Cristina Roccia(1) 1) Che cosa è il trauma? Che cosa si intende per "trauma psichico" è un concetto assai complesso e di non comune definizione. Una estesa letteratura è consultabile sul tema, tema che tuttavia, per motivi di spazio, non intendo approfondire. Secondo alcune correnti culturali che fanno riferimento alla teoria delle relazioni oggettuali e dell'attaccamento, gli eventi traumatici chiamano in causa il problema delle relazioni umane, aprono una falla all'interno degli attaccamenti in famiglia, all'amicizia, all'amore e in generale al mondo. Secondo Judith Herman (2)le relazioni traumatiche frantumano la costruzione del sé che si è formata e mantenuta nelle relazioni con gli altri, minano l'intero sistema di credenze che danno significato all'esperienza umana e violano la fede della vittima in un ordine naturale o divino gettando la stessa vittima in uno stato di crisi esistenziale. Il danno che si crea nell'ambito della vita relazionale è molto importante: infatti riguarda sia le strutture psicologiche del sé, sia i vari sistemi di attaccamento. Gli eventi traumatici interrompono il collegamento tra l'individuo e il resto del mondo, e non possono essere elaborati dal soggetto. La sicurezza e la fiducia di base nel mondo viene acquisita dall'individuo nei primi anni di vita attraverso la relazione con chi si prende cura di lui, ed essa diventa nell'adulto la base sulla quale la persona si relaziona con se stessa e con il mondo.(3) Nelle situazioni di terrore, la gente automaticamente va a ricercare le proprie fonti primarie di conforto e protezione. Le situazioni traumatiche creano un disperato senso di abbandono, alienazione, e interruzione del contatto con le relazioni, da quelle più intime a quelle più distanti, con una conseguente perdita di fiducia nei confronti di sé, degli altri e in Dio. Sempre secondo la Herman il denominatore comune di ogni trauma psicologico è il sentimento di " paura intensa, senso di impotenza, perdita di controllo, minaccia di annullamento". La risposta umana al pericolo è complessa e costituita da un sistema di reazioni fisiche e mentali che formano reazioni normali di natura adattiva che mettono in moto le risorse individuali per preparare la vittima a lottare. La reazione traumatica subentra quando non è possibile nessuna azione, quando la resistenza e la fuga non sono praticabili. Il sistema di autodifesa viene sopraffatto e disorganizzato. Ogni componente della risposta ordinaria al pericolo (per esempio un stato di eccitazione abnorme), avendo perso utilità, tende a persistere in uno stato alterato ed esasperato per lungo tempo anche dopo la fine del pericolo. Gli eventi traumatici producono cambiamenti profondi e duraturi nello stato di allarme psicologico, nelle emozioni, nello stato cognitivo, nella memoria ed anche nel cervello. A seguito di un avvenimento traumatico vi sono elevate probabilità che il soggetto sviluppi un Disturbo post traumatico da stress(4); il manifestarsi di tale sindrome dipende principalmente dalla natura del trauma, ma anche dalla strutturazione di personalità del soggetto prima del trauma e dalla reazione (sostegno o rifiuto alla vittima) da parte della famiglia o della società, come ampiamente analizzano e documentano Feliciy de Zulueta e van der Kolk.(5) 2) Conseguenze dell'avvenimento traumatico sulla vittima Herman divide i sintomi che caratterizzano i soggetti traumatizzati in tre grandi categorie: ipervigilanza, intrusione e costrizione (in alcuni testi definito "evitamento"). Mi sofferemerò in particolare sul primo stato, l'ipervigilanza, in quanto ad esso sono da correlarsi molti problemi sperimentati dai bambini e dagli adulti traumatizzati. Dopo un'esperienza traumatica il sistema umano di autoconservazione sembra entrare in uno stato di allerta permanente come se il pericolo potesse ripresentarsi da un momento all'altro. La persona traumatizzata si spaventa facilmente, reagisce con irritabilità a piccole provocazioni, dorme poco o male. I dati disponibili suggeriscono che lo stress nelle prime fasi della vita possa provocare modifiche durature in sistemi neurotrasmettitoriali multipli e nelle strutture cerebrali implicate nell'eziologia di diverse patologie psichiatriche. È stato ipotizzato, pertanto, che esperienze negative precoci possano determinare una vulnerabilità allo sviluppo di diverse patologie psichiatriche. Secondo van der Kolk nel PTSD si verifica uno sconvolgimento delle funzioni del tronco cerebrale, cosa che determina sintomi come la perdita dei confini del corpo, disturbi del sonno, alterazioni dei ritmi circadiani e degli orologi biologici. Il riuscire a dare verbalmente un significato a tutto ciò non serve a resettare i meccanismi cerebrali. Il sistema limbico si occupa di porre i confini tra il sé ed il mondo esterno. Negli stati estremi nel sistema limbico si verificano dei cambiamenti per cui diventano minacciose cose che non lo sono in realtà. Anche in questo caso il limitarsi a dargli un significato non resetta i meccanismi. Gli inputs sensoriali passano dagli organi di senso al talamo, che ha la funzione d'integrarli in un insieme coerente. Dal talamo sono inviati all'amigdala, che analizza molto rapidamente la loro rilevanza, l'interesse per l'individuo, il loro significato emotivo e la loro eventuale pericolosità. Dall'amigdala gli stimoli percorrono due vie: una va all'ipotalamo, che secerne gli ormoni dello stress; la seconda va alla corteccia prefrontale, dove avviene l'elaborazione conscia, passando attraverso l'ippocampo (che ha funzioni di categorizzazione e contestualizzazione) e la corteccia del cingolo (dove le nozioni e le emozioni sono assemblate per vedere se è necessaria un'azione). La prima via è più rapida della seconda e questo spiega perché ci può essere una reazione di allarme fisico per uno stimolo che successivamente viene consapevolmente giudicato innocuo. Sembra che, in qualche modo, nel PTSD la via alla corteccia prefrontale sia bloccata, per cui persiste la risposta d'allarme. La ricerca dell'evitare gli stimoli associati al trauma, oltre al determinare l'evitamento dell'agire, pone anche il corpo in uno stato di "congelamento", che non consente il normale fluire di stati e situazioni diverse. E' stato dimostrato da esami neurologici (van der Kolk, opere citate) che l'atrofia dell'ipofisi rende impossibile all'individuo interessarsi alle informazioni nuove che gli vengono dal mondo, rendendolo apatico e passivo, e congelando la capacità immaginativa e creativa del soggetto. In uno studio di 25 anni fa su reduci del Vietnam condotto da van der Kolk in molte tavole 16 su 22 vedevano il loro evento traumatico. I sei che non lo vedevano, non vedevano nulla, solo la macchia d'inchiostro. Questa è un'indicazione del blocco dell'immaginazione. La percezione nelle vittime di un trauma cambia: o vedono il trauma dovunque, oppure non vedono nulla. Si verifica un arresto dell'immaginazione e della creatività, si ha una perdita del pensiero come capacità di creazione sperimentale. Per lungo tempo anche dopo che il pericolo è cessato, le persone traumatizzate rivivono l'evento come se fosse continuamente ricorrente nel presente. Il trauma irrompe ripetutamente nel corso della vita normale (intrusione). E' come se il tempo si fermasse al momento del trauma. Si struttura una forma anomala di memoria che irrompe spontaneamente nella coscienza sotto forma di flashbacks nella veglia e di incubi nel sonno. Piccoli eventi insignificanti possono evocare queste memorie che ritornano con la forza emotiva dell'evento originario. Anche il normale ambiente di vita può diventare pericoloso perché la persona sopravvissuta al trauma non può mai essere sicura che non incontrerà qualcosa o qualcuno che possa rievocare il trauma. Le memorie traumatiche hanno numerose qualità inusuali, per esempio non si trovano sotto forma di ricordi accessibili verbalmente ma molto spesso vengono immagazzinate in una zona del cervello dove non possono essere recuperati se non sotto forma di sensazioni vivide e di immagini. Nel tentativo di annullare il trauma, le persone traumatizzate possono scegliere consapevolmente di mettersi nei pericoli tramite la ripetizione dell'evento. Più frequentemente avvengono parziali ripetizioni inconsapevoli sotto forma mascherata. Non tutte le ripetizioni traumatiche sono pericolose, alcune sono adattive: la persona può trovare una modalità di ripetizione del trauma integrandolo con la vita presente, in modo contenuto e a volte socialmente utile ( per esempio una vittima di abuso può diventare educatrice in una comunità che ospita minori abusati).Rimane tuttavia qualcosa di misterioso nelle ripetizioni: anche se scelte consapevolmente, esse conservano una qualità di involontarietà. Quando una persona si trova una situazione in cui ha perso ogni potere e non è possibile alcuna resistenza, può sentirsi in uno stato di arresa. Il sistema di autodifesa è annullato. La persona privata di ogni potere per poter sfuggire alla situazione di realtà, può farlo invece alterando il suo stato di coscienza. Qualcosa di analogo é stato osservato negli animali che si "congelano" quando vengono attaccati. Queste alterazioni della coscienza o torpori costituiscono il fenomeno della costrizione, terzo sintomo cardinale secondo la Herman e Feliciy De Zulueta, del PTSD. Paradossalmente questo stato di calma distaccata dissolve il terrore, la paura e la rabbia. Gli eventi continuano ad essere registrati dalla