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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: RISPOSTA AL DISAGIO
Area: Disturbo da Attacchi di Panico


Il Disturbo da Attacchi di Panico

Mario Sarti, Ferdinando Galassi, Fioretta Puccetti, Sandro Bartolini



Introduzione

Il Disturbo da Attacchi di Panico con e senza Agorafobia è una condizione debilitante che colpisce almeno 1 ogni 75 persone a livello mondiale durante la durata della loro vita.
Gli Attacchi di panico sono caratterizzati da periodi improvvisi e inaspettati di paura intensa o disagio associati con affanno, vertigini, palpitazioni, nausea, o disturbi addominali. I soggetti durante l'attacco spesso credono di essere sul punto di avere un attacco di cuore o, alternativamente, che stanno perdendo il controllo della loro mente. Le persone sofferenti di panico spesso sviluppano un'agorafobia secondaria all'esordio di questi attacchi di panico inaspettati. Di conseguenza, essi cominciano ad evitare i luoghi dove temono che un attacco di panico possa accadere o dove sarebbe difficile ottenere aiuto. Se l'agorafobia diviene abbastanza grave, una persona può trovarsi seriamente condizionata dalla difficoltà di lasciare la propria casa.

Un corpus crescente di conoscenze indica che alcune terapie e selezionati trattamenti psicosociali sono efficaci per i disturbi di panico, con e senza evitamento agorafobico. Vari antidepressivi (cioè, triciclici, inibitori di monoaminossidasi e, soprattutto, atipici di ultima generazione serotoninergici) così come alcune benzodiazepine (per es., alprazolam, lorazepam, e clonazepam) sono risultati efficaci nel ridurre o eliminare attacchi di panico associati con le varie forme di disturbo di panico. Gli agenti farmacologici possono presentare problemi come indesiderabili effetti secondari, il rischio di dipendenza, e un tasso significativo di ricaduta una volta che è cessata la farmacoterapia.

Anche molte variazioni e combinazioni di approcci di trattamento cognitivo comportamentali hanno dimostrato efficacia nell'eliminazione e/o riduzione di attacchi di panico e agorafobia. I primi rapporti di ricerca specificamente indirizzati sugli attacchi di panico indicano che un numero significativo di pazienti sono liberi dal panico alla fine di trattamento cognitivo-comportamentale e si mantengono così a un follow-up a 2 anni.

Non si hanno ancora ampie informazioni su problemi come:
(1) l'efficacia di trattamenti psicosociali combinati con trattamenti farmacologici,
(2) i meccanismi di azione terapeutica,
(3) fattori demografici, e non solo, relativi ai pazienti che possono predire una sensibilità o classificare una risposta ad un trattamento,
(4) l'efficacia a lungo termine di trattamenti per il disturbo di panico una volta completato il trattamento, e
(5) il valore di questi trattamenti per quei pazienti che soffrono di disturbi di panico in combinazione con altri disturbi psicologici e psichiatrici.
L'ultimo gruppo rappresenta un segmento veramente significativo dei pazienti che soffrono di disturbi di panico.


Epidemiologia e decorso

Il Disturbo di panico è relativamente comune; tassi simili sono stati trovati in molti paesi in studi internazionali. Approssimativamente un terzo degli individui con disturbo di panico hanno anche agorafobia, sebbene in ambito clinico, la maggioranza si presenti con agorafobia. Disturbo di panico con agorafobia è diagnosticato circa il doppio come frequenza nelle femmine che nei maschi.
L'età più comune di esordio è nella media adolescenza e nella prima maturità; comunque, il disturbo di panico può esordire in qualsiasi età. Un modello comune di esordio è il verificarsi di attacchi di panico improvvisi e occasionali che aumentano in frequenza e sono associati con paure crescenti di avere attacchi susseguenti. Spesso nel tempo si concretizzano comportamenti di evitamento dell'ansia che tendono ad aumentare.
I dati limitati ad oggi suggeriscono che in più casi è un disturbo cronico che sfuma e cala di gravità. Comunque, delle persone possono avere un periodo limitato di disfunzione che non riappare, mentre altri possono esperimentare una forma cronica e severa del disturbo. Quelli con agorafobia tendono ad avere un decorso più grave e complicato. Un trattamento precoce nello sviluppo di tale disturbo può accorciarne la durata e può prevenire complicazioni, incluse agorafobia e depressione.


