Tesi di Laurea di Laila Fantoni
Il minore sessualmente abusato: vicende processuali e trattamento terapeutico
Capitolo I - La realtà dell'abuso sessuale
7. L'incesto: tra diritto e sentire sociale
7.1 Cenni storici
Già ai tempi degli antichi Greci esistevano norme riguardanti l'incesto: tale popolo, infatti, passò da un'iniziale tolleranza fino alla repressione delle unioni incestuose. La repressione più rigorosa riguardava il matrimonio fra ascendenti e discendenti, mentre era interdetto quello fra fratello e sorella, ed infine tollerato se costoro avevano madri diverse (198).
Nel diritto romano le parole «incestum» o «incestus» designavano un significato più ampio del termine: indicavano i gravi attentati alle leggi religiose e per i quali non era ammessa espiazione. Tra questi vi erano le contaminazioni dei rapporti di consanguineità. La vera e propria incriminazione dell'incesto risale alle origini del diritto romano, quando tale comportamento veniva punito con la pena di morte; in epoca imperiale, poi, la pena capitale venne sostituita dalla deportazione, poiché la maggior parte dei comportamenti incestuosi venivano compiuti da soggetti appartenenti alle classi sociali più privilegiate.
Con l'avvento degli imperatori cristiani vi fu un ulteriore inasprimento della pena: venne inflitta la vivicombustione (199).
Nel periodo illuminista, invece, venne contestata la necessità di reprimere penalmente l'incesto, tantochè esso non venne ricompreso tra i delitti previsti nel codice francese del 1810 e, così, neanche in quello delle Due Sicilie del 1819 né in quello di Parma del 1820.
Successivamente, poi, nel codice sardo-italiano del 1859 e nel codice toscano del 1853 fu ripristinata la previsione di tale reato.
Il codice Zanardelli del 1889 adottò, invece, una soluzione di compromesso, subordinando la punizione del reato al verificarsi del "pubblico scandalo". Tale soluzione non aveva trovato unanime accordo, in quanto erano in molti a proporre di sopprimere l'ipotesi delittuosa.
Il codice Rocco (attualmente in vigore) ha, infine, previsto tale reato all'articolo 564 nel fatto di avere rapporti sessuali, in modo che derivi "pubblico scandalo", con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, o con una sorella o un fratello (200).
Nei lavori preparatori non fu neanche discusso sull'opportunità o meno di punire l'incesto. L'unica perplessità riguardò il mantenimento dello "scandalo pubblico", che venne ribadito, riconoscendosi anzi proprio in esso il requisito fondamentale per la configurazione del reato o almeno per la sua punibilità (201).
La subordinazione della punibilità della condotta al verificarsi di tale elemento fa riflettere sulla concezione sociale che è trasferita nella norma: in base ad essa si può ritenere che tutto ciò che avviene all'interno delle mura domestiche, a prescindere dai motivi per i quali ciò non sia conosciuto all'esterno, non possa e non debba in alcun modo interessare il giudice penale, fino a quando tali azioni non comportino una reazione di disgusto e di sdegno nella coscienza pubblica.
7.2 La definizione giuridica d'incesto
Che cosa s'intenda per incesto varia da cultura a cultura, da codice a codice, ed è in funzione soprattutto dei diversi punti di vista (giuridico o psicologico o antropologico) che si assumono.
Il nostro legislatore ha deciso di inserire l'art. 564 nel Capo II (Dei delitti contro la morale familiare) del Titolo IX (Dei delitti contro la famiglia) del c.p.
Scopo dell'incriminazione non è, come da taluno (202) si ritiene, la necessità di evitare la degenerazione della razza per il danno che deriverebbe dalla procreazione fra consanguinei. A prescindere dalla considerazione che tale danno è tutt'altro che scientificamente accertato, va tenuto presente che l'incesto ricorre anche quando i rapporti sessuali si verificano tra gli affini in linea retta (suocero e nuora, genero e suocera), fra i quali il vincolo di consanguineità non sussiste. La vera ratio della punizione dell'incesto sta, dunque, nella sua particolare riprovevolezza morale, nella sua turpitudine che lo rende assolutamente intollerabile per la comunità sociale. La profonda ripugnanza che il fatto desta nella coscienza pubblica, induce lo Stato ad intervenire con la più grave delle sanzioni di cui dispone, e cioè con la pena. Infatti l'incesto, secondo l'Antolisei (203), più che gli interessi della famiglia, offende la moralità pubblica e il buon costume. L'offesa agli interessi della famiglia può presentarsi solo sotto il profilo della violazione della norma di condotta che impone l'asessualità nei rapporti parentali. Secondo la Relazione ministeriale sul progetto del codice penale (204), questa violazione spiega il collocamento dell'incesto fra i delitti contro la famiglia.
Invece, secondo un altro autore, Romano, nella fattispecie dell'art. 564 non è agevolmente determinabile il bene oggetto di protezione al punto da apparire quasi "inafferrabile", trattandosi di una disposizione il cui contenuto viene integrato da elementi normativi extragiuridici, che cioè rinviano a norme sociali o di costume, quindi a parametri di valore rimasti spesso travolti dal cambiamento di talune ideologie, per essere sostituiti da altri, non ancora colti e recepiti dal legislatore. L'autore ha inoltre osservato che la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, degli ultimi anni, non ha avuto quasi più modo di occuparsi di tale reato, il che può far pensare che in un prossimo futuro la norma non troverà più applicazione perché ormai estranea agli interessi ed ai valori della società contemporanea (205).
