Tesi di Laurea di Federica Manieri
Il mosaico nella terapia della schizofrenia: l'esempio "Il Faro di Anzio",
mosaico murale prodotto nel contesto di un trattamento psichiatrico al D.S.M. di Aprilia
Capitolo 4 - Studio sulla simbologia de "Il Faro di Anzio".
Dalla simbologia agli archetipi
4.1. I simboli
L'origine etimologica della parola simbolo deriva dal verbo greco "sumballo"che letteralmente vuol dire "metto insieme, unisco, avvicino, congiungo, scambio, confronto, mi incontro, mi imbatto, mi metto in relazione". Difatti nel mondo greco, il simbolo era una sorta di tessera, un oggetto di varia materia, che veniva impiegato per denotare il legame di ospitalità esistente tra due persone, due famiglie o due città; l'oggetto veniva spezzato in due parti e ciascun contraente ne riceveva una parte.
Il simbolo aveva anche significato di tessera di riconoscimento, o permesso per entrare in luoghi pubblici, privati o riservati. (Bertoletti, 1986).
Spesso le parole "simbolo, segno, allegoria, immagine, metafora", hanno acquisito una connotazione sinonimica pur se in maniera errata, anche per via della polisemia del termine simbolo che ha reso difficoltoso assegnargli un significato univoco.
Per Freud, la formazione del simbolo ha a che vedere con i sogni, intesi come realizzazione simbolica dei desideri repressi, che, attraverso i meccanismi di condensazione, proiezione, identificazione, esprimono i desideri per mezzo di un procedimento di censura. (Rossi, 1998).
Per questo secondo Freud il simbolo non è mai univoco, ma ambivalente, a causa della forte censura al quale è sottoposto.
Per Jung invece, il simbolo si situa piuttosto in una presa di coscienza delle realtà ancestrali contenute nell'anima umana (archetipi dell'inconscio collettivo).
Ne L'uomo e i suoi simboli Jung afferma: "... una parola o un'immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, <>, che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali". Anche secondo Jung l'uomo, in maniera inconscia e spontanea, produce simboli durante il sogno, tanto che quest'ultimo è da lui considerato come la fonte più frequente e universalmente accessibile per lo studio delle capacità di simbolizzazione dell'uomo: Jung però sottolinea che l'analisi del sogno non deve esser portata avanti con la tecnica delle libere associazioni introdotta da Freud, ma concentrandosi sul sogno stesso, utilizzando solo il materiale che è chiaramente e visibilmente disponibile.
4.2. La simbologia del mosaico
Si riporta di seguito l'analisi della simbologia di ogni singolo disegno che compone il mosaico, con il relativo collegamento alla sapienza insita in ogni individuo anche se non acculturato. Esprimendoci con le parole di Klee, è stata sviluppata un'analisi alla ricerca di ciò che la forma ha occultato, o meglio un'analisi dell'invisibile velato dal visibile.
4.3. La simbologia della balena
L'elemento che in prima istanza colpisce guardando il mosaico, è la presenza in sé della balena che ci sorprende per la poca familiarità che noi, abitanti del Mar Mediterraneo, abbiamo con questo enorme mammifero.
Il suo disegno, compiuto dal paziente Salvatore, è stato molto apprezzato da tutto il gruppo, che ne ha chiesto l'ingrandimento, fino alle dimensioni che poi ha ottenuto. Il paziente è stato introdotto nel gruppo lievemente in ritardo rispetto agli altri, ma si è immediatamente inserito, e la velocità con la quale si è immesso è sicuramente dovuta ad una pratica di disegno sviluppata nei precedenti trattamenti al materno-infantile (a differenza degli altri non ha avuto lo shock del bianco) e non ultimo dal fatto che proviene da una famiglia all'interno della quale ci sono talenti creativi e almeno un pittore professionista.
Sottolineiamo che la peculiarità del suo disegno sta nello stretto legame tra la balena e la figura umana sdraiata, poco più in su, sulla spiaggia. Infatti, nel momento operativo della proiezione dei bozzetti sul pannello, non appena è stato proiettato quello della balena, la paziente Mara, immediatamente, come di risposta, si è avvicinata al cartone, ed ha disegnato direttamente su di esso l'omino sdraiato sulla spiaggia.
