Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti
GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO
NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI
INTRODUZIONE
Gaetano Benedetti rappresenta, nel panorama psicoanalitico, una voce innovativa anche se molto complessa. Ha saputo armonizzare diverse correnti di pensiero nella sua psicopatologia progressiva, dove la "relazione" diventa lo strumento privilegiato per la conoscenza dell'esperire umano. Benedetti riconosce che la teoria psicoanalitica, incontrando la psicosi, si trova nella condizione di dover rinnovare il setting ed il suo stesso lessico nella direzione già indicata dalla fenomenologia.
Sul piano epistemologico e teorico tale connubio è costituito a partire dal comune rifiuto di un naturalismo riduzionista e dalla importanza che da ambedue i lati viene accordata all'intenzionalità come motore dell'incontro terapeutico.
Questi elementi comuni vanno ad inaugurare la centralità del rapporto interpersonale nella terapia. Tale prospettiva di studio trova la sua forza in una scienza umana fenomenologicamente fondata, che ha come obiettivo quello di strutturare una terapia "uomo all'uomo" (E. Borgna).
Tre sono i punti di maggior interesse ai miei occhi nel corpus dell'opera di Benedetti. Cercherò di sintetizzarli brevemente, consapevole della quantità di altri elementi che in tal modo porrò in secondo piano.
1) Benedetti si mette in gioco completamente nella terapia andando a significare il concetto di relazione che assume uno spessore nuovo. In tal senso riesce a radicalizzare il modo di fare terapia riconoscendo all'uomo la centralità in tale processo; egli, infatti, riesce a far sì che il soggetto non perda nulla della propria soggettività non censurando alcuna delle manifestazioni possibili di quella persona. Benedetti non guarda all'errore, al deficit nel suo paziente, ma si focalizza sulle potenzialità esistenziali e sulle peculiarità inalienabili che ognuno conserva "nonostante la psicosi".
Infatti, il terapeuta riconosce al paziente tutti gli elementi di umanità che gli sono propri e si pone, lui stesso, dentro il processo terapeutico come soggetto in trasformazione.
Questo non toglie identità a nessuno dei due soggetti della terapia: l'a-simmetria della relazione è mantenuta, i vettori terapeutici vanno indiscutibilmente dal terapeuta al paziente, ma in questo quadro Benedetti aggiunge la possibilità che alcuni vettori partano dal paziente e giungano al terapeuta che li accoglie. Questa necessità ha anche delle basi cliniche in quanto il terapeuta, riconoscendo tali fattori, riconosce l'esistenza stessa dell'inviante, elemento fondamentale per la cura delle psicosi.
2) Benedetti ridà significato al sintomo e, accogliendo gli insegnamenti della fenomenologia, vede "in ogni espressione dell'umano, qualcosa che dell'umano parla". Quest' attenzione per il significato lo ha portato a focalizzare sull'importanza del "simbolo", in contrapposizione al "segno".
Considerare un'espressione del paziente un segno della sua condizione patologica reifica e rinchiude il soggetto in costrutti rigidi e "insuperabili" e pre-definiti, pre-esistenti all'incontro.
La stessa espressione, quando venga vista come il simbolo di una esistenza, assume il potere di fare evolvere i significati; il simbolo diviene spazio di pensiero, luogo privilegiato di apertura di uno spazio di intervento terapeutico. Vorrei parlare di un approccio che non "sigilla" la patologia, ma che ha come finalità lo scoprire le potenzialità progressive del paziente. Trovo in questo il vero senso del fare terapia, ponendo l'attenzione sul paziente nel suo rapporto con il terapeuta e non solo sulle caratteristiche peculiari della sua patologia, isolate dal contesto relazionale.
3) Infine, un'altra caratteristica dell'approccio di Benedetti al paziente psicotico (e non alla psicosi come categoria in sé) è l'elemento ermeneutico. In tal senso si concretizza nella prassi quanto finora detto in una "attenzione assoluta" per i significati e per i simboli portati nella relazione. L'elemento ermeneutico è utile non solo per la comprensione del vissuto del paziente, ma anche per la strutturazione della terapia stessa. Dunque il terapeuta non ha in mente un'immagine ideale del paziente e dei processi che dovrebbero verificarsi necessariamente. Benedetti comincia a pensare al paziente come essere singolo con caratteristiche sue e in questo modo già se lo immagina e lo riconosce come potenzialmente costui è. In tal senso, questo atteggiamento assomiglia alla revérie materna in cui la madre si crea "naturalmente" un'immagine prospettica del suo bambino. Egli, rispecchiandosi in tale immagine, ha la possibilità di sussumere un primo simbolo del sé.
In questo lavoro mi propongo di analizzare, dunque, il valore del simbolo quand'esso venga riconosciuto e significato all'interno di una relazione attraverso un processo ermeneutico.
Ravviso in tale atteggiamento la potenza innovativa della terapia dello psicotico secondo Gaetano Benedetti.
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