La fattispecie normativa, contenuta nell'art. 564 c.p., è di quelle cosiddette "necessariamente plurisoggettive": in essa, infatti, la condotta tipica è commissibile da almeno due soggetti, i quali devono essere legati fra loro da vincolo di parentela in linea retta (ascendente o discendente) o collaterale entro il secondo grado (fratelli e sorelle), ovvero da vincolo di affinità in linea retta (suoceri, genero, nuora e loro ascendenti o discendenti). Fratelli e sorelle sono sia i germani (figli degli stessi genitori), sia i consanguinei (figli dello stesso padre ma non della stessa madre), sia gli uterini (figli della stessa madre ma non dello stesso padre) (206). Inoltre, non vi è dubbio che, per il disposto dell'art. 540 c.p., vi sono compresi anche gli ascendenti e i discendenti naturali, mentre ne sono esclusi gli adottivi. Sono sorte varie esitazioni per l'esclusione di tali soggetti, soprattutto dopo l'equiparazione legale tra il rapporto familiare di sangue e quello adottivo.
Quanto agli affini è ritenuto valido il criterio interpretativo che si desume dall'ultimo comma dell'art. 307 c.p. per cui agli effetti penali il vincolo cessa allorchè sia morto il coniuge e non vi sia prole. In conseguenza, in tal caso non ricorrono gli estremi del reato di incesto (207). Contro tale tesi, però, gran parte della dottrina rileva che, di fronte al mancato rinvio da parte dell'art. 564 c.p. all'elencazione di cui all'art. 307 ultimo comma c.p., consegue che non può trovare applicazione, ai fini dell'incesto, la disposizione secondo cui «nella denominazione di prossimi congiunti non si comprendono gli affini affinchè sia morto il coniuge e non vi sia prole», ma va invece applicato l'art. 78 c.p. secondo cui l'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge dal quale deriva (208).
Poiché il codice non precisa in che cosa consista l'incesto, fornendone una nozione puramente tautologica («chiunque commette incesto con...»), sorgono nei confronti di questo reato varie incertezze. Secondo la giurisprudenza e la maggior parte della dottrina il reato si consuma con il compimento di un rapporto sessuale; non manca però chi (209) ritiene sufficiente il compimento di atti sessuali anche diversi dalla congiunzione fisica da parte dei soggetti indicati, in modo che ne derivi pubblico scandalo. Questa seconda opinione si basa sulla motivazione per cui il disgusto morale, che giustifica la punizione, si verifica pure nei casi in cui la relazione sessuale si esplica in altre forme, le quali possono essere anche più ripugnanti (210). Nel caso di relazione incestuosa, invece, occorre che la reiterazione dei fatti abbia la caratteristica dell'abitualità.
Il "pubblico scandalo", che è richiesto per la punibilità dell'incesto, va ravvisato nella morale della coscienza pubblica, accompagnata da un senso di disgusto e di sdegno contro un fatto tanto grave. Tale scandalo deve essersi effettivamente verificato e, quindi, non basta che la generalizzata riprovazione, in cui esso si concretizza, venga ad evidenza in qualsiasi modo (e cioè la semplice possibilità che ne derivi pubblico scandalo), occorre che essa sia stata cagionata dalla condotta almeno colposa degli autori. La legge, infatti, non dice «in modo che ne possa derivare», ma «in modo che ne derivi pubblico scandalo». Sotto tale profilo, la giurisprudenza ha ritenuto che non è necessario che la relazione sia conosciuta da tutti: basta che il pubblico scandalo sia derivato da un concreto comportamento incauto degli autori, o di uno di essi, pur se non manifestato direttamente in pubblico, ma rivelato dagli effetti materiali o da confessioni (211).
Un'ampia discussione è sorta riguardo alla natura del pubblico scandalo. Due sono le interpretazioni espresse in merito (212). Secondo una prima, prevalente in giurisprudenza, il pubblico scandalo rappresenta un'ipotesi di condizione obiettiva di punibilità: conseguentemente, esso non sarebbe oggetto di una volizione da parte degli agenti. Peraltro, la sua verificazione dovrebbe comunque essere causalmente riconducibile alla condotta degli agenti stessi. Una seconda interpretazione, prevalente in dottrina, individua nel pubblico scandalo l'evento del reato. Esso deve pertanto essere voluto (o quanto meno accettato a titolo di dolo eventuale) dagli agenti quale risultato (certo o anche solo probabile) della propria condotta.
Per quel che, invece, riguarda la prova del pubblico scandalo, è stato rilevato che in passato si è sostenuto che l'insorgere di tale scandalo derivasse automaticamente dalla conoscenza del rapporto sessuale intervenuto tra consanguinei: la sussistenza di tale elemento non necessiterebbe, dunque, di alcuna specifica prova. Tale opinione pare peraltro condurre ad un'abrogazione implicita di tale requisito, il quale resterebbe sostanzialmente assorbito nella conoscenza della relazione incestuosa, senza necessità che da tale conoscenza nasca effettivamente la pubblica riprovazione. Se ciò è già inammissibile quando si consideri il pubblico scandalo quale condizione obiettiva di punibilità, a maggior ragione è criticabile quando lo si interpreti quale evento costitutivo del reato. Tale opinione non è più condivisa: il pubblico scandalo deve essere provato (213).
