Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti
GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO
NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI
DISEGNO SPECULARE PROGRESSIVO
Vorrei concludere questo scritto prendendo in considerazione un aspetto particolare della relazione terapeutica.
Benedetti, all'interno del suo lavoro con i pazienti psicotici, ha approfondito anche i rapporti tra psicoterapia psicodinamica e arte-terapia, soprattutto attraverso la collaborazione con il Dott. Peciccia di Perugia.
Da questi studi è nata la tecnica del disegno speculare progressivo, che si caratterizza per il fatto che il terapeuta non si trattiene esclusivamente accanto al suo paziente mentre questo si esprime creativamente, ma l'immagine è configurata in comune. Paziente e terapeuta lavorano alla stessa immagine oppure disegnano reciprocamente; se nella prima situazione la comunicazione è perlopiù verbale e si esplicita attraverso commenti, sollecitazioni, ma soprattutto interpretazioni, nella seconda entra in gioco anche la motricità che talora assume una grande importanza comunicativa. Quando nella relazione terapeutica si presenta una situazione di impasse, ripassare a livello motorio il disegno del paziente, secondo Benedetti, oltre a comunicare qualcosa a lui apre una nuova possibilità di conoscenza che utilizza un canale inconscio.(1)
Il motivo per cui nasce l'interesse di questi autori per l'arte terapia si può cogliere anche da questa frase di Benedetti: "Ritengo che psicoterapie verbali nelle quali l'immagine non appare concretamente e resta invece una fantasia trattata in comune, possano avere un effetto simile a quello della terapia figurativa."(2)
Gli autori hanno rilevato che l'attività espressiva rispetta i tempi del paziente e la sua condizione clinica evitando una dannosa iperstimolazione cui, certe volte, può portare l'interpretazione e favorisce lo strutturarsi di un clima emotivo accogliente ed empatico.
Come ho già ricordato il paziente schizofrenico vive il dilemma vicinanza-lontananza; ha bisogno di mantenere una distanza emotiva per non sprofondare nell'angoscia fusionale. Vediamo allora che una delle caratteristiche fondamentali dell'attività artistica è quella di permettere al paziente di parlare di sé attraverso la proiezione della figura, senza sentirsi "oggetto del dialogo", senza doversi troppo esporre, aggirando le strutture di difesa del carattere senza il confronto verbale diretto con il problema.
"L'immagine da un canto dà la storia individuale del paziente, dall'altro proietta questa in figure universali. In queste il paziente si rispecchia, senza esporre direttamente il suo fragile Sé."(3)
Il mezzo artistico sfrutta un modo di relazionarsi più diretto rispetto a quello verbale; se, come abbiamo visto, nei pazienti schizofrenici vi è un impedimento delle funzioni simboliche, anche il senso metaforico del linguaggio sarà difficilmente colto. La parola diviene concreta ed ipereale. Al contrario, il linguaggio espressivo utilizza le immagini e le funzioni grafiche risultano molto più accessibili e rassicuranti per il paziente.
Laboratorio di arte-terapia. Associazione Sementera, Perugia. (Micci)
Attraverso il mezzo espressivo è possibile veicolare emozioni, sentimenti, immagini, e contenuti cognitivi liberati dai vincoli della comunicazione convenzionale, fino a rendere possibile una prima relazione tra paziente e terapeuta. Attraverso le immagini si può instaurare un dialogo con il paziente che magari ha abbandonato da anni la comunicazione verbale. Comunicare con le immagini sollecita il processo primario aprendo, tuttavia la possibilità di riattivare anche quello secondario.
E' da subito evidente che le attività espressive acquistano un significato anche ben più profondo rispetto a quello di "semplice occupazione", di attività ludica consendendo l'accesso al mondo psicotico. Questo viene in un certo senso proiettato nelle produzioni grafiche.
Il foglio di carta diventa una zona rassicurante, uno spazio intermedio, "transizionale" (nel senso di D. W. Winnicott), tra mondo interno e mondo esterno, che consente l'apertura, ma con una "distanza di sicurezza".
Il disegno del paziente diviene un'occasione per fare proprie e, allo stesso tempo condividere, i vissuti di frammentazione e le angoscie ad essi associate, attivando un processo empatico che assume grande rilevanza per comprendere il paziente.
Alla base di questo approccio al paziente c'è una intenzione terapeutica che tende a valorizzare le sue produzioni, in questo ponendosi agli antipodi rispetto alla svalorizzazione operata da alcune diagnosi cliniche. Tale svalorizzazione nasceva dal fatto che i disegni del paziente venivano analizzati in base ad un canone estetico escludendo o non considerando prima di tutto quello comunicativo, oppure evolutivo (Toneatti). Ciò che Peciccia e Benedetti hanno sottolineato è che i pazienti psicotici comunicano, con le loro proiezioni sul mondo, la loro tragica situazione ed una estrema sofferenza psichica.