coscienza ma è come se venissero scissi dai significati ordinari. Le percezioni sono intorpidite, parzialmente anestetizzate o senza particolari sensazioni. Il senso del tempo è alterato spesso con una sensazione di rallentamento delle azioni. La persona può avere la sensazione che ciò che accade non stia succedendo proprio a sé, come se si stesse osservando fuori dal proprio corpo o come se si trovasse all'interno di un incubo da cui sta per risvegliarsi. Queste alterazioni si sommano ad un sentimento di indifferenza, di distacco emotivo e ad una profonda passività in cui si rinuncia all'iniziativa e alla lotta. I fattori biologici alla base di questi stati alterati , sia che si tratti di trance che di dissociazione traumatica, rimangono un enigma e sembra che l'ipnosi possa agire in maniera analoga alla morfina. Ambedue infatti inducono uno stato dissociativo in cui la percezione del dolore e le normali risposte emotive a questo sono alterate con la caratteristica di alzarne la soglia di tolleranza senza abolire del tutto la sensazione. Quando le persone traumatizzate non riescono a dissociarsi spontaneamente, possono cercare di raggiungere effetti simili di intorpidimento con l'uso di alcol e droghe. Le persone traumatizzate corrono un alto rischio di dipendenza da sostanze come modalità di compensazione delle difficoltà e per controllare i sintomi intrusivi e di ipervigilanza. L'instabilità dovuta all'alternanza di stati dissociativi e di sintomi intrusivi, spesso accompagnati da uno stato di ansia cronica generalizzata, aumentano il senso di imprevedibilità nel soggetto e rendono più intenso il sentimento di sfiducia verso il futuro. 2.a Paola. La dissociazione raccontata da una dodicenne I sintomi dissociativi sono ben descritti nel racconto di Paola, tredicenne violentata dal padre, racconto fatto durante un colloquio clinico volto ad indagare cosa la ragazzina provasse durante le violenze: "Non capivo bene se erano arrabbiati veramente con noi oppure fra loro. A volte mio padre si arrabbiava, non so con chi, perché io ero appena stata dalle mie amiche. ...... vedevo mio padre arrabbiato e io pensavo: "Non ho fatto niente, sono stata fuori tutta la giornata". E poi mio padre era arrabbiato, non l'avevo mai visto così cambiato. Allora, dopo, mio padre mi chiamava in camera e poi, sempre arrabbiato come non mai, non capivo niente, e poi dopo ... Mah, iniziava a darmi le sberle in faccia, e io non capivo niente, e io non dicevo niente, e io non ho fatto niente, e mio padre mi dava le sberle per niente, poi me le continua a dare, e io non capivo cosa facesse, mio padre ha delle mani belle grandi e fanno male. Io ormai vedevo doppio perché le mani, essendo grandi, mi colpivano gli occhi (mima il gesto dello schiaffo sulla faccia), e iniziavo già a sentir male con gli schiaffi sulla faccia. E, per il male, iniziavo già a dare i numeri, e allora dopo non ci capivo più niente. .... Allora mio padre, e anche lì mi sembrava di essere sulle nuvole, e allora mio padre, non capivo cosa stesse facendo, mi dava sempre le sberle in faccia e mi continuava a dare le sberle, e io non capivo più niente, e poi non sento più le sberle in faccia, e non sentivo più niente, non sentivo più niente. E allora io non sentivo più niente anche se mi dava le sberle, perché il dolore era tanto alto che io non sentivo più niente. Allora non ho mai ben capito che cosa succedesse, infatti io non capivo perché non sentivo più niente, anche se uno mi toccava così (si tocca il braccio), ormai il mio cervello andava fuori. Allora mio padre iniziava a spogliarmi dal bacino in giù, da quello che capivo anche se ero fuori di cervello. E intanto non capivo bene, cioè vedevo cosa stava succedendo ma non capivo. Poi dopo chiudevo gli occhi, rimanevo così (mima la faccia di una persona stordita e stupefatta), chiudevo gli occhi per vedere se mi riprendevo, ma non mi riprendevo mica. Allora chiudevo continuamente gli occhi per vedere se pian pianino, se la testa mi tornava ad arrivare lì in quel momento lì. Allora mio padre, non so che cosa stesse pensando, allora sento un gran dolore, ma io non lo sento col mio cervello, sento un gran dolore ...... sento un brivido nella schiena, e io avendo il cervello di fuori non capivo niente. Allora mio padre, non si capiva cosa stesse facendo e sentivo sempre male, male, male. Poi dopo, e lì il male sempre aumentava e non capivo più che cos'era. Il male di prima e il male di adesso, la testa era ancora più fuori. Io però ero sveglia, non ero addormentata. Allora io non capivo bene, io vedevo che mio padre era lì nella camera con me, però non riuscivo a ragionare cosa stesse facendo, allora sentivo sempre male, male, male. Allora chiudo gli occhi perché ormai svengo dal dolore, allora dopo non sento più niente, mi sembra di essere andata via dal mondo e dalla camera che ero fino in un altro posto che non capivo bene, non so, un posto in cui mi sembrava che la testa fosse andata in un altro posto che non capivo bene...Dal dolore che avevo la testa poteva essere dovunque perché non riuscivo a trovarla; allora chiudevo gli occhi e cercavo di trovarla. Allora iniziavo a preoccuparmi perché non trovo la mia memoria, niente, sempre solo per il male eh; il cervello intanto ce l'avevo, ma non sentivo più niente. Allora un male sempre ... un male tremendo, avevo paura che la mia testa fosse volata via, avevo una confusione in testa che ormai non sapevo neanche più dove ero andata, non mi ricordavo neanche più dov'ero, per terra... Mi sembrava di essere con la testa nelle nuvole. Anche se aprivo gli occhi non sapevo che cosa stesse accadendo. Allora dopo, sentivo sempre questo grande male, allora dopo cercavo di dimenarmi, per vedere se mi riprendevo, se mi agitavo.... Cercavo di capire se mi riprendevo i miei sensi, almeno la vista; la vista per vedere cosa stesse accadendo. Allora io mi dimenavo, ma non succedeva niente, ma ... ma io non sento niente, e io mi preoccupavo sempre di più, perché avevo paura che mi fosse successo qualcosa e che fossi ancora in piedi. Allora sento sempre questo gran male, ma non sentivo più niente, un rumore, mi sembrava di essere fuori dal mondo, un rumore di macchine, però ero ancora in camera mia, perché di solito di lì si sentivano le voci degli altri bambini, si vede che ero proprio andata fuori con la testa veramente. Allora, dopo un po', sempre la testa era fuori, io cercavo di riprendermi e pian pianino ritornavo, insomma, a sentire che ero tornata per terra....Dopo però, intanto, la vista non mi tornava, mi sentivo male, e subito avevo aperto gli occhi però non vedevo più niente, come un muro che non vedessi più niente e, vedendo tutto buio, poi dopo io non vedevo, sentivo i passi di mio padre. La testa era sempre via! Però io non è che sentissi proprio i passi di mio padre. Era come se avessi le cuffie e sentivo i passi, ma non sentivo i passi puliti, ma non li sentivo normali, c'erano come delle onde che me li facevano sentire male. Allora, dopo, mio padre era sempre lì che camminava con i suoi passi inconfondibili, perché lui è un uomo di 1,85 e porta il 46 di scarpe. E lo sentivo andare sempre avanti e indietro. A un certo punto, ero ancora fuori con la testa, e il male era sempre più forte.... Sentivo male ma non capivo bene dove. Mi sembrava strano il male, sapevo che sentivo tanto male in faccia, ma avevo così tanto male che non capivo neanche più dov'era il male. Mio padre, dopo, cerca di vedere se mi riusciva a svegliare facendomi così (e mima il gesto di una persona che la scuote per svegliarla), e io sentivo che qualcuno mi faceva ballare, ma io non riprendevo i sensi.... Ero ancora in piedi. Allora io sento ballare, sento i movimenti perché io ci sono ancora, ma con la testa non capivo chi mi ballava, ma i passi non li sentivo più. Allora lui, mio padre, naturalmente era lui perché aveva le mani giganti, continuava a ballare, inizia a dire: "svegliati! Svegliati!" (la bambina mima il gesto di qualcuno che la scuote), io sento le voci ma non capisco da dove provengono. Allora, pian pianino, i miei occhi iniziano a schiarirsi pian pianino, iniziano a diventare come prima. Allora vedo lì mio padre che fa così (mima il gesto di scuotere), però non capivo cosa stesse facendo... Ho capito cosa stava succedendo quando sono riuscita a trovare di nuovo la testa per ragionare su cos'era successo.... Ero stata attenta fino al momento in cui mi aveva spogliato dal bacino in giù, poi da lì il male era sempre aumentato finchè ho perso conoscenza (cioè, non ero svenuta, ero sveglia ma da un'altra parte). E poi dopo, il male che avevo, oltre a quello in faccia, non capivo bene dov'era, e allora cercavo di ragionare da dove potesse venire, e infatti quella volta lì non avevo ben capito da dove venisse; poi, altre volte è successa la stessa cosa, ma ho cercato di trattenere la testa dentro, e infatti sentivo sempre male, e poi dopo, e lì infatti ci vedevo ma ero un po' appannata, e allora dopo io capivo qualcosa di quello che stava succedendo, e io sentivo spingere, spingere, e non si capiva bene che cos'era.... Sentivo spingere qui in mezzo (indica la zona dei genitali con la mano). Io però in quel momento lì non ci capivo, perché il male era grande. Però io, intanto, trattenevo per tener dentro la testa... Perché il male mi faceva male, la testa voleva uscire, e io volevo stare, insomma, per capire che cosa stava facendo mio padre. Allora tenevo con la forza dietro, tenevo le mani