il nuovo partner del padre o della madre più velocemente dei bambini più grandi. Tra i tre e i cinque anni i bambini svilupperebbero un pensiero magico in base al quale si convincerebbero che i propri pensieri negativi siano la causa della separazione della famiglia. In questo fase, secondo i Visher (1996), i figli dovrebbero essere rassicurati dai propri genitori del fatto di non essere loro i responsabili dei cambiamenti che hanno interessato o che stanno interessando la famiglia;
2) l'età compresa tra i sei e i dodici anni: in questo periodo i bambini tendono a reagire con sentimenti quali:
* la tristezza ed il dolore: a differenza dei bambini in età prescolare che negano la realtà ricorrendo alla fantasia, questi sono consapevoli della loro esperienza e difficilmente riescono a trovare sollievo. Alcuni riescono ad esprimere verbalmente tali sentimenti, mentre altri mantengono un tenace silenzio;
* le "fantasie di riconciliazione": contrariamente ai bambini della precedente fascia di età, nessuno dei ragazzi tra i sei e i dodici anni sembra essere soddisfatto o sollevato per la disgregazione del nucleo originario, anche se in esso erano presenti violenti litigi;
* la collera: è la reazione che distingue, in modo netto, questo gruppo di soggetti dai più piccoli, poiché a questa età essa diviene consapevole, ben organizzata e diretta in modo preciso verso un oggetto.
Inoltre, spesso, tra i sei e i dodici anni si mettono in atto strategie volte ad escludere il genitore acquisito per soddisfare il desiderio di riportare insieme i propri genitori biologici. In questa fase evolutiva, data la presenza di forti legami di attaccamento e dei conseguenti sensi di lealtà, i figli elaborano l'eventuale conflitto più o meno esplicito tra i genitori prendendone parte in base al giudizio su chi ha "ragione" e chi ha torto. Risulta così evidente che il permanere del conflitto tra ex-coniugi rappresenta un fattore di rischio anche per l'adattamento ad una eventuale nuova unione di un genitore. Diventa inoltre importante, sempre secondo i Visher (1996), il cambiamento che può avvenire nell'ordine di posizione nel sottosistema dei figli, come gia precedentemente abbiamo osservato.
3) l'adolescenza: questa, per i ragazzi, è una fase in cui si realizza una transazione evolutiva importante che ha come obiettivi l'individuazione rispetto alla propria famiglia, la formazione e lo sviluppo di una propria identità e lo sviluppo di una propria sessualità. I cambiamenti causati nella relazione genitore-figlio dal processo di separazione possono aumentare il senso di responsabilità favorendo la maturazione psicologica ed emotiva dell'adolescente, oppure, al contrario, determinare una diminuzione della distanza cronologica appropriata tra il ragazzo e il genitore con la custodia, interrompendo il processo che lo dovrebbe condurre ad una sempre maggiore individuazione ed autonomia dalla famiglia di origine. Inoltre, spinti da una forte motivazione a definire la propria identità e a separarsi dal nucleo originario volgendo l'attenzione all'esterno della famiglia, gli adolescenti possono reagire negativamente alla richiesta, implicita nel processo di ricostituzione, di impegno in nuove relazioni per definirsi come gruppo familiare.
Si è notato che ciò che compare più frequentemente in tutti i sottogruppi è l'accentuata tendenza a manifestare comportamenti aggressivi.
Nei maschi si possono evidenziare tre momenti: 1) i soggetti con età inferiore a 7 anni, manifestano ostilità nei confronti dei genitori; 2) quelli tra i sette e gli undici anni, sono più spesso ostili contro i fratelli e i coetanei; 3) mentre i ragazzi di età superiore ai 12 anni, tendono ad assumere comportamenti aggressivi al di fuori della famiglia, contro la legge.
Le femmine, all'inizio, tendono ad esprimere sentimenti negativi verso i genitori come nei maschi, ma successivamente si assiste ad una scomparsa, o inibizione delle ostilità, e all'assunzione di comportamenti pseudoadulti, che hanno il carattere di avvertimento di potenziali disturbi futuri più seri come: l'assunzione di incontrollati comportamenti sessuali, la tossicodipendenza o la realizzazione di atti antisociali (Cigoli; Gullotta; Santi; 1983).
Ritornando a considerare Guy Ausloos (1998), a proposito del fattore età, egli asserisce che i soggetti:
* prima dei sei anni hanno maggiori capacità di accettare facilmente il/la nouvo/a partner, tanto che il padre acquisito può essere considerato come un secondo padre o la madre acquisita una seconda madre, e nutrono gelosie nei confronti dei genitori conviventi per un periodo di tempo relativamente breve se il nuovo arrivato si sa fare accettare;
* dai sei ai dodici anni, avendo acquisito una maggiore consapevolezza del ruolo del genitore acquisito, i figli, dopo un inevitabile periodo di crisi, possono sentirsi rassicurati dalla presenza del nuovo adulto all'interno del nucleo familiare, a condizione che questi non pretenda di assumere su di sé tutto il controllo o al contrario non sia totalmente indifferente. Tuttavia è molto difficile che essi accettino immediatamente di perdere la relazione esclusiva che si è creata tra loro e il genitore affidatario nel periodo più o meno lungo del nucleo monoparentale.
* tra i dodici e i diciotto anni, sia il partner della madre che quella del padre rappresentano una minaccia per la difficile riorganizzazione delle immagini genitoriali che ogni adolescente deve attuare nei confronti dei propri genitori. L'introduzione di una figura adulta complica questo processo poiché, all'inevitabile contestazione, si aggiunge il bisogno di difendere, per lealtà, il genitore non convivente, la perdita dell'esclusività del rapporto con esso, i rischi della seduzione, la posizione di «go between» che certi adolescenti si sentono obbligati ad assumere;
* infine, i soggetti dai diciotto ai vent'anni, al contrario possono sentirsi sollevati dal compito di dover essere il sostegno emotivo del genitore rimasto solo nel momento in cui questo inizia una relazione con un nuovo partner, cosa che può rendere più agevole il proprio processo di separazione-individuazione.

