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PSYCHOMEDIA
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RISPOSTA AL DISAGIO
Malattie Croniche e/o Neoplastiche
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Riflessioni di base sul caso Di Bella,
i sui suoi fans e il Pensiero superstizioso
di Paolo Roccato
(da una e-mail spedita alla lista PM-PT "Psicoterapia" di Psychomedia
Date: Mon, 19 Jan 1998 22:39:07 +0100
Sender: Psychomedia Psicoterapia <PM-PT@LISTSERVER.SICAP.IT>
From: Paolo Roccato <roccatop@INRETE.IT>
Subject: [PM-PT] Di Bella, suoi fans e Pensiero superstizioso
Ciò che distingue il pensiero scentifico da quello superstizioso è, prima di tutto, la preoccupazione di elaborare dei metodi di verifica/smentita e di attenersi rigorosamente a quelli.
Il pensiero superstizioso confonde il desiderio con la realtà, e - di fatto - si autoimbroglia. E tende a imbrogliare - di fatto - anche gli altri. E lo può fare anche per soldi, ma questo è il caso meno diffuso e meno importante. Esso è _strutturalmente_ costruito per arrivare ad autoimbrogliarsi. E, quindi, come conseguenza dell'autoimbroglio, ad imbrogliare gli altri.
É differente la malafede di chi racconta bugie per far soldi, da quella, più intima, più mimetizzata e quindi più difficile da mostrare, di chi vuole autoingannarsi perché non accetta che il desiderio sia sottoposto alla dura spietatezza della realtà. Nella prima malafede il soggetto sa che sta imbrogliando; nella seconda malafede il soggetto sa e non sa ad un tempo che si sta imbrogliando; e sa e non sa contemporaneamente che sta imbrogliando gli altri.
É una specie di autoconvinzione fanatica (e non del tutto consapevole), che riconosce tutti gli elementi del reale che sembrano comprovare la realizzazione del desiderio, mentre trascura come fossero irrilevanti tutti i dati che contrastano la sua convinzione. Considera solo i dati che sembrano a favore della propria ipotesi e trascura sistematicamente i dati che sembrano contro. L'illusione di aver dimostrato qualche cosa nasce da questa sistematica (e poco consapevole) selezione dei dati presi in considerazione. E questo è il principale dei motivi per cui lo pseudoscienziato dal pensiero superstizioso appare come totalmente in buona fede. E, paradosalmente, la buona fede viene considerata dal pubblico ingenuo come una prova della validità delle idee professate. Ma la realtà se ne infischia della nostra buona o cattiva fede. Giorgio Gaber cantava: *Come se tenesse conto del coraggio, la storia*. E noi, qui, potremmo dire: *Come se tenesse conto della buona fede, la realtà*.
Questo modo di pensare non è affatto innocuo, ma è, anzi, molto pericoloso, perché espone a scontri con la realtà, nei quali prendersi delle capocciate è il minimo. E se ciò di cui si tratta è, che ne so?, la vincita al lotto, beh, male che vada uno ci rimette la puntata. Ma se la posta in gioco è la vita di persone, o la loro salute, la cosa è più seria. Per una cura medica strutturata in questo modo illusorio, il rischio é quello di trascurare cure realmente efficaci, illudendosi di stare facendo una cura. O, se non esistono cure efficaci, il rischio è quello di non affrontare realisticamente la propria reale condizione. In ogni caso, uno dei risultati nefasti di questo genere di pensiero è quello di impegnare molte menti (come le nostre in questo momento, per esempio) e per molto tempo ad occuparsi di sciocchezze per rettificare il pensiero, anziché occuparsi di cose serie e fondate, in modo direttamente produttivo.
In secondo luogo, il pensiero scientifico si distingue da quello superstizioso, perché non solo accetta, ma attivamente promuove la critica contro sé stesso e contro i propri risultati, al fine di garantire affermazioni controllate e controllabili, e quindi sufficientemente sicure; o, quanto meno, perfettibili. Correttezza scientifica esige che chi fa un'affermazione cerchi anche di indicare in quali modi e per quali vie e al verificarsi di quali accadimenti le sue affermazioni verranno smentite.
Il pensiero scientifico è modesto, è consapevole dei propri limiti e delle possibilità di errore; sa il rischio dell'autoinganno, e cerca di proteggersene e di proteggere gli interlocutori; è grato (anche se dispiaciuto) verso chi porta critiche che precisino e correggano, perché hacome interesse la verità. Per contro, il pensiero superstizioso sente le critiche sempre come malevoli; non sa distinguere la critica manifestata per quell'amore per la verità che dovrebbe accomunare tutti coloro che fanno ricerca, dagli attacchi invidiosi di meschini rivali: prende tutto come attacco distruttivo, fatto per bieco interesse o per piccineria.
Il pensiero superstizioso dà per scontata la validità dei propri costrutti, e sente chi è critico o diffidente come fosse un persecutore oscurantista. è, in definitiva, inattaccabile, perché: o sei d'accordo con lui, o si offende e ti squalifica. Non accetta un confronto.
