Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti
GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO
NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI
INTRODUZIONE ALLA FORMAZIONE DEL SIMBOLO:
PROBLEMI EPISTEMOLOGICI E IPOTESI
Vorrei ora tentare di rispondere ad una questione molto importante sollevatami dal prof. A. Racalbuto rispetto alla simbolopoiesi.
La capacità di simbolizzazione è una capacità innata oppure esiste una potenzialità che si attua solo attraverso la relazione madre-bambino, e che senso assume questo concetto di potenzialità?
Credo che sia molto difficile rispondere ad una tale domanda; innanzitutto penso che il pensiero di Benedetti sia molto complesso ed articolato e in parte collocabile all'interno di entrambe le posizioni delineate appena sopra. Da una parte è indubbio che la simbolizzazione venga, da questo autore, considerata come una parte essenziale della vita psichica umana, tanto che ha sottolineato nei suoi scritti il fatto che l'uomo, rispetto ai suoi predecessori, nella scala filogenetica è stato anche definito come "homus symbolicus", quasi a sottolineare che il simbolo rappresenta una eredità filogenetica.
Attraverso una tale concettualizzazione può essere accostato al pensiero di Jung che, come già detto nel capitolo iniziale sul simbolo attribuisce ad esso il significato di archetipo universale, veicolo della conoscenza del passato e del futuro dell'uomo.
Nella prima lezione sulla psicoterapia tenuta all'Ospedale Villa S. Giuliana, Benedetti sostiene che "la simbolizzazione ha luogo nel sogno, attraverso la simbolizzazione delle esperienze, dagli elementi della veglia fino al pensiero archetipico attraverso immagini per lo più visive".
Qui, il richiamo agli archetipi è esplicito e come ben sappiamo le istanze archetipiche sono bisogni innati con caratteristiche ben precise dalle quali si manifesta l'essere umano come realizzazione di connessioni tra tali sostanze e la nostra esperienza sensibile.
D'altra parte, però, l'importanza cruciale della relazione oggettuale come fonte imprescindibile della formazione del simbolo si rende evidente nella concettualizzazione del soggetto transizionale che sorge nella "presenza", nella contemporaneità e rinvia, proprio perché esiste, al fatto che la natura dell'uomo è una natura duale. Allora, da quest'altro punto di vista, assume valore la concettualizzazione evolutiva che vede la nascita del simbolo come la realizzazione di una potenzialità che si attua solo attraverso la relazione. Ma che cosa si intende per "potenzialità" dell'essere umano rispetto a tale questione?
Questa potenzialità non può essere ridotta a qualcosa che viene innescato meccanicamente, messo in atto da una serie di stimoli esterni che seguono una sequenza determinabile, ma deve essere costitutivamente vivificato da quella che Bion ha chiamato revérie materna.
Questa funzione fa sì che la madre rielabori, contenendoli, gli elementi non digeriti che il bambino gli "mette dentro" proiettivamente rendendoli assimilabili. Il bambino identificandosi con tale attività "digerente" e, al tempo stesso contenitiva e con il piacere ad essa relativo, introietta una prima forma di capacità simbolica. Questa capacità gli permette paradossalmente, da un lato di sperimentare una prima attività soggettiva e, dall'altro, attraverso una metaforizzazione contenitrice, la funzione materna fornisce i primi abbozzi dei limiti della soggettività.
"Facendo questo, la madre, riconosce il bambino, riconosce il bisogno, ordina il caos pulsionale trovando la risposta al bisogno e poi offre un primo legame tra oggetto e bisogno gettando le basi per una iniziale simbolizzazione. Questo è possibile perché collega il bambino nella sua esperienza di bisogno (ignoto a se stesso e vissuto come angosciante caos) con un oggetto esterno, sia esso la madre, il cibo, il caldo etc...".
(Cordioli A.; comunicazione privata).
Nasce la possibilità per il bambino di viversi all'interno di una relazione solo dal momento che la madre lo ha riconosciuto come soggetto con dei bisogni. Si ripropone lo stesso legame che ho cercato di evidenziare nel corso della tesi tra costituzione del simbolo e relazione duale(1).
Questa linea di pensiero si situa nella teorizzazione di uno spazio transizionale, come lo ha definito D. Winnicott, luogo privilegiato del processo TROVATO/CREATO.
Il concetto di area transizionale dà la possibilità di lasciar sussistere la dialettica tra la tendenza di ciò che è creato interiormente a trovare conferma nella realtà esterna e di ciò che è trovato, di avere una significazione interiore, cioè di essere ricreato interiormente.
L'area transizionale è il luogo all'interno del quale potenzialità innate, creatività (attualizzazione) sia della madre che del bambino si incontrano. La madre, attraverso la percezione dei bisogni del figlio, lo riconosce come soggetto e gli dà la possibilità di arginare il caos pulsionale all'interno di uno spazio duale. Credo si possa definire questa modalità di offerta di essere-con come una intenzionalità materna creatrice dello spazio relazionale; prima delimitazione di confine, esperienza primigenia dell'Altro, prima strutturazione dell'esperienza del bambino come essere-nel-mondo. Quello che la madre fa è proprio offrirsi come campo di relazione protetta con il mondo; è questo, forse, ciò che Benedetti chiama appersonazione, che prima di essere una capacità terapeutica è un'offerta gratuita di esistenza ed in nessun modo pedagogica, ma evolutiva in termini ermeneutici. Solo a partire da questo piano relazionale si aprirà la strada per una formazione indipendente del soggetto.