così (con i pugni serrati), e la testa non usciva perché con la forza uno la tiene dentro. Ora non capivo molto, perché la testa voleva uscire e quindi faceva annebbiare le idee. Alla richiesta di sapere se si soffrisse di più quando la testa era fuori o quando era dentro Paola risponde: Si soffriva da tutte e due le parti, perché prima, quando la testa esce, cerchi di trovarla per vedere cosa succede, invece, quando cerchi di trattenerla, vorresti che uscisse per non vedere quello che succede. Quindi si soffre in tutti e due i modi. 3) La psicoterapia del minore traumatizzato Non tutti gli avvenimenti traumatici hanno la stessa intensità né lo stesso impatto sui diversi individui. La diagnosi deve quindi essere molto accurata, e la terapia impostata secondo le esigenze del singolo paziente. Molto diverso è infatti l'intervento psicoterapico su soggetti portatori di PTSD e su chi non ha questo disturbo, così come diverso sarà l'intervento su pazienti con PTSD cronico e trauma multipli (come per es. una ragazza violentata per anni dal padre e maltrattata dalla madre) dall'intervento su pazienti che hanno sviluppato un PTSD seguito di un trauma singolo (per esempio un terremoto). Marinella Malacrea afferma nel suo libro sulla terapia dei bambini vittime di abuso sessuale che la "tutta la terapia nelle situazioni si abuso sessuale debba svolgersi all'insegna del realismo. Si vuole con ciò indicare che, benchè ricca di elaborazioni cognitive ed emotive che hanno per oggetto il mondo interno, essa non deve mai trascurare la necessità che anche il mondo esterno sia progressivamente investito dal nuovo flusso di informazioni e dal conseguente cambiamento di prospettiva dovuti alla rottura del segreto... Tale processo è anche l'antidoto più efficace contro il senso di impotenza "(6)(pag. 85).. 3.a La sicurezza Tutti coloro che si sono occupati in modo specialistico della cura di soggetti traumatizzati ritengono che il compito di ristabilire un senso di sicurezza per il paziente è prioritario e deve costituire il primo obiettivo della terapia; può durare da giorni a settimane, fino a mesi o anni per le vittime di abusi cronici. Il paziente non si sente sicuro all'interno del suo corpo, sperimenta le sue emozioni e i suoi pensieri come fuori dal suo controllo, non si fida delle relazioni con gli altri. Il primo obiettivo da raggiungere per far acquistare un senso di sicurezza alla vittima è farle recuperare il potere, potere sottrattole con forme di violenza, coercizione o manipolazione psicologica dal suo aguzzino nel caso di violenza, o potere sottrattole dalla situazione traumatica in sé quando per esempio un incidente stradale o una catastrofe naturale impongono al soggetto di rinunciare per sempre a quel senso di invulnerabilità che ciascuno di noi deve avere per poter sopravvivere. Ciascuno di noi sa che in qualsiasi momento potremmo essere investiti da una macchina o da un fulmine o violentati da un maniaco e che la nostra vita sarebbe interrotta per sempre, ma nessuno si sveglia al mattino con questo pensiero; ci illudiamo di avere una qualche forma di controllo sul mondo. Nelle vittime questa illusione è svanita per sempre, e questo le impedisce di provare entusiasmo e speranza, di volgersi alla vita con un pensiero positivo. E' proprio per non perdere questa illusione di invulnerabilità che la società è così poco disponibile ad ascoltare le vittime; ascoltando i loro racconto il terapeuta può sperimentare quello che la Herman e Vassalli definiscono come "transfert e contro tranfert traumatico". Il trauma è contagioso: in qualità di testimone di atrocità o disastri, il terapeuta può esserne emotivamente sconvolto sperimentando su scala ridotta lo stesso terrore, rabbia e disperazione del paziente. Queste sono le caratteristiche del controtransfert traumatico. Il terapeuta può arrivare a sperimentare sintomi del PTSD, rivivere personali esperienze traumatiche, sperimentare sintomi intrusivi di fantasie o sogni. Per preservare la propria salute psicologica e maneggiare le proprie reazioni, necessita di un sostegno costante da parte di un gruppo di colleghi con cui poter condividere l'orrore. Così come il paziente non può guarire da solo, il terapeuta non può lavorare da solo con il trauma. L'esperienza di ripetute terapie di pazienti traumatizzati, cambia inevitabilmente la fiducia di base del terapeuta aumentandone il senso di vulnerabilità. Ne possono derivare paura e sfiducia anche nelle sue personali relazioni, così come una sottostima della propria capacità professionale che può portarlo a vedere il paziente come senza speranza. Per combattere il proprio senso di impotenza, può assumere il ruolo di salvatore, di difensore del paziente, confinandolo in una posizione di incapacità ad agire da solo. Il transfert traumatico riflette non solo l'esperienza del terrore ma anche quella della disperazione: la disperazione che il paziente ha sperimentato quando non poteva difendersi e nessuno lo ha aiutato, quando si è sentito completamente abbandonato. La memoria di questa esperienza pervade tutte le relazioni seguenti che il paziente avrà, compresa quella con il terapeuta.. Nessun intervento che sottragga potere alla persona sopravvissuta ad un trauma può produrre guarigione. Anche negli interventi estremi, necessari quando la persona è di pericolo a sé stessa o agli altri , è controindicata un'azione unilaterale presa senza consultare o ascoltare il diretto interessato. In ogni caso la vittima deve essere consultata rispetto ai suoi desideri , offrendo tutte le possibilità di scelta compatibili con la preservazione della sicurezza. Questo stadio parte dal cercare di ristabilire un controllo sul proprio corpo e arriva al controllo dell'ambiente. L'integrità del proprio corpo include l'attenzione ai bisogni di base, la regolazione delle funzioni corporee (il sonno, i pasti, l'esercizio fisico), il controllo dei comportamenti autodistruttivi. Il controllo dell'ambiente include la capacità di discriminare quali siano le situazioni di vita non rischiose, la sicurezza economica, la propria mobilità, la capacità di autoprotezione. E' compito del terapeuta garantire che la psicoterapia si svolga in situazione di sicurezza per il paziente; nessun tipo di terapia può essere efficace se il paziente vive in un ambiente che non sente sicuro. Il terapeuta dovrà quindi lavorare in stretto contatto con altri operatori per poter garantire al paziente la sicurezza; assistente sociale, educatori, magistrato, insegnanti, genitori, partner (nel caso si tratti di adulti), psichiatra ed ogni altra figura ritenuta necessaria. Oltre alla mobilitazione delle persone che possono prendersi cura del paziente, è necessario stabilire insieme al paziente un piano per la sua protezione futura valutando il grado di pericolo che egli ancora corre, e le eventuali precauzioni da adottare. E' fondamentale la partecipazione del paziente a questo piano, nell'ottica di ristabilire il potere che è stato annullato dal trauma. Non sempre un ambiente sicuro farà sentire al sicuro il paziente perché la sicurezza dipende non solo da fattori esterni, ma anche dal grado di elaborazione del trauma. Laura, una bambina di sei anni fatta prostituire dalla madre e dal padre dall'età di tre, è stata data in adozione ad una coppia amorevole e disponibile nei suoi confronti. La bambina viveva tuttavia in uno stato di iper arausal cronico e di terrore: era convinta che da un momento all'altro il giudice potesse portarla via da quella famiglia come era accaduto anni prima, quando "lei" era stata cattiva e per punizione l'avevano messa in comunità. Sara invece, una ragazza di vent'anni violentata per anni dal fratello maggiore con il consenso dei genitori, ha attacchi di panico, cefalea cronica, ansia generalizzata con afasia, quando le viene assegnata una bellissima casa popolare da lei attesa da tempo. L'idea di dover vivere lì da sola ha riattivato il terrore che l'abusante (condannato in primo e secondo grado ma tutt'ora libero) possa venirla a cercare per ucciderla. La terapia aveva creato una certa stabilità in Sara(7), ma il cambiamento, dalla comunità ad una casa tutta sua, cambiamento vissuto dalla stessa ragazza come positivo, ha riattualizzato il terrore. E' compito della psicoterapia aiutare il paziente a sentirsi al sicuro nel mondo. Molte sono le strategie utilizzabili : uso di farmaci per controllare la reattività e l'ipervigilanza, uso di tecniche comportamentistiche quali il rilassamento, l'uso di tecniche cognitive per controllare il senso di confusione, l'uso di strategie interpersonali per i problemi relazionali fino all'uso di strategie sociali che coinvolgano la rete di relazioni più vicine al paziente. I farmaci non possono essere imposti, ma vanno discussi e concordati con il paziente in uno spirito di costruzione dell'alleanza terapeutica. 