É proprio per garantirsi e garantire che le cure proposte non siano illusorie, che sono stati inventati dei protocolli definiti di ricerca e di sperimentazione, senza i quali non è lecito contrabbandare come fosse efficace una cura qualsiasi, anche se con essa qualche caso può essere guarito. Bisogna, infatti, essere _sicuri_ che i casi guariti lo siano proprio per l'uso di quella cura lì e non per altri motivi. E chi è preposto alla pubblica sanità ha specifiche responsabilità in proposito. Non può fare deroghe.
Chi si sottrae a questi controlli è per questo stesso fatto un ciarlatano. Perché uno dovrebbe sottrarsi, infatti, a tali controlli, se ritiene davvero che le sue conclusioni sono vere? Se sono vere, non può avere altro che vantaggi dai controlli. E se, poi, il metodo di controllo usato da coloro che fanno i controlli si rivelasse errato, la scienza e il prestigio di chi se ne accorge e lo segnala non potrebbero far altro che giovarsene. La scienza è dialettica.
Chi evita i controlli lo fa perché (in qualche parte della sua mente almeno) sa di non poterli superare. Sa che le proprie affermazioni non sono controllabili, e quindi non sono scientifiche. Sa, cioé, di essere un ciarlatano imbonitore. Altrimenti sarebbe suo interesse specifico sottoporsi al controllo della comunità scientifica.
Ma il fatto è che lui lo sa e non lo sa allo stesso tempo. Lui (di solito, ma non sempre) alle proprie idee ci crede per davvero, e cerca di dare loro un aiuto, una piccola (o grande) spinta, perché esse trionfino. E cerca, con lo stesso spirito, di proteggere le proprie idee dalle spinte contrarie dei critici. E non si avvede che così facendo viene meno proprio al senso stesso del proprio operare. è una specie di cortocircuito logico, basato su un difetto etico, misconosciuto, ma non per questo meno grave. Soggettivamente, lo scienziato che tradisce proprio la scienza nel cui nome opera, lo fa proprio per far bene. Si tratta, in fondo, di non tollerare che la realtà è dura e resistente al desiderio. Egli ritiene già dimostrato ciò che non lo è, e viene ferito da chi glie lo fa osservare: lo sente non come amico della verità, ma come nemico delle sue idee.
Il pensiero superstizioso è, di per sé stesso, contagioso, al contrario di quello scientifico, che, invece, è arido e freddo. Affascinante, ma scostante. è più gratificante, infatti, aderire a chi ti dichiara realizzato il desiderio, piuttosto che non chi ti frustra il desiderio, con sistematica, metodica e noiosissima critica e consapevolezza dei limiti delle proprie possibilità.
C'é un bel libretto (molto piacevole, istruttivo e chiarissimo: ve lo raccomando!) che parla di alcuni famosi falsi scientifici, in cui lo sperimentatore aveva consapevolmente e volontariamente falsificato i dati ricavati dalle proprie osservazioni e sperimentazioni: Giorgio Celli, _Bugie, fossili e farfalle_ , Il Mulino Editore, Bologna 1991, pagine 85, Lire 15.000. è molto bello.
Vediamo ora Di Bella e i suoi fans.
Di Bella ha sempre detto di non voler sottostare ai controlli (come noi tutti poveri mortali, quando intendiamo muoverci nei campi della scienza), perché vuole una *Commissione super partes*. Ma più super partes della Commissione Unica del Farmaco e della Commissione Oncologica del Ministero della Sanità, composte non da burocrati o da politici ma dai migliori scienziati del Paese a garanzia dei cittadini, cosa può esserci? E ammesso (ma non concesso) che questa commissione fosse prevenuta contro di lui, egli può sempre sottoporre le sue ricerche e i suoi dati al giudizio di commissioni scientifiche nazionali e internazionali, pubblicando i propri lavori su quelle riviste che sono prestigiose solo perché non pubblicano se non studi e ricerche rigorosi (es.: *Nature*, *Lancet*, ecc.). è tutto gratis, e gli sponsor eventuali per approfondire le ricerche li si trova al volo, tanta è l'aspettativa nel mondo intero per una cura efficace contro i tumori.
Ma in cosa consistono questi controlli? Non è come a scuola, che, se trovi il professore carogna che ce l'ha con te, sei rovinato. Si tratta di procedure standardizzate, uguali per tutti, che chiunque può applicare e ri-applicare. E che _deve_ applicare anche per proprio conto.
Prima di tutto vengono valutati i metodi di ricerca usati dal proponente. Se questi non sono adeguati (insufficiente casistica; contemporaneità di più cure, per cui non si può stabilire quale sia quella efficace; non omogenità nella rilevazione dei casi; non riproducibilità della sperimentazione; non adeguate indagini diagnostiche prima e dopo la cura da testare; ecc.), c'é poco da fare: i dati ottenuti non possono essere presi in considerazione. L'idea sì, eventualmente, può essere presa in considerazione, ma i dati no. E, in ogni caso, l'idea potrà essere valutata nella sua efficiacia solo con le opportune procedure scientifiche. Se la patologia in questione è gravissima e diffusissima e se c'é anche la pur minima verosimiglianza di un qualche ragionamento fisiopatologico o epidemiologico che stia alla base di quell'idea, statene certi che non uno, ma a decine se ne troveranno di laboratori prontissimi a sperimentare la terapia, e del tutto gratis per i proponenti.