L'attività materna è la condizione a partire dalla quale sarà possibile per il bambino distinguere tra Io e non-Io a partire dalla formazione di oggetti parziali che soddisfano i primi bisogni riconosciuti.
Quello che succede tra madre e bambino e che porta alla creazione di oggetti parziali, si ripropone nella relazione terapeutica come passaggio da un mondo asimbolico (ipertrofia simbolica) all'esistenza del protosimbolo, espressione dell'incontro tra paziente e terapeuta.
Nel delirio, la creazione di un protosimbolo immette nell'esperienza del paziente un movimento, una progressione, che ha significato relazionale perché porta con sé, oltre al vissuto del paziente, qualche elemento del terapeuta. Quest'ultimo ha compreso il portato del paziente e vi si accosta come soggetto di fronte ad un altro soggetto.
L'offerta che fa il terapeuta al paziente è quella di aggancio relazionale ravvisabile, appunto, nei protosimboli.
Perché si parli di Io, il concetto di simbolo è necessario in quanto l'Io non può esistere senza un non-Io, questo non-Io è la relazione con il mondo resa possibile solo attraverso il concetto di simbolo. Possiamo dunque affermare che il simbolo è costitutivo ed innato, data la formazione dell'Io. Il simbolo non è, però, innato a se stesso, ma si forma solo grazie ad un processo relazionale che collega il soggetto ed il mondo.
Il simbolo è quindi la caratteristica di un Io coeso, cioè di un Io che tollera il mondo in quanto Altro da sé.
Quindi, il problema non è tanto se il simbolo è innato, ma se lo sforzo relazionale è innato. A partire dall'osservazione clinica si può ipotizzare che tale spinta alla relazione sia innata nell'uomo, un esempio lo ritroviamo paradossalmente nel mondo delirante. Qui si rintracciano alcuni tentativi di simbolizzazione. Lo stesso Benedetti non ci dice che il mondo dello schizofrenico è solamente asimbolico, ma ci parla di ipertrofia, dove, per certi versi, sembra che il paziente si esprima in modo simbolico.
Questo tentativo simbolizzante è testimone della ricerca di relazione e non si può parlare di fallimento simbolico senza tenere in considerazione il fatto che, alla base di questo, vi è l'impossibilità di riconoscere un mondo altro da sè. Ciò che è fallita è stata probabilmente la funzione di intenzionalità materna che non è stata in grado di offrire al bambino la bonifica delle relazioni con il mondo e, dunque, lo ha costretto a restare in contatto con una frustrazione non sostenibile. Di fronte al rischio di distruzione una risposta è la chiusura narcisistica anche se non totale, che permette forse anche un certo tipo di relazione con il mondo esterno, ma sempre precaria. Vediamo, per esempio, due situazioni di insorgenza psicopatologica della schizofrenia. La prima prende in considerazione una insorgenza molto precoce, nella prima infanzia, in questi casi è riconoscibile il fallimento della bonifica materna laddove il bambino non ha potuto identificarsi solidamente e non può rispondere in modo plastico alle richieste dell'ambiente. Il vissuto di angoscia che ne consegue può portare il bambino ad un ritiro narcisistico in cui è possibile la negazione del mondo stesso. Un secondo esempio potrebbe essere un caso ad insorgenza tardiva, in età adulta. Molto spesso, le acuzie esplodono in corrispondenza con un cambiamento dello stile di vita (parto, servizio militare, perdita del lavoro...) che mette in crisi una costruzione precaria del sé alla quale il soggetto si appoggiava.
Di solito questi soggetti sono riusciti a ritagliarsi una condizione di minimo scambio con la realtà, cosa che emerge come problematica solo quando l'omeostasi si spezza e svela la povertà della relazione. A ben vedere questi soggetti hanno sempre vissuto in una condizione di narcisismo difensivo e, quando la realtà chiede loro un cambiamento sostanziale, spesso essi non lo tollerano arrivando allo "scompenso".
Qui è ancora più chiara la perdita della relazione con il mondo ed è ravvisabile proprio nell'irrigidimento simbolico, per cui mentre il soggetto comincia a vivere progressivamente in una realtà privata, i simboli si iperstrutturano e vanno a perdere la loro polivocità semantica.
Concludendo posso pensare che ad essere innata sia la possibilità relazionale.
Quando essa viene sostenuta, il soggetto può definirsi come tale nella relazione con il mondo, distinguendosi da esso e abitarlo grazie alla sua possibilità simbolizzante. La formazione del simbolo non è un processo in isolamento, ma rappresenta un percorso che si avvale di una condivisione di significati. Da questo comprendiamo la pregnanza primaria del simbolo per la relazione dell'uomo con gli altri e con il mondo.
Note:
1) CAPRARA G. V., "Psicologia della personalità", Il Mulino, Bologna, 1994, pag.492 "Rispetto alla tradizionale dicotomia tra ciò che è innato e ciò che è appreso, appare di maggior rilievo l'identificazione delle transazioni suscettibili di promuovere o di inibire lo sviluppo di determinati comportamenti e stati soggettivi. Sarebbe necessario risalire alle radici di dove lo psichico si emancipa dal biologico appoggiandosi al sociale e ripercorrere le tappe che portano alla costruzione di strutture mentali sempre più capaci di autoregolarsi e di interagire attivamente con il mondo esterno. In questa prospettiva, vanno evitati entrambi i rischi di una esagerata naturalizzazione ed il rischio di una eccessiva storicizzazione."
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