Tesi di Laurea di Laila Fantoni
Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico
Capitolo I - La realtà dell'abuso sessuale
4. Maltrattamento
Il maltrattamento presenta un quadro clinico fortemente variabile ed è un termine molto ampio sia perché comprende al proprio interno le conseguenze di due tipi di eventi, "attivi" (come la violenze fisica, psichica o l'abuso sessuale) e/o "passivi" (come la mancanza di cure adeguate), sia perché tali situazioni possono, di volta in volta, o presentarsi come isolate, o associarsi in diverso modo tra loro, determinando manifestazioni polimorfe e variabili nel tempo.
D'altra parte qualsiasi tipo di maltrattamento produce una complessità di conseguenze, che vanno direttamente a minare la salute fisica e la sicurezza del bambino, ma anche il suo equilibrio emotivo e il suo sviluppo psico-relazionale, la stima di sé e il presente e futuro ruolo sociale. In questi termini il maltrattamento va considerato come una "patologia sindromica", nella cui storia naturale sono comprese evoluzioni gravi a lungo termine, che intaccano la successiva possibilità dell'adulto maltrattato nell'infanzia di stringere legami affettivi stabili e di svolgere un competente ruolo genitoriale (27).
Per tali ragioni la diagnosi di maltrattamento e/o abuso è quasi sempre complessa e difficile, richiede quasi costantemente la stretta collaborazione di diverse figure professionali e presuppone che i professionisti abbiano la sensibilità e l'attitudine a prevederla tra le possibili diagnosi e la preparazione tecnica per accertarla. D'altra parte individuare le situazioni di abuso o maltrattamento è di importanza essenziale sia per la sopravvivenza fisica del bambino, sia per il suo successivo sviluppo, poiché la condizione di maltrattamento persiste fino a quando non viene realizzato un intervento terapeutico esterno: è dunque impossibile che un bambino maltrattato esca da solo da questo stato (28).
Nella categoria del maltrattamento è possibile distinguere:
a. maltrattamento fisico;
b. maltrattamento psichico.
4.1 Maltrattamento fisico
Per maltrattamento fisico s'intende l'infliggere intenzionalmente dolore al bambino allo scopo di penalizzare i comportamenti indesiderati o disapprovati e di impedirne il ripetersi.
Chi e' il bambino maltrattato
Tutti gli studi e le indagini fatte al fine di individuare dei tratti specifici che caratterizzino il bambino picchiato, oltre ad avere un interesse puramente conoscitivo, mirano ad offrire il maggior numero possibile di elementi che permettano una facile individuazione del minore che ha subito delle violenze.
Per quanto riguarda l'età in cui il bambino è soggetto con maggiore frequenza a sevizie, già Kempe (29) aveva affermato che gli episodi di violenza si scatenano più facilmente nel caso di bambini molto piccoli della fascia da 0 a 3 anni, dato questo confermato anche in ricerche successive. Nel tentativo di spiegare il perché di tale concentrazione cronologica si è ipotizzato che la nascita e le prime fasi di sviluppo di un bambino rappresentino una crisi che può disorganizzare difese e sistemi adattativi consolidati e dar luogo a vere e proprie "esplosioni aggressive" (30) che travolgono il funzionamento familiare. Inoltre quella è un'età in cui il bambino vive un periodo in cui sono più complessi i problemi di adattamento e per cui esso ha poche capacità personali di sottrarsi alle percosse o comunque di denunciare il suo abusante.
Nelle distribuzioni statistiche vi è una assoluta parità nel maltrattamento tra i due sessi. Al più si può affermare che più frequentemente viene maltrattato il bambino del sesso opposto a quello desiderato dai genitori poiché la sua nascita delude le loro aspettative (31).
Non vi sono delle caratteristiche specifiche del bambino maltrattato, ma piuttosto vi sono dei fattori che più di altri possono far sì che il minore divenga vittima dell'episodio violento. Infatti, non tutti i bambini sono uguali: già al momento della nascita presentano caratteristiche proprie che vengono definite "personalità di base" o "differenze costituzionali". Naturalmente un bambino irrequieto, che piange, che ha difficoltà di alimentazione sarà più esposto al rischio di essere maltrattato rispetto ad un bambino che non crea problemi ai genitori.