E' stato notato, dall'Archeologa Annalisa Venditti, come la sua particolare posizione abbia un'impressionante somiglianza con la raffigurazione del "Riposo di Giona" (nota 11), mosaico pavimentale del IV secolo d.C., presente nella Basilica di Poppo ad Aquileia.
Inoltre, la presenza della balena, ci riporta alla mente la nota storia di Giona (nota 12), che troviamo sulla Bibbia nell'Antico Testamento, alla quale sono vicini miti similari (nota 13) che sappiamo essere molto diffusi tra i più diversi popoli del mondo; ne esistono infatti in Africa, in Polinesia, in Lapponia e la radice comune è l'entrare nel ventre di un mostro, generalmente marino, ed uscire dalle sue tenebre seguendo un rito d'iniziazione. (Chevalier, Gheerbrant, 1986).
Il ventre della balena dunque viene vissuto come luogo oscuro e avvolto nelle tenebre del peccato, luogo di prigionia per scontare quelle pene che una volta estinte potranno lasciare spazio ad un percorso verso l'alto, di rinascita e resurrezione.
Dalla storia di Giona, il passo per arrivare alla favola di Pinocchio è breve. Il burattino, che metaforicamente sta a simboleggiare un uomo di stadio inferiore, per diventare bambino, ossia uomo ad uno stadio superiore, ha bisogno di superare un insieme di prove, tra cui soggiornare nel ventre di una balena. La disobbedienza del burattino-monello nei confronti del povero padre Geppetto, è simile a quella del Profeta Giona (che rimane tre giorni e tre notti nella pancia dell'animale, numero che ci ricollega ai giorni tra la morte e la resurrezione di Cristo) nei confronti di Dio.
Oltretutto, ci colpisce la definizione che il paziente ha dato alla balena nel momento in cui l'ha disegnata; l'ha chiamata "mamy".
é come se il cammino che ha percorso il "Giona-Pinocchio" sia realmente stato affrontato dai pazienti del gruppo. Per loro infatti ritrovarsi nella pancia della balena equivaleva a stare nell'utero della madre, nel ventre dell'istituzione, che protegge ed attutisce, ma impedisce di camminare da soli, di effettuare quel percorso d'individuazione e scoperta del proprio essere. Solo dopo essere stati "sputati" fuori dalla balena ed aver preso coscienza di sé, della capacità di essere individuo indipendente ed operante nel mondo, capace di ideare e progettare lasciando traccia di sé, si è potuto arrivare al miglioramento.
Un percorso non privo di difficoltà e fatica, basta guardare la figura di Giona: un essere informe e abbozzato. Non dimentichiamo che è stato disegnato da Mara, la stessa paziente che ha ideato il sole che splendente campeggia nel mosaico, ma soprattutto le due persone sedute sulla spiaggia, complete nel loro aspetto anatomico- pittorico, serene ed unite da un comune senso di appartenenza. Giona invece se ne sta da solo, sdraiato spalle al gruppo, rivolto verso il grande profilo indagatore, pur tuttavia, nella difficoltà del vivere quotidiano espresso dalla solitudine e dall'imprecisione plastica, anche lui sta come gli altri sotto il sole e soprattutto è rivolto verso il mare aperto, testimoniato dalla direzione che prende il pattino, quasi a voler sottolineare che, sputato fuori dal ventre della balena, c'è molto da fare per costruire se stessi, ma la direzione è davanti a lui, tra il volto indagatore e il mare aperto.
4.4. La balena e Giona archetipi dell'inconscio collettivo
Sappiamo che i pazienti che hanno proposto il disegno della storia di Giona, non hanno avuto un grado di istruzione adeguato a spiegare la presenza di questo mito nel loro bagaglio culturale; nella quasi totalità infatti, provenivano da famiglie semplici di estrazione socio-culturale contadina e proletaria.
