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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Malattie Croniche e/o Neoplastiche



Il fenomeno psicosomatico: nuove ipotesi di lavoro

di Fabiola Fortuna



L’ambiguità nella psicosomatica : confusioni storiche
Per affrontare la questione del corpo tenendo adeguatamente in vista la sua specificità è indispensabile fare riferimento e approfondire le dimensioni teoriche che sottendono la psicosomatica che deve intendersi, fondamentalmente, come un orientamento delle scienze mediche, di quelle psicologiche e di quelle psicoanalitiche finalizzato a privilegiare l'aspetto della totalità psicofisica degli individui.
Purtroppo, però, questo vocabolo viene spesso usato impropriamente ed è stato anche molto inflazionato, cosa che ha dato luogo a confusioni che possono sfociare in un generico dire tutto e il contrario di tutto e magari, in alcuni casi, coprire atteggiamenti diagnostici poco scrupolosi e superficiali.
Il termine “psicosomatica” comparve per la prima volta nella medicina romantica con J. C. Heinroth nel 1818, nel 1922 K. Jacobi introdusse invece l’espressione "somatopsichico" e poi, per parecchio tempo non si fece più menzione di questi argomenti fino a che Felix Deutsch parlò di "medicina psicosomatica" ( nel 1919 fondò una clinica in cui si curavano le “nevrosi organiche”), introducendo, di fatto, quest'ultima nella scienza medica ufficiale.
Nel riferirsi al concetto della psicosomatica si va spesso incontro, a volte del tutto inconsapevolmente, ad una confusione, giacché il problema della divisione mente corpo è, come dire, sempre in agguato e, inoltre, riferendosi a questa espressione, si può intendere sia il concetto di medicina "olistica", sia la questione dell'origine psichica delle malattie.
Di certo, però, si può affermare che il problema della psicosomatica è antico quanto il mondo, tant'è vero, che già Platone affermava che la mente risiedeva nel cervello e Aristotele nel cuore, come dire che già da allora, ci s’interrogava sulla questione della guarigione e di dove questa avvenisse: nella mente o nel corpo ? E la mente è materiale oppure no? Ippocrate portò il suo "contributo" affermando che è nella natura stessa dell'uomo che è insito il processo del risanamento, cosa apparentemente risaputa e ovvia anche se non ci s’interroga mai abbastanza sul senso di quanto le ragioni di alcuni processi inspiegabili stiano in realtà nell'individuo stesso: tutti sappiamo cosa succede quando ci si punge un dito, e, cioè che poi di fatto il sangue coagula e non si muore (generalmente!) dissanguati.

Determinismo culturale
La questione della guarigione rimanda poi al concetto di salute, che, essendo “cultural dipendente”, assume significati assai diversi a seconda della situazione di riferimento cui si appartiene. Sicuramente c’è un’enorme differenza nel modo di concepire la malattia in oriente e in occidente, così come sono diversi gli approcci terapeutici che si utilizzano.
Attualmente le scienze biologiche e mediche, in occidente, con il relativo campo di ricerca, derivano dalla visione cartesiana, per la quale, esiste una divisione tra “res cogitans” e “res extensa”: l’uomo è visto come una macchina, (Cartesio si riferiva appunto all’esempio dell’orologio mosso dal Grande Orologiaio), l’individuo sta bene quando tutti i pezzi funzionano a dovere e ciò costituisce la base della visione meccanicistica.
L’impostazione fondamentale che sottende il modello della società capitalistica deriva dunque dall’intendere la produttività come il valore fondamentale da cui essere guidati, quello che conta è il buon funzionamento della macchina, ivi compresa la macchina uomo, e, in questo senso, ogni evento che si frapponga al raggiungimento di questo valore è visto come qualcosa di spiacevole e inaccettabile che non va compreso, ma solo eliminato in gran fretta.
In tutto ciò, chiaramente, rientra la questione della malattia, per non palare della morte, eventi ambedue che bisogna tentare o di risolvere in modo illusoriamente perfetto o, dove ciò non sia possibile, negare, negare sempre tutto, quello che conta è il “rendimento”.
E’ evidente quanto quest’impostazione possa forse offrire da un lato garanzie di rigorosità, ma, per altri versi possa invece rivelarsi assai pericolosa, poiché allontana il soggetto dall’assumersi realisticamente la responsabilità della propria vita e della malattia, che, se capita, rappresenta in ogni caso un evento che, inevitabilmente, deve inserirsi nel campo della propria esistenza.
Ho usato in precedenza il termine soggetto, che poi è il nucleo fondamentale della questione. Per l'appunto, un approccio alla malattia, di qualunque natura sia, non dovrebbe mai limitarsi a indagini anatomopatologiche specifiche sui vari organi, ma dovrebbe tener presente la necessità di operare un passaggio dal discorso del “disturbo”, sia esso fisico o psichico, riferito al concetto di “organismo”, a quello di “sintomo”, che introduce alla questione del “corpo”.
Infatti parlare di corpo significa porre il tema dell’amore, quello, per cui Freud introdusse l’argomento del narcisismo: il corpo è l’unificazione tra un organismo e l’immagine che di questo si ha.