Sono stati indicati quali fattori che scatenano l'episodio violento una gravidanza ed un parto difficili, una nascita prematura, la presenza di malformazioni congenite, danni cerebrali provocati al momento del parto, handicap (32).
D'altra parte in conseguenza dello stesso maltrattamento a cui è sottoposto, il bambino può acquisire schemi comportamentali che a loro volta sollecitano risposte aggressive da parte delle persone a lui vicine: cioè il maltrattamento può modellare degli schemi di comportamento nel bambino che aumentano la probabilità che egli sia vittima di ulteriori maltrattamenti.
I genitori che maltrattano
Chi aggredisce il bambino è nella maggioranza dei casi un familiare (raramente entrambi) e più spesso la responsabile è la madre, forse perché, di solito, è colei che passa più tempo con i figli.
Si tratta generalmente di coppie giovani, frustrate o comunque in grave disaccordo, inconsapevoli del loro ruolo di genitori e pertanto incapaci di acquisire un modo accettabile di svolgerlo. È spesso evidente un'ingiustificata eccessiva severità (33).
Non di rado sono rilevabili precedenti penali.
La possibilità che i responsabili di violenza sul minore appartengano ad una classe sociale bassa, per quanto trovi un effettivo riscontro dai dati emergenti, non deve far trascurare l'ipotesi verosimile che nei ceti sociali più elevati è maggiore la capacità di occultamento.
Infine, come accennato, accade spesso che il maltrattante sia stato a sua volta maltrattato nell'infanzia (cosiddetto ciclo della violenza) e questo rende più probabile (ma non automatico) il ricorso nell'età adulta a comportamenti violenti verso i propri figli (34).
Corretta è, dunque, la definizione di "genitori maltrattanti" data dalla Dott.ssa Ciampi (35), neuro-psichiatra infantile dell'ospedale Mayer di Firenze, che trova la causa del loro comportamento nell'insicurezza e nell'immaturità della loro persona:
"I genitori maltrattanti non sono spesso dei genitori che vogliono essere crudeli con i propri figli: anzi per lo più vogliono essere "i migliori genitori mai conosciuti". Ma la loro immaturità, l'incapacità di instaurare un rapporto autentico, le eccessive aspirazioni spesso coniugate con un'incapacità di conoscere le reali possibilità dei propri figli, la debolezza nel controllare i propri impulsi e la precarietà emotiva, la rigidezza caratteriale costituiscono nell'insieme una miscela esplosiva che fa scattare l'aggressività.
È per questo che il genitore violento non presenta stigmate fisiche né sociali particolari e non si differenzia sostanzialmente dal normale uomo che ognuno di noi è".
Problemi connessi al riconoscimento delle situazioni di maltrattamento
È frequentemente riscontrato che sia il medico a trovarsi di fronte al bambino maltrattato, in un servizio di Pronto Soccorso, se le lesioni sono di entità tale da richiedere il ricovero in ospedale, oppure il medico o il pediatra di famiglia se le lesioni sono di minore entità. È quindi importante per il medico e comunque, in senso più generale, per tutti coloro che nella routine quotidiana di lavoro hanno contatti con i bambini e con le loro famiglie, avere un'approfondita conoscenza degli "indici" del maltrattamento, che dovrebbero indurre il sospetto di un episodio di violenza (36).
Una volta che il bambino è arrivato all'attenzione del medico del Pronto Soccorso, se necessario, sarà bene che questi, oltre a prestare le immediate cure, consigli anche il ricovero del piccolo per due motivi ben precisi: prima di tutto perché si avrà così la possibilità di praticare tutti gli esami atti ad appurare la presenza di eventuali danni fisici e psichici subiti precedentemente, e secondariamente perché la separazione del bambino dalla famiglia consentirà ad entrambi di alleviare la grave situazione di stress emotivo, questo soprattutto per quelle madri che non hanno nessuno a cui affidare il bambino (37).
I medici, invece, come la maggior parte degli altri membri della società, sono riluttanti nell'associare il termine "maltrattamento" al fatto che questo sia opera dei genitori.
Le spiegazioni di questi atteggiamenti possono essere numerose. Prima di tutto ci può essere da parte del medico la paura che venga iniziata nei suoi confronti un'azione legale da parte delle persone da lui denunciate e di essere pertanto coinvolto in prima persona (38), anche se questa eventualità è del tutto infondata perché per quei medici che «in buona fede» denunciano un caso sospetto, è prevista l'immunità.
