Il Disturbo da Attacchi di PanicoMario Sarti, Ferdinando Galassi, Fioretta Puccetti, Sandro BartoliniIntroduzione
Il Disturbo da Attacchi di Panico con e senza Agorafobia è una condizione debilitante che colpisce almeno 1 ogni 75 persone a livello mondiale durante la durata della loro vita. Un corpus crescente di conoscenze indica che alcune terapie e selezionati trattamenti psicosociali sono efficaci per i disturbi di panico, con e senza evitamento agorafobico. Vari antidepressivi (cioè, triciclici, inibitori di monoaminossidasi e, soprattutto, atipici di ultima generazione serotoninergici) così come alcune benzodiazepine (per es., alprazolam, lorazepam, e clonazepam) sono risultati efficaci nel ridurre o eliminare attacchi di panico associati con le varie forme di disturbo di panico. Gli agenti farmacologici possono presentare problemi come indesiderabili effetti secondari, il rischio di dipendenza, e un tasso significativo di ricaduta una volta che è cessata la farmacoterapia. Anche molte variazioni e combinazioni di approcci di trattamento cognitivo comportamentali hanno dimostrato efficacia nell'eliminazione e/o riduzione di attacchi di panico e agorafobia. I primi rapporti di ricerca specificamente indirizzati sugli attacchi di panico indicano che un numero significativo di pazienti sono liberi dal panico alla fine di trattamento cognitivo-comportamentale e si mantengono così a un follow-up a 2 anni.
Non si hanno ancora ampie informazioni su problemi come:
Il Disturbo di panico è relativamente comune; tassi simili sono stati trovati in molti paesi in studi internazionali. Approssimativamente un terzo degli individui con disturbo di panico hanno anche agorafobia, sebbene in ambito clinico, la maggioranza si presenti con agorafobia. Disturbo di panico con agorafobia è diagnosticato circa il doppio come frequenza nelle femmine che nei maschi.
Dall'inizio degli anni '60 ricercatori e clinici cominciarono a differenziare pazienti che avevano improvvisi attacchi d'ansia da pazienti con gli altri disturbi d'ansia. La categoria diagnostica di disturbi di panico fu riconosciuta per la prima volta ufficialmente con la pubblicazione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (3° edizione) dell'Associazione Psichiatrica Americana nel 1980 (DSM-III). Questi criteri furono cambiati leggermente con la pubblicazione delle versioni successive del Manuale Diagnostico, DSM-III-R e DSM-IV.
Gli Attacchi di panico possono verificarsi come incidenti isolati e rari che hanno poco o nessun impatto sul comportamento dell'individuo o come grappoli di attacchi con effetti secondari. Possono verificarsi anche durante il sonno.
Sebbene la ricerca sia indirizzata a esaminare e raffinare questi criteri, c'è un largo consenso sul fatto che il disturbo di panico, come attualmente definito, sia una condizione distinta con una presentazione specifica, per il decorso, la positività nella storia della famiglia, le complicazioni, e la risposta al trattamento.
Attualmente due sottotipi principali di disturbo di panico sono riconosciuti estesamente, e sono codificati nel DSM-IV. Questi sottotipi variano nella gravità ed estensione dell'evitamento fobico: disturbo di panico senza agorafobia e disturbo di panico con agorafobia. Nei casi di disturbo di panico con agorafobia c'è un evitamento di luoghi o situazioni dai quali la fuga sarebbe difficile o imbarazzante, o in cui nel caso di un attacco di panico l'aiuto non sarebbe disponibile. Il grado di evitamento può variare da mite a moderato o, all'estremo, ad uno stile di vita restrittivo imposto da un pesante evitamento, che fa sì che l'individuo, stia quasi sempre chiuso in casa, o comunque preda di un comportamento gravemente patologico. Diagnosi differenziale Ci sono molti altri disturbi nei quale attacchi di panico possono verificarsi. Il più comune è la fobia semplice (in cui il panico si verifica immediatamente prima o su esposizione alla situazione temuta e in nessun luogo altro) e fobie sociali che si verificano solamente quando gli individui sentono di essere il fuoco dell'attenzione di altri (per es. mentre stanno mangiando). Altri disturbi che dovrebbero essere considerati in diagnosi differenziale includono la claustrofobia; la depressione grave; i disturbi dissociativi; l'ansia generalizzata senza panico; la sospensione di alcool o di farmaci; l'abuso di stimolanti (caffeina, cocaina, amfetamine); disturbi fisici cardiaci, surrenali, vestibolari, tiroidei o crisi convulsive. Terapia farmacologica