L'elemento psicologico del reato è costituito dal "dolo generico": dunque, deve esservi sia la consapevolezza dell'esistenza del vincolo tra gli autori del fatto (è sufficiente anche un vincolo di filiazione illegittima purchè noto agli autori), sia la coscienza e volontà di avere rapporti sessuali con una delle persone indicate in modo specifico nell'art. 564 c.p. (214). Per quanti poi ritengono che il pubblico scandalo costituisca evento del reato, anche quest'ultimo elemento dovrà essere coperto dal dolo, in quanto esso individua una modalità dell'azione criminosa e, dunque, è inerente alla condotta volontaria dei soggetti (215).
La norma non indica limiti di età per gli autori: è però previsto, al terzo comma, un aggravamento di pena nell'eventualità che uno dei responsabili sia minore degli anni diciotto, a carico del correo maggiorenne. Dunque, qualora uno dei due autori non sia imputabile (ad esempio il minore di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni che venga riconosciuto non imputabile nel caso concreto) o non punibile per qualsiasi motivo, ciò non fa venir meno il reato: e ne risponde però ovviamente solo il soggetto imputabile e punibile.
Per ciò che riguarda la pena e le sanzioni accessorie, la condanna comporta la reclusione da uno a cinque anni nel caso di incesto, e da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa; per il genitore, inoltre, la condanna comporta la perdita della potestà sul figlio minore (216). Il reato è di competenza del Tribunale e la procedibilità è d'ufficio: la denuncia, di conseguenza, andrà inoltrata al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale.
Escludendo l'ipotesi in cui gli autori sono entrambi maggiorenni, occorre vedere quali sono le ipotesi normative di applicabilità della norma in esame.
Nel reato di incesto il minore non è qualificabile tecnicamente come vittima e ciò discende dalla naturale plurisoggettività della fattispecie: se uno dei due subisce, con violenza o minaccia, il fatto dell'altro, non si ha incesto ma violenza sessuale; ugualmente se uno dei due non è capace di prestare un consenso valido.
Dunque il reato di incesto viene compiuto nella seguenti situazioni:
a. quando l'ascendente, oppure la sorella o il fratello convivente, compiono atti sessuale con il discendente di età superiore ai sedici anni e consenziente;
b. quando il fratello, la sorella o l'affine in linea retta non conviventi compiono tali atti con il familiare di età superiore a quattordici anni.
Devono ritenersi applicabili le norme sulla violenza sessuale tutte le volte che una delle due persone deve essere considerata soggetto passivo del fatto dell'altra, anziché concorrente nel fatto stesso (217).
La legge italiana stabilisce all'art. 609-quater c.p. dei limiti tassativi entro i quali il consenso del minore è presunto invalido, a causa dell'età inferiore dei sedici anni. In certe ipotesi, però, può verificarsi che quel particolare minorenne, nel caso concreto, avesse raggiunto una fase di maturazione fisica, psichica e morale tale da far sì che il suo consenso potesse essere considerato umanamente (anche se non giuridicamente) ponderato e consapevole.
Può però accadere anche il contrario, e cioè che allo scadere di tale termine il minore di età compresa tra i sedici ed i diciotto anni non abbia ancora raggiunto quella maturità indicata. In questo caso, sarà il giudice che dovrà compiere un apprezzamento con prudenza (218) per valutare se il minore aveva tale maturità al momento del fatto e, senza fermarsi a ciò, se l'eventuale immaturità di questo soggetto non renda applicabile la fattispecie di cui all'art. 609-bis, 2 comma, n.1, c.p., laddove si punisce come violenza sessuale presunta il fatto commesso in danno alla persona che non sia in grado di resistere all'autore a causa delle proprie condizione di inferiorità fisica o psichica. Bisogna cioè che il giudice non si limiti ad accertare la sussistenza di una causa di proscioglimento (immaturità psichica), che nel caso concreto colpirebbe il minore qualificandolo correo, invece che non imputabile, di un incesto.
7.3 L'incesto nella società
Mentre da un punto di vista giuridico quando si parla di incesto ci si riferisce a situazioni in cui viene violata la morale familiare (che è l'oggetto tutelato dall'art. 564 c.p.) attraverso il compimento di atti sessuali che causano "pubblico scandalo", nella percezione sociale la nozione di incesto viene riferita a tutti quei casi in cui vengono compiute delle violenze sessuali tra soggetti appartenenti alla stessa famiglia. Ciò che rileva in questa definizione è l'elemento della violenza con cui viene commesso l'atto sessuale (219): dunque, viene considerato un caso particolare e specifico della situazione di abuso sessuale.
Esemplificativa è la definizione proposta dal Comitato di protezione giovanile del Quebec, che ha individuato l'incesto in qualsiasi tipo di relazione sessuale che avviene all'interno della famiglia tra un bambino ed un adulto che svolge nei suoi confronti una funzione parentale. Dunque vi rientrano atti compiuti in ogni tipo di relazione, etero od omosessuale (non soltanto se si arriva all'accoppiamento, ma anche quando si verificano pratiche oro-genitali, anali e masturbatorie), e determinati comportamenti parentali caratterizzati da un'intimità fisica eccessiva e dall'imposizione al bambino di atti voyeuristici ed esibizionistici.