Tornando alla psicosomatica, mi sembra importante, come si è detto, cercare di fare un po’ di chiarezza perché con questo temine s’intendono sia gli stati morbosi che possono creare situazioni depressive nel soggetto, sia il fatto che esistono delle possibili cause e concause psichiche nell’eziopatogenesi delle malattie organiche. Personalmente reputo sia più utile inquadrare la questione da quest’ultimo punto di vista e mi sembra utile a tal riguardo la seguente suddivisione in disturbi funzionali e disturbi psicosomatici veri e propri ( è evidente che inoltre esistano patologie organiche con eziologia del tutto diversa).
I disturbi funzionali sono quelli che in pratica sono dovuti ad un alterato funzionamento d’apparati ed organi e, rientrano in questa categoria, tutte quelle più o meno lievi patologie per le quali le persone, in genere, si rivolgono ai medici di base e sono ad esempio: il vomito, i rossori, alcuni casi d’enuresi, la tosse psicosomatica, alcuni disturbi della sfera sessuale maschile e femminile, alcuni disturbi gastrici, certe forme di paralisi, la cecità isterica ed altri. Tutte queste patologie sono in stretta correlazione con lo stato dell’umore e all’espressione, più o meno intensa, di determinate emozioni che le migliorano o le peggiorano.
I disturbi psicosomatici veri e propri sono invece quelli in cui vi è una compromissione d’organo riscontrabile e per questi riporto la classificazione che ne fece Alexander che fu poi riconosciuta dall’OMS negli anni quaranta, visto che la si può ritenere ancora valida :
ulcera gastroduodenale, colite ulcerosa emorragica, artrite reumatoide, ipertensione arteriosa psicogena, tireotossicosi o morbo di Bassedow, psoriasi, asma bronchiale, cefalea emicranica.

Una sfida innovativa
Credo, quindi, che la sfida del futuro sia quella di cominciare ad inserire tra i disturbi psicosomatici veri e propri anche il cancro, le malattie cardiovascocircolatorie e la sclerosi multipla.
Questo, deve essere chiaro, non significa dire che l'eziopatogenesi di tali malattie sia solo ed esclusivamente d’ordine psichico; chi affermasse questo sarebbe completamente fuori strada; ma, è probabilmente importante, imparare a considerare che, quasi certamente, in ogni affezione somatica ci può essere una concausa di tipo psicologico sia per quanto riguarda la genesi che per quello che è il decorso dell'evento della patologia stessa.
Del resto, rispetto ad esempio al cancro, l'ipotesi maggiormente credibile, per quel che riguarda il suo costituirsi, è sicuramente quella trifattoriale intendendo quindi che sicuramente vi sono cause collegabili alle questioni ambientali, altre di tipo familiare e genetico e poi quelle di natura psicologica.
La questione che mi sembra utile tener presente è che al momento poco si può fare sul fronte dell'inquinamento dell’aria e dei cibi, specie nei centri industrializzati, poco si può influire, almeno sino ad oggi, sulle questioni inerenti alle predisposizioni genetiche e alle familiarità : l'unico aspetto su cui si può forse intervenire è proprio quello relativo agli aspetti psicologici, poiché, in quest’ambito esistono delle effettive possibilità di cura.
Sembra tuttavia che, al momento, in Italia esista una certa diffidenza nei confronti di questo discorso. A mio avviso, non è ancora davvero attuale una specifica sensibilità rispetto alla considerazione degli aspetti psichici delle malattie né, a tutt'oggi, sembra essere presente , malgrado i discorsi apparentemente orientati in questa direzione, un’effettiva considerazione del malato inteso come unità somatopsichica. Tutti affermano nei vari ambiti che l’individuo è un insieme di psiche e corpo ma, nei fatti, la rigida divisione dei due elementi è ancora assai diffusa, tanto che, troppo spesso, nelle strutture sanitarie di vario tipo, le persone vengono viste ancora come solo degli organismi, per i quali la considerazione degli aspetti psichici è in pratica elusa.

