Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti
GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO
NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI
INTERPRETAZIONE INTERNA AL DELIRIO
Il prendere parte al delirio ha il significato di una comunicazione empatica.
Vediamo qual' è, allora, la struttura di una interpretazione "interna al delirio".
"Questa mira a che lo psicoterapeuta sia pronto a entrare anche fantasticamente nel delirio del suo paziente come in una messinscena che si svolge al margine della realtà normale, certamente rimanendo sempre se stesso, ma entrando quasi in un teatro della follia, sino al momento in cui gli riesca di offrire al paziente il simbolo progressivo che ampli la scena di per sé, così che alla fine anche la nostra realtà logica trovi posto nello spazio già occupato dal delirio."(1)
Abbiamo detto che in alcune situazioni interpretare il delirio in termini psicodinamici accresce l'angoscia del paziente. Benedetti propone di attuare una iniziale accettazione del delirio o dell'allucinazione come punto di partenza per una ristrutturazione della situazione.
In alcuni casi è possibile muoversi nello spazio del delirio attraverso dei simboli che hanno la funzione di aprire nuove prospettive.
Il "fondo duro nella palude", del frammento di seduta riportato, è un esempio dell'uso del simbolo per dare una nuova direzione allo "sprofondare" del paziente.
A questo livello la psicopatologia del delirio può essere chiamata "psicopatologia progressiva" laddove è possibile aprire la via a nuove esperienze comunicative tra paziente e terapeuta.
Benedetti considera delirio e allucinazione come protosimboli, essi non possono essere ancora razionalizzati, ma possono subire delle trasformazioni positivizzanti, delle progressioni dualizzanti.
E' come se, nella mente del terapeuta, questi protosimboli possono essere riconosciuti e pur nell'alterità della loro espressione, contenere il "germe del simbolo". Il terapeuta promuove la costruzione di un simbolo positivizzante che non ha il compito di sostituirsi al delirio, un tale simbolo nasce dai vissuti psicopatologici e questo, secondo me, mette ancora una volta in evidenza il fatto che l'interpretazione è un movimento dialettico che non vede un soggetto che interpreta ed un soggetto interpretato.
Il paziente è il soggetto dell'interpretazione anche perché la sua esistenza, la sua sofferenza non gli viene immediatamente negata o meglio negativizzata; si parte da ciò che c'è, dal vissuto della persona e si lavora attraverso un percorso di arricchimento, in opposizione a quello di svalutazione del delirio. Dunque, il simbolo positivizzante, si esprime dapprima attraverso il linguaggio della psicosi ed è caratteristico perché permette un primo rapporto IO-TU nel senso di un "autismo dialogico".(2)
La psicoterapia di Benedetti utilizza la psicopatologia come primo mezzo di comunicazione per la costituzione di soggetti transizionali, ossia di fantasmi ancora psicotici. Questi fantasmi possono manifestarsi come una voce allucinata, un delirio, un'opera d'arte o una fantasia del terapeuta, ciò che, però, li accomuna è il fatto che sono formati da parti del paziente e parti del terapeuta legate anche in modo bizzarro e che insieme danno vita ad una terza realtà; "il pre-soggetto del futuro Soggetto del paziente".
Vorrei riportare, in nota, un altro esempio molto interessante che, secondo me permette di cogliere il senso del soggetto transizionale in una esperienza clinica.(3)
Il soggetto transizionale rappresenta la risultante dell'incontro di un'evoluzione del paziente che ha introiettato parti del terapeuta, con un'evoluzione del terapeuta che ha introiettato la sofferenza del paziente.
Interpretazione interna ed interpretazione esterna rappresentano due modalità di comprensione del paziente entrambe valide, entrambe aderenti ai modi di essere e di conoscere dell'uomo.
Questa duplicità che, nell'approccio di Benedetti si integra e si concretizza nella scelta di utilizzare l'una o l'altra modalità di conoscenza in base alle caratteristiche della relazione "reale" con il paziente, abbraccia un intento fondamentale dell'autore che si può esplicitare come capacità di muoversi nella vastità possibile per arrivare ad una visione della situazione più precisa. La molteplicità delle interpretazioni che possono scaturire dall'incontro con il paziente schizofrenico non vanno quindi nella direzione dell'arbitrarietà o dell'indeterminatezza, ma in quella dell'apertura ad una trasformazione progressiva e condivisa del senso.
Jaspers sottolinea il fatto che quando "la riflessione, da un oggetto dell'evidenza si sposta su un concetto completamente diverso al quale non potrà mai corrispondere direttamente una evidenza", nasce il vero simbolo.
