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PSYCHOMEDIA
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RISPOSTA AL DISAGIO
Anoressia e Bulimia
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Il ruolo delle emozioni nei disturbi del comportamento alimentare
Savina Dipasquale, Arcangelo Ciuna, Deborah Levi, Giovanni Maria Ruggiero, Giordano Invernizzi
Clinica psichiatrica "Guardia II", Ospedale Maggiore IRCCS,
via Francesco Sforza 35, 20122 Milano - e-mail: giruggi@tin.it
CRITICA ALLA VISIONE COGNITIVISTA DEL RAPPORTO TRA EMOZIONE E COGNIZIONE
Con questo lavoro passeremo in rassegna e commenteremo la letteratura scientifica che si è occupata del ruolo delle emozioni nel processo eziopatogenetico dei disturbi del comportamento alimentare, l'anoressia e la bulimia nervose. Il nostro vertice di osservazione non vuole essere troppo legato ad un determinato indirizzo teoretico: la letteratura passata in rassegna proviene da riviste specializzate nel settore dei disturbi alimentari e della psichiatria generale, con qualche sconfinamento in riviste con un indirizzo cognitivistico e psicodinamico. Tuttavia, dato che l'interpretazione corrente della eziopatogenesi di questi disturbi presenta, nel suo versante psicologico, un indirizzo indubbiamente cognitivistico, ci è sembrato opportuno iniziare la nostra rassegna con una breve critica della teoria cognitivistica classica delle emozioni.
Come è noto, la teoria cognitivistica classica del comportamento assegna una primaria importanza al fatto che le persone "pensano". Essa assume che la natura e le caratteristiche del pensiero determinano ciò che le persone "sentono", come agiscono e come reagiscono. I molteplici fattori eziologici responsabili delle patologie psichiatriche vanno a confluire nelle cosiddette "cognizioni disfunzionali", che, nel caso dell'anoressia nervosa e della bulimia nervosa, possono essere racchiuse nella "paura di ingrassare".
Cognizione, tuttavia, è un termine piuttosto ampio, che si riferisce sia al contenuto del pensiero cosciente esplicito, sia ai processi di formazione del pensiero (Kovacs M. e Aaron T. Beck, 1978). Questi complessi processi in realtà furono solo parzialmente compresi all'epoca in cui nacque la teoria cognitiva (Beck anni '60 e '70) e tuttora restano poco chiari. In assenza di una teoria esplicativa definitiva del pensiero, questi processi e i loro prodotti sono stati denominati "schemi cognitivi". Tali schemi sono ritenuti essere le caratteristiche durevoli dei soggetti e si possono pensare come rappresentazioni organizzate delle esperienze precedenti. Uno schema permette ad una persona sana di decodificare tutto lo spettro degli stati interni e degli stimoli esterni e di decidere per le azioni "adeguate". Allo stesso modo, nei pazienti, gli schemi potrebbero spiegare le patologiche decodificazioni degli stati emozionali interni e degli "input" provenienti dall'esterno, cause di comportamenti "incongrui", cioè patologici: sono questi gli "schemi disfunzionali".
E' importante capire che per Beck le "cognizioni disfunzionali" sono diverse da quelle illogico-irrazionali; in realtà tutte le cognizioni sono tendenzialmente idiosincrasiche, cioè non validate da un giudizio razionale e pubblico, ma proprie del soggetto. Un individuo bene adattato non è uno che pensa logicamente e risolve tutti i problemi razionalmente; è invece un soggetto, in cui le "cognizioni" non influiscono sul suo benessere emozionale e sul suo funzionamento generale. Si potrebbe dire che l'individuo ben adattato è colui che mantiene una credenza (belief) di se stesso come persona ragionevolmente integrata e ragionevolmente in grado di raggiungere i propri obiettivi, nel rispetto degli altri; è colui che è in grado di realizzarsi come persona "non maladaptive".