Le ipotesi multifattoriali
Del resto della stretta interazione fra fattori psicosociali e cancro si sono occupati moltissimi autori, ricordiamo ad esempio C. B. Bahnson e M.B. Bahnson (1966) che hanno evidenziato come nella strutturazione della personalità degli individui che poi sviluppano un cancro ci sia un’utilizzazione massiccia di meccanismi difensivi quali la rimozione e il diniego; poi Le Shan che ha fatto notare come le persone che sviluppavano un cancro avessero subito, precedentemente, dei lutti significativi o in ogni caso delle separazioni particolarmente sofferte. Un importante contributo è stato prodotto dalla scuola francese, con gli psicoanalisti Marty e de M'Uzan che notarono come individui che sviluppavano disturbi psicosomatici presentassero una povertà fantasmatica e di “reverie” e una rigida separazione tra dimensioni consce e inconsce, avevano cioè, in definitiva, quella che si può esprimere come una mancanza di rappresentazioni.
Questi soggetti sono spesso persone che apparentemente sembrano totalmente ben adattate , quelle per la cui definizione verrebbe da usare il termine “normali”.
Utilizzano prevalentemente un pensiero operatorio, cioè concreto, in cui, sono quasi assenti, o poco sviluppati, gli aspetti emozionali.
Anche Biondi e collaboratori hanno portato un loro contributo e mi pare interessante citare una delle loro ricerche in cui è emerso come persone affette da mastopatia fibrocistica dessero delle risposte alle scale nevrotiche del M.M.P.I. che producevano un'elevazione ai questionari sull'ansia maggiore rispetto a quelle che presentavano un carcinoma mammario.
E' poi indispensabile citare la ricerca longitudinale condotta da Caroline Bedell Thomas, iniziata nel 1946, su un campione formato da un cospicuo numero di studenti e da un gruppo di controllo, ricerca tutt’ora in corso.
La ricercatrice dimostrò dopo quasi trent'anni di ricerche come il profilo dei soggetti che svilupparono un cancro fosse di fatto sovrapponibile a quello dei soggetti morti suicidi.
Il professor Gian Franco Tedeschi, in una tavola rotonda del terzo congresso mondiale del I.C.P.M. nel 1975, fece notare come gli psichiatri dell'era prekrepeliniana avessero già scoperto che se degli psicotici gravi avevano degli attacchi di malaria o di tifo con dei conseguenti stati febbrili elevati, interrompevano, almeno transitoriamente, gli stati mentali patologici, inoltre, le terapie biologiche da shock, producevano lo stesso effetto , tanto è vero che per un certo periodo, in psichiatria, si cominciarono ad usare il coma insulinico e l'elettroshock per questo tipo di sintomatologie.

Sempre nella stessa sede il professor Claudio Modigliani affermò che in definitiva anche la psicosi è pur sempre un salvataggio della vita operato dalla natura, “quindi una difesa biologica, che , per quanto pesante necessita del massimo rispetto (….) e, d'altra parte, non tragga in inganno il fatto che il quadro psichico possa parallelamente apparire molto migliorato e sgombro dai sintomi più gravi. Si tratta infatti di pseudoremissioni temporanee che nascondono una fase critica consistente proprio nella compromissione delle difese psichiche e nella regressione al livelli somatici che sono inaccessibili.” (1)

La teoria di Modigliani : “nevrosi e psicosi come modello di salute”
Cercherò ora di spiegare meglio quale sia il pensiero di questo psicoanalista che da più di trent’anni si occupa di pazienti definibili come psicosomatici gravi.
Secondo Claudio Modigliani, la salute e la "salvezza" anche psichica dell'individuo, starebbero nella sua possibilità di sopportare coscientemente la sofferenza psichica, per cui, la nevrosi e anche la psicosi, con il loro carico di difese e regressioni, rappresenterebbero, paradossalmente, comunque “il modello della salute”. Le sofferenze non percepibili, cioè preconsce e inconsce, minerebbero al contrario, pericolosamente, l'integrità psicofisica del soggetto. Ci sarebbe pertanto un passaggio tra lo psichico, rappresentato dalle sofferenze inconsce o stress, al soma, rappresentato dal sistema immunitario: questo potrebbe costituire un aspetto importante nell'eziologia delle malattie organiche in genere e del cancro e di altre gravi patologie in particolare.
Mi sembra che le teorie di Modigliani sulla “nevrosi come modello di salute” siano di grandissima utilità nell'approccio alla questione psicosomatica e mi sento, dopo tanti anni di lavoro in questo campo, di confermare in pieno questa impostazione.