Il Disturbo di panico è una condizione curabile. L'efficacia dei trattamenti dovrebbe essere valutata su un numero di dimensioni: Mentre l'attacco di panico si risolve rapidamente con la somministrazione endovenosa di una BDZ (diazepam, clordemetildiazepam), la ricorrenza di successivi attacchi, con il conseguente rischio di cronicizzazione del disturbo e di insorgenza di complicanze (agorafobia, ecc.), non viene significativamente ridotta dall'uso protratto di questi farmaci. Questa osservazione, ormai ampiamente comprovata, impone una riconsiderazione, non tanto del trattamento in acuto delle crisi di panico, quanto della terapia di mantenimento e della prevenzione delle ricadute, senza ovviamente trascurare tutte le problematiche inerenti all'interruzione brusca o precoce della terapia che determina la ricomparsa degli attacchi. Nei casi in cui l'iter terapeutico non venga completato o sia interrotto dopo poche settimane, la percentuale di ricadute sembra oscillare tra il 20 e l'80% quando ci si trova di fronte a pazienti in cui le crisi di panico si susseguono, organizzandosi in un vero e proprio disturbo di panico con o senza agorafobia, si impone quindi un intervento farmacologico ben più complesso della semplice somministrazione di una benzodiazepina. Tale intervento, preceduto da una fase preliminare di riorganizzazione cognitiva del paziente ed integrato da un'adeguata terapia psicologica, prevede, dopo un trattamento in acuto della durata di 8-12 settimane, il prolungamento dello stesso per un periodo di almeno 6 mesi allo scopo di mantenere la remissione e di prevenire ricadute e recidive. Purtroppo non è facile ottenere una compliance ottimale alla terapia farmacologica da parte di questi soggetti, a causa della loro ipersensibilità agli effetti indesiderati dei farmaci. Il paziente affetto da D.A.P. presenta infatti molto spesso importanti caratteristiche ipocondriache che lo inducono ad interpretare in modo distorto ogni sensazione proveniente dal proprio corpo e ad attribuire ad una grave malattia somatica anche le sensazioni di un arousal fisiologico benigno, vivendolo in senso catastrofico ed assumendo un comportamento di ipervigilanza nei confronti del corpo: sono infatti i correlati somatici dell'attacco di panico (sintomatologia cardiocircolatoria, respiratoria, gastrointestinale, ecc.) ad essere spesso avvertiti per primi dal paziente e ad allarmarlo, innescando secondariamente l'attivazione dei correlati psichici. Gli effetti collaterali degli psicofarmaci possono essere di conseguenza interpretati, soprattutto nella fase iniziale del trattamento, come prodromici di un attacco di panico, inducendo il paziente a sospendere la terapia nella convinzione di stare peggio. Pertanto, se da un lato è necessario che il paziente sia informato dei rischi associati ad una sospensione brusca o troppo precoce e della lunga durata del trattamento cui dovrà sottoporsi, dall'altro è fondamentale che la scelta del farmaco sia personalizzata, tenendo conto in particolare degli effetti indesiderati.
I farmaci impiegati efficacemente nella terapia del D.A.P. sono i triciclici (TCA), gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO), e l'alprazolam, cui recentemente si sono aggiunti gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). Poiché questi composti sono tutti degli antidepressivi, ad eccezione dell'alprazolam, alcuni autori hanno ipotizzato che in realtà le patologie trattate con tali classi di farmaci facciano parte di un continuum fisiopatologico e che rientrino nell'ambito di uno "spettro affettivo". Per meglio dire, se varie patologie (fisiche o psichiche che siano) rispondono allo stesso presidio terapeutico, si può ipotizzare che l'alterazione fisiopatologica alla loro base sia comune; così, allo "spettro affettivo" apparterrebbero il disturbo di panico e quello ossessivo-compulsivo, la bulimia nervosa, il deficit attentivo con iperattività, l'emicrania e la IBS (Irritable Bowel Syndrome), rispondenti tutti, in misura diversa, ai TCA, agli IMAO ed agli SSRI. Ciò che emerge dunque da questa disamina della letteratura è che il trattamento farmacologico del disturbo di panico deve comunque integrarsi con interventi di tipo cognitivo-comportamentale e non può limitarsi ad un breve periodo di tempo, per cui è fondamentale nella scelta del farmaco, o della combinazione di farmaci specifici, orientarsi verso sostanze che alla sicura efficacia terapeutica, valutata anche sulla base della comorbidità trasversale e longitudinale del singolo paziente, associno maneggevolezza e basso profilo di effetti collaterali in modo da favorire al massimo la compliance.
La terapia farmacologica del D.A.P. viene schematicamente suddivisa in tre fasi: Dapprima va gradualmente ridotto il dosaggio delle benzodiazepine eventualmente già assunte dal paziente, quindi si passa alla scelta di uno o più farmaci combinati ed al raggiungimento della dose terapeutica, da effettuarsi tenendo conto anche della comparsa di eventuali effetti collaterali; il trattamento farmacologico va poi proseguito per 6-8 mesi a dose piena, con un eventuale supporto psicoterapico. La terza fase, consistendo nella prevenzione delle recidive, implica una sospensione, progressiva e graduale, che non va iniziata prima che sia trascorso un periodo di almeno 8-12 mesi di sostanziale miglioramento. E' da sottolineare infine quanto sia importante che il trattamento sia adattato al singolo paziente, esaltando quanto più possibile l'efficacia di diversi interventi integrati. Terapia Psicologica
Trattamenti Cognitivo-Comportamentali
Altre Psicoterapie
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