Agli occhi del terapeuta "l'arte psicotica", al di là dell'interrogativo sulla legittimità di un tale appellativo, rappresenta il riflesso delle vicissitudini del "viaggio" che sta facendo insieme con il suo paziente.
Nei disegni dei pazienti si possono individuare le tappe dell'"incontro", al di là del livello artistico, che è necessariamente legato alle capacità soggettive di ogni persona.
La tecnica terapeutica sviluppata da Peciccia consiste nel riprodurre su carta velina i disegni del paziente, permettendo a ciascuno dei due interpreti del processo di copiare, per trasparenza, il disegno altrui aggiungendovi le proprie varianti. L'interazione inizia con il terapeuta che si "immerge" nel disegno, nel mondo del paziente.
La simmetria che si instaura tra la produzione del terapeuta e quella del paziente ha il significato di esprimere la coincidenza dei vissuti dei due partecipanti all'incontro; il terapeuta può, però, introdurre anche alcuni elementi nuovi progressivizzando il disegno originario, pur non distaccandovisi completamente.
Il significato di tali elementi a-simmetrici, vuole essere quello di imprimere un movimento alla rappresentazione del paziente che, come abbiamo visto, ripropone proiettivamente il suo Sé nella sua "opera".
Quindi si assiste ad un percorso che, a partire dall'identificazione terapeutica si sposta nella direzione della differenziazione, dell'innovazione e in ultima analisi, della progressione.
Foto di un lavoro della paziente A. S. del Dott. Peciccia, realizzato con la tecnica del disegno speculare progressivo. A. s'incontra per la prima volta nel reparto della Clinica Psichiatrica di Perugia nel 1989; non riesce a comunicare verbalmente e presenta stereotipie motorie; le notizie anamnestiche la vedono esclusa da ogni contatto sociale. Il terapeuta, come si può vedere nella sequenza di immagini presentate sopra, entra nel mondo della paziente e attraverso movimenti positivizzanti riesce a stabilire una comunicazione progressiva.
Il concetto di positivizzazione, che si è ricordato più volte essere un punto cruciale del modello di Benedetti viene riproposto anche nella tecnica del disegno speculare, ma in una forma più prettamente esperienziale. La positivizzazione può essere, da una parte una disposizione mentale del terapeuta e dall'altra un "atto" vero e proprio, quando, concretamente, "esce dalla matita del terapeuta".
La decisione di rimanere in simmetria o di aggiungere qualche elemento al disegno secondo Peciccia e Benedetti può anche non essere completamente razionale, rispondere ai bisogni del paziente, e ciò è in linea con il fatto che ogni disegno stimola processi di pensiero primario a cui il terapeuta è portato ad accostarsi proprio attraverso quello stesso canale comunicativo. Dietro ogni atto del paziente, Benedetti coglie sempre un gesto intenzionante; un momento di stasi può essere testimone di una necessaria difesa, di un bisogno del paziente. Il terapeuta non solo deve saper accogliere qualsiasi gesto, ma deve anche tentare di comprendere a quale bisogno risponde.Il significato di ogni gesto non può essere indotto dal terapeuta, ma trova la sua esplicazione nel progredire della relazione stessa, questo perché ogni bisogno, all'interno della relazione viene in tal modo dualizzato. Un aspetto significativo di questa tecnica è, infatti, la reciprocità, che significa anche rispondere al paziente, attraverso una dimensione sensoriale, ad un livello pre-concettuale oltre che attraverso commenti verbali.
Ancora sul tema della reciprocità, e qui nuovamente la prassi riconduce alla teoria, il fatto di riuscire a comunicare attraverso il disegno fa pensare che anche la creatività sia un fenomeno duale che dipende dalla disposizione del terapeuta di accogliere simbolicamente in sé il paziente per usufruire della sua arte. La comunicazione per immagini disvela un nucleo profondo creativo del sé che, a detta di molti autori, tra cui Jung, Searles, Bion e anche Benedetti, risulta indenne dal processo schizofrenico. Forse è proprio questo nucleo il motore dell'intenzionalità comunicativa che il terapeuta pre-suppone e si propone di contattare quando è con il suo paziente(4).