Solo lavorando con le persone che sviluppano gravi malattie fisiche si può imparare a vedere come di fatto le difese psichiche possano più o meno proteggere dall'insorgere delle patologie somatiche, anche se, la consapevolezza, spesso, comporta il pagamento di prezzi molto elevati in termini di sofferenza psichica. Mai, come in questi soggetti, è necessario imparare a dubitare della veridicità della ricezione dello stato dell'umore; come diceva Lacan, “sentiment”: il sentimento mente.
Infatti, in genere, le persone affette da cancro, sono, dal punto di vista psicologico, apparentemente sagge e mature, si adattano con compostezza alle traversie della vita e si lamentano, in genere, abbastanza poco; come dire sembrano avere un atteggiamento stoico nei confronti del dolore fisico e morale: molto spesso questi soggetti non sembrano nemmeno troppo spaventati dalla malattia che hanno, né dalle terapie cui dovranno essere sottoposti; di certo appaiono assai diversi, e sembrano lontani anni luce da quelli che invece producono atteggiamenti “sanamente” nevrotici in cui compaiono, al contrario, dimensioni fobiche o ipocondriache
E' stato ormai riscontrato come il cancro e l'infarto siano le principali cause di morte delle società industrializzate ed è ormai evidente la stretta correlazione tra stress e industrializzazione.
Questo è un dato importante su cui riflettere ma che può significare cose diverse.
Da un lato è appunto sicuramente certo che l'incremento, come si diceva prima, dei fattori d’inquinamento ambientale e gli elementi legati alla familiarità e alla genetica abbiano un grosso peso nell'insorgenza di queste gravi patologie, ma, è anche vero che, nel nostro tipo di cultura, c'è sicuramente un innalzamento dei livelli di stress, che può essere definito come sofferenza inconscia non percepibile.

Rapporto tra stress e sistema immunitario
Com’è noto, il termine stress, che di per sé significa “sforzo”, fu introdotto nel 1936 da Hans Selye che, insieme a Walter Cannon scoprì quella che fu definita “sindrome generale di adattamento”. Tale quadro sintomatologico dà luogo ad una risposta biologica fondamentale e aspecifica dell’organismo che consiste nell'attivazione dell'asse che lega l'ipofisi al surrene e che produce appunto, un’ipertrofia della corteccia della ghiandola surrenale. Questa, a sua volta, crea un’atrofia del timo , che peraltro è la ghiandola che svolge un importantissimo ruolo nel sistema immunitario. Inoltre Cannon spiegò, sulla scia di Freud, come l'organismo cerchi di mantenere quella che definì “omeostasi” e come questa venga appunto disturbata dagli agenti stressanti sia fisici che psichici.

Stimoli esterni o interni pericolosi o ritenuti tali, producono comunque delle conseguenze sull’organismo. Certamente per permettere il mantenimento dell’omeostasi è fondamentale il ruolo che svolge il sistema immunitario che è preposto alla difesa biochimica dell’organismo nei confronti delle malattie e delle infezioni.
Ormai, emerge sempre più chiaramente, come lo stato dell’umore influenzi il sistema immunitario e sono numerosissimi gli studi che confermano la stretta connessione, già accennata, tra la depressione e l’abbassamento delle difese immunitarie. Cito un interessate studio, che mi pare confermi le ipotesi già avanzate da Le Shan (1958) di un gruppo di medici australiani che effettuarono esami di laboratorio su ventisei persone che avevano perso il coniuge poco tempo prima.
Chiaramente i medici volevano evidenziare come il lutto producesse un’incidenza sfavorevole, con conseguente abbassamento delle dimensioni immunitarie: questo emerse chiaramente e, infatti, dall’esperimento risultò che le cellule preposte alla difesa biochimica dell’organismo dei soggetti che avevano subito un lutto, erano molto più deboli, e producevano, alle stimolazioni immunitarie, delle reazioni poco appropriate (Schedlowski.M.,1994).
Bisogna però tener presente che non si deve criminalizzare lo stress in quanto tale, perché oltre a quello negativo ne esiste uno positivo.
Quello nocivo è , come si diceva prima, quello rappresentato dalla sofferenza inconscia, quel dolore di vivere non percepito che può portare alla costruzione di assetti difensivi troppo rigidi e patologici, per il mantenimento dei quali si pagano dei prezzi assai elevati.
Le difese psichiche servono per vivere ed è certo che è il tipo di strutturazione psichica che determina il modo in cui ci si relaziona alle varie questioni che la vita pone.