Diagnosi

Dall'inizio degli anni '60 ricercatori e clinici cominciarono a differenziare pazienti che avevano improvvisi attacchi d'ansia da pazienti con gli altri disturbi d'ansia. La categoria diagnostica di disturbi di panico fu riconosciuta per la prima volta ufficialmente con la pubblicazione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (3° edizione) dell'Associazione Psichiatrica Americana nel 1980 (DSM-III). Questi criteri furono cambiati leggermente con la pubblicazione delle versioni successive del Manuale Diagnostico, DSM-III-R e DSM-IV.
Fondamentale per la diagnosi di disturbo di panico è il manifestarsi di attacchi di panico. Questi attacchi consistono in periodi delimitati di paura intensa o di disagio in cui almeno quattro dei sintomi citati sotto si sviluppano improvvisamente e arrivano a un crescendo in 10 minuti.
Attacchi possono tuttavia ripetersi più volte e rapidamente; una volta che questi sintomi diminuiscono un'ansia marcata può permanere anche per molte ore. I sintomi includono:

- dispnea o sensazione di soffocamento
- vertigini, sensazioni di sbandamento, di instabilità o di testa leggera o di svenimento
- palpitazioni o accelerazioni del ritmo cardiaco
- tremori fini o a grandi scosse
- sudorazione
- nausea o disturbi addominali
- depersonalizzazione o derealizzazione
- irrigidimento o sensazioni di formicolio (parestesie) agli arti
- brividi o vampate di calore
- oppressione al torace o disagio
- paura di morire
- paura di impazzire o di perdere il controllo

Gli Attacchi di panico possono verificarsi come incidenti isolati e rari che hanno poco o nessun impatto sul comportamento dell'individuo o come grappoli di attacchi con effetti secondari. Possono verificarsi anche durante il sonno.
Per soddisfare il criterio diagnostico per disturbo di panico almeno alcuni degli attacchi di panico devono accadere all'improvviso o spontaneamente, in assenza, cioè, di specifici stimoli ambientali o situazionali come ascensori, parlare in pubblico, serpenti, spazi chiusi, o altre situazioni che possono evocare paura in molte persone. Inoltre, il criterio diagnostico richiede almeno un attacco in 1 mese e la presenza di ansia anticipatoria (ossia il timore di esperimentare ancora tali attacchi), paura della paura (conseguenze degli attacchi), alterazioni del comportamento (legate agli attacchi).

Sebbene la ricerca sia indirizzata a esaminare e raffinare questi criteri, c'è un largo consenso sul fatto che il disturbo di panico, come attualmente definito, sia una condizione distinta con una presentazione specifica, per il decorso, la positività nella storia della famiglia, le complicazioni, e la risposta al trattamento.
Il Disturbo di panico deve essere differenziato da altri disturbi che possono condividere caratteristiche cliniche simili. Oggi la diagnosi è dipendente da un accertamento clinico particolareggiato dei disturbi presentati e della storia, perché non ci sono prove di laboratorio specifiche. E' raccomandato un esame medico accurato per escludere le altre condizioni. Allo stesso tempo deve esserci attenzione per evitare il rischio di un errore diagnostico che conduca a investigazioni mediche costose e dilazioni nel trattamento per il disturbo di panico.

Attualmente due sottotipi principali di disturbo di panico sono riconosciuti estesamente, e sono codificati nel DSM-IV. Questi sottotipi variano nella gravità ed estensione dell'evitamento fobico: disturbo di panico senza agorafobia e disturbo di panico con agorafobia. Nei casi di disturbo di panico con agorafobia c'è un evitamento di luoghi o situazioni dai quali la fuga sarebbe difficile o imbarazzante, o in cui nel caso di un attacco di panico l'aiuto non sarebbe disponibile. Il grado di evitamento può variare da mite a moderato o, all'estremo, ad uno stile di vita restrittivo imposto da un pesante evitamento, che fa sì che l'individuo, stia quasi sempre chiuso in casa, o comunque preda di un comportamento gravemente patologico.
I ricercatori stanno cercando sviluppare modi supplementari per definire i sottotipi di disturbo di panico basati sulla fenomenologia, età di esordio, risposta al trattamento ecc. che può avere implicazioni per eziologia, diagnosi e trattamento.

Diagnosi differenziale

Ci sono molti altri disturbi nei quale attacchi di panico possono verificarsi. Il più comune è la fobia semplice (in cui il panico si verifica immediatamente prima o su esposizione alla situazione temuta e in nessun luogo altro) e fobie sociali che si verificano solamente quando gli individui sentono di essere il fuoco dell'attenzione di altri (per es. mentre stanno mangiando). Altri disturbi che dovrebbero essere considerati in diagnosi differenziale includono la claustrofobia; la depressione grave; i disturbi dissociativi; l'ansia generalizzata senza panico; la sospensione di alcool o di farmaci; l'abuso di stimolanti (caffeina, cocaina, amfetamine); disturbi fisici cardiaci, surrenali, vestibolari, tiroidei o crisi convulsive.