3.2 Il rapporto terapeutico Il terapeuta può avere la funzione di contenitore di determinati aspetti del mondo interno del paziente proiettati su di lui. Frederickson (8) afferma che "contenere non significa unicamente trattenere al proprio interno delle sensazioni. Il contenimento è un processo tramite il quale diamo un nome a quelle sensazioni e, nel rapporto transferale, ne capiamo il significato. Come contenitori non siamo semplicemente recettori passivi: siamo organizzatori attivi dell'esperienza. Nella nostra realtà di contenitori non neghiamo e neppure agiamo le sensazioni che abbiamo; organizziamo un'esperienza che all'inizio è confusiva e dilagante e la traduciamo in parole". Molto spesso con i bambini e gli adolescenti traumatizzati è importante tradurre in parola i loro sentimenti e la loro confusione che appare a loro come indicibile ed impensabile. Come mirabilmente descritto nel libro della Tavistock (9) in casi di minori gravemente traumatizzati le emozioni del terapeuta (indotte ovviamente dal rapporto con il paziente) possono essere lo strumento principale della psicoterapia, perché i contenuti verbali o ludici portati dal minore sono spesso troppo poveri e scarni per essere utilizzati, per lo meno in una fase iniziale del lavoro che in genere si rivela assai lunga. "Il loro comportamento (p.s. del paziente) costituisce spesso il messaggio più importante e vitale, ed è nostro compito recepirlo e rispondere ad esso in maniera appropriata anche se, talvolta, abbiamo ben poco su cui basarci se non i sentimenti che noi stessi proviamo" (pag. 95). La restituzione dei contenuti emersi nei colloqui va fatta "in punta dei piedi" perché questo tipo di soggetti è estremamente vulnerabile e occorre una grande sensibilità nella scelta dei tempi e degli interventi. Con alcuni bambini così gravemente maltrattati anche un solo errore può significare una sofferenza insostenibile e, per usare le parole di Meltzer (citato in Boston e Szur, 1996), è a volte necessario arrivare "in punta dei piedi accanto alla sofferenza", soprattutto per ciò che riguarda la relazione di attaccamento su cui in genere questi pazienti raggiungono il massimo della vulnerabilità. Il rapporto terapeutico risulta essere fondamentale nella ricostruzione del mondo interno dei minori vittime di gravi maltrattamenti in famiglia. Quale atteggiamento occorre quindi assumere nei confronti del paziente? Abbiamo già analizzato in precedenza quanto può essere complicata la gestione del transfer fra paziente e terapeuta in casi di PTSD. Con i minori maltrattati, abbandonati, ospiti di istituti, profondamente odiati sin dai primi giorni della loro vita, molto spesso è la relazione con il terapeuta che permette di costruire nel paziente il primo schema mentale di una relazione sana e positiva con il mondo. E' nel rapporto con il terapeuta che il paziente potrà sperimentare un rapporto sufficientemente buono con una figura di attaccamento questa volta, si spera, non maltrattante o rifiutante. Il paziente, soprattutto se si tratta di un minore allontanato dalla famiglia, investirà il terapeuta di emozioni molto intense, emozioni che lo psicologo deve essere in grado di maneggiare in modo corretto. "Per lungo tempo il bambino potrà causare al terapeuta un senso di inadeguatezza e addirittura di colpa per il fatto di essere soltanto in grado di fornire una psicoterapia", leggiamo nel libro della Tavistock che riporta l'esperienza di psicoterapia di bambini istituzionalizzati, "ma questa esperienza potrà essere usata per aiutare il bambino a sviluppare aspettative più realistiche e maggiore tolleranza. Se ciò non avviene, un eventuale affidamento o una eventuale adozione possono condurre ad una analoga delusione per il bambino e per gli adulti, perché il bambino non riuscirà a perdonare all'adulto il fatto di non rappresentare l'incarnazione di un ideale genitore immaginario" (pag. 195). Dietro il dramma della violenza c'è il vuoto, un vuoto forse ancor più sconvolgente e faticoso da tollerare della violenza sessuale stessa. Si può anche continuare a vivere sentendosi per esempio una puttana, ma non si può vivere sentendosi nessuno. Risulta decisiva la capacità del terapeuta di mantenere la relazione con la paziente e di non agire le emozioni dalle quali ci si sente invasi. Il terapeuta deve accettare che il suo aiuto al bambino è di natura limitata, che l'attenzione che può dargli non è certamente un sostituto delle cure genitoriali, deve fare i conti con il fatto che il passato non può essere cancellato e con l'incertezza di riuscire a riparare il danno che si è verificato. Sia il terapeuta che il paziente si trovano continuamente davanti al fatto che il passato non si può cambiare, ma anche al fatto che il passato è importante solo in quanto continua a vivere nel presente nel paziente, nelle fantasie e nel suo mondo interno che gli impediscono di reagire alle esperienze attuali in modo positivo e di godere ciò che il presente ed il futuro gli possono offrire. E su questi aspetti il terapeuta può cercare di fare del suo meglio affichè il passato non ritorni continuamente nel presente. L'indice migliore di risoluzione di un trattamento del PTSD è la capacità del paziente di provare piacere nella vita e coinvolgersi pienamente nelle relazioni con gli altri. Il presente e il futuro diventano più interessanti del passato. Il terapeuta deve mantenersi neutrale nella relazione con questi pazienti? Su questo argomento c'è un'infinita letteratura da Freud ai giorni nostri. In terapie di minori abusati la neutralità è importante, ma ciò che è o non è neutrale non può essere stabilita in astratto ma deve essere valutato di caso in caso. Come afferma Horner (opera citata) ciò che è neutralità per uno, per un altro è abbandono. Ciò che per un paziente è un segnale del nostro interesse e della nostra sollecitudine per lui, per un altro è un'intrusione. I nostri concetti non possono essere realmente compresi su un piano astratto ma devono essere collocati nel contesto clinico. L'amore del terapeuta per il paziente è un importante elemento nella terapia. Il paziente con il terapeuta deve poter sperimentare, molto probabilmente per la prima volta nella sua vita nei casi di maltrattamenti in famiglia, una relazione di attaccamento sicura. Questo aspetto della relazione deve essere oggetto di gran parte del lavoro terapeutico, e lo psicologo deve porre una particolare attenzione a non fare mai sentire "abbandonato" il paziente, in genere ipersensibile a qualsiasi segnale di minino rifiuto. Il setting deve essere il più possibile stabile ed ogni spostamento di seduta o interruzione (per esempio per le vacanze) deve essere oggetto di attenta discussione. Con i soggetti precocemente deprivati che nel presente sono ancora disperatamente soli e privi di riferimenti affettivi, occorre una grande coerenza fra ciò che si dice e ciò che si è, perché essi hanno sviluppato un sesto senso nei confronti di ogni minimo segnale di abbandono o di distanziamento emotivo. Uno degli obiettivi della terapia diventa quello di permettere al paziente di sperimentare delle relazioni interpersonali positive al fine di "insegnargli" come fare a non distruggere ogni legame buono che gli viene offerto, anche attraverso l'analisi del transfer fra terapeuta e paziente, che ha nell'impiego della empatia il suo principale strumento. A tal fine il terapeuta deve permettere al paziente di conoscerlo, evitando di rispondere con il silenzio alle domande da lui poste per non risultare esso stesso un "oggetto" maltrattante. E' certamente una posizione molto distante da quella teorizzata dalla psicoanalisi che impone invece al terapeuta una estrema riservatezza rispetto alla propria vita personale (regola in molti casi fondamentale per il buon esito della terapia). Tuttavia è improbabile che la psicoanalisi classica, pur valida per la cura di molte psicopatologie, sia indicata per questo genere di pazienti. Greenberg(10) afferma che la neutralità di misura in base alla capacità del paziente di diventare cosciente del transfert e di tollerarlo. 4. L'elaborazione del trauma Una delle fasi centrali della psicoterapia di un soggetto traumatizzato risiede nell'elaborazione del trauma. Come abbiamo visto precedentemente non tutti i traumi sono uguali e non in tutti i soggetti ha le stesse conseguenze; ogni terapeuta dovrà quindi valutare attentamente quali strumenti usare per lavorare sul trauma, ed in quale momento della terapia utilizzarlo. Ciò che è tuttavia fondamentale è che il trauma venga trattato. L'affermazione può apparire banale, ma non lo è affatto se si considera che ancora oggi, pur senza alcun supporto scientifico, molti terapeuti considerano salutare per il paziente far mettere la "classica pietra sopra" e non pensarci più. Un trauma non analizzato produrrà effetti devastanti sul soggetto anche per tutta la vita. 4.a Far mettere in parole il trauma nei casi di abuso intrafamigliare "Se volessi rappresentare con una immagine la relazione che esiste tra il trauma dell'abuso e la verità, l'immagine che mi sembra più adatta non è quella di una strada diritta, ma quella di un sentiero pieno di ostacoli, a tratti ripido, a volte cancellato o franato, dove si può perdere l'orientamento, un sentiero comunque faticoso e cosparso di imprevisti. Chi si trova ad avventurarsi su questo sentiero per andare incontro al bambino deve mettere in conto di affrontare diversi ostacoli" . Così descriveva Daniela Bruno il percorso necessario al disvelamento dell'abuso sessuale(11). Gli ostacoli sono nei divieti esterni (degli adulti che hanno impedito al bambino di parlare, o che lo minacciano, o che hanno utilizzato forme di intimidazione o di ricatto affettivo) e sono nei divieti interni, nel bisogno del minore di mantenere la relazione affettiva di dipendenza nei confronti dell'abusante, di salvaguardare l'unità famigliare (se si tratta di incesto) o comunque nelle emozioni di colpa, vergogna, stigmatizzazione, tradimento, che si frappongono alla possibilità di parlare. Sappiamo che chi ha vissuto una esperienza traumatica