Nuove esperienze alla luce del pensiero di Lacan
I soggetti che sviluppano un cancro, almeno questa è la mia esperienza, sono persone disperate che non sanno di esserlo; sono individui che a causa di dimensioni narcisistiche esasperate vivono la vita ad un livello di insopportabilità di cui però sono completamente inconsapevoli a causa dell’uso massiccio di meccanismi difensivi, quali appunto, la rimozione e il diniego.
A tal riguardo è bene ricordare che il narcisismo esasperato può costituire una profondissima ferita che condanna il soggetto a non poter attuare, di fatto, delle modalità minime di separazione, indispensabili alla sopravivenza: la soggettività è totalmente schiacciata dal desiderio dell’Altro, che diventa la dimensione che si è costretti a privilegiare, sempre e comunque, a discapito di se stessi.
La possibilità di sviluppare un desiderio individuale presuppone che il soggetto sia arrivato alla questione della Legge che è quello che permette quindi di scegliere, avendo potuto accettare la castrazione simbolica: questa è la condizione necessaria per diventare soggetti individuati che possono esistere al di là della schiavitù delle pulsioni e dell'assoluta necessità dell’economia del bisogno.
Una legge serve ad evitare, per quanto possibile, di far del male a sé e agli altri, e non rappresenta quindi solo uno scopo ma, serve a tenere in piedi il livello del gioco, ivi compreso quello della vita, permettendo così l’esistenza di un legame sociale abbastanza umano. Quando si va “Al di là”, come Freud (1920) ci ha detto, le cose cambiano e, senza peraltro saperlo, si rinuncia alla dimensione del piacere che è quella che presuppone l’economia del desiderio. Si va allora verso il godimento non articolato al significante che si attacca invece alla questione del bisogno, si perde quindi quel po’ di libertà cui può tendere l’essere umano: il godimento di per se stesso cerca delle soddisfazioni altre che sono quelle che hanno a che vedere col dolore e con la morte.
I sintomi sono formazioni dell’inconscio che hanno una struttura di linguaggio e presuppongono quindi la possibilità della sostituzione e della metafora (come dire “c’è una cosa al posto di un’altra”) e inoltre hanno un senso che può essere interpretato alla luce delle prime esperienze del soggetto. Nella “questione psicosomatica”, invece, si deve parlare di “fenomeni”, in cui sembra che nel corpo stesso sia scritto quel qualcosa che il soggetto non riesce a leggere.
L’argomento fondamentale della cura diventa perciò come far leggere al soggetto ciò che di fatto è scritto nel corpo .
Lacan sosteneva che i fenomeni psicosomatici sono appunto legati ad effetti di linguaggio ma che sono fuori soggettivazione; si è, pertanto, in una situazione in cui non è possibile arrivare alla domanda e tanto meno al sintomo analitico, si è, insomma, al livello di “olofrase”.
Le persone che sviluppano un cancro sono in genere distrutte psicologicamente anche se non ne sono consapevoli e il soggetto non riesce ad emergere, non sono quindi in grado di combattere per la vita vissuta come espressione di sé contro le interferenze dell’ambiente; come si è già detto, sono degli individui adattabili che però di fatto esprimono invece un’incondizionata resa totale .
Si potrebbe quindi pensare che la struttura che sottende l’ammalarsi di cancro, o comunque di malattie psicosomatiche gravi, abbia a che vedere per qualche verso con il discorso della melanconia, in cui è presente la completa impossibilità di elaborare il lutto. Si pone pertanto la questione “dell’oggetto impossibile” quello cioè che non si può relativizzare, l’oggetto inteso come un tutto che deve soddisfare in modo perfetto e non perfettibile. Come dire: “ o così o morte”.
Sembrerebbe quindi che per questi soggetti non esista la possibilità di giungere alla dimensione dell’oggetto parziale, che rappresenta poi la grande scoperta della psicoanalisi, per cui non si può identificare una articolazione adeguata tra piacere e godimento.
Quello che sembra quindi importante per affrontare le gravi patologie psicosomatiche sembra essere l’offrire un intervento che prenda in considerazione con maggior forza gli aspetti psichici, oltre che organici, delle malattie, per cercare di permettere a questi pazienti di acquisire una posizione per cui, comprendendo un senso diverso che la loro vita potrebbe assumere, comincino in pratica a “temere” la morte e attivino le energie e le risorse personali per la costruzione di un progetto, così che la malattia possa diventare l’occasione per una rinascita.
Credo altresì che per giungere a questo sia indispensabile un approccio olistico al malato considerato come unità costituita da tre livelli: relazionali e sociali, biologici e biochimici, cognitivi ed emozionali. Non ci si deve riferire perciò ad un discorso di mera causa effetto rispetto ad uno stress psichico che scarica sul corpo e lo fa ammalare, ma si deve pensare ad un sistema aperto in cui ci sono scambi tra l’ambiente e i sistemi di informazione dello psicosoma e cioè sistema nervoso, endocrino ed immunitario.
Dopo molti anni di lavoro individuale e di gruppo, sia in ambiti istituzionali che con persone affette da malattie psicosomatiche gravi, ho messo a punto un nuovo metodo che mette insieme, con alcune modifiche, le esperienze elaborate con il professor Modigliani, quelle compiute con lo psicodramma analitico e quelle relative alla tecniche di rilassamento psicofisico e di visualizzazione.
A questo proposito è importante fare un accenno al fatto che nell’ambito della cura delle malattie psicosomatiche si può far ricorso anche all’utilizzazione dell’ipnosi e di alcune tecniche suggestive.
Mesner, nel 1773 scoprì, quello che denominò, “magnetismo animale”, prendendo spunto dalla teoria gravitazionale di Isaac Newton.