All'interno di queste credenze generali adattative, molte singole valutazioni possono essere anche infondate. Per esempio, è esperienza comune che la maggior parte delle donne si ritiene meno attraente di quanto vorrebbe essere; solo una minoranza però arriva a conclusioni disfunzionali che coinvolgono o "sconvolgono" l'intero progetto di vita che le riguarda. Sulla base di queste "credenze disfunzionali", secondo Beck, potrebbe svilupparsi un disturbo d'ansia, una depressione o un disturbo del comportamento alimentare.
Da questa esposizione emerge come il concetto di "schema cognitivo" sia abbastanza complesso. Tuttavia, è stato fatto notare che Beck, sebbene si dichiari altrettanto interessato ai processi del pensiero, che ai contenuti espliciti, formula il concetto di schema disfunzionale soltanto come contenuto distorto del pensiero, mentre non si fa verbo dei processi distorti del pensiero. In questo modo vengono privilegiate le cognizioni di tipo esplicito, mentre quelle di tipo tacito e procedurale rimangono nell'ombra (Williams et al., 1997).
Il concetto di cognizione tacita, o procedurale, è strettamente collegato a quello di emozione. Nel cognitivismo classico, l'emozione viene definita un segnale di stato, conseguente alla elaborazione di schemi cognitivi di particolare interesse per il soggetto. Nella visione beckiana le emozioni seguono sempre le cognizioni ed, in qualche modo, sembrano contrapporsi alla cognizione, alla quale è riservata la funzione nobile della elaborazione complessa dell'informazione. L'emozione, in quanto segnale o indice e non segno, non fornisce informazioni gestibili consapevolmente attraverso la manipolazione di un complesso codice linguistico di segni.
I difetti della visione cognitivistica classica delle emozioni possono essere riassunti in due punti. In primo luogo, la visione classica banalizzava l'emozione, che veniva descritta come un fenomeno semplice e meccanico. In secondo luogo, la cognizione, sia pure considerata come fenomeno complesso, veniva tendenzialmente considerata, sempre, in qualche modo, consapevole, esplicita, e già data: un prodotto, non un processo.
Lazarus (1991) e Frjida (1986) sono stati tra i primi che hanno analizzato meglio il fenomeno delle emozioni, riconoscendone le varie componenti, come l'appraisal, la body reaction, l'action readiness, ecc. Lazarus (1991), definiva le emozioni come segnali valutativi dello stato del sistema fisico-mentale, in rapporto all'ottenimento dei suoi scopi (goal). Questa definizione aveva il merito di iniziare a sottolineare il carattere valutativo delle emozioni. Dando maggiore importanza alle emozioni come fenomeno complesso, diventava però più difficile differenziarle dalla cognizione: non si trattava più di un semplice segnale, ma di una valutazione e, per di più, complessa.
Gli scritti di Zajonc (1980; 1984), che si richiamavano ad una tradizione che risaliva fino a Wundt (1897), furono la reazione più forte alla visione limitativa delle emozioni. Zajonc portò due obiezioni alla definizione di Lazarus, la prima di tipo fenomenologico, e l'altra di tipo cognitivo. L'obiezione fenomenologica diceva che, quale che sia la natura più o meno ragionevolmente fondata di qualunque appraisal emotivo, la qualità del singolo appraisal emotivo rimane una esperienza mentale immediata e, in qualche modo, irriducibile a qualunque forma di pensiero complesso e non associativo. L'appraisal emotivo non è valutato, ma sentito; è precisamente un "sentire", un feeling mentale-corporeo. La seconda obiezione nasceva da questa analisi fenomenologica, nonché da alcune interessanti osservazioni sperimentali (peraltro in parte discutibili), e diceva che l'appraisal emotivo, oltre a non avere i caratteri fenomenologici "freddi" del pensiero razionale, non ne aveva nemmeno i caratteri specifici cognitivi: si trattava, cioè, effettivamente di un appraisal del tutto infondato -almeno in termini logico razionali- e che nasceva da associazioni mentali semplici ed apprese in precedenti esperienze analoghe. Si trattava, quindi, di un fenomeno di tipo associativo "primitivo".