Ciò che la nostra ragione pensa, senza che al pensiero possa mai corrispondere una evidenza sensibile, diventa evidente nei simboli.
Quello che viene intuito nel simbolo è accessibile solo in esso, senza che il suo oggetto possa mai pervenire direttamente all'evidenza della esperienza."(4)
Questo passaggio tratto dalla Psicopotologia mi sembra essere molto interessante per rispondere al seguente interrogativo:
Si possono comprendere veramente i simboli?
Jaspers ci dice che i simboli degli altri, che non sono i nostri, non si possono comprendere dall'interno "dove batte il cuore della loro realtà", ma si possono constatare a partire dalle loro manifestazioni. Continua poi dicendo che "per la piena comprensione del simbolo è necessaria la presenza della propria vita nel simbolo, vivendo contemporaneamente in esso."
Riflettendo su questo tema credo che la partecipazione del terapeuta alla costruzione del simbolo in terapia attraverso la sua presenza, costellando le immagini del paziente con sue parti, sia un tentativo di entrare laddove non può arrivare un'intuizione estetica, una partecipazione a contenuti estranei, per utilizzare ancora una volta l'espressione di Jaspers, per arrivare straordinariamente "dove batte il cuore del simbolo".
Il simbolo dello schizofrenico o una sua immagine, rimane inaccessibile al terapeuta fino a quando quest'ultimo non decide di entrare a farvi parte.
Se, allora, l'interpretazione esterna al simbolo si occupa di ricondurre un'immagine concreta o un simbolo (quando è presente) ad un contenuto generale, condiviso, che è altro da ciò che presenta il paziente e che vorrebbe esserne il significato inconscio rappresentando la realtà contro il delirio, l'interpretazione interna presuppone che il terapeuta sospenda il giudizio e che da osservatore, interprete, "detentore del sapere" si lasci portare, nello spazio del delirio, per sentire nel simbolo che ha di fronte qualche cosa nella quale è presente lui stesso.
Attraverso questa partecipazione simbolica del terapeuta al delirio del paziente, l'uno usa i simboli autistici dell'altro per costruire un modo di essere assieme a lui, promuovendo cosi, la creazione di immagini simboliche delle quali il paziente si possa appropriare.
Tutto questo è possibile presupponendo una comune capacità di condividere le esperienze umane anche quando queste assumono connotazioni spaventose e drammatiche come nella schizofrenia.
Il terapeuta porta avanti un progetto.
Riflettendo ancora sulla natura del simbolo è possibile fare delle ulteriori considerazioni. Il linguaggio simbolico, che non conosce il principio di non-contraddizione, ha una struttura per la quale significante e significato non sono completamente sovrapponibili. Questa è la condizione essenziale perché si possa esercitare un tale pensiero.(5)
Il simbolo rappresenta quindi da un certo punto di vista un dispositivo contro l'irrigidimento del senso. Se si resta in quest'ottica è subito evidente come l'interpretazione riduttiva del simbolo ad una schematica prestabilita conduca ad un gioco di sostituzioni che non tiene più conto della vera natura del simbolo, andandolo a chiudere nella rete dei valori della convenzionalità e togliendogli una caratteristica fondante che è quella di essere espressione.
Ma se questo è ciò che succede all'interpretazione tout court, l'interpretazione interna di Benedetti a mio avviso rispetta profondamente la natura del simbolo, a partire da una situazione nella quale c'è già irrigidimento simbolico egli cerca di inserire degli elementi della sua persona in grado di creare una distanza tra significante e significato.
Concludo questo capitolo sull'interpretazione con una frase di Benedetti molto bella che coglie perfettamente il divenire del processo psicoterapeutico in tutta la sua complessità.
"Psicopatologia progressiva è il dialogo psicoterapeutico realizzatesi non semplicemente attraverso la riduzione interpretativa del linguaggio psicotico alla realtà e razionalità consensuale, ma che prende a prestito dalla sofferenza le sue metafore, i suoi segni e simboli per costituire un universo comunicativo fatto dalle proiezioni e introiezioni di entrambi i partner coinvolti nella vicenda psicotica, e che attraverso l'identificazione, la controidentificazione, la positivizzazione e la ricerca dell'altro crea l'identità intrapsichica.(6)
Note:
1) BENEDETTI GAETANO, "La psicoterapia come sfida esistenziale", edizione italiana a cura di Giorgio Maria Ferlini, Cortina, Milano, 1997, pag. 87
2) BENEDETTI GAETANO, "La psicoterapia come sfida esistenziale", edizione italiana a cura di Giorgio Maria Ferlini, Cortina, Milano, 1997, pag. 90
"Il simbolo che viene creato anche dal paziente, si radica dunque nell'esperire psicopatologico, ma apre ampie prospettive sugli orizzonti della dualità. Il simbolo, al quale il terapeuta non contrappone la sua comprensione razionale, psicodinamica, può amplificare il delirio artisticamente bloccato, aprire a nuove prospettive d'incontro al punto che il nuovo spazio è contiguo con le idee e le fantasie creativamente dializzanti del terapeuta e oltrepassa i limiti del delirio."