Dunque come spiegarci l'emergere di tali nuclei mito-poietici?
Per comprendere ciò, facciamo riferimento alla teoria degli archetipi di C. G. Jung. (nota 14)
La parola archetipo deriva dal greco "archè"con il significato di origine, inizio e_ "tupos" immagine, modello.
Capiamo da Jung che gli archetipi sono quelle nozioni universali e primigenie, innate e predeterminate che ognuno possiede e conserva dentro di sé. Jung (2004) infatti, riferendosi agli archetipi, molto chiaramente scrive: "Ci troviamo davanti a tipi arcaici o ancora meglio primigeni, cioè immagini comuni presenti fin dai tempi remoti". Si va quindi chiarendo l'idea che nella nostra psiche esistano forme determinate presenti sempre e dovunque, contraddistinte da un carattere di universalità e atemporalità. Ecco perché gli archetipi, dice Jung, sono il contenuto dell'inconscio collettivo. Il concetto d'inconscio, già ampiamente e innovativamente introdotto da Freud, viene da Jung (2004) ampliato: "Un certo strato per così dire superficiale dell'inconscio è senza dubbio personale: noi lo chiamiamo "inconscio personale". Esso poggia però sopra uno strato più profondo che non deriva da esperienze e acquisizioni personali, e che è innato. Questo strato più profondo è il cosiddetto "inconscio collettivo".
é collettivo perché al contrario dei contenuti della psiche personale, presenta concetti identici per tutti e costituisce un substrato psichico comune di natura soprapersonale presente in ciascuno.
L'espressione archetipo così come è stata definita da Jung, fu utilizzata già nei tempi antichi da vari studiosi (nota 15) e si potrebbe paragonare al concetto di représentations collectives che Lévy-Bruhl usò per designare le figure simboliche delle primitive visioni del mondo.
é possibile dunque che nei pazienti, pur se ignari del minimo riferimento culturale, gli archetipi da loro posseduti, siano riaffiorati in superficie.
A conclusione, parlando di archetipi e in relazione all'identificazione, effettuata dal paziente, della balena con la madre, possiamo accennare all'emergere dell'archetipo della Grande Madre, e quindi al circolo comportamentale archetipico che spiega la dipendenza da essa.
Troviamo l'archetipo della Grande Madre in Erich Neumann, che più di tutti gli allievi di Jung dedicò i propri studi ai vari aspetti del femminile; per lui, tale archetipo, tendenzialmente conservativo e nemico della differenziazione, è il principale ostacolo allo sviluppo del Sé individuale, che per conquistare la propria parte femminile deve sviluppare le proprie capacità di separazione ed autoaffermazione.
A tal proposito sappiamo che, se già per tutti noi la separazione dalla madre è un momento di transizione particolarmente delicato e difficile, lo è ancor più per i pazienti psicotici.
La dipendenza dalla madre, con la sue caratteristiche di possessività e voracità, ossia l'aspetto negativo dell'archetipo della Grande Madre, genera l'angoscia di separazione (percepita come panico e frammentazione) e l'angoscia di fusione (come assimilazione e annullamento) che se supportata da un padre assente, insignificante o distruttivo, genera un'incompleta identità maschile e femminile, ed è responsabile dell'angoscia di castrazione per i maschi, e dell'invidia del pene e difesa fallica nelle donne. I due aspetti maschile e femminile vengono posti alla base dello scontro tra i sessi, che si traduce in passivizzare a livello genitale e divorare a livello orale. La distruttività reciproca chiude ed alimenta il circolo comportamentale archetipico, favorendo l'ulteriore emergenza della versione negativa della Grande Madre, il ritorno ad esso e l'annullamento. (Pisani, 2000).
4.5. La simbologia del sole
Nel lavoro di ideazione dei disegni, il sole inizialmente, non nasce come tale, ma acquisisce la forma attuale dopo varie trasformazioni di fiori.
Nel lavoro ultimato, colpisce, al centro del mosaico, il grande sole che campeggia splendente: da sempre e in ogni cultura, simbolo di vita, di morte e resurrezione, adorato come divinità nelle culture primordiali in ogni parte del mondo.