Anche di fronte alle situazioni terapeutiche più difficili l'inconscio del paziente, che comunica con l'inconscio terapeutico (in quanto partecipano della stessa essenza duale), suscita nel terapeuta una immagine trasformatrice che dà inizio al processo di comunicazione creativa. La creatività, però non si manifesta nella compiutezza dell'opera figurativa, essa è il risultato di una interazione di una capacità di attivare l'inconscio in maniera vicendevole. Le immagini trasformatrici si formano spontaneamente nel terapeuta, nascono in esso in seguito ad un vissuto di accoglienza, di interiorizzazione profonda di alcune parti del paziente scisse dal suo Io, in grado di evocare alcune immagini virtuali del paziente stesso. Tali immagini trasformatrici sono, secondo Benedetti, uno degli esempi migliori della forza relazionale che struttura l'inconscio.
Mi è sembrato di capire, quindi, che la creazione di un soggetto
transizionale si possa collocare in un punto veramente cruciale della
psicoterapia. Abbiamo parlato di mancanza di confini tra Io e non-Io, di incapacità per il paziente di distinguere tra Sé e gli altri.
Ora io penso che quando il paziente accetta e riconosce dentro di sé una parte del terapeuta abbia già fatto un passo molto importante nella direzione dell'autonomia, del riconoscimento dell'Altro e quindi di se stesso.
La tecnica del disegno si propone anche come facilitazione dell'incontro in un campo transizionale protetto; tale incontro altro non è se non il reciproco riconoscimento dei due soggetti. Il terapeuta, riconoscendo la potenzialità comunicativa delle immagini, riconosce al paziente il suo esserci; inoltre nel suo interagire con l'immagine prodotta offre al paziente stesso una possibile interazione. Tale possibilità di interagire potrebbe non essere ancora sostenibile dal paziente che potrebbe evitare il contatto. Il terapeuta deve saper accettare tale diritto del paziente e nella presenza, nella simmetria, attendere in modo partecipativo i tempi del paziente. Così come nella creazione di nuovi segni grafici possiamo ravvisare uno scambio tra i due soggetti, altrettanto i momenti di stasi pre-suppongono, in senso progressivo, la creazione di uno spazio di mutua compresenza. Dentro tale campo sia il segno che il silenzio diventano per il paziente un momento di incontro con il terapeuta, quest'ultimo a sua volta, comprendendo la difficoltà di tale incontro si pone come "bonificatore della relazione". In questo senso il non-Io offerto dal terapeuta è un simbolo.
E' sulla costruzione di simboli comuni che si andràstrutturando una relazione più complessa con il mondo. La creazione di protosimboli e di simboli all'interno della relazione non solo riapre il soggetto ad una possibile forma di esistenza-nel-mondo, ma dischiude anche molteplici possibilità esistenziali.
Credo che il simbolo transizionale possa rappresentare anche la manifestazione di quel vettore di trascendenza che non permette l'oggettivizzazione nosologica del paziente all'interno di categorie rigide e statiche; quello di Benedetti è un approccio al paziente psicotico che si spinge al di là dell'apparenza, al di là dei frammenti della psicosi permettendo la presenza almeno nella mente del terapeuta di un'immagine che trascenda la "miseria" con cui il paziente lotta continuamente.
Note:
1) A tal proposito vorrei fare una citazione da uno scritto di M. PECICCIA che mi sembra sottolineare questo passaggio con molta chiarezza: "Il terapeuta disegnando, ricopiando i disegni del paziente, ripetendo i suoi medesimi movimenti grafici, i medesimi movimenti della mano, si cala nel mondo del paziente e scopre un punto di contatto con l'inconscio del partner, rendendolo partecipe dell'intensa comunicazione che si cela dietro la barriera autistica." Tratto da "La comunicazione psicoterapeutica con il paziente schizofrenico attraverso il disegno speculare progressivo terapeutico. Riflessioni alla luce di una storia clinica."
QUADERNI, Associazione di studi psicoanalitici (ASP), Anno V, n. 12, dicembre 1995
2) BENEDETTI GAETANO, "La psicoterapia come sfida esistenziale", edizione italiana a cura di Giorgio Maria Ferlini, Cortina, Milano, 1997, pag. 225
3) BENEDETTI GAETANO, "La psicoterapia come sfida esistenziale", edizione italiana a cura di Giorgio Maria Ferlini, Cortina, Milano, 1997, pag. 226
4 )WINNICOTT D. W., "Gioco e realtà" (1971), tr. it. Armando, Roma (1974) "Si deve ammettere la possibilità che non vi possa essere distruzione completa della capacità di un essere umano di vivere creativamente e che anche nel più estremo caso di compiacenza e di formazione di una falsa personalità, esiste, nascosta in qualche luogo, una vita segreta, che è soddisfacente perché è una espressione creativa e originale di quell'essere umano. Il suo non essere soddisfacente deve essere misurato nei termini del suo essere nascosto".
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