Dunque, quando la società discute di situazioni di incesto si riferisce ai casi di abuso sessuale intrafamiliare, che vengono puniti dall'ordinamento con la normativa introdotta dalla Legge n. 66/1996.
Da anni, comunque, anche i giudici che devono valutare casi di incesto tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne non applicano più l'art. 564 c.p., in quanto tale norma non ha di mira la tutela del minore - che è invece quello che l'attuale percezione sociale ritiene essere l'obiettivo più importante dell'ordinamento - e fanno ricorso alle norme sulla violenza sessuale. Questo cambiamento è risultato anche dal fatto che i vari studi di psicologia sul rapporto sessuale tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne (soprattutto se legati da un rapporto di parentela) hanno individuato che in questa situazione vi è sempre una posizione di soggezione del minore nei confronti dell'altro e un atteggiamento di violenza intrinseca all'atto stesso, anche se non esplicita. È dunque più opportuna la tutela del minore attraverso le norme sulla violenza sessuale (220).
7.3.1 I vari tipi di incesto
Attualmente il numero dei casi di "incesto" più frequenti e dunque conosciuti, nell'accezione considerata dalla società che è, dunque, sinonimo di abuso sessuale intrafamiliare (sia intra che extradomestico), riguarda le relazioni sessuali tra genitori (o adulti aventi funzione parentale) e figli minori di sedici anni: dunque i casi di abuso sessuale intrafamiliare intradomestico.
Moro (221) ritiene che l'eziologia dell'incesto debba essere oggi più esattamente individuata in una "cultura della violenza" pervasiva delle relazioni familiari, nelle quali ogni membro della famiglia contribuisce allo sviluppo e al mantenimento del problema. Dunque non è corretto interpretare l'incesto come qualcosa riguardante esclusivamente il sesso, ma come un fatto legato ai rapporti di potere all'interno della famiglia e ad una serie di sottoculture ancora molto diffuse all'interno della nostra società, come la "cultura del possesso del figlio", che scambia la forza con la potenza, l'affetto con il possesso (222).
In base alle ricerche effettuate dalla letteratura psicologica sull'argomento, la famiglia incestuosa può essere definita come un "blocco monolitico" (223), all'interno del quale le distinzioni generazionali sono ignorate, non esistono ruoli definiti perché le parti si scambiano e si invertono in modo dinamico. I posti non sono stati assegnati: le relazioni tra i membri del nucleo incestuoso sono connotate dalla promiscuità e dall'autarchia. La famiglia è chiusa su di sé, si ritiene autosufficiente e circonda con il segreto ogni azione che avviene al suo interno (224). Poiché non sono mai state affrontate le dinamiche di separazione, la famiglia incestuosa si ritiene autosufficiente. Inoltre, la sua caratteristica predominante è l'autarchia, il suo apparente aspetto è quello di una fortezza impenetrabile, difesa strenuamente dall'arma del "segreto" (225).
Gli abusi sessuali nell'ambito della famiglia possono essere ulteriormente distinti (226) in:
a. Incesto/abuso sessuale tra padre e figlia. Si tratta del caso che si realizza più frequentemente e di cui la letteratura si è maggiormente occupata;
b. Incesto/abuso sessuale tra padre e figlio. Secondo la maggioranza degli studiosi le dinamiche di questa situazione presenterebbero delle analogie con quelle dell'incesto padre/figlia, compreso l'atteggiamento collusivo della madre;
c. incesto/abuso sessuale tra madre e figlia. Non si hanno denunce frequenti;
d. incesto/abuso sessuale commesso dal familiare. Nell'ambito della famiglia abusi sessuali possono essere compiuti da altri parenti, conviventi o comunque presenti con particolare assiduità, come nonni o zii (227). Spesso l'aggressione sessuale viene effettuata da figure sostitutive del padre - assente perché deceduto o separato dalla moglie, come il patrigno o il convivente della madre o anche un fratello maggiore della vittima (228). Quando questo viene compiuto dal convivente o dal coniuge in seconde nozze del genitore è chiamato "paraincesto".
e. incesto/abuso sessuale tra madre e figlio. Il dibattito sul quesito se le madri incestuose/abusanti esistono oppure no è aperto. C'è chi sostiene che le madri non abusino mai dei propri figli, ma c'è chi ritiene invece anche loro autrici di veri e propri abusi sessuali.
I dati esistenti al riguardo sono pochissimi e quindi avvallerebbero la prima ipotesi: in qualunque ricerca le madri risultano sempre all'ultimo posto tra gli autori di reati sessuali su minori e in percentuali insignificanti. Una delle cause di questa realtà è sicuramente il fatto che "l'incesto" in relazione al rapporto madre-figlio è un tabù culturale (229). Ma i dati registrati in questi ultimi anni dall'esperienza dell'equipe di neuropsichiatria infantile dell'ospedale Bambin Gesù di Roma evidenziano, purtroppo, una certa rilevanza del fenomeno. Infatti secondo una ricerca effettuata nel 1995 su 250 casi trattati, le madri sarebbero nell'11% dei casi le autrici degli abusi sessuali intrafamiliari su figli minori, al terzo posto dopo i padri e i conviventi (230). Gli abusi delle madri sui figli sono molto difficili da scoprire soprattutto perché sono mascherati dalla pratica delle cure e dell'affettività materna. Molti atti di libidine si celano infatti nei bagni e nei lavaggi intimi, nelle applicazioni superflue di creme sui genitali dei figli di entrambi i sessi, nel condividere con questi ultimi fino all'età adolescenziale il letto o le carezze erotiche, arrivando anche al rapporto completo. Tutti questi comportamenti sono naturalmente perversioni materne, spesso anche molto sottili, che sono difficilmente riconoscibili e che non riescono ad emergere se non in terapia (231). Essi sono stati considerati fino a non molti anni fa quasi "naturali", o comunque un "eccesso" tollerato dal sentire comune, in quanto è considerato un dato scontato che il rapporto tra madre e figlio sia esclusivo. Infatti, se una donna esagera nel fare il "bagnetto" al figlio o ad utilizzare le creme siamo tutti propensi a credere che abbia la fobia dell'igiene e censuriamo immediatamente il pensiero che tale donna potrebbe avere desideri incestuosi verso i suoi figli (232).