Tuttavia, come abbiamo detto, le evidenze osservative portate da Zajonc a supporto della sua critica non furono conclusive (Zajonc, Pietromonaco e Bargh, 1982). Infatti, Mandler (1982) notò che Zajonc non era riuscito affatto a dimostrare il carattere irrazionale dell'appraisal emotivo, ma solo la natura inconsapevole di questo tipo di elaborazione cognitiva. In realtà, sebbene inconsapevoli, queste cognizioni non si possono definire come "vuote", ma hanno il loro contenuto - sia pure solo implicazionale - di valutazione cognitiva dell'evento.
Malgrado ciò, l'obiezione di Zajonc non cadde, segno che era percepita come in qualche modo e/o in parte convincente. Il motivo della confusione era stato il considerare la cognizione sempre come tendenzialmente consapevole. Certo, alcuni schemi erano riconosciuti come "meno consapevoli", ma non era affrontato il problema del perché di questa minore consapevolezza. La soluzione risiedeva nell'analisi dei vari tipi di generazione-elaborazione dell'informazione. Come è noto, i meccanismi sono molteplici. Per semplicità, ci limiteremo a due gruppi principali, quello delle cognizioni esplicito-dichiarative, che chiameremo di tipo A, e che sono elaborate in sequenza (una dopo l'altra, mai insieme), in maniera consapevole, e sono generate in differita e non istantanea, usando codici combinatori di segni dichiarativi; e quelle che chiameremo di tipo B, che sono procedurali (quindi non fanno uso di codici combinatori di segni espliciti), istantanee e continue (e quindi non differite), non del tutto consapevoli ed elaborate in parallelo (e non in sequenza).
Accanto ai due tipi di elaborazione dell'informazione, è stato proposto che anche la generazione delle emozioni può seguire due vie fondamentali ed alternative (Power e Dalgleish, 1997) La prima, legata alle forme di pensiero superiore e logico-gerarchico, che proviene da una valutazione soggettivamente ragionevole di una situazione; la seconda, di tipo più primitivo, legata ad un' associazione diretta. La necessità di due vie per l' emozione è basata in parte sulla distizione teorica tra emozioni di base (ne sono state individuate almeno cinque, che sono rabbia, felicità, tristezza, paura e disgusto; ma alcuni studiosi ne elencano sei, o addirittura otto), che presumibilmente hanno una componente innata e che sono espresse con segnali facciali riconoscibili ovunque, in qualsiasi cultura e a qualsiasi età. Queste emozioni di base, sebbene siano spesso parte essenziale anche di esperienze complesse, trarrebbero la loro origine evolutiva da un processi innati di "riconoscimento del pericolo e fuga" automatici o semi-automatici, insomma poco processati a livello consapevole, e legati a eventi minacciosi primordiali. Seligman (1971) nota come alcune fobie, ad esempio verso i rettili e i topi, opprimono la nostra società, anche se questa non ha mai avuto una diretta esperienza di tali stimoli. Questa è un' ulteriore prova dell' esistenza di una componente innata che sottolinea l' emozione.
Un altro modo, in cui l'emozione potrebbe essere generata attraverso una via diretta, deriva dall'accoppiamento ripetuto di certe sequenze di eventi-emozioni, che può indurre l'automatizzazione di tali sequenze. In altre parole, la ripetizione può "bypassare" la necessità di riconoscere che un certo evento sia implicato nel raggiungimento di un progetto o di un obiettivo (e quindi in grado di suscitare un'emozione), in modo tale che l'evento (più volte ripetuto) diventi direttamente associato all'emozione. Una delle estreme forme di possibile automatizzazione dell'emozione è che, in certe circostanze, lo sviluppo di uno o più "basic emotion-module" può diventare particolarmente rigido o autonomo, fino a diventare patologico; così l' emozione primordiale del disgusto può alterarsi al punto da essere automaticamente e sempre rivolta verso il proprio corpo.