Tecniche suggestive
Nel 1841 Sir Brad denominò, poi, ipnosi (dal greco hypnos) sonno, le tecniche di fissazione dello sguardo e di suggestione. Charcot prima e Freud dopo, ripresero tutto questo e provarono a curare i disturbi isterici con l’ipnosi.
Come è noto, Freud è stato l’inventore della teoria della libido e dello sviluppo delle nevrosi e il modello che lui propose spiega i fenomeni isterici per via dell’articolazione tra aspetti somatici, psichici e sociali.
Fu Freud che introdusse il concetto di “conversione” che gli permise di spiegare il salto tra lo psichico e il somatico: il sintomo corporeo è il rappresentante dell’esperienza rimossa nell’inconscio, cioè, l’espressione simbolica del conflitto tra desiderio sessuale rimosso e difesa
All’inizio quindi Freud utilizzò l’ipnosi per curare l’isteria ma poi si rese conto che le dimensioni nevrotiche non erano affrontabili con questo strumento e quindi l’abbandonò.
La suggestione è una situazione in cui si presenta un preciso stato di coscienza, una specifica modalità di ricezione del messaggio ( su cui di fatto viene operato un basso controllo cosciente) e, inoltre, lo sviluppo di una particolare modalità di apprendimento. Tutto questo crea una relazione, del tutto caratteristica, tra paziente ed ipnotizzatore.
È bene tener presente che, per molto tempo, la medicina ha utilizzato, senza saperlo, proprio la suggestione, e si sa benissimo quanti e quali effetti si possano ottenere utilizzando anche il placebo.
La suggestione in effetti è il supporre che esista un Altro, per giunta immaginato anche come pieno; un altro che sia, in definitiva, proprio un grande Altro. E’ appunto questo che determina la potenza della parola, come ad esempio, quella della madre al suo bambino, quella parola che a volte poi si inscrive, spesso indelebilmente, nell’essere stesso.
Quindi, come afferma Jacques Alain Miller (1991)“ il fattore chiave di ogni psicoterapia è che esiste un Altro, che possiamo scrivere con la A maiuscola, un Altro che dice quello che bisogna fare e al quale il soggetto che soffre obbedisce e da cui attende approvazione.”
La differenza tra psicoterapia e psicoanalisi sta proprio nella scoperta del transfert
che è poi la messa in questione dell’analisi della suggestione, ma in analisi l’immagine dell’Altro si articola alla parola e cioè l’immagine si articola al simbolo.
Nella suggestione, così come in alcune psicoterapie, esiste il dominio dell’immagine dell’Altro sul soggetto, Altro che viene quindi interpretato come padrone. Questo produce poi un effetto di significazione e una identificazione all’Altro che, come dice Jacques Alain Miller (1991), “fa si che a questo livello la psicoanalisi abbia una base comune con la psicoterapia, e cioè un funzionamento attraverso l’identificazione, come punto di partenza”.
Esistono prove scientifiche che indicano come a volte si possano utilizzare tecniche suggestive sia nella cura dei disturbi psicosomatici che di quelli organici, oltre anche a volte interventi sul dolore.
Cito ad esempio quello che riferisce l’ipnologo X. Barber del Cushing Hospital di Framingham (1958) e che cioè si riesce a produrre la sensazione e i segni fisici delle ustioni attraverso la suggestione, inoltre questa ha un effetto immediato nel far scomparire ad esempio le verruche e vari altri fenomeni cutanei come ha dimostrato Ted Grossbart.
Lo stress, come si è già sottolineato produce un abbassamento delle difese immunitarie attraverso la produzione di ormoni adrenocorticoidi e si è scoperto come sia possibile abbassare nel plasma il livello di questi ultimi utilizzando l’ipnosi e le tecniche di rilassamento psicofisico .
E’ necessario anche citare Carl e Stephanie Matthws Simonton (1980) che hanno creato, in California il Simonton Cancer Center. Questi due ricercatori, nel programma che attuano ai loro pazienti oncologici, applicano anche tecniche di “imagery” di cui è certa una qualche efficacia anche se i dati che si hanno al momento sono ancora da perfezionare.
Secondo Claudio Modigliani le persone che sviluppano malattie psicosomatiche gravi sono quelle in cui si può individuare quello che lui definisce “omeostasi masochistica” intendendo con questo un tipo di situazione psichica in cui prevale l’egemonia di un Super io arcaico del tutto persecutorio e che in virtù di questa loro strutturazione hanno una grande difficoltà a sottoporsi ad un trattamento psicoanalitico classico. In alcune circostanze, con questi soggetti, è possibile invece cominciare un trattamento iniziando ad insegnare loro le tecniche di rilassamento, quelle autoipnotiche e quelle di imagery: “La suggestione - come dice appunto il professor Claudio Modigliani - è spesso la lingua che il Super io può comprendere, l’unica che i malati psicosomatici possono ascoltare, almeno all’inizio”. (2)
E’ importante sottolineare infatti che possono essere proposte delle pratiche che pur essendo terapeutiche, non costituiscono specificatamente l’applicazione del discorso analitico propriamente detto, ma, quel che conta, è tener presente le linee di forza dell’analisi e di conseguenza la conoscenza della struttura dell’inconscio che da questa deriva.