L'aumento (anche se relativo) della casistica di questo tipo di crimine deriva, dunque, da un'accresciuta sensibilità al fenomeno, sia da parte degli operatori sanitari e sociali, sia da parte della società. Un "rapporto incestuoso" tra madre e figlio crea un futuro uomo (o donna) psicotico. È per questo motivo che questo fenomeno è stato rilevato fino ad oggi dalla sola psichiatria infantile la quale, però, continuava a confondere un trauma reale con un desiderio o una fantasia incestuosa del bambino, ostinandosi a negare la realtà (233).
Un'analista junghiana, Nadia Neri, ha notato che, poiché spesso l'abusante ha anch'esso nel suo passato un'infanzia di violenze ed abusi sessuali (cosiddetto ciclo intergenerazionale della violenza), nei nuclei familiari incestuosi la figura materna instaura con i propri figli un rapporto di continua rivalità - identificazione, fino ad accettare anche la relazione tra la figlia e il proprio marito. La figura maschile, invece, è considerata in questi nuclei come un'entità ostile e sconosciuta, un "estraneo" che irrompe nella vita familiare (234). È dunque inevitabile che a questa cultura del padre-estraneo corrisponda un'idea di madre-titolare esclusiva del rapporto con i figli.
In genere i padri riescono ad esercitare un immenso potere sui propri figli, facendo uso della violenza, dell'intimidazione, delle minacce o di strategie seduttive alle quali è impossibile resistere, soprattutto da parte di un minore; se una madre, invece, ha desideri "incestuosi" non ha bisogno di ricorrere alla violenza, né alle intimidazioni, né alle minacce (235). Le basta il potere che le è conferito come "madre" ed i danni che produce nella psiche del bambino sono devastanti. Dunque l'elemento della violenza rappresenta una discriminante forte tra "l'incesto" padre-figlia e quello madre-figlio: nel primo è probabile che ci sia, nel secondo no.
7.3.2 "Incesto" padre-figlia
L'incesto/abuso sessuale padre-figlia rimane tuttora la combinazione più diffusa e conosciuta (3/4 dei casi di violenza sessuale intrafamiliare (236)) e non è sempre accompagnato da atti di violenza, come la maggior parte delle persone presumono.
Tale tipo di violenza si inserisce all'interno di una dinamica particolare e complessa che certamente lo differenzia da qualsiasi altra forma di abuso compiuta da un adulto ai danni di un minore. Infatti, mentre in qualsiasi altra forma di violenza sessuale la vittima, di qualsiasi età essa sia, ha la possibilità di riconoscere nell'abusante la figura del colpevole, "l'incesto" priva chi lo subisce della libertà di difendersi e di odiare (237).
Le figure genitoriali, all'interno della "famiglia incestuosa", sono complementari: ad un padre-padrone corrisponde una madre assente, ad un padre endogamico una madre anaffettiva. Nel primo caso, il cosiddetto "padre-padrone" (238) è indicato dalla letteratura come colui che ha la convinzione che la disponibilità sessuale sui propri figli sia uno degli aspetti della totale disponibilità che egli non può non avere su tutta la famiglia; che i rapporti familiari siano di puro dominio e che quindi sia del tutto ammissibile che si punisca la figlia con l'abuso sessuale; che il compito educativo del padre che svela il mondo alla figlia comprenda anche il rito di iniziazione connesso con l'esperienza sessuale. Questa immagine è associata, complementarmente, a quella della "madre assente", dipendente, sottomessa e spesso anch'essa abusata dal marito (239).
Esiste, però, un'imponente letteratura che rivela come il modello delle relazioni affettive nella famiglia incestuosa possa essere esattamente l'opposto, essendo il padre inadeguato, debole, timido, dipendente: questa è l'immagine del cosiddetto "padre endogamico". Questa figura è solo in apparente contraddizione con quanto descritto prima, perché in realtà il padre-padrone nasconde, sotto l'atteggiamento di ostentata autorità, una sostanziale insicurezza e debolezza (240). Questo tipo di padre viene spesso associato ad una "madre affettivamente distante", poco attenta ai bisogni degli altri membri del nucleo familiare e che demanda il suo ruolo coniugale e materno alla figlia, la quale diventa così la nuova partner del padre. La figlia viene caricata di pesanti responsabilità alle quali non può sottrarsi, pena la perdita dell'affetto dei genitori da cui il bambino dipende: si tratta del cosiddetto "terrorismo della sofferenza", cioè della tendenza a riversare sulle spalle dei figli ogni tipo di disordine interno alla famiglia (241).