Il sole nel mosaico inonda di serenità le persone, disegnate dai pazienti, che sulla spiaggia si dilettano a cantare e suonare una chitarra. Tinge l'atmosfera con tonalità emotive calde e spensierate che emergeranno nell'ambito del gruppo, con l'avvicendarsi del lavoro. Infatti, come emerge dalle interviste agli operatori che hanno seguito il progetto, i pazienti, con il passare del tempo, sono riusciti a sviluppare una notevole coesione tra loro, arrivando a collaborare e cooperare per un fine comune, che loro avevano identificato nell'esposizione dell'opera in una zona pubblica. Il Maestro Mosaicista Ildebrando Casciotta ha riferito: "Era straordinaria l'atmosfera che loro stessi avevano creato. Quando lavoravano sul mosaico per incollare le tessere, vedevi tutte teste chine intorno al tavolo che parlottavano ininterrottamente, di tutto ... forse il mosaico era ciò di cui parlavano di meno!".
Il sole, come anche i due personaggi sulla spiaggia che cantano e suonano la chitarra, è stato disegnato da Mara, la paziente in trattamento al D.S.M. di Aprilia per Disturbo Borderline di Personalità.
Se da una parte colpisce la serenità che infonde la scena, dall'altra le due figure possono essere associate al passato della ragazza e alle sue esperienze di vita insieme a soggetti emarginati, con le quali aveva sporadicamente fatto uso di sostanze stupefacenti.
Continuando, oltre ciò che è stato già detto sulla balena, ho personalmente trovato un legame tra quest'ultima e il sole, attraverso un parallelismo con "L'allegoria della caverna" (nota 16) trattata da Platone nel libro VII dell'opera La Repubblica (nota 17). L'analogia che ho colto tra l'allegoria della caverna, la storia di Giona e quella dei nostri pazienti, è la stessa che esiste tra l'antro buio della caverna e il ventre oscuro della balena e quindi il percorso che i nostri pazienti, assimilabili agli uomini incatenati di Platone e ad un Giona-Pinocchio, hanno dovuto percorrere metaforicamente e praticamente, uscendo dall'utero materno, dal ventre dell'istituzione, per arrivare alla luce, la luce del sole che campeggia all'interno del mosaico; la luce del sole di Platone. Un percorso che i pazienti hanno fatto dal buio, dall'assenza di conoscenza verso la luce, che esprime una volontà di allontanarsi dalla loro malattia per arrivare ad un miglioramento, seguendo, grazie alla condivisone di gruppo, un percorso di crescita, indipendenza e individuazione.
Come torna a nuova vita l'uomo che esce fuori dalla balena, così trovano la luce dell'intelletto gli uomini che vivevano nell'antro buio della caverna, i quali attraverso il sole scoprono la vera essenza delle cose.
4.6. La simbologia del profilo
Altra immagine che cattura la nostra attenzione è il profilo di uomo sulla sinistra del mosaico. Ad incuriosire è la sua dimensione atipica nei confronti del resto dell'opera, nonché il simbolismo che racchiude.
Il disegno è stato svolto da un operatore nella fase di ideazione e creazione dei bozzetti; poi è stato scelto dal gruppo per essere inserito all'interno del mosaico ed è stato da loro collocato nell'attuale posizione e grandezza.
Il volto, è posto in modo tale da osservare ed esaminare l'intero svolgersi dell'azione; immobile e con tratti arcigni e severi, sembra essere un'istanza superiore di controllo; un Super-Io.
Il Super-Io ci riporta alla Teoria Strutturale (1922) di Freud che illustra il generale funzionamento della psiche, concettualizzando l'esistenza di tre istanze principali: Io, Es e Super-Io.
Essendo l'Es costituito dalle rappresentazioni psichiche delle pulsioni, secondo Freud è la grande fonte di energia dell'apparato psichico, e funziona attraverso il Principio Primario, ovvero il Principio di Piacere.