Il valore dello psicodramma per i “miei” pazienti
Il nuovo approccio da me proposto che si chiama N.M.P.M.P. ( Nuovo Metodo Psicoterapeutico Malattie Psicosomatiche) si pone l’obiettivo di potenziare le risorse psichiche, consce e inconsce, dell’individuo in modo tale che la conseguente modifica dello stato dell’umore e, ove possibile, un più profondo cambiamento di posizione soggettivo permetta di riappropriarsi della volontà di vivere in modo più desiderante con una conseguente riattivazione del funzionamento del sistema immunitario, e per quanto possibile l’emersione del soggetto dalle trappole di un immaginario troppo cristallizzato.
A tal riguardo è importantissimo l’uso dello strumento dello psicodramma analitico freudiano da me applicato sempre con particolari cautele e accorgimenti specifici, in quanto permette di “metter al lavoro” il soggetto del portatore di una malattia psicosomatica grave in un modo particolarissimo e assai proficuo ( è bene ricordare a tal riguardo che il soggetto è quello dell’inconscio e che quindi non coincide con l’Io).
Freud sapeva che il desiderio di giocare era il risultato del desiderio infantile di poter esprimere degli impulsi proibiti, o ritenuti tali, ma questo si può attuare solo a patto che possa essere effettuato il mascheramento simbolico di questi. Nel gioco del rocchetto il piccolo Ernst impara a fare i conti con la separazione, impara che si può scegliere di sopportare una perdita e non rimanerne necessariamente distrutti.
Fu la Klein che introdusse l’utilizzazione del gioco nella pratica analitica. Ella comprese che una scena interna può svilupparsi, in modo proiettivo, su uno spazio esterno, uno spazio rappresentativo, in cui si chiama in causa innanzi tutto il proprio corpo
E’ fondamentale, con i pazienti psicosomatici gravi l’utilizzo dello psicodramma analitico precisamente perché consente al soggetto, attraverso il gioco, di assumere un po’ alla volta l’utilizzazione di una parola, unica e personale, che permette di spostare la propria posizione nei confronti di un piccolo altro, vissuto a volte come assoluto; il paziente quindi può dirsi, un po’, e alla volta, delle verità così scomode da sopportare, per mantenere le quali, spesso sceglie di sopportare il prezzo di finzioni che mutilano e sviliscono.
Questo processo così doloroso è proprio quello da cui si difendono in tutti i modi, molto spesso, proprio le persone che sviluppano le gravi malattie organiche, in virtù, appunto, della loro specifica strutturazione. La mia esperienza mi ha mostrato specificatamente, come di fatto sia più praticabile, almeno all’inizio di un trattamento, proporre ai pazienti un lavoro in gruppo, piuttosto che uno individuale, considerato spesso da questi soggetti come troppo pericoloso, cosa questa che poi può produrre delle fughe da un iter terapeutico.
Mi pare inoltre importare ribadire l’efficacia dello psicodramma analitico in quanto terapia in gruppo e non di gruppo, perché i soggetti di cui stiamo parlando, presentano la specifica necessità di individuarsi e poi interrogarsi sulla confusione che hanno con il loro Altro; le dimensioni immaginarie in cui sono immersi sono collettive ma il gioco è individuale e il poter rappresentare momenti cruciali del proprio discorso soggettivo permette sicuramente un’apertura di vitale importanza difficilmente realizzabile con altri tipi di intervento psicoterapico, ribadisco, almeno nelle fasi iniziali del trattamento.
Del resto, lo psicodramma analitico, è un lavoro che dovrebbe poter portare il soggetto a sopportare la castrazione dell’Altro e permettere quindi una apertura all’analisi.