cerca di rimuoverla, vuole evitare di pensarci: noi chiediamo quindi al bambino di dire proprio quello che lui cerca di dimenticare. Un grosso ostacolo alla verità è posto proprio dal soggetto stesso, dalle difese di evitamento che lui mette in atto. 4.b L'ascolto dell'ambivalenza Non è facile essere spettatori della "confessione" dei nostri piccoli pazienti: i bambini abusati, soprattutto se intrafamigliare, raramente riescono a trovare il coraggio di raccontare l'aspetto più sconvolgente dell'abuso che di solito è un segreto nel segreto, l'ambivalenza nei confronti dell'abusante e dell'abuso stesso: persecutore e vittime troppo spesso sono confusi nella mente del piccolo paziente, e necessitano di un confronto con l'esterno per poter accedere ad un chiarimento delle posizioni di ciascun attore della vicenda. E' importante che l'adulto che ascolta il minore sia in grado di contenere dentro di sé empaticamente la consapevolezza di avere a che fare con emozioni intensamente contraddittorie, in cui amore e odio possono essere compresenti in modo ugualmente intenso. Gli operatori, psicoterapeuti compresi, non sono esenti da reazioni emotive molto intense quando entrano in contatto con l'ambivalenza delle vittime di gravi maltrattamenti. L'analisi del controtransfert diventa in questi casi indispensabile, anche come preliminare ad ogni possibile ascolto e non solo in contesti terapeutici; oggi sappiamo che ciò che dice il soggetto è determinato da ciò che è pensabile per il terapeuta(12). Solo se il terapeuta sarà in grado di ascoltare, e tollerare, che Anna (violentata dal padre con la complicità della madre) possa amare la propria madre a tal punto da rifiutare una nuova famiglia, si potrà andare oltre la maschera del pagliaccio che ride con la quale ben si rappresenta la ragazza in un disegno libero. E solo se si potrà accogliere la dichiarazione d'amore della bambina verso il proprio padre pedofilo, ed ascoltare la sua rabbia verso le leggi ingiuste che puniscono i padri incestuosi, si potrà andare oltre la presentazione di un falso Sé con il quale Paola ha imparato a presentarsi al mondo. Ed è questo anche l'unico modo per non condannare la piccola vittima al silenzio, per non costringerla a negare la propria consapevolezza di un fallimento ed imporle i panni di vittima innocente e passiva che impedirà l'instaurarsi di un reale rapporto terapeutico in quanto le si offre un'immagine degli eventi e dei sentimenti ad essi sottesi nei quali non le è possibile riconoscersi fino in fondo(13). La difficoltà dell'operatore rispetto a questa problematica è da ricondurre in gran parte al fatto che spesso la vittima di abuso non si comporta come una vera e propria vittima di un sopruso o di una violenza: Anna per esempio una ragazzina provocatoria, aggressiva, ipersessualizzata (lei stessa oggi abusante), è continuamente in fuga per ritornare a casa. Di frequente queste bambine sono reticenti, omertose, raccontano qualche particolare dell'abuso ma continuano a mantenere di fatto un'alleanza con l'abusante esponendosi al rischio di veder continuare l'abuso stesso. In altri casi questi bambini sembrano desiderare coscientemente di ritornare a farsi maltrattare, ed anche questo un comportamento estremamente in contraddizione con il tipico ruolo di vittima di una violenza. Esiste un ulteriore fattore che complica notevolmente la presa incarico dei bambini maltrattanti, ed in particolare delle vittime di abuso sessuale: la loro ambivalenza nei confronti del maltrattamento stesso e l'enorme contraddizione fra quanto dicono a parole e quanto esprimono attraverso il linguaggio extra-verbale o somatico. Mentre Lucia (oggi in affidamento pre adottivo) afferma per esempio di voler tornare da suo padre per continuare ad essere da lui abusata, è evidente come l'interruzione della sua convivenza con il nucleo famigliare incestuoso le abbia portato dei giovamenti immediatamente visibili da chiunque: c'è un progressivo e netto miglioramento del suo stato di salute avendo in precedenza lei sviluppato un'anoressia, uno sblocco delle sue capacità di apprendimento che al contrario durante l'abuso erano del tutto "congelate", così come il suo pensiero era gravemente destrutturato non consentendole neppure di produrre delle frasi di senso compiuto e comprensibile. Anche Sonia (abusata in epoca molto precoce dal padre), che durante l'abuso si era innamorata perdutamente del genitore abusante sviluppando un comportamento altamente aggressivo verso la madre, proprio durante l'incesto manifesta un grave episodio di regressione con destrutturazione del linguaggio, mutismo, grave depressione con totale inibizione del gioco e dei movimenti, bulimia. Il suo corpo lanciava un grido disperato che evidentemente non poteva avere accesso alla coscienza ed alla parola. Sul piano somatico quindi Lucia e Sonia esprimono un profondo disagio, lanciano un grido di aiuto agli adulti intorno a loro, grido poi negato sul piano verbale. C'è una profonda scissione fra ciò che queste bambine vivono in una parte della loro mente e ciò di cui invece sono consapevoli sul piano razionale. Non è facile vedere dietro una bimba spaventata e sofferente, il cui comportamento (per le bambine per es. che chiedono apertamente di essere protette dall'abuso) o le cui somatizzazioni lanciano inequivocabilmente un grido di aiuto ed una richiesta di protezione, anche la bambina innamorata del proprio genitore, il partner attivo dell'adulto perverso (per intenderci la bambina che riesce a farsi dire: "sei fantastica!" dopo l'atto sessuale). Spesso questo "segreto nel segreto" mantenuto con forza dalle piccole vittime di abuso per timore che le loro mamme non siano in grado di tollerare la sconvolgente verità, ed in qualche modo ciò spesso corrispondente al vero. Per esempio la madre di Valentina, dieci anni, che pur ha lottato per anni per proteggere la propria figlia dall'abuso sessuale del marito separato, è stata colta da conati di vomito frequenti e ripetuti, che sono durati per alcuni mesi, quando la figlia le ha rivelato, sia pur in modo molto sfumato, i giochi sessuali ai quali partecipava, non costretta con la forza, con il padre. Da un lato la bambina chiedeva aiuto alla madre, più volte supplicandola di non farla più andare a casa del padre, dall'altro le nascondeva la verità. Anche i professionisti più esperti possono incontrare delle difficoltà a tollerare l'ambivalenza, o "l'amore per la violenza" che certi bambini si portano dentro, o la loro ambivalenza verso gli abusanti, e possono arrivare ad incentivare, anche nel contesto terapeutico, una personalità caratterizzata da un falso Sé. E' il caso di Annalisa, odiata, nel vero e proprio senso della parola, dalla propria madre che la maltrattava fisicamente in modo molto grave e la disprezzava verbalmente, ed abusata sessualmente, oltre che fisicamente, dal proprio padre per anni. Annalisa oggi di dieci anni e con un ritardo mentale medio grave, ormai in affidamento preadottivo da un anno e mezzo, arriva un giorno in seduta con una foto della propria madre naturale strappata e aggiustata con lo scotch. "L'ho strappata per farti piacere", dirà al terapeuta che solo allora si renderà conto di non aver saputo tollerare, su un piano emotivo profondo, l'amore della bambina per una famiglia tanto distruttiva, non consentendole quindi fino in fondo di esprimere la propria sofferenza per la separazione dalla propria famiglia di origine che pure lei stessa aveva voluto chiedendo aiuto alle proprie insegnanti rispetto alla violenza sessuale. Annalisa potrà solo allora esprimere in modo esplicito il desiderio di tornare a casa, sia pur consapevole che i maltrattamenti sarebbero continuati, e verbalizzare il proprio desiderio di rivedere il padre del quale rimpiange i momenti di tenerezza durante i rapporti sessuali (rapporti che pure lei stessa aveva sempre detto essere caratterizzati da forte dolore fisico dovuto a penetrazione anale, orale e tentativi di penetrazione vaginale che hanno prodotto nella minore persino un blocco delle funzioni sfinteriche che ha reso necessario in due occasioni uno svuotamento manuale dell'intestino). Annalisa ha potuto dire che il padre è stato l'unico che le abbia mai dato affetto prima della nuova famiglia adottiva, portare al terapeuta la convinzione di essere una bambina profondamente cattiva, sporca, "pazza" e degna quindi solo del disprezzo del mondo. Contemporaneamente Annalisa ha potuto esprimere ai nuovi genitori adottivi il terrore di essere rapita di notte dal padre, dando così un senso ad un comportamento presente da sempre nella nuova famiglia, quello cioè di chiudere a chiave in modo ossessivo porte e finestre e di camminare sempre attaccata agli adulti di riferimento. Nel caso di Annalisa si è in presenza di una dissociazione (difficile pensare alla stessa persona che dice di voler tornare dal padre e che chiude a chiave le porte per non essere da lui rapita) e la compresenza di sentimenti tanto intensi quanto contrastanti verso una stessa persona ci indica con chiarezza la profonda confusione e l'immensa sofferenza con le quali questi soggetti devono convivere quotidianamente. Sono ormai molti ormai gli autori che individuano nella dissociazione una delle conseguenza dei maltrattamenti subiti durante l'infanzia(14) . 