L'Io invece ha il compito di mediare tra le pulsioni e le esigenze sociali rappresentate dalle istanze in conflitto tra loro: Es e Super-Io. Freud infatti afferma che l'Io è il servitore di tre padroni: l'Es, il Super-Io e la realtà esterna, ed è in rapporto con tutti e tre.
Infine il Super-Io si configura come il censore della nostra mente, il rappresentante dei più alti ideali etici e morali che gli esseri umani coltivano, un'istanza esterna che pian piano viene interiorizzata. Il Super-Io rappresenta "l'ideale dell'io" in quanto, con i suoi permessi e i suoi divieti, condiziona i pensieri e i comportamenti del soggetto, affinché questo tenda ad un'ideale che in genere è modellato su coloro che hanno contribuito a creare l'istanza, in primis i genitori e poi via via le persone che si succedono nell'educazione. Il Super-Io, infine, si contrappone all'Es in quanto segue il Principio Secondario o di Realtà.
E' stato interessante scoprire che il profilo è il ritratto di Eduard Klain, allora Direttore della Clinica di Psicologia di Zagabria, che, per l'occasione era stato investito del ruolo di supervisore, ed aveva effettuato due controlli, uno sullo staff, l'altro sul lavoro di gruppo. Il disegno fatto da un operatore appunto, risale ad una delle due volte in cui Klain (nota 18) si era presentato ad Aprilia, nei panni del ruolo sopra menzionato.
Pertanto, essendo venuti a conoscenza della genesi del disegno del profilo, e della sua associazione con il Dottore Eduard Klain, possiamo supporre che i pazienti pur non sapendolo, abbiano investito Klain di quel ruolo che effettivamente ricopriva, e dunque viene confermata la nostra ipotesi iniziale del disegno come raffigurazione di un'istanza di controllo superiore.
Ultima annotazione da fare, è che in origine nel disegno e successivamente nel mosaico, gli occhiali del profilo sono stati progettati ed eseguiti con lenti da vista, e solo successivamente con la gettata di cemento sul retro del mosaico, le lenti hanno preso un colore scuro, ed oggi sembrano occhiali da sole.
4.7. La simbologia del faro
A ricoprire un posto di particolare rilievo è il faro, che domina la parte destra del mosaico e dà il nome all'intera opera.
Nelle fasi preliminari del lavoro, mi sono domandata come mai pazienti in trattamento ad Aprilia avessero scelto come soggetto del mosaico, non solo un paesaggio marittimo, ma in particolar modo la rappresentazione del faro di Anzio, e non piuttosto qualcosa maggiormente vicino alle loro esperienze di vita quotidiana.
Come ho già accennato in precedenza, mi è stato riferito che l'idea è nata da una gita del gruppo proprio ad Anzio, durante la quale è stato disegnato il faro. Impressionante è la cura dei dettagli e dei particolari, che fanno somigliare il disegno al faro reale.
Esaminando l'illustrazione, siamo colpiti dai dettagli disegnati dal paziente, che avvicinano la struttura alla rappresentazione di una casa: ad esempio le antenne posizionate sul terrazzo, o la tendina verde che sporge da una delle tre finestre.
Sono venuta a conoscenza che il faro è stato disegnato dal paziente Gianni, nato ad Asmara in Etiopia, e in trattamento al D.S.M. di Aprilia per disturbo post-traumatico da stress da sradicamento.
E' stato interessante notare come il paziente, nelle sue rappresentazioni grafiche, abbia con altissima frequenza disegnato case; case che diventano faro (ad esempio nel nostro mosaico), case che diventano chiesa, piccole case circondate da staccionate (vedi mosaico).
Quindi, se per l'origine del disegno del faro possiamo far riferimento alla gita sopramenzionata, invece per quanto riguarda le raffigurazioni delle case ripetute con frequenza quasi ossessiva, possiamo ipotizzare che ci sia uno stretto legame con la patologia del soggetto. Come riporta la Dottoressa Meoni nell'intervista: "il paziente presenta una sindrome post traumatica da stress relativa ad uno sradicamento per una fuga precipitosa da un teatro di guerra e da una lunga permanenza in campo profughi; la descrizione che egli mi ha fatto dei problemi al campo profughi, mi fece pensare allora che non c'è nessuna differenza tra un campo di concentramento e un campo profughi, sotto il profilo dell'annientamento della personalità".