Le differenze sessuali nell'adattamento della prole alla ricomposizione familiare
Mentre sono numerose le ricerche che si sono occupate di descrivere il diverso modo di reagire al divorzio da parte dei figli maschi e delle figlie femmine, non altrettanto numerosi sono i lavori sulle differenze sessuali nell'adattamento della prole alla ricomposizione familiare.
Per quanto riguarda le ricerche relative alle conseguenze del divorzio sulla prole, la gran parte di esse concorda sul fatto che tale evento abbia maggiore risonanza sui figli maschi (Hess e Camara, 1979; Hetherington, 1979; Hetherington, Cox e Cox, 1978, 1979, 1980; Wallerstein e Kelly, 1980; Wallerstein, 1982)(54). Anche i recenti studi di Guidubaldi e Perry, (1985) hanno evidenziato come nei figli maschi si manifestino sintomi di disadattamento e problemi comportamentali dati principalmente dall'allontanamento della figura paterna. Mentre le figlie sembrano acquisire un maggiore senso di responsabilità nei confronti della gestione della casa e, allo stesso tempo, tendono ad avvicinarsi con uno spirito di complicità alla figura materna, i maschi vivono la separazione dei genitori con maggiore disorientamento e sofferenza.
Gli sudi condotti sulle diverse modalità di adattamento dei figli maschi e delle figlie femmine alla ricomposizione evidenziano, invece, come il momento più delicato e problematico di tale processo sia la fase iniziale del rapporto con un genitore acquisito. All'inizio della nuova convivenza i figli di entrambi i generi si mostrano decisamente ostili sia verso la madre (che è nella maggioranza dei casi il genitore affidatario), sia verso il patrigno (Hetherington, 1981). Secondo Amato (1987)(55) questa reazione negativa dei figli, sembra attenuarsi dopo circa due anni e mezzo dal secondo matrimonio quando non si notano più differenze tra i nuclei familiari intatti e quelli ricostruiti.
Per quanto riguarda le differenze di genere, Ausloos Guy (1998) mette in evidenza che: dal momento che i figli, in seguito al divorzio, si trovano a vivere per un lungo periodo con la sola madre, se sono ragazze, esse tendono spesso a stabilire una relazione che assomiglia a quella tra due amiche conviventi, quasi come due sorelle; se, invece, sono ragazzi, essi si trovano a sperimentare un senso di ambiguità dovuto all'attribuzione di un ruolo che gli richiede di essere contemporaneamente figli e sostituti del partner. Quindi per entrambi i sessi si assiste ad un processo di parentificazione. Però, nel momento in cui un nuovo compagno entra a far parte della famiglia questo ruolo, più o meno definito, viene rimesso in discussione e, in questa situazione, atteggiamenti di rifiuto o di seduzione sono molto frequenti.
Secondo Santrock, (1979) i maschi sembrano adattarsi con maggiore facilità alla ricostruzione della famiglia, fruendo dell'appoggio e del sostegno che proviene loro dalla nuova figura maschile. Le figlie femmine al contrario vivono spesso sentimenti di ostilità e conflitti di lealtà di fronte alla nuova situazione familiare. Anche secondo Santrock, come per Ausloos, poiché le bambine si trovano a vivere molto spesso, nel periodo di post-divorzio, una situazione di particolare vicinanza emotiva con la madre, si vedono espropriate dal loro compito di sostegno, ora ricoperto da un estraneo che non riesce a capire la loro ostilità. Nel caso in cui sia il padre ad avere l'affidamento le cose vanno ancora peggio, poiché anche in questa situazione le figlie ricoprono un ruolo privilegiato e hanno un rapporto molto riuscito con il proprio genitore, per cui, la presenza di un'altra donna vicino al padre suscita forti sentimenti di gelosia, ostilità e competitività.
Questi dati sono particolarmente significativi se li confrontiamo con quelli relativi alle differenze di genere nella reazione al divorzio. Come abbiamo visto, mentre i maschi presentano maggiori difficoltà manifeste, sentendosi disorientati e traditi, al momento della disgregazione coniugale, le femmine assumono in questo frangente un ruolo più responsabilizzato e complice soprattutto nei confronti della madre. Con l'andare del tempo, al contrario, si manifesta nei figli maschi una maggiore capacità di adattamento e accettazione del nuovo compagno del genitore. Le femmine, invece, si sentono minacciate e messe da parte, intraprendendo spesso, per tale motivo, una personale guerra contro il presunto sostituto del proprio genitore.


Note:
53 Cit. in: Ausloos Guy, Nouvelles Formes de la Famille-la Place du Père, Thérapie familiale, Genève, 1998, Vol. 19, No 2, pp. 85-94
54 Cit. in: Quadrio Aristarchi A., Venini I., 1992:Genitori e figli nelle famiglie in crisi, Giuffrè Editore, Milano.
55 Cit. in: Quadrio Aristarchi A., Venini I., Genitori e figli... op. cit.


PM - HOME PAGE ITALIANA TESI