Terapia farmacologica

Il Disturbo di panico è una condizione curabile. L'efficacia dei trattamenti dovrebbe essere valutata su un numero di dimensioni:
(1) accettazione e tolleranza da parte dei pazienti;
(2) riduzione o eliminazione di attacchi del panico, riduzione di ansia clinicamente significativa e incapacità secondaria ad evitamento fobico, miglioramento di altra comune condizione in comorbidità come depressione; e
(3) prevenzione a lungo termine delle ricadute.

Mentre l'attacco di panico si risolve rapidamente con la somministrazione endovenosa di una BDZ (diazepam, clordemetildiazepam), la ricorrenza di successivi attacchi, con il conseguente rischio di cronicizzazione del disturbo e di insorgenza di complicanze (agorafobia, ecc.), non viene significativamente ridotta dall'uso protratto di questi farmaci. Questa osservazione, ormai ampiamente comprovata, impone una riconsiderazione, non tanto del trattamento in acuto delle crisi di panico, quanto della terapia di mantenimento e della prevenzione delle ricadute, senza ovviamente trascurare tutte le problematiche inerenti all'interruzione brusca o precoce della terapia che determina la ricomparsa degli attacchi. Nei casi in cui l'iter terapeutico non venga completato o sia interrotto dopo poche settimane, la percentuale di ricadute sembra oscillare tra il 20 e l'80% quando ci si trova di fronte a pazienti in cui le crisi di panico si susseguono, organizzandosi in un vero e proprio disturbo di panico con o senza agorafobia, si impone quindi un intervento farmacologico ben più complesso della semplice somministrazione di una benzodiazepina. Tale intervento, preceduto da una fase preliminare di riorganizzazione cognitiva del paziente ed integrato da un'adeguata terapia psicologica, prevede, dopo un trattamento in acuto della durata di 8-12 settimane, il prolungamento dello stesso per un periodo di almeno 6 mesi allo scopo di mantenere la remissione e di prevenire ricadute e recidive.

Purtroppo non è facile ottenere una compliance ottimale alla terapia farmacologica da parte di questi soggetti, a causa della loro ipersensibilità agli effetti indesiderati dei farmaci. Il paziente affetto da D.A.P. presenta infatti molto spesso importanti caratteristiche ipocondriache che lo inducono ad interpretare in modo distorto ogni sensazione proveniente dal proprio corpo e ad attribuire ad una grave malattia somatica anche le sensazioni di un arousal fisiologico benigno, vivendolo in senso catastrofico ed assumendo un comportamento di ipervigilanza nei confronti del corpo: sono infatti i correlati somatici dell'attacco di panico (sintomatologia cardiocircolatoria, respiratoria, gastrointestinale, ecc.) ad essere spesso avvertiti per primi dal paziente e ad allarmarlo, innescando secondariamente l'attivazione dei correlati psichici. Gli effetti collaterali degli psicofarmaci possono essere di conseguenza interpretati, soprattutto nella fase iniziale del trattamento, come prodromici di un attacco di panico, inducendo il paziente a sospendere la terapia nella convinzione di stare peggio. Pertanto, se da un lato è necessario che il paziente sia informato dei rischi associati ad una sospensione brusca o troppo precoce e della lunga durata del trattamento cui dovrà sottoporsi, dall'altro è fondamentale che la scelta del farmaco sia personalizzata, tenendo conto in particolare degli effetti indesiderati.

I farmaci impiegati efficacemente nella terapia del D.A.P. sono i triciclici (TCA), gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO), e l'alprazolam, cui recentemente si sono aggiunti gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). Poiché questi composti sono tutti degli antidepressivi, ad eccezione dell'alprazolam, alcuni autori hanno ipotizzato che in realtà le patologie trattate con tali classi di farmaci facciano parte di un continuum fisiopatologico e che rientrino nell'ambito di uno "spettro affettivo". Per meglio dire, se varie patologie (fisiche o psichiche che siano) rispondono allo stesso presidio terapeutico, si può ipotizzare che l'alterazione fisiopatologica alla loro base sia comune; così, allo "spettro affettivo" apparterrebbero il disturbo di panico e quello ossessivo-compulsivo, la bulimia nervosa, il deficit attentivo con iperattività, l'emicrania e la IBS (Irritable Bowel Syndrome), rispondenti tutti, in misura diversa, ai TCA, agli IMAO ed agli SSRI.
Oltre ai farmaci di cui si è ampiamente discusso, altri sono stati testati relativamente alla loro azione antipanica, quali bupropione, trazodone, verapamil, clonidina, propranololo, valproato e carbamazepina, buspirone ed il più recente nefazodone, senza raggiungere però risultati univoci o scientificamente sicuri, mentre l'efficacia di alprazolam, TCA, IMAO e SSRI è bene comprovata e pressoché sovrapponibile.