Oltre il diretto collegamento che codesto disegno trova con la gita ad Anzio, ho studiato la simbologia del faro anche in relazione alle numerose illustrazioni, spesso a mosaico o scolpite nella pietra, di epoca romana situate nei resti archeologici di Ostia Antica e dell'Isola Sacra.
Per fare ciò, ho avuto personalmente accesso alla Biblioteca privata di Ostia Antica, dove mi ha giovato il supporto e l'aiuto della Dottoressa Giovanna Arciprete della Sovrintendenza dei Beni Archeologici di Ostia, e dove ho potuto visionare e studiare testi, che ci fanno giungere alle seguenti conclusioni ed ipotesi: il faro nell'iconologia romana dell'Italia centrale ha due significati, uno puramente topografico ed uno funerario.
Accenniamo prima di tutto che abbiamo trovato rappresentazioni del faro in diversi contesti: su mosaici pavimentali ad Ostia Antica (come nel famoso Piazzale delle Corporazioni), su monete dell'Impero romano, o scolpite su molti sarcofagi rinvenuti nell'Isola Sacra, di cui riporto le seguenti foto prese ad esempio tra una moltitudine di esemplari.
Foto delle attuali condizioni in cui grava uno dei mosaici del Piazzale delle Corporazioni ad Ostia Antica. Vediamo al centro la raffigurazione del caratteristico faro a quattro piani, ai lati due navi e sotto un grande pesce.
Due monete dell'epoca romana con raffigurazioni di fari: nella moneta che si trova a sinistra, risalente ad Antonino Pio, lo troviamo posizionato sulla destra; nell'altra moneta, di Domiziano, è raffigurato il faro di Alessandria. (figura 13 del testo Portus di Otello Testaguzza).
Grande rilievo con figurazione di Porto (Museo Torlonia). Nel mezzo seminascosto dalla nave si intravede un faro a quattro piani, con il fuoco acceso sulla sommità.
Fregio di sarcofago con rappresentazione del faro nella parte centrale.
Come riporta Guido Calza in La necropoli del porto di Roma nell'Isola Sacra ci si domanda se il suddetto rilievo abbia un significato simbolico, oppure possa essere interpretato come la semplice rappresentazione della vita di tutti i giorni, o del mestiere del defunto. Di certo, la barca che naviga verso il faro, sta a simboleggiare il viaggio dell'anima nell'aldilà. Il faro è raffigurato proprio come quello di Porto, presente in molte altre opere. Sulla destra è raffigurata una osteria che può stare a simboleggiare un banchetto funebre.
Mosaico di Posilipo, nella necropoli di Porto.
Anche qui ritroviamo il motivo delle barche e del faro a quattro piani, molto diffuso ad Ostia. Nel mosaico, di dimensioni notevoli (m. 5,30 x 1,80), compare una scritta in greco:_ "ode pausilupos" letteralmente "qui, così, che libera dagli affanni, che acquieta il dolore)__che sembra stare ad indicare non Pausyllipon il paese nel Golfo di Napoli, ma un luogo di riposo dove si calma ogni dolore, nel senso etimologico del termine greco.
La prima ipotesi che è stata postulata, e cioè che il faro ha un significato topografico, suggerisce che la rappresentazione del faro nell'antichità romana stava ad indicare una contestualizzazione, ed era utilizzato quindi con una valenza strumentale. Dunque gli abitanti di Porto che vivevano in una realtà prettamente marittima, nelle raffigurazioni tendevano ad inserire molto spesso immagini di navi e di fari, riconducibili al loro ambiente di vita.
La seconda ipotesi invece vede le riproduzioni di fari in ambienti funerari, ad esempio sui sarcofagi, cioè il simbolo del viaggio per mare diviene una rappresentazione del viaggio nell'aldilà.