Vi sono, però, anche casi in cui il padre appare alla figlia genericamente insoddisfatto della moglie ed egli attua "l'incesto" con la figlia come un paradossale tentativo di ristabilire l'equilibrio familiare. La madre, sentendosi incapace di accontentare il marito, si mostra debole ed arrendevole, cedendo la figlia alle cure del marito, il quale adotterà con la figlia atteggiamenti da coetaneo, esplicitando chiaramente quanto si senta realizzato solo in sua compagnia. Il rapporto si sessualizza nel momento in cui il padre allude chiaramente alla sua insoddisfazione per le prestazioni sessuali con la moglie ed inizia così la relazione con la figlia (242).
A volte può accadere che una moglie, particolarmente dipendente, sia ossessionata dall'idea di non perdere il proprio uomo e veda la figlia come un tramite di offerta di un legame sessuale con una ragazza più giovane, che possa così renderlo felice ed appagato. Ciò è vero specie se a questo tratto si aggiunge la frigidità e il fatto di essere sessualmente rifiutata. In questo tacito "gioco" non ci sono sensi di colpa, a meno che la "relazione incestuosa" non venga alla luce (243).
Si può affermare con certezza che dietro l'abuso sessuale c'è sempre una premeditazione, cioè la fase di vera e propria interazione sessuale è sempre preceduta da fantasie sessuali sulla minore, dalla progettazione dell'abuso e dalla ricerca attiva di circostanze che ne permettano l'attuazione.
In molti casi l'abusante stabilisce con la bambina un rapporto esclusivo e la isola con vari mezzi dal resto della famiglia, facendole credere che è la figlia preferita, l'unica della famiglia "alla sua altezza", con cui si può parlare da pari a pari ecc., oppure cercando di impietosirla mostrandosi incompreso, bisognoso di cure ed attenzioni, e svalutando la madre agli occhi della bambina. Può mettere di fronte alla figlia tutta una serie di promesse e progetti in cui lei sarà la protagonista, inserendola in aspettative di realizzazioni sociali grandiose e facendole credere di averne le chiavi di accesso; le può promettere di concederle di partecipare ad attività al di fuori della famiglia in un futuro che non arriverà mai, in quanto nella realtà tutte queste promesse servono da esca a mantenerla nella sua orbita e per poterle nel contempo proibire le attività di socializzazione normali per la sua età. In questo modo mantiene viva nella bambina l'aspettativa che le cose potranno cambiare e la speranza che il suo papà sia in realtà un papà buono che le vuole bene e che la vuole aiutare (244). Inoltre mette in atto una serie di strategie volte a svalutare su tutti i piani la figura materna e interferisce nella relazione madre-figlia, in modo che la bambina non possa trovare aiuto in questa.
L'azione del padre volta all'isolamento della figlia agisce in molti casi su una difficoltà già presente nella madre in termini di protettività e di vicinanza affettiva verso la bambina, legata a sue difficoltà personali o a fattori contingenti quali malattie fisiche, aumentando la distanza tra le due al punto tale da rendere entrambe del tutto impotenti; l'una ad accorgersi dell'abuso e a difendere la figlia, l'altra a chiedere aiuto. L'azione del padre è volta spesso anche a "buttare fumo negli occhi" della moglie, facendo cadere anche lei in una fitta rete di inganni.
D'altro canto madri che iniziano a sospettare che qualcosa "non funzioni", perché colgono qualche comportamento "strano" del marito nei confronti della bambina, e che per questo lo affrontano, vengono subito da lui accusate di essere pazze, visionarie e incapaci come madri, spesso picchiate per tale visionarietà e minacciate («Se non la pianti ti faccio togliere i figli») (245).
Inoltre, nei casi di concomitante maltrattamento fisico, l'inizio dell'abuso può coincidere con una diminuzione degli episodi di percosse sulla figlia, che deve così pagare la sua "incolumità" fisica a prezzo della violenza sessuale; tale prezzo viene frequentemente pagato dalle figlie anche al fine di evitare altri episodi di violenza sulla madre e sugli altri bambini e bambine della famiglia. A volte, invece, le bambine - che verranno poi abusate - vengono "preservate" dalle percosse, che sono riservate agli altri figli e/o alla mamma: questo "riguardo" nei loro confronti, che fa parte del lavoro di adescamento, fa sentire le bambine privilegiate e nello stesso tempo colpevoli nei confronti di chi all'interno della famiglia viene percosso o percosso di più; l'impotenza nel constatare di non poter difendere in altro modo la madre e i fratelli, la situazione di apparente privilegio, unite spesso ad aperte minacce del padre circa ulteriori aggressioni fisiche al resto della famiglia, consolidano sempre più il ruolo segreto di vittima sacrificale della bambina sessualmente abusata (246).
Le bambine e i bambini piccoli, inoltre, non riescono assolutamente ad individuare la colpa dell'adulto, se l'adulto è esteriormente gentile ed affettuoso, se quanto avviene è presentato come fosse un gioco e se vengono date delle ricompense per la partecipazione a certi atti.