3) BENEDETTI GAETANO, "Paziente e terapeuta nell'esperienza psicotica", con la collaborazione di Laura Andreoli, Antonella Cannavò, Lilia D'alfonso, Ciro Elia, Clelia Leozappa, Daniela Maggioni, Lauretta Ottolenghi, Francesca Pavese, Alberto Sibilla, Carla Tommasina. Bollati Boringhieri, Torino, 1971, pag. 114-115
"Ad esempio, un paziente psicotico usualmente autistico e assolutamente chiuso a ogni parola del terapeuta, perché timoroso della possibilità onnipresente che il terapeuta lo pensasse, entra improvvisamente in un acceso delirio, ove lui con l'aiuto del terapeuta vuol parlare col presidente degli Stati Uniti per salvare il mondo dalla guerra. Lui, che prima del delirio si sentiva come una pietra, puro oggetto privo di qualsiasi soggettività, e quindi prendibile dal terapeuta e da chiunque gli si avvicinasse, appunto come una pietra morta, anche nel delirio sfonda, per così dire, il suo essere oggetto, per negarlo nel contrario, l'immagine del Salvator Mundi (...) Tuttavia, nel delirio sembra essere entrato adesso il terapeuta: il paziente ritiene di poter entrare in contatto con il presidente americano con l'aiuto del terapeuta. Lui, che altrimenti nulla temeva più che l'essere pensato dal terapeuta, adesso lo vede come ponte fra sé e sé, attraverso l'indefinito dell'ambiguità, quasi come ponte fra due mondi interni lontanissimi fra loro, più che due pianeti su orbite diverse. Uscito dal delirio, il paziente ripiomba nel suo autismo; ma qui il terapeuta, che ha ascoltato attentamente il suo delirio e si è fatto presente in esso traducendolo in immagini di movimento, di viaggio, di trasformazione, riprende il tema del delirio (con l'aiuto di... essere con...) per usufruire delle sue immagini nella rappresentazione della dualità. (...) Il paziente delirante che si unisce al terapeuta nel tentativo di salvare il mondo non appare allora soltanto come una nuova assurdità; ma come il soggetto transizionale verso quell'alleanza fra paziente e terapeuta che deve veramente salvare il mondo, il microcosmo rappresentato dall'animo del paziente, specchio del macrocosmo delle cui scissioni egli è il tragico portatore e rappresentante."
4) JASPERS KARL, "Psicopatologia generale", in Concetto del simbolo e suo significato nella realtà della vita. pag. 359, Il Pensiero Scientifico, Roma, 1965.
5) GALIMBERTI UMBERTO, "La terra senza il male, Jung: dall'inconscio al simbolo" Feltrinelli, Milano, 1984 pag.57
"Fluttuando tra gli astri e la terra, tra gli animali e le piante, tra gli uomini e le cose, il simbolo, che a differenza del segno non dispone di un significato specifico, codificato e finalizzato, si presta allo scambio delle corrispondenze simboliche e quindi alla ri-creazione di un ordine sui resti dell'ordine precedente ormai disgregato. Tutto ciò non è esente da rischio, perché, non inserendosi in un ordine, ma tra gli ordini, in quella terra di nessuno dove, come dice Holderlin, "più non son gli dèi fuggiti e ancor non sono i venienti", il simbolo gioca in quell'intervallo dove le possibilità della definitiva distruzione e quelle della nuova creazione sono appena separabili"
6) BENEDETTI GAETANO, "Paziente e terapeuta nell'esperienza psicotica", con la collaborazione di Laura Andreoli, Antonella Cannavò, Lilia D'alfonso, Ciro Elia, Clelia Leozappa, Daniela Maggioni, Lauretta Ottolenghi, Francesca Pavese, Alberto Sibilla, Carla Tommasina. Bollati Boringhieri, Torino, 1971, pag. 120
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