Seguendo la traccia delle due ipotesi, tornando al mosaico che stiamo trattando, possiamo supporre che il faro disegnato dal paziente abbia uno scopo di contestualizzazione, che marca la loro presenza nel territorio reale di vita, ma anche connesso con il tema del viaggio per via di quel pattino che, al contrario delle usuali raffigurazioni di epoca romana, non sta approdando sulla terra ferma ma si sta allontanando.
Interessante è stato un commento che la paziente Mara al termine del lavoro, e precisamente nel giorno dell'esposizione del mosaico al pubblico, ha fatto: "Guardando il faro ho pensato che, per via del sole, non abbiamo fatto la luce dentro le finestre... dovremmo farne un altro di notte."
4.8. La simbologia dell'elicottero
L'elicottero è stato disegnato dal paziente Salvatore, lo stesso che ha disegnato la balena (nota 19).
Anche l'elicottero che sorvola la spiaggia ha una storia tutta sua.
Sappiamo che nel piazzale antistante il luogo in cui i pazienti si recavano per il trattamento, è presente una Caserma dei Vigili del Fuoco e accanto ad essa, su una torre, stazionava abitualmente un elicottero. (foto n°22)
Dunque, la presenza dell'elicottero nell'opera è stata interpretata dai critici d'arte come un tentativo di collegare il mosaico all'ambiente.
In termini psicoanalitici potremmo dire che è stato uno sforzo di adeguarsi ad un Principio di Realtà, e quindi forse un riconoscimento delle proprie origini e della propria identità.
Ciò che incuriosisce di questa rappresentazione, è quell'ancora rossa disegnata sulla carlinga dell'elicottero.
Infatti, come è possibile constatare anche dalle foto, l'elicottero reale che è stato preso come esempio per il disegno, non possiede questo simbolo che invece nella realtà appartiene alla Marina Militare; da qui sono nate spontaneamente due personali osservazioni.
In primis il fatto che il simbolo aggiunto sembra il tentativo di creare un legame tra la realtà, e quindi l'elicottero che ne ha ispirato il disegno, ed il mosaico, che ha un'ambientazione marittima; riflettendo su ciò, colpisce la razionalità con la quale i pazienti abbiano ricucito un prodotto creativo e pertanto soggetto all'inventiva e all'immaginazione, con la realtà più concreta del loro mondo.
Secondo poi è stato notato come l'elicottero, a ben guardare la sua posizione, non stia procedendo in senso retto, ma stia in virata, come se dovesse girare sopra la scena, senza uscire dal mosaico.
Questa osservazione, unita all'ancora rossa della Marina Militare, ha fatto ipotizzare che, a livello inconscio, i pazienti abbiano considerato l'elicottero non come un simbolo liberatorio, ma al contrario coercitivo, emblema di consapevolezza della costante presenza di un'autorità di controllo a loro superiore.
Ancora, riporto un'altra interpretazione data, secondo la quale si ipotizza che l'elicottero sia un richiamo moderno della "nave volante" che è una delle rappresentazioni del viaggio di trasformazione, e che si potrebbe associare ad una rivisitazione dell'archetipo del viaggio di trasformazione.
4.9. La simbologia del pattino
La rappresentazione del pattino proviene da un mutamento di un disegno che in precedenza raffigurava un'aqua-scooter (foto n°9) e che era stato disegnato, sempre dallo stesso paziente Adriano, durante la gita ad Anzio; è dunque una trasformazione della moto ad acqua.
Egli è stato in trattamento già in età evolutiva al servizio materno-infantile per disadattamento scolastico, e al tempo del lavoro, era in trattamento per disturbi psicotici d'innesto e insufficienza mentale di grado lieve. Proveniva da un ambiente culturale poco stimolato e poco stimolante; è cresciuto in una famiglia numerosa di cultura arcaico-contadina che gestiva un'azienda agricola loro assegnata dopo la bonifica della Palude Pontina. Genitori e fratelli erano personalità concrete e operative, grandi lavoratori, con grado di istruzione scolastica minima. Il paziente ha naturalmente privilegiato l'aspetto concreto della realizzazione del mosaico nell'ambito della quale, oltre la tecnica, ha dimostrato la tensione poetica e poietica verso l'obiettivo. In realtà la vera finalità che nutriva era quella di imparare a realizzare il mosaico per pavimentare il ricovero dei conigli che aveva a casa!