4..c L'ascolto del trauma quando non ci sono le parole per dirlo Pur nella convinzione che il mettere in parola il trauma sia una fase fondamentale nel percorso terapeutico, non dobbiamo sopravvalutare l'utilizzo delle strumento verbale nell'elaborazione del trauma stesso. La parola è solo uno degli strumenti a disposizione del terapeuta per curare i soggetti traumatizzati, e non sempre è lo strumento più efficace. E' stato recentemente dimostrato per esempio che far mettere in parola il trauma in un periodo immediatamente successivo all'accadimento stressante possa essere negativo per il soggetto e facilitare l'insorgere del PTSD. Il soggetto ha invece bisogno di interventi finalizzati a regolarizzare l'arausal ed a calmarlo. Tecniche di rilassamento sono indicate in questa prima fase. Per cento anni si è detto che si deve parlare del trauma per potersene liberare, ma queste immagini contraddicono questo dogma. È possibile, quindi, che sia necessario riviverlo e rielaborarlo senza parlarne, o senza parlarne interamente. Nella situazione traumatica si perdono le capacità di verbalizzazione e le funzioni dell'emisfero sinistro (organizzazione, contestualizzazione, sequenzialità temporale, rappresentazioni simboliche). Rimane attivo l'emisfero destro, il quale è deputato, tra l'altro, alla lettura delle sfumature emotive dell'ambiente. I pazienti con PTSD, infatti, sono molto sensibili all'umore degli altri e perspicaci. Essendo, però, anche egocentrici, autoriferiscono gli atteggiamenti degli altri. La terapia, afferma van der Kolk, deve, pertanto, cambiare il modo con cui l'emisfero destro interpreta i fatti. Le differenti funzioni degli emisferi cerebrali sono ampiamente provate dagli studi di Roger Sperry sui pazienti con sezione chirurgica del corpo calloso (split-brain)(15). Martin Tucker ha riscontrato anomalie nel corpo calloso nei bambini vittime di traumi. È stata, anche, riscontrata un'atrofia dell'ippocampo (centro cerebrale che categorizza le informazioni e che le pone nel contesto spazio-temporale adeguato(16)) nei soggetti traumatizzati. Questo tipo di lesione sembra essere in relazione con l'elevazione del cortisolo durante lo stress(17). Le aree cerebrali attive in relazione alle memorie traumatiche sembrano essere: la regione limbica destra (amigdala in particolare) e parte della corteccia occipitale (probabilmente fonte delle immagini visive). Al contrario, l'area di Broca, necessaria per il trasferimento in parole dell'esperienza, è disattivata. 4.d.L'intervento con l'EMDR nel campo del trauma "E' stata la prima terapia che non si fondava su quella che io chiamo la "tirannia del parola" per entrare in contatto con il mondo del paziente", afferma van der Kolk. "Le esperienze e le sensazioni fisiche e i sentimenti possono essere presenti nel paziente, che non ha bisogno di spiegarvi cosa accade, ma si può dire semplicemente al paziente << lo provi, lo viva, entri in quello stato>>". Si incoraggia in altri termini il paziente a sentire quello che sente. Con l'EMDR quando si vede lo stato traumatico che emerge non lo si incoraggia a svilupparlo, lo si mantiene in quello stato a livello di emersione, si dice "resti così!" e si fa la stimolazione bilaterale. Alcuni, come F. Shapiro, stimolano nell'EMDR i pazienti a raccontare la loro storia, altri, come van der Kolk, non attribuiscono alla narrazione del paziente grandi significati ed incoraggiano piuttosto le persone a sentire degli stati somatici, pur tenendo conto che ad un certo stadio del processo sia opportuno ricorrere alla formulazione cognitiva di questi stati. Tale percorso, con l'aggiunta di una stimolazione bilaterale, facilita l'elaborazione di questa sensazione fino a quando non è più disturbante. 4. e Cos'è la terapia EMDR(18) EMDR è un acronimo per Eye Movement Desensitization and Reprocessing (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari). E' un metodo clinico innovativo che può essere utilizzato all'interno del percorso terapeutico qualsiasi sia l'orientamento teorico del terapeuta e che ha aiutato con successo ormai più di un milione di individui reduci da eventi traumatici (abuso sessuale, violenza in famiglia, guerra, crimini) ma anche soggetti con altri disturbi psicologici (depressione, dipendenze, fobie e aspetti legati all'auto stima). E' una metodologia completa che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione ritmica destro/sinistra per trattare disturbi legati direttamente a esperienze passate e a disagi presenti. La stimolazione fisiologica sembra attivare il sistema innato di elaborazione dell'informazione e sembra altresì legato ai meccanismi inerenti l'immagazzinamento della memoria. Il trattamento con l'EMDR permette un approccio integrato che considera tutti gli aspetti salienti dei maggiori approcci psicoterapeutici più tradizionali. Infatti, l'EMDR è un metodo complesso di psicoterapia che integra molti elementi teorici e clinici di altri approcci terapeutici (psicodinamico, comportamentale, cognitivo, fisiologico ed interazionale) che vengono abbinati a movimenti oculari o altre forme di stimolazione bilaterale (per esempio i tamburellamenti destra/sininistra sulle mani). EMDR è usato fondamentalmente per accedere, neutralizzare e portare a una risoluzione adattiva i ricordi di esperienze traumatiche che stanno alla base di disturbi psicologici attuali del paziente. Dopo le varie fasi di una seduta di EMDR, i ricordi disturbanti precedenti hanno un'alterazione. L'immagine cambia nei contenuti e nel modo in cui si presenta, i pensieri intrusivi in genere si attutiscono o spariscono, le cognizioni del paziente diventano più adattive dal punto di vista terapeutico e le emozioni e sensazioni fisiche si riducono in intensità. Si sente che veramente il ricordo della esperienza traumatica fa parte del passato. Altri effetti positivi sono molto comuni, come un miglioramento nella prestazione, nell'atteggiamento, nello stato dell'umore e l'auto valutazione. E' noto che i due emisferi cerebrali hanno delle funzioni diverse e complementari a livello psicologico: quello sinistro, che controlla la parte destra del nostro corpo, ha un punto di vista più positivo, più analitico, permette di guardare avanti e di progettare. L'emisfero destro tende ad essere più olistico, ed è sempre in uno stato di all'erta per l'individuazione di pericoli. Quindi, la stimolazione in modo alternata dei 2 lati, che avviene durante l'EMDR potrebbe stimolare simultaneamente la rete positiva del sinistro mentre vengono evocati i contenuti negativi ed ansiogeni del destro. la memoria normale permette letteralmente di ri-cordare, cioè permette di ri-assemblare le informazioni immagazzinate in indizi situazionali. Un ricordo traumatico invece, è immagazzinato in modo diverso. Infatti, tutte le immagini, suoni e sensazioni legate al momento originale sono immagazzinate nello stesso modo in cui sono state sperimentate ed è per questo che alcune vengono costantemente ri-sperimentate a livello psicologico. Gli eventi traumatici incidono sull'equilibrio, causando un cambiamento patologico negli elementi neuronali, che mantengono così gli eventi nella loro forma ansiogena originale. Il fatto che rimangano nella memoria attiva, genera tra le altre cose i pensieri intrusivi, flashbacks e incubi. Shapiro afferma che i movimenti oculari saccadici e ritmici usati man mano che il paziente si concentra sull'immagine traumatica e con le convinzioni dal punto di vista cognitivo ad essa legati restaurano l'equilibrio neuronale, modificando la patologia della rete neuronale e permettendo di proseguire l'elaborazione dell'informazione fino alla risoluzione. A questo punto si possono veramente aiutare i pazienti ad acquisire e processare nuove informazioni per aumentare il funzionamento adattivo e i nuovi apprendimenti possono avere luogo più facilmente. L'elaborazione dell'informazione consiste nella comunicazione attiva o condivisione di informazioni tra le reti neuronali. La mancanza di elaborazione è l'incapacità delle reti informative di comunicare tra di loro. Questo fenomeno è strettamente legato al disagio psicologico, ai disturbi comportamentali, cognitivi, dell'affettività e alle relative conseguenze sull'adattamento. Le patologie basate sull'apprendimento sono il risultato di informazioni che vengono mantenute nel sistema nervoso in modo non funzionale dovuto ad una elaborazione incompleta. In modo specifico, durante le sedute di EMDR le informazioni disturbanti e non adattive (emotività negativa, pensieri irrazionali e immagini intrusive), in genere definite come parte della psicopatologia, vengono risolte e gli eventi traumatici possono essere integrati in modo positivo, con la stessa velocità con cui questi elementi erano stati acquisiti. Questo è molto diverso dalle aspettative terapeutiche dei modelli tradizionali di psicoterapia. In realtà permette al cervello di guarire i suoi problemi psicologici alla stessa velocità che il resto del corpo guarisce dai problemi fisici. Dopo il trattamento con EMDR aumenta il funzionamento della corteccia prefrontale (cosa che consente di prendere la distanza dal trauma) e del giro cingolato anteriore (la cui funzione è, tra l'altro, di distinguere tra ciò che è importante e ciò che non lo è). 