La complicità della madre può essere di tipo passivo, tacito, talora inconscio, o estrinsecarsi in un comportamento attivo. Ai due comportamenti corrispondono personalità distinte (247). Nel primo caso, la madre è incapace di stabilire una qualsiasi relazione con la figlia e con il marito: questo "abbandono emotivo" della famiglia da parte della moglie può indurre il marito ad incentrare le proprie attenzioni sulla figlia. La complicità attiva della madre, invece, può variare da incoraggiamenti ambigui sino al vero e proprio aiuto fisico prestato al coniuge che usa violenza alla figlia. Nella madre, in quest'ultimo caso, al distacco emotivo si accompagnano disturbi più gravi della personalità e talora tratti psicotici. La donna, fortemente dipendente nei confronti del marito, teme di venir sostituita nel proprio ruolo dalla figlia, che sta crescendo, e prova nei confronti di quest'ultima un risentimento sempre più forte, sino a desiderare di vederla punita ed umiliata (anche attraverso l'abuso).
Ha un'importanza fondamentale anche l'elemento culturale legato ad una concezione arcaica, esasperatamente patriarcale, del ruolo del capofamiglia, che grande potere assumeva nel passato ma che ha ancora oggi la sua rilevanza negli strati sociali di basso livello culturale o presso comunità arretrate. In questi casi il padre considera l'attività dell'incesto come un legittimo esercizio del suo potere assoluto; perciò egli ben può abusare della o delle figlie - che secondo il suo pensiero costituiscono una sua "proprietà" - per soddisfare esigenze sessuali e/o affettive o semplicemente a scopo punitivo. Come osserva Isabella Merzagora (248), «l'incesto è probabilmente una delle conseguenze di una sottocultura che confonde la forza con la violenza, la virilità con l'ipersessualità, l'autorevolezza con l'autoritarismo (....) Il problema non è sessuale, ma di violenza esercitata dal padre-padrone su moglie e figlie e trasmessa - come valore culturale da imitare - ai figli». Le interpretazioni più recenti tendono, infatti, a vedere "nell'incesto" commesso dal padre un tentativo di riaffermare la propria supremazia nell'ambito familiare, una violenta rivendicazione di potere più che un'espressione di problematiche sessuali.
La figlia vive la situazione "dell'incesto" con il padre come un conflitto dilaniante (249): da un lato vorrebbe porre fine ad una situazione imbarazzante e traumatica per andare incontro ad una vita normale, dall'altro non è in grado di parlare un po' per vergogna e un po' per paura; inoltre questa decisione minerebbe la sicurezza e l'apparente stabilità della famiglia, che a questo punto essa ritiene dipendano esclusivamente da lei. Marinella Malacrea (250) infatti afferma che "la vittima di abuso sessuale si trova davanti ad un doppio vicolo cieco: «o cercare di valere qualcosa e quindi perdere il legame, oppure restare spregevole per conservarlo»".
In generale è possibile affermare che da ambo le parti si tende comunque ad occultare l'incesto con un silenzio molto rigido. I genitori tendono a razionalizzare "l'incesto" («...volevo solo mostrarle come si fa.»); a questo si aggiunga che, pur di preservare la famiglia, i genitori negano persino dopo che la scoperta è avvenuta, fino a condannare la stessa vittima se è la causa della scoperta (251). Spesso, infatti, alle violenze subite dal genitore abusante, si aggiungono quelle - forse ancor più brucianti - compiute da parte di tutto il nucleo familiare e dalla società, per il fatto di non essere credute. L'isolamento, che caratterizza la situazione infantile di questi bambini, si protrae anche dopo la denuncia: si forma il vuoto intorno al loro coraggio e da vittime innocenti si trasformano in calunniatrici colpevoli. Una ragazza, dopo anni di violenze compiute dal padre, non essendo stata creduta dalla madre, ha fatto questo amaro commento: "È stato quello il più grande dolore della mia vita. Lui mi ha violentata e tormentata per tutta l'infanzia. Ma mia madre mi ha uccisa" (252).
7.3.3 Le conseguenze "dell'incesto"
Raramente "l'incesto" si esaurisce in un singolo episodio; la durata della relazione è mediamente di due anni, ma può protrarsi anche per più di cinque. Inoltre le attenzioni sessuali del genitore (specialmente nel caso dell'incesto padre-figlia) sono frequentemente rivolte a più soggetti e quando vi sono più figli viene realizzato nei confronti di tutti, anche se magari in periodi diversi.
Tra gli autori vi è una larga concordanza nel ritenere che "l'incesto" provochi conseguenze negative e che queste siano spesso gravi e durature, soprattutto sul piano psicologico. Oltre alle reazioni immediate, l'abuso determina nei minori effetti a lungo termine, tanto che questo tipo di violenza è stato definito "una bomba ad orologeria" (253). La reazione dei bambini a questo tipo di violenza non è immediatamente di rifiuto e difesa, perché i bambini non possiedono ancora una personalità forte e consolidata tale da opporre ai desideri sessuali dei genitori; più spesso sono ammutoliti dall'autorità delle figure parentali e dalla confusione generata in loro dall'atto compiuto (254).
Occorre inoltre ricordare che alle conseguenze della stessa violenza sessuale si aggiungono, quando il fatto viene scoperto, gli ulteriori effetti derivanti dall'aggravarsi della disgregazione familiare, dal discredito sociale e dall'intervento istituzionale sul minore. Anche a distanza di anni le vittime presentano stati ansiosi, depressione, insicurezza, talvolta aumento dell'aggressività, difficoltà scolastiche e, nei rapporti interpersonali, complessi di colpa e problemi sessuali. In certi casi l'esperienza incestuosa può determinare nelle vittime, dopo un certo periodo, l'insorgere d'anoressia.