La famiglia infatti, ha gradualmente accettato e collocato la disabilità del soggetto quale membro meno efficiente di tutti, accettandone via via il parziale contributo che era capace di dare, e incaricandolo di gestire autonomamente l'allevamento di conigli che portava avanti con successo seppur con modalità ossessive che successivamente gli operatori hanno scoperto essere indispensabili per accudire i conigli, che richiedono costante e continua pulizia per evitare le epidemie.
Sua è stata l'idea che il cielo non è blu come comunemente si crede e si rappresenta, ma pieno di colori in una tonalità pallida e grigiastra; un'osservazione che ha portato il gruppo a scegliere di usare il marmo nell'elaborazione pittorica, per la parte che costituisce l'orizzonte.
Inoltre come sopra riportato, ha contribuito al lavoro con il disegno del pattino, che è stato scelto dal gruppo anche per il suo aspetto esotico dato dall'uomo che lo guida con uno strano cappello.
Tale disegno per un verso conferma la rigidità del suo pensiero e delle difese ossessive per la precisione con la quale è disegnato, ma d'altro canto la raffigurazione dell'omino che rema introduce istanze fantastiche.
A conclusione, ciò che ha colpito guardando il mosaico, è il fatto che l'uomo sul pattino, non stia approdando sulla spiaggia, non si stia dirigendo verso la terra ferma, ma stia remando verso il mare aperto.
4.10. La simbologia della civetta
La civetta è un uccello notturno, e spesso per questo viene messa in rapporto con la
luna, dato che non è solita muoversi alla luce del sole.
Per questo motivo infatti, è stato individuato nella civetta il simbolo della conoscenza razionale, percezione della luce riflessa (lunare), opposta alla conoscenza intuitiva, percezione della luce diretta (solare). (Chevalier, Gheerbrant, 1986). Nella mitologia greca la civetta era l'emblema di Atena.
0All'interno del mosaico è stata posizionata proprio a confine tra mare e terra, sulla parete bianca del faro.
E' interessante sapere che la civetta è lo stemma del Maestro Brando, e che pertanto è stata disegnata da lui, ma che nel momento della scelta dei disegni, sono stati i pazienti ad accettarla e a posizionarla sul pannello proprio nella posizione attuale.
In conclusione possiamo dire che la civetta, considerata come firma del Maestro, può essere accreditata come la sua unica istanza narcisista, considerando il suo ruolo in questo progetto e l'impossibilità di averne uno più direttivo in accordo con i principi della Gruppoanalisi.
4.11. Conclusione
Per questioni pratiche legate al lavoro di tesi, non si può procedere in tale sede ad una trattazione più articolata riguardante la simbologia delle rappresentazioni musive.
Inoltre va messo in evidenza un elemento molto importante per la giusta e corretta interpretazione psicologica (che fornisce valenza differente a ciò che è posizionato sulla destra o sulla sinistra) del mosaico stesso, già accennato in precedenza, allorché è stato spiegato il metodo indiretto con cui è stato eseguito il mosaico. Cioè, bisogna tener presente che la lettura del mosaico va vista al rovescio, pertanto ciò che si vede posto sulla sinistra, in realtà era stato disegnato e riempito con le tessere sulla destra. Dunque nella costruzione originaria effettuata dal gruppo il faro era posto sulla sinistra, mentre la balena, il pattino, l'elicottero e lo sguardo di Giona, sono rivolti verso destra.
Pertanto la lettura dei simboli di questo mosaico interpretata al rovescio ci porta a cogliere un significato di iniziazione e trasformazione, riconducibile all'archetipo della totalità del Self secondo Jung.
Infine questa lettura complessiva della frase musiva è supportata e corrispondente ai miglioramenti soggettivi dei pazienti.
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