E' importante ricordare che non bisogna fare confusione tra i due tipi di generazione delle emozioni ed i due tipi di generazione delle cognizioni. In realtà, si tratta di fenomeni differenti. E' vero che le emozioni sembrerebbero più strettamente collegate alla cognizione di tipo procedurale. Parrebbe che la componente valutativa delle emozioni sia in realtà di tipo procedurale: ogni emozione, infatti, ha una componente di riconoscimento (appraisal) di un evento come positivo o negativo, ed una componente di generazione di schemi operativi associati (action readiness). Ora, entrambe queste componenti presuppongono schemi cognitivi procedurali complessi, ma niente affatto obbligatoriamente associativi.
A questo punto, distinguendo, quindi, tra almeno due tipi di elaborazione dell'informazione e due tipi di generazione del segnale emotivo, è più facile orientarsi. Possiamo tentare una definizione in quattro punti.
1) Tenendo ferma la definizione di emozione come evento complesso di tipo valutativo, essa si caratterizza prima di tutto per la sua natura di esperienza psichica, che contiene una quota di informazione intrinseca, sia retroattiva (valutazione di un evento rispetto ai goal), che proiettata in avanti (ogni emozione implica dei programmi operativi di reazione agli eventi).
2) Come segnale valutativo, l'emozione può legarsi a qualsiasi processo mentale di elaborazione delle informazioni: sia a quelli di tipo procedurale che a quelli di tipo esplicito. E' questa la posizione di Damasio A.R. (1994) e Damasio A.R. e Damasio H. (1996), secondo i quali gli appraisal emotivi sono dei marcatori sensorio-motori associabili a qualunque stato mentale, dalle percezioni alle forme di pensiero superiore logico-gerarchico.
Nella nostra vita di esseri sociali le emozioni vengono accese solo a seguito di un processo mentale valutativo, volontario, non automatico. Per la natura della nostra esperienza, un'ampia gamma di stimoli e di situazioni si è venuta associando con gli stimoli predisposti in modo innato per provocare emozioni; la reazione a quella gamma di stimoli e di situazioni può essere filtrata da una valutazione interposta, che è conscia. Proprio a motivo di tale processo di filtraggio valutativo e ponderato, possono variare l' estensione e l' intensità degli schemi emotivi predisposti; vi è, in effetti, una modulazione del meccanismo di base delle emozioni.
3) Ha però ragione anche Zajonc quando nota che l'emozione è una esperienza psichica soggettiva; aggiungiamo che l'emozione comunque porta con sè una quota intrinseca di informazione, che è di tipo implicazionale, inconsapevole ed assolutamente non esplicita.
4) E' difficile dire poi quanto questa quota implicazionale sia associativa o meno. Se per associativo si intende un sottogruppo di elaborazione procedurale dell'informazione particolarmente semplice e diretta, diremo che essa diminuisce, a mo' di gradiente, andando da un primo livello di appraisal primario di mera positività-negatività dell'evento, al secondo livello delle 5 emozioni di base, per arrivare poi al livello delle emozioni complesse.
EMOZIONI E COMPORTAMENTI ALIMENTARI BULIMICI
I clinici che si occupano di eating disorder hanno da tempo riconosciuto i potenziali effetti dei fattori emozionali come antecedenti dei comportamenti alimentari anomali (e.g. Abrham e Beumont, 1982; Garner e Bemis, 1982; Lacey 1986; Arnow et al.1992). Se vogliamo parlare di disturbi del comportamento alimentare come "emotional disorder" è necessario definire quali sono le emozioni che stanno alla base di questi comportamenti patologici.