4. f Trauma ed EMDR Come ampiamente sottolineato in precedenza, l'EMDR può essere utilizzato sia su traumi singoli sia su traumi multipli, all'interno di un percorso terapeutico che terrà conto di tutto quanto esposto nel corso di questo articolo. L'EMDR risulta tuttavia essere una risorsa straordinaria soprattutto in casi di traumi singoli e può essere utilizzata con successo in quella che viene definita come "psicologia dell'emergenza". Sempre più spesso lo psicologo è chiamato in causa nel sostegno e nella cura alla vittime di disastri naturali, atti terroristici o altri avvenimento traumatici che coinvolgono intere popolazioni. In questi casi viene richiesto o un intervento di debriefing oppure un intervento di elaborazione del trauma che consenta alle vittime di superare il PTSD nel più breve tempo possibile. E' evidente che in questi casi occorre una tecnica di terapia efficace in poco tempo, che possa essere utilizzata con molte persone contemporaneamente e che abbia effetti anche se utilizzata in situazioni estemporanee. L'EMDR può essere quindi una risorsa importante in tutte quelle situazioni in cui non è proponibile una terapia tradizionale ma è necessario un intervento psicologico su un'ampia fascia di popolazione. 4.g Il trattamento con EMDR di bambini sopravvissuti al terremoto del Molise nel 2002 Voglio qui a seguito presentare un'esperienza di terapia con l'EMDR svolta in Molise un mese dopo il terremoto che ha ucciso 27 bambini (in prevalenza di sei anni) a seguito del crollo di una scuola nel novembre 2002. Questa descrizione vuole essere semplicemente un piccolo esempio di come può essere efficace questa tecnica in casi di traumi singoli su soggetti (in questo caso bambini) che hanno una buona coesione del Sé ed un attaccamento sicuro pre-traumatico. L'intervento si è svolto nell'arco di tre giorni con la partecipazione di undici psicoterapeuti dell'Associazione EMDR Italia specializzati nella cura di bambini che hanno subito uno stress traumatico. Abbiamo operato all'interno di una scuola inaugurata da poco, in situazioni di fortuna (ovviamente la scuola in una tendopoli non disponeva di undici salette ed abbiamo dovuto utilizzare persino la palestra per svolgere le nostre sedute). Ogni terapeuta ha svolto una breve anamnesi con i genitori dei bambini da trattare e poi sono state svolte due o re sedute di circa un'ora ciascuna con ogni bambino. In tutto sono stati trattati sedici in tre giorni e tre adulti. Molti bambini avevano perso amici, parenti o fratelli nel crollo della scuola, tutti erano rimasti intrappolati per ore sotto le macerie in attesa dei soccorsi, fra cadaveri e feriti; la maggior parte dei pazienti trattati aveva una diagnosi di PTSD formulata nel primo colloquio iniziale anche con l'ausilio di un questionario dell'Istituto Superiore della Sanità, Protezione Civile Regione Molise. L'obiettivo del lavoro non è stato ovviamente quello di fare una terapia al bambino per problemi precedenti il trauma, problemi che non possono certamente essere trattati in tre sedute, ma solo di aiutarli a ridurre i sintomi di PTSD (o prevenire un PTSD) ed elaborare il lutto per la morte di amici e fratelli. I bambini con problematiche pre-traumatiche di particolare gravità non sono stati trattati, ma è stato fatto con loro quello che viene definito come "installazione di risorse". Tre sedute non sarebbero state sufficienti per lavorare con pazienti così problematici, ma con un maggior numero di sedute anche in questi casi l'EMDR avrebbe potuto essere efficace. Lucia Lucia è una bambina di nove anni; si trovava in classe durante il terremoto e mentre disegnava ha visto muoversi i muri, le sedie spostarsi ed il soffitto crollarle in testa. Mi sono nascosta sotto il banco come mi ha detto la maestra e tutto mi è crollato addosso. Ero ferita, avevo male da tutte le parti e la mia faccia era schiacciata fra due pezzi di muro così non potevo muovermi. Sono stata molto molto tempo sotto le macerie. Prima sentivo i miei compagni lamentarsi, piangere, chiedere aiuto. Poi il silenzio... mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata ho sentito tutti i miei compagni che urlavano da sotto le macerie che io ero morta. Io ero viva ma non riuscivo a farmi sentire perché la voce non mi usciva dalla gola, e poi ero debole e non riuscivo a gridare. Il momento più brutto è stato quando io ero là sotto e ho visto arrivare i soccorsi. Delle mani dei Vigili del fuoco prendevano i miei compagni, ma io non riuscivo a gridare: "Hei ci sono anch'io!. Sta a vedere che pensano che sono morta e mi lasciano qui", ho pensato, ma non riuscivo a far niente per farmi sentire. Lucia ha una diagnosi di PTSD acuto: incubi, insonnia, flashbacks, mal di testa, mal di pancia, terrore immotivato per tutti i più piccoli rumori, uno stato di iper arausal cronico dal giorno del terremoto. Per quanto riguarda i comportamenti di evitamento per esempio passa tutti i primi trenta minuti della seduta a parlarmi della sua paura che anche la nuova scuola possa crollare: vuole fare la seduta vicino alle porte di sicurezza e continuamente ne verifica l'efficienza (ma tanto anche queste porte sono inutili perché se crolla il tetto le porte si bloccano), sobbalza quando qualcuno fa il più piccolo rumore fuori dalla stanza e parla senza mai fermarsi del suo terrore che la terra possa tremare di nuovo. Da quel momento Lucia dice di non sentirsi più al sicuro in nessun posto al mondo, e non vuole più tornare in una casa in muratura ma vivere per sempre in una tenda (così se cade non mi ferisce). Il primo intervento con l'EMDR è quello di trovare un posto sicuro ed "installarlo" in modo che diventi una risorsa per il paziente ogni volta verrà colto dall'ansia. Non esistendo posto al mondo definibile come sicuro per la mia piccola paziente, utilizziamo il mondo della fantasia. E' il terapeuta a suggerire un posto sicuro perché Lucia non ne trovava nessuno: una tenda? Una casetta di palloncini? Una casetta di dolci? Una casetta tutta di dolci è il posto più sicuro al mondo, dice Lucia, perché io non ho paura che crolli, anzi, non vedo l'ora così mi mangio un sacco di cioccolata, biscotti e caramelle. La casetta è in mezzo a un campo così nessuna casa ci cade addosso quando viene il terremoto. Disegnamo la casetta su un foglio e poi appiccichiamo il disegno sul diario scolastico di Lucia in modo che possa sempre essere a portata di mano. Installiamo la casetta con i movimenti oculari e Lucia "si lecca i baffi" con aria beata mentre pensa alla casetta. Le insegno anche il butterfly Hug (19) in modo che possa ritornare da sola nel posto sicuro quando io non ci sarò più (cosa che Lucia farà la notte dopo, durante l'ennesima piccola scossa di terremoto dicendomi di averne tratto grande giovamento). Terminata questa prima fase lavoriamo sull'immagine più disturbante che Lucia ha del terremoto che risulta essere quelle di lei che viene scambiata per morta. Attraverso diversi set di movimenti oculari accade in Lucia qualcosa che non mi comunica ma che ha effetti incredibilmente positivi su di lei. Che strano, mi sento tranquilla... e ancora ... mi sembra di essere nella casetta ... ed altri interventi di questo genere danno l'idea al terapeuta che qualcosa di importante sta accadendo senza che la bambina debba metterlo in parola. Al termine della seduta (durata 75 minuti) Lucia spontaneamente si reca verso l'uscita di sicurezza e dice con aria soddisfatta: Che strano. Chissà perché prima pensavo che non si aprissero bene queste porte. Funzionano benissimo. Domani torni? La sera stessa il telegiornale comunica che anche l'ultimo bambino ferito nel terremoto, Luca, è morto in ospedale. C'è un riacutizzarsi del dolore collettivo, ed anche Lucia piange molto a casa: era un suo amico del cuore e ha voluto rivedere tutte le foto in cui lei era ritratta insieme al suo amichetto. Sai, dove guardavo guardavo vedevo solo morti sotto le macerie. Ero circondata dai miei amici morti, con le teste schiacciate, il sangue che colava. Tutti morti. Luca però mi parlava, lui era vivo. Mi diceva: "salvami tu Lucia, aiutami, tu puoi farlo, fai qualcosa, dammi l'acqua, tirami fuori di qui". Ma io non mi potevo muovere. Poi arrivano i soccorsi e quando mi tirano fuori Luca mi urla "stronza, tu te ne vai e mi lasci qui. Aiutami, non andare via! Io appena sono uscita l'ho detto che Luca era là sotto, non è colpa mia se è morto, io l'ho detto. Ma non volevo salire sull'ambulanza perché volevo vedere se lo tiravano fuori. La mia mamma mi ha abbracciata ma io pensavo a Luca che mi diceva che era colpa mia se non lo salvavo. Lavoriamo con l'EMDR sull'immagine più disturbante di quel momento così drammatico ed emerge un racconto sconvolgente: Io ero là e vedo un Vigile del fuoco che mette la mano vicino a me. Penso: "sono salva", ma lei invece di salvarmi mi dice: "bambina, spostati che devo fotografare i morti". Io non capivo, pensavo fosse impazzita che invece di salvarmi mi voleva ammazzare perché se mi spostavo mi cadeva tutto in testa. Solo dopo ho capito che era una giornalista travestita da pompiere. E' colpa dei giornalisti se tanti bambini sono morti perché hanno rallentato i soccorsi. Io li odio i giornalisti. Anche quando sono uscita vedevo la sua faccia da tutte le parti, anche dove non c'era, ero perseguitata dalla sua faccia. La bambina, attraverso un set di movimenti oculari, compie un percorso in cui passa dalle scene di morte a quelle in cui si vede viva e alla fine fra le braccia della sua mamma all'ospedale, nella scuola nuova. Sono felice di vivere perché vivere è bello dirà al termine della seduta. Riprendendo nuovamente l'immagine disturbante appare evidente che c'è ancora una forte rabbia che disturba la mente di Lucia. Lavoriamo con l'EMDR su questa rabbia ed alla fine, attraverso una serie di fantasie di vendetta tipicamente