Ciò che emerge dunque da questa disamina della letteratura è che il trattamento farmacologico del disturbo di panico deve comunque integrarsi con interventi di tipo cognitivo-comportamentale e non può limitarsi ad un breve periodo di tempo, per cui è fondamentale nella scelta del farmaco, o della combinazione di farmaci specifici, orientarsi verso sostanze che alla sicura efficacia terapeutica, valutata anche sulla base della comorbidità trasversale e longitudinale del singolo paziente, associno maneggevolezza e basso profilo di effetti collaterali in modo da favorire al massimo la compliance.

La terapia farmacologica del D.A.P. viene schematicamente suddivisa in tre fasi:
- una prima di impostazione, finalizzata al controllo degli attacchi di panico, dell'ansia anticipatoria e dell'evitamento fobico;
- una seconda di consolidamento, mirata alla stabilizzazione del miglioramento conseguito, ed
- una terza di prevenzione di riacutizzazioni e recidive, allo scopo di permettere anche il recupero funzionale.

Dapprima va gradualmente ridotto il dosaggio delle benzodiazepine eventualmente già assunte dal paziente, quindi si passa alla scelta di uno o più farmaci combinati ed al raggiungimento della dose terapeutica, da effettuarsi tenendo conto anche della comparsa di eventuali effetti collaterali; il trattamento farmacologico va poi proseguito per 6-8 mesi a dose piena, con un eventuale supporto psicoterapico. La terza fase, consistendo nella prevenzione delle recidive, implica una sospensione, progressiva e graduale, che non va iniziata prima che sia trascorso un periodo di almeno 8-12 mesi di sostanziale miglioramento. E' da sottolineare infine quanto sia importante che il trattamento sia adattato al singolo paziente, esaltando quanto più possibile l'efficacia di diversi interventi integrati.

Terapia Psicologica

Trattamenti Cognitivo-Comportamentali
La terapia cognitivo-comportamentale è considerata la terapia elettiva del Disturbo da Attacchi di Panico con Agorafobia sia da sola che in trattamento integrato. Momento cruciale di tutte le terapie cognitivo-comportamentali è l'esposizione del paziente allo stimolo fobico. L'esposizione può essere effettuata in vivo, ponendo realmente il paziente di fronte alle situazioni che sono oggetto concreto dell'evitamento fobico, sia nell'immaginario, cioè aiutando il paziente a rievocare la situazione fobica mediante la ristrutturazione cognitiva. In genere si effettuano varie sedute nelle quali il paziente viene portato, secondo uno schema gerarchico pianificato caso per caso, a confrontarsi progressivamente con la situazione fobica in modo sempre più globale. La durata dell'intervento va da circa 6 mesi a 1 anno. Il tasso di drop-out in studi controllati va dal 5 all'8% nelle terapie cognitivo-razionaliste e dal 12 al 16% nei trattamenti basati su rilassamento ed esposizione in vivo.

Altre Psicoterapie
Recenti risultati della ricerca hanno identificato come più efficaci gli approcci farmacoterapici e psicoterapici integrati. Vi è quindi da temere il rischio di mantenere in trattamenti non idonei e per lungo tempo dei pazienti che potrebbero ottenere risultati con scelte terapeutiche più mirate. Psicoterapie che sembrano non avere un'efficacia dimostrata nel panico, come le psicoterapie ad indirizzo psicodinamico, possono comunque essere utili per altre difficoltà che i pazienti presentano. Per esempio in alcuni pazienti l'attacco di panico può apparire privo di contenuti psicologici, senza apparenti fattori determinanti ambientali o intrapsichici. Tuttavia sono numerosi gli studi che hanno evidenziato come nei pazienti affetti da D.A.P. l'inizio del disturbo sia preceduto da una maggior incidenza di eventi stressanti, in particolare eventi di perdita, rispetto ai controlli. Viene suggerito che in questi casi gli episodi di panico vengano preparati da immagini, sensazioni, pensieri paurosi che possono essere inconsci e correlati all'angoscia di essere "intrappolati" e/o separati da figure di riferimento. Nei casi in cui possono rilevarsi tali problematiche la terapia psicoanalitica ha il compito di procedere gradualmente nell'ambito delle dinamiche transferali a partire dalla ricostruzione delle interazioni precoci madre-bambino e alla loro progressiva internalizzazione, fino al conseguimento della costanza d'oggetto strettamente connessa con la sicurezza di sé.


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