Una delle conseguenze più gravi, derivanti dall'abuso sessuale intrafamiliare, è la confusione a lungo termine dei livelli cognitivi, emozionali e sessuali generati nel bambino. Egli, infatti, si trova ad essere, durante il periodo dell'abuso, uno "pseudo-partner" e al tempo stesso è strutturalmente dipendente, in quanto bambino, dal genitore. Tutto questo comporta nel bambino, a causa anche delle minacce di violenza e segretezza, un'incapacità di orientarsi, in modo significativo, cognitivamente, emozionalmente e socialmente (255).
Inoltre, gli effetti a lungo termine sullo stato psicologico delle vittime (256), nell'adolescenza e nella prima maturità, si manifestano spesso con l'aumento della delinquenza, con l'abuso di droga e alcool, con la promiscuità e la prostituzione, con l'isolamento sociale, con l'aumento dei tentativi di suicidio e con l'incremento significativo degli indici di sintomi depressivi. Le conseguenze psicologiche possono comunque variare secondo il modo con cui è stato attuato l'incesto. Ad esempio, se la vittima ha subito un abuso sessuale violento da parte di un genitore, le conseguenze saranno aggravate dal fortissimo trauma psicologico dovuto alla trasformazione negativa della figura genitoriale, che passa d'improvviso da un ruolo protettivo a quello di aggressore.
La situazione si presenta diversamente se il genitore ha agito senza violenza apparente, assumendo un atteggiamento seduttivo, sfruttando l'ingenuità del figlio o della figlia e attuando ricatti affettivi. In questo caso la partecipazione all'incesto potrà portare la vittima (specialmente dopo la fine della relazione e con il sopraggiungere della piena consapevolezza dell'accaduto) a sviluppare un profondo senso di colpa e di disprezzo verso se stesso, unitamente ad istanze autopunitive e a repulsione verso il sesso opposto.
Occorre considerare anche i sensi di colpa della vittima, che può avere la sensazione di aver tradito il genitore abusante, sentire che è responsabile della sua carcerazione e del disfacimento della famiglia. Inoltre, va ricordato che la perdita improvvisa e inaspettata di tale genitore è per il minore la perdita di un importante figura genitoriale, anche se è colui che lo ha danneggiato abusando di lui: per qualche bambino è addirittura l'adulto più importante della sua vita (257).
È importante rilevare che la crescita del senso di colpa nella vittima d'incesto è stimolata in modo decisivo dal comportamento della famiglia e della società in genere, le quali attuano un vero e proprio processo di "colpevolizzazione" nei suoi confronti (258). Specialmente le bambine subiscono queste conseguenze poiché l'opinione comune tende ad attribuire loro un ruolo "attivo" nella dinamica dell'incesto, ossia di provocazione verso il padre.
Non è da escludere che in alcuni casi le bambine abbiano mostrato atteggiamenti seduttivi nei confronti dell'adulto, o che siano state effettivamente ambivalenti nei comportamenti, ma è riconosciuto come una tappa obbligata ed indispensabile del processo di formazione dell'identità infantile quello che la psicoanalisi ha chiamato il complesso d'Edipo: dunque provare amore per il genitore del sesso apposto e gelosia per quello dello stesso sesso è lecito, inevitabile e normale nei bambini dai tre ai sei anni.
Oggi l'orientamento scientifico più recente tende ad essere piuttosto severo verso l'impostazione, accusata di facilitare un'ulteriore vittimizzazione del minore, secondo la quale il bambino può essere considerato, in alcuni casi, "vittima partecipante" (259) in quanto, conoscendo l'aggressore, avrebbe consciamente o inconsciamente voluto il trauma sessuale, provocando l'adulto o assumendo un comportamento compiacente, oppure accettando in cambio dell'atto sessuale regali o denaro. Sarebbero in realtà gli adulti ad equivocare, interpretando come advance sessuali gli atteggiamenti di ricerca e di sollecitazione affettuosa da parte dei bambini. La tesi prevalente al riguardo è che la partecipazione del minore non può in ogni modo incidere sulla responsabilità dell'adulto (260).
Oggigiorno possono essere causati anche "traumi secondari" nel bambino vittima di un abuso sessuale, a causa dell'incompetenza degli operatori nei vari ambiti di presa in carico della situazione (261). Occorre ricordare che l'abuso sessuale non cessa di avere effetti al momento della neutralizzazione e dell'allontanamento dell'abusante dalla vittima. Di conseguenza, quando viene intrapreso un accertamento peritale è necessario cercare molto di più dell'attendibilità di una testimonianza: bisogna entrare in contatto emotivo con il bambino per individuare, al suo interno, la presenza di un'esperienza estranea ed imposta, che continua a produrre effetti nel tempo. Il bambino, che è stato abusato a lungo, non ha alcuna aspettativa di trovare un adulto comprensivo ed accogliente, perché l'esperienza subita è tale da fargli vedere la realtà alla luce degli eventi vissuti: così egli chiederà di lasciarlo solo, perché la solitudine è comunque uno spazio vuoto in cui forse crede di potersi rifugiare (262).
Un'attività di prevenzione dovrà, dunque, mirare anche all'opportuna preparazione di tali operatori
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