Vi è, inoltre, da parte del medico, la paura di mettere a repentaglio il suo rapporto professionale con i genitori del bambino (39). Questo è un evento che può verificarsi molto facilmente: il medico deve aspettarsi l'ostilità dei genitori. A ciò si può comunque ovviare facendo sì che egli lavori coadiuvato da altre persone, sia perché l'ansia creata da una tale situazione possa essere condivisa, sia perché in tal modo il genitore si renda conto che il medico non agisce ad un livello personale, magari per disprezzo nei suoi confronti, ma che la sua reazione è frutto della decisione di persone che unitamente collaborano al benessere della famiglia.
Infine il medico può pensare che sia inutile denunciare l'episodio perché i provvedimenti che verranno presi o non sortiranno effetti utili o addirittura saranno nocivi (40). Anche questo modo di pensare può essere giustificato, poiché molto spesso non si è abbastanza pronti ad affrontare e soprattutto a risolvere positivamente un problema come quello del maltrattamento. Ma anche in questo caso spetta agli organi competenti infondere fiducia nel medico, dargli la sicurezza e soprattutto la consapevolezza che qualsiasi cosa si possa fare per il bambino e per la sua famiglia va fatta e che per operare in questo senso ci vuole la collaborazione di tutti, la reciproca stima ed il reciproco aiuto, ognuno con le proprie tendenze.
Ci sono inoltre ragioni più profondamente psicologiche alla base di tale riluttanza. Kempe ha messo in evidenza come il medico che si trovi di fronte ad un caso di maltrattamento debba avere contatti contemporaneamente almeno con quattro persone: il bambino, la madre, il padre e se stesso, ossia i propri sentimenti nei confronti di un episodio che suscita sempre emozioni discordanti. Dunque, oltre ai problemi di ordine etico, il medico può avere problemi nel denunciare il caso perché tale denuncia comporta anche l'accettazione da parte sua di un dato che tutti vorrebbero negare, e cioè che un genitore possa odiare il proprio figlio tanto da avere nei suoi confronti impulsi violenti. È per questo motivo che, per giungere ad una precoce diagnosi di maltrattamento, il medico deve vincere questo sentimento di negazione (41).
Le lesioni, che sono conseguenza di un maltrattamento fisico, devono essere distinte da quelle derivanti da un incidente. Di regola, infatti, è proprio un "meccanismo accidentale" quello che viene riferito, dai genitori o dagli adulti che hanno in carico il bambino nel corso delle visite mediche come causa delle lesioni.
Ci sono, comunque, degli "elementi generali" (42) che sono sempre presenti nel corso di maltrattamento fisico: ad esempio, suggestivi sono il ritardo nel cercare l'aiuto del medico, il racconto vago, povero di dettagli e variabile da persona a persona di quanto sarebbe accaduto, la descrizione della dinamica dell'incidente all'origine delle lesione non compatibile con la loro tipologia, sede, estensione e gravità. Anche l'atteggiamento del genitore, che presenti un comportamento ed un coinvolgimento emotivo non adeguati alle circostanze ed alle condizioni del bambino, che si dimostri oppositivo ed ostile, oppure l'atteggiamento del bambino triste, impaurito o viceversa iperattivo, incontenibile, possono suscitare ragionevoli perplessità. Infine la storia di numerosi incidenti o ricoveri precedenti, di maltrattamenti già diagnosticati per altri fratelli o di violenza intrafamiliare nota costituisce elemento di grave rischio. Occorre, però, ricordare che nessuno di questi fattori può condurre con certezza alla diagnosi di maltrattamento, anche se la loro presenza, specie se associata ad altri elementi, impone al medico di valutare questa diagnosi differenziale (43).
È in ogni caso necessario che il medico, che si trova a curare il bambino, compia un'anamnesi accurata della dinamica dell'incidente e un'osservazione attenta del comportamento spontaneo del bambino e dell'adulto che lo accompagna, anche se si tratta di una lesione presunta accidentale. Il successivo esame e i conseguenti accertamenti strumentali devono essere altresì particolarmente accurati e mirati ad evidenziare alcune specifiche caratteristiche delle lesioni cutanee, scheletriche e viscerali, delle ustioni o delle eventuali intossicazioni o asfissie (44).