Ed è pur vero che ogni tanto si danno delle scoperte pressoché casuali, non prevedibili con un puro ragionamento teorico. Il primo psicofarmaco antidepressivo, per esempio, fu scoperto nella cura della tubercolosi. Furono notati effetti strani nel tono dell'umore dei tubercolotici trattati, e venne l'idea: *Vuoi vedere che questo antitubercolare ha un effetto antidepressivo?*. Idea che, per essere avvalorata, come poi lo fu, _dovette_ essere sottoposta ai controlli scientifici. Altrimenti sarebbe rimasta una bella idea, e sarebbe stato un ciarlatano chi avesse prescritto il farmaco senza quei controlli, anche se la cura era effettivamente efficace; e più ciarlatano ancora sarebbe stato chi ne avesse asserito l'efficacia, ma si fosse _opposto_ ai controlli, che era dovere suo, prima che di ogni altro, effettuare e promuovere.
E a poco valgono le pur dotte precisazioni di filosofia della scienza (scienze nomotetiche e scienze idiografiche), o quelle di chi sottolinea che la medicina tende a de-storicizzare la malattia, e quindi tende a trascurare tutto il mondo dei significati soggettivi della sofferenza umana (idee che, peraltro, condivido, ma che sono insignificanti per quel che riguarda il cosiddetto caso Di Bella). Giacché se uno impiega un prodotto chimico, è chimicamente che deve testarlo. Anche l'effetto placebo (cioé l'efficacia psicologica di una cura, indipendentemente dall'efficacia chimico-fisica) può essere scientificamente valutato, e _deve_ essere ben distinto dall'effetto biochimico di tale cura.
I controlli, poi, consistono nella sperimentazione nell'animale, nella verifica dell'entità della eventuale dannosità della terapia e poi nella sperimentazione nell'uomo, dopo ottenuto l'assenso di una commissione etica e l'assenso informato dei pazienti che accettano di sottoporsi alla sperimentazione.
Ma _tutte_ queste sperimentazioni devono essere effettuate con metodi rigorosi, per es.: col metodo del doppio cieco: sia lo sperimentatore sia il paziente non sanno se ciò che viene somministrato è il farmaco da testare o un altro farmaco di cui sia già nota l'efficacia oppure un placebo (*acqua fresca*, ma presentata nelle identiche forme del farmaco). Lo sa solo una terza persona, che è giudice imparziale, e si astiene da ogni operatività e valutazione. In questo modo, oltre tutto, viene valutato anche l'effetto psicologico dell'assumere comunque un farmaco in quella situazione.
Questo rigore è per evitare le auto e le reciproche illusioni (sia per il sì, sia per il no). I casi trattati, poi, e i risultati ottenuti, devono essere statisticamente significativi. Per es.: se ho una guarigione su trecentomila casi trattati, non posso asserire nulla sull'efficacia della cura usata. Dovrò approfondire le indagini, e chiarire, per esempio, come mai quel caso è guarito e gli altri no (e non viceversa, in questo caso).
Condurre una ricerca ben fatta, che dia, cioé, dei risultati attendibili, é molto difficile e richiede una specifica professionalità. _Bisogna_ seguire alcune regole. Bisogna, per es., essere in grado di distinguere quando due fenomeni sono collegati da un rapporto di causa ed effetto o da altri tipi di rapporto (quali la casualità, la relazione con un terzo fattore non considerato, ecc). Bisogna essere in grado di non influenzare, anche involontariamente, i risultati della propria ricerca (per es., utilizzando il metodo del doppio cieco, cui sopra ho accennato); bisogna avere un campione rappresentativo, significativo, omogeneo; bisogna che le diagnosi siano corrette, controllate e avvalorate; bisogna mettersi preliminarmente d'accordo su che cosa si intende, per quella specifica patologia, per miglioramento e per guarigione, e su quali siano i criteri e i metodi per verificare che si siano realizzati tali miglioramento e guarigione; ecc.
Nessuno pretende che Di Bella debba avere questa specifica professionalità. Doveroso è pretendere che anche le idee e le prassi di Di Bella, come quelle di tutti gli altri, siano sottoposte a rigorosa verifica. Il fatto che lui si sia sempre sottratto a questo, che è il più elementare dei doveri di chi fa scienza, è cosa sommamente riprovevole, che ne mina radicalmente ogni credibilità. Non ci sono alibi.
CONCLUSIONE 1. Diffidate da chi rifiuta i controlli e le verifiche.
CONCLUSIONE 2. Diffidate dal pensiero superstizioso. Può essere bello studiarlo, ma starci dentro è orribile: si rischiano nasate ad ogni angolo di strada ':^)
Saluti e auguri a tutti. E che il pensiero non muoia!
Paolo Roccato, di Torino
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