infantili (la giornalista mi viene voglia di metterla nel water e di buttarla nel cestino dell'immondizia) Lucia termina i movimenti oculari dicendo che si sente serena e che ormai non è più così arrabbiata con la giornalista perché tanto si trova nell'immondizia e lei invece è nella scuola nuova. Ritornando all'immagine iniziale emerge nuovamente il dolore per la morte del suo amico Luca: rivede l'immagine della bara vista in televisione. Occorre fare un lavoro sull'elaborazione del lutto con l'EMDR e attraverso una serie di movimenti oculari Lucia riesce a dirsi che Luca è morto e lei non può farci niente, che non è colpa sua se è morto e riesce anche a ricordare una serie di momenti belli trascorsi con lui. Lucia tornerà il giorno successivo per la chiusura del lavoro terapeutico. Ha un album di fotografie in mano e me le vuole far vedere: vedi, questo è vivo e questo è morto, questo è vivo e questo è morto. Questa è la foto della mia festa di compleanno e metà dei bambini nella foto sono morti. Alla richiesta di sapere perché mi mostrasse quelle foto così dolorose Lucia mi risponde che le hanno salvate da sotto le macerie della sua casa lei e la mamma, sono importanti, e poi è bello pensare di essere vivi. Vedi, adesso anche se mi dispiace per i miei compagni morti riesco a sorridere pensando di essere viva. Torni domani? Lara Lara ha sette anni e si trovava nella classe dove il terremoto ha ucciso tutti i bambini tranne lei ed un'altra bambina. Dall'intervista clinica iniziale e dall'anamnesi con i genitori emerge una diagnosi di PTSD; insonnia, incubi, stato di ansia generalizzato, mal di testa. Lara è ipercontrollata nell'eloquio, nella postura, nell'esternazione delle emozioni: sembra un pulcino spaventato da tutto che teme anche solo di parlare. Sussurra infatti al posto di parlare. Tutta la prima seduta viene impegnata a installare il posto sicuro. Lara non riesce neppure con la fantasia a sentirsi al sicuro da qualche parte. Tutto il mondo è in pericolo, la fantasia è bloccata, l'espressione grafica anche. Con molta fatica arriviamo a concordare che un posto sicuro potrebbe essere una casa di palloncini sospesa a mezz'aria legata al cielo con una corda a cui la bambina si può tenere. Nella casa c'è anche la sua mamma. Lara però non riesce mai a rilassarsi ed anche nei movimenti oculari in cui si cerca di farla sentire al sicuro le viene il mal di testa. Il terapeuta le dice che ci sono troppi pensieri nella sua testa. Lara concorda e disegna delle nuvole nere, sempre più nere, il tratto pesante e marcato. Sono tutte le nuvole che stanno nella mia testa, per questo mi viene il mal di testa. Facciamo così insieme un lavoro, sempre con i movimenti oculari, in cui cerchiamo di immaginare tutte le nuvole nere che escono dalla sua testa: dalle orecchie, dai buchi del naso. Un debole sorriso appare sulle labbra di Lara. Domani lavoriamo sulle nuvole nere. La nuvola più nera di tutte è l'immagine della faccia di Veronica, la sua amica del cuore, schiacciata sotto le macerie, piena di sangue. Veronica piange, si lamenta, le chiede aiuto. Aveva il viso incastrato fra due pezzi di muro e non poteva girare la faccia, voleva sempre che le parlassi e se stavo zitta urlava: "parla, non lasciarmi sola. Aiuto, Lara è morta!" ma io non ero morta, ero solo stanca, volevo dormire, non vedere più niente, e sentivo sempre la sua voce. Ero convinta che stavo per morire. Lavoriamo con i tamburellamenti (un altro tipo di movimenti ritmici destra - sinistra che si effettuano sulle mani del paziente con gli occhi chiusi) su questa immagine e Lara vede dei volti tutti ricoperti di maschere arancioni. Dopo qualche tempo comprende che sono i volti dei suoi amici morti che la rimproverano di essere ancora viva mentre loro sono tutti morti. Io dovevo morire, era meglio se morivo. Lavoriamo sul senso di colpa per essere sopravvissuta e Lara fa una serie di associazioni molte delle quali comunicate solo attraverso la mimica facciale. La bambina ha paura di parlare. Durante un set di tamburellamenti Lara di colpo esclama: non è colpa mia se sono viva! Dopo questa esclamazione la bambina cambia argomento, vuole smettere l'EMDR per disegnare. Io sono un'artista sai, ti faccio vedere come disegno bene. Tutti me lo hanno sempre detto che diventerò una pittrice. Lara disegna veramente bene; due bellissime farfalle colorate troneggiano sul foglio bianco. Interpreto questi movimenti della mia piccola paziente come una resistenza alla terapia, una voglia di fermare il processo di elaborazione troppo doloroso. Per fortuna ho avuto il buon senso di tacere perché solo al termine della seduta capirò fino in fondo il significato di quelle due farfalle. La bambina vuole uscire ed andare in altalena. E' così tanto insistente che non riescono ad impedirglielo e con qualche riluttanza acconsento. Lara fa un gesto molto buffo quanto profondo: con un grande soffio butta le nuvole nere nel bidone dell'immondizia (non dimentichiamo che ci trovavamo in uno sgabuzzino!). Le lascio qui. Sono solo immondizia. Io adesso vado a divertirmi! Lara ride in altalena, sembra un'altra bambina rispetto a quella che avevo conosciuto, vuole che la spinga in alto fino al cielo e quando sta andando velocissima esclama gridando: Io adesso rido e mi diverto, così quando morirò almeno me la sarò goduta questa vita! Voglio ridere perché vivere è bello! Lara torna in classe: Maestra, questa terapia ha funzionato benissimo, adesso vado persino in altalena!. L'EMDR ha ridato a Lara la voglia di vivere in due sedute. E' molto probabile che adesso ci siano le condizioni per evitare che la bambina sviluppi un PTSD in futuro. Note: 1) Psicologa, psicoterapeuta, "Synergia Centro Trauma", Via Peschiera 15, 10024Moncalieri (To) tel 335/67.65.376 www.synergiacentrotrauma.it 2) Il presente articolo deve molto del suo impianto teorico a: Judith Herman (1992) Trauma e guarigione del Sé, Basic book; Felicity De Zulueta (1999) Dal dolore alla violenza, Raffaello Cortina, Milano; Althea J. Horner (1993) Relazioni oggetturali, Raffaello Cortina, Milano. Oltre a questi tre volumi, che per semplificare non citerò sempre ma dalla cui lettura vengono riprese molte delle riflessioni proposte, di grande aiuto mi sono state le conversazioni e la formazione fatta con Felicity De Zulueta, psichiatra responsabile di un centro per il trattamento del trauma al Maudsley Hospital in Gran Bretagna e Alessandro Vassalli, psicologo e psicoterapeuta dell'A.R.P. di Milano. A tutti loro va il mio ringraziamento e la mia immensa stima e riconoscenza. 3) Confronta la letteratura sull'attaccamento, Bowlby, Ainsworth e fra gli altri Peter Fonagy ( 2002) Psicoanalisi e teorie dell'attaccamento, Cortina, Milano 4) Da questo momento il Disturbo post traumatico da stress verrà denominato PTSD 5) La produzione letteraria di van der Kolk sul tema del trauma è molto ampia. Molti articoli possono essere reperiti su internet www.emdr.practitioner.net/book reviews.htm, Trauma information page of David V. Baldwin, Oregon, USA; (1994) "The body keeps the score: memory and the evolving psychobiology of post traumatic stress", in (2000) internet www.emdr.practitioner.net/book reviews.htm, Trauma information page of David V. Baldwin, Oregon, USA; molte delle riflessioni posposte in questo articolo sono state tratte dalle lezioni da lui tenute a Milano nel 2001 organizzate l'una dall'Università Cattolica, l'altra dall'Associazione EMDR Italia (trascrizioni a cura di Maurizio Maggioni e dell'associazione EMDR Italia). 6) Marinella Malacrea (1998) Trauma e riparazione, Cortina, Milano 7) Per la descrizione dettagliata della psicoterapia di Sara cf. C. Roccia (a cura di) (2001) Disturbi Dissociativi dell'Identità (Personalità multipla). "Un'esperienza di psicoterapia con una adolescente vittima di abuso sessuale", in Riconoscere e ascoltare il trauma, Franco Angeli, Milano 8) J. Frederickson (1990) "Hate in countertransference as an empathic position", in Contemporary Psychoanaliysis, 26, pp. 479 - 496 9) M.Boston, R. Szur (1996) Il lavoro psicoterapeutico con bambini precocemente deprivati, Liguori, Napoli 10) Greenberg R.J. (1986) "Theoretical model and analyst's neutrality", Contemporary Psychoanalysis, 22, pp 87 -106 11) Daniela Bruno (2001) "Far dire il trauma", in C. Roccia (a cura di) Riconoscere e ascoltare il trauma, Franco Angeli, Milano 12) M. Boston, R. Szur (1996) Il lavoro psicoterapeutico con bambini precocemente deprivati, Luguori, Napoli 13) S. Cirillo, P. Di Blasio (1989) La famiglia maltrattante, Cortina, Milano, vedi l'interessante caso clinico a pp. 235 so clinico pag.235) 14) G.O. Gabbard (1995) Psichiatria psicodinamica, Cortina, Milano 15) M.S. Gazzaniga (1989) Il cervello sociale, Giunti 16) H. Eichenbaum e al. (1996) Functional organization of the hippocampal memory system, Proc. Natl. Acad. Sci. USA, 93, 13500-13507 17) R. Yehuda, Neuroendocrinology of trauma and PTSD, in: Psychological trauma (R. Yehuda ed.), APP, 1998, pp. 97-131. 18) Cf. F. Schapiro (2000) EMDR, Mc. Graw Hill, Milano; R. Greenwald (2000) L'EMDR con bambini e adolescenti, Astrolabrio, Roma; il testo di questo capitolo in cui si illustra l'EMDR è stato scritto da Isabel Fernandez. Sull'EMDR cf. il sito internet www.emdritalia.it 19 (stimolazione alternata che si insegna ai bambini; viene chiesto loro di incrociare le braccia e di battere su un braccio alla volta in modo di facilitare la stimolazione alternata) cf. libri sull'EMDR citati |