Dunque è importante non limitare il problema diagnostico al solo bambino: per svelare la dinamica dell'episodio e dargli un significato all'interno del contesto familiare è necessario raccogliere informazioni sull'intero nucleo familiare, ricostruendo le varie fasi del ciclo vitale del gruppo familiare ed i motivi più contingenti che hanno scatenato la crisi (45).
Le conseguenze del maltrattamento
Gli studi che hanno cercato di individuare le conseguenze neurologiche degli abusi hanno concordemente rilevato che le sevizie sui bambini portano ad un'alta incidenza di deficit di vario tipo e questo non solo quando si provochino lesioni alla testa, ma anche quando il bambino piccolo sia stato violentemente scosso pur senza provocare lividi o fratture craniche (46).
Assai più preoccupanti sono invece le conseguenze psicologiche di tipo depressivo che insorgono. Il maggior danno, perché rende assai difficile il recupero, è costituito dalla passività, dalla abulia, dalla chiusura su se stessi, dalla definitiva chiusura di ogni speranza e di ogni stimolo a crescere e a strutturarsi. I ragazzi che hanno subito violenza sono bambini prima, ragazzi poi, adolescenti infine, spenti isolati, regrediti, disinteressati alla vita propria e a quella sociale, ai quali è stata tolta ogni forza vitale (47).
4.2 Maltrattamento psicologico
Un comportamento diventa lesivo sul piano psicologico in quanto trasmette uno specifico messaggio negativo o in quanto interferisce con aspetti dello sviluppo psichico (48).
I numerosi tentativi di definire le varie forme di maltrattamento psicologico si sono concentrati sulla combinazione di tre dimensioni fondamentali: le azioni, le intenzioni e gli esiti. In generale un comportamento è giudicato dannoso sulla base della probabilità che abbia effetti deleteri su chi lo subisce.
Dato che i segni del danno psicologico o emozionale sono più difficili da individuare rispetto a quelli della violenza fisica, spesso manifestandosi solo tardivamente ed essendo legati alla causa presunta in modo indiretto, la ricerca in questo campo dovrebbe essere orientata ad identificare le probabilità che il danno risulti effettivamente da una specifica azione e quindi a determinare l'indice di pericolosità potenziale di questa (49).
In realtà un'attenta valutazione della natura della sofferenza psichica deve tener conto che le ripercussioni sull'individuo di qualsiasi evento nascono dalla interazione tra varie dimensioni quali l'intensità, la frequenza, la durata, il contesto, il significato soggettivo assunto dall'evento stesso. All'interno di ciascuna dimensione è difficile tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è tollerabile da parte del soggetto, della comunità, della cultura e ciò che non può essere accettato.
Il termine "maltrattamento psicologico" viene usato, in una accezione più generale, per indicare tutti gli aspetti affettivi e cognitivi del maltrattamento infantile derivanti da atti o da omissioni (50).
La Dott.ssa Ciampi (51), neuropsichiatra infantile dell'ospedale Mayer ha, infatti, definito tale forma di maltrattamento come un "tradimento" dei genitori nei confronti dei loro figli in quanto, invece di proteggerli e prendersi cura di loro, ne abusano, anche se a livello psicologico:
"I genitori maltrattanti tipicamente incolpano il bambino dei suoi stessi disturbi, attribuendogli responsabilità inadeguate e non curandosi dell'esistenza dei suoi problemi che piuttosto negano, rifiutando qualsiasi offerta di aiuto".
La Dott.ssa Ilaria Lombardi (52), coordinatrice degli educatori della casa di accoglienza per gestanti e madri dello Spedale degli Innocenti, ha infatti definito il maltrattamento psicologico come "la costante incapacità di riconoscere i bisogni del bambino". Da ciò derivano non solo insufficienti risposte alle richieste, anche tacite, di aiuto che il bambino lancia, ma anche a quelle violenze dovute alla non-conoscenza della realtà del minore, che porta ad imposizioni di modelli di vita o a sottovalutazione delle sue difficoltà che si risolvono in abusi da lui vissuti con sensi di profonda ansia e di grave angoscia. Gli indicatori di tale maltrattamento più che fisici (talvolta ritardi dello sviluppo e disturbi psicosomatici) sono comportamentali: il bambino presenta abitudini anomale per la sua età (come succhiare il dito o mordere), difficoltà di socializzazione e disturbi del linguaggio.
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