In alcuni filoni di ricerca, studi sperimentali hanno dimostrato che l'esposizione a spunti emozionali negativi può far precipitare un "over-eating". Telch e Agras (1996) affermano che donne con "binge-eating disorder" sono predisposte al binge (abbuffata) più in risposta ad uno stato d'animo negativo (di tristezza, rabbia, o paura), che in risposta ad una deprivazione calorica. Essi hanno studiato se e come lo stato emozionale possa influenzare il "binge eating" in pazienti affette da disturbi del comportamento alimentare, giungendo ad importanti risultati: gli stati emozionali negativi sono associati sia con episodi di perdita di controllo sia con episodi di "eating" classificabili come abbuffate. Le conclusioni di questo studio enfatizzano l'importanza dell'esperienza emozionale soggettiva nella definizione del "binge eating": le abbuffate non possono essere identificate soltanto sulla base delle calorie consumate.
In un ulteriore gruppo di studi su donne sane (Patton, 1992; Meyer e Waller in corso di stampa) è stato dimostrato che gli spunti emozionali, presentati in modo subliminale (soprattutto gli spunti abbandonici), possono indurre più grandi livelli di "fame", mentre gli "appetitive cues" non hanno lo stesso effetto.
Grilo et al. (1994) hanno trovato che entrambi gli stati, "appetitive" ed "emotional", possono rendere conto delle abbuffate dei bulimici. Essi hanno trovato solo una piccola coerenza tra i soggetti studiati, suggerendo che ogni individuo si abbuffa per diversi motivi in momenti diversi (più che aderire in modo preciso ad un singolo modello).
In uno studio sulle risposte bulimiche ai desideri di cibo, Waters (1996) ha esplorato i fattori che determinano il fatto che le donne soccombano o meno a questi desideri e vadano verso il binge. Hanno scoperto che i desideri presenti nel binge-eating sono caratterizzati da un tono edonico significativamente più basso (per esempio più sentimenti di tristezza, insoddisfazione e depressione) rispetto a quei desideri che non sono presenti nei binge-eating. E' inoltre importante notare che il binge è associato a più bassi livelli di fame, enfatizzando l'importanza degli antecedenti emozionali, dove il binge segue i desideri di cibo. Waters (1996) ha concluso che la probabilità di abbuffarsi in risposta ad uno stato affettivo negativo è di gran lunga più elevata, se uno ha l'esperienza sensoriale di gustare un cibo, ma che questa relazione è ininfluente sulla fame di per sé.
In un ulteriore studio naturalistico, Davis et al. (1988) hanno scoperto che le bulimiche riferiscono uno stato d'animo negativo prima di abbuffarsi, confrontato con il loro stato affettivo prima di mangiare un pasto normale. E' chiaro che la bulimia nervosa, le modalità di mangiare delle bulimiche e i comportamenti del binge-eating sono tutti comportamenti associati con una particolare predisposizione a minacce verso la propria autostima (McManus et al., 1996; Waller et al., 1996) e ad emozioni negative (Reiger et al., in stampa). E' inoltre evidente che i soggetti con caratteristiche patologiche di questo tipo sono relativamente lenti nel rispondere a tali minacce (Waller et al., 1995; Waller e Mayer, 1997).
L'EMOZIONE COME SPINTA AI COMPORTAMENTI ANORESSICI
La ricerca sui trigger emotivi che spingono ai comportamenti anoressici è fino ad oggi meno ricca. Tuttavia è evidente, in base alla teoria di Power e Dalgleish (1997), che esistono delle spinte emozionali che conducono ai comportamenti anoressici. Se vogliamo indicare quali -tra le 5 basic emotion- sono quelle che stanno alla base dell'anoressia, queste sono due: la paura ed il disgusto.
La paura è presente in entrambe le classiche definizioni dell'anoressia di Hilde Bruch e di Gerald Russel. In particolare, Russel analizzò a fondo la fenomenologia della paura di ingrassare, come "centro organizzativo" della sindrome anoressica. