Cancro: alle soglie del ventunesimo secolodi Fabrizio Franchi(presentazione della giornata di studio che si terra' a Roma il 28 Febbraio 1998)Se in medicina si guarda a quel fenomeno mitico che è il progresso della scienza ci si rende conto che assistiamo ad un fatto paradossale. Osserviamo da una parte un grandioso impegno della ricerca produrre nuovi paradigmi di comprensione a livello biomolecolare, nuove tecnologie, nuovi farmaci. Se poi andiamo a quantificare l'impatto che simili acquisizioni hanno sulla salute reale dell'uomo -per esempio misurando in vari paesi l'aspettativa di vita di un individuo che abbia superato l'infanzia- ci accorgiamo allora che questa aspettativa non varia drammaticamente fra paesi con una medicina a diverso livello di sviluppo. Per trovare una differenza davvero rilevante occorre prendere in considerazione il terzo mondo, cioè quelle aree in cui vengono a mancare i presupposti basilari dell'igiene ambientale e sociale. E' l'ovvietà che balza agli occhi quando i dati sono osservati nel tempo: sono state le condizioni nutrizionali e igieniche, l'acqua potabile, le bonifiche e così via (non gli antibiotici e men che mai gli attuali farmaci sofisticati) a cambiare veramente il corso della vita umana. In termini di risultati, il rapporto tra l'entità degli sforzi mobilitati nella ricerca e il progresso reale profila così una curva esponenziale che tende a un plateau; nel senso che, nello sviluppo della scienza medica, da un certo punto in poi vediamo il dispendio dei mezzi ottenere effetti progressivamente sempre meno efficaci. Se guardiamo allo stesso fenomeno dal punto di vista dei costi, ancora otteniamo una curva esponenziale, ma di segno opposto: la traiettoria delle ricerche innovative (che pur via via divengono relativamente meno efficaci) esige una spesa sempre più elevata; al punto che nessun paese, per ricco che sia, possiede oggi soluzioni in grado di fronteggiare i costi della medicalizzazione complessiva della vita. Le due curve descrivono dunque una forbice entro cui appare chiaro che questo progresso è sempre meno "generoso", restando in ogni caso utopico sul piano economico concreto. Un problema si pone evidentemente a questo punto, ed è se vi sia un difetto alla radice di quel che abitualmente identifichiamo con la scientificità. Nella complessità di tale questione teniamo a ribadire alcuni punti. Va detto prima di tutto come la diatriba emergentismo/riduzionismo denunci con forza sempre maggiore il vizio di metodo di una ricerca che procede isolando le questioni studiate dai contesti. Un fegato, un cuore, un rene non definiscono insomma aree isolate di problemi, bensì una serie di interrelazioni il cui soggetto -a vero dire poco studiato- è l'individuo intero. In secondo luogo osserveremo come i rapporti psiche/soma rappresentino il massimo di tale incapacità ad articolare i problemi, il massimo della cecità che sorge dal come è gestita, nei fatti, la ricerca biomedica. Più avveduto di noi Platone scriveva nel Carmide: "Il nostro Zalmosside, che è un Dio, vuole che come non si deve cominciare a sanare gli occhi senza tener conto del capo, né il capo senza il corpo, così neppure si deve cominciare a sanare il corpo senza tenere conto dell'anima; anzi questa sarebbe proprio la ragione per cui tante malattie la fan franca ai medici greci, perché essi trascurano il tutto di cui invece dovrebbero prendersi cura, quel tutto che è malato e dunque non può guarire in una parte". Tale specifica esigenza del resto è oggi largamente penetrata nella sensibilità sociale, di modo che sono i pazienti stessi a richiedere in modo perentorio una maggiore attenzione alla loro unità psicosomatica. Ma, spingendoci oltre, incontriamo un terzo punto ancora più fondamentale: sono psiche e soma due realtà dotate di uno statuto ontologico distinto ? Quest'impalcatura concettuale dualistica, tanto antica nel pensiero del mediterraneo, davvero coglie una verità o piuttosto rappresenta un macroscopico pregiudizio epistemologico ? Forse non esitono un "Io psichico" e un "Io somatico", forse si tratta di due prospettive su un'unica realtà. Alle soglie del ventunesimo secolo crediamo che valga la pena di ritornare con umiltà a questi problemi. Crediamo che medici e psicoanalisti non debbano comportarsi con presunzione, nel giardinetto privato del loro specifico sapere, e debbano invece lavorare assieme. Crediamo infine che la "psicosomatica" non si riduca ad un banale tiro alla fune per aggiudicarsi una quota maggiore di competenza circa l'eziologia dei disturbi di un cefalagico, di un colitico o di un ulceroso. Quello che poniamo è un grande problema ganerale della medicina tutta. Crediamo riguardi anche un tema drammatico come il paziente ammalato di cancro.
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