Tutto ciò, consente al paziente, di accettare in modo più costruttivo la collaborazione con i medici e con le cure sanitarie di tipo chemioterapico, radioterapico o altro.
Ovviamente si deve immaginare anche una cooperazione più positiva con le figure mediche e infermieristiche per dar loro uno spazio, ove richiesto , nell’affrontare lo stress che l’attività medica , con pazienti ad esempio neoplastici, comporta.
Anche se non sono in grado di fornire dei dati standardizzabili, posso affermare che i risultati del lavoro che svolgo con i pazienti psicosomatici gravi da diciotto anni, sono molto promettenti.
Nella quasi totalità dei casi ho verificato una remissione delle sintomatologie collegate alle malattie neoplastiche che i soggetti presentavano, pressoché completa e , a parte un caso, per me assai doloroso di una paziente deceduta, tutti gli altri sono ancora in vita.
Come dicevo, la persona, che purtroppo è morta, ha comunque potuto vivere un altro anno, rispetto alle previsioni che le erano state fatte sui tempi di sopravivenza, in modo del tutto “sereno” e senza sintomatologie che minassero un andamento di vita autonomo e soddisfacente, cosa apparsa miracolosa, a detta degli stessi medici che la seguivano.
Personalmente non posso quindi che affermare l’assoluta importanza e necessità che possa sempre più essere preso in considerazione un serio e mirato intervento psicologico nell’affrontare le malattie organiche, specialmente se gravi. Purtroppo, come ho accennato in precedenza, al momento non mi sembra che questo tipo di approccio sia valutato quanto meriterebbe, tant’è che io svolgo da anni, almeno per quel che riguarda il lavoro nelle istituzioni, la mia attività, in collaborazione col Servizio Sociale di un grande ospedale romano (attività peraltro richiestami a gran voce dai pazienti e da alcuni medici), a titolo del tutto volontaristico e gratuito.Vengono spesi, e guai se non fosse così, miliardi, per le varie forme di sperimentazioni che riguardano le cure farmaceutiche per le neoplasie. Ma, almeno questa è la mia esperienza, quando si prova a far prendere in considerazione interventi a livello psicoterapeutico, le cose cambiano, come se ancora non si riconoscesse una reale dignità alle psicoterapie che ancora a volte vengono considerate come degli interventi piuttosto estemporanei e superficiali.
A tal riguardo mi preme sottolineare che l’intervento psicoterapeutico, per i soggetti con patologie organiche o psicosomatiche gravi, è comunque estremamente delicato e quindi è indispensabile che chi vuole lavorare in questo ambito abbia alle spalle un lungo ed efficace training personale e di formazione specifico. Infatti, come si è tentato di sottolineare in questo scritto, questi pazienti sono portatori, probabilmente, di un livello di patologia psichica molto elevato, anche se nascosto e apparentemente neutralizzato, e quindi necessitano di una capacità di ascolto e diagnostica da parte dello psicoterapeuta molto consolidata.


Note
(1) “La malattia psicosomatica come alternativa alla psicosi”. Tavola rotonda “Therapy in psychosomatic medicine” a cura di F. Antonelli, Atti del 3° Congresso Mondiale dell’ International College of Psychosomatic Medicine, Roma, sett. 1975.
(2) “The limits of the power of suggestion in psychosomatics” in “Giornale Italiano di Psicologia Clinica”, Carucci Editore, Roma, 1986 n°1

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Articolo pubblicato in CORPO e GRUPPO
“Quaderni di Psicoanalisi e Psicodramma Analitico” –
Anno I - n. 1 –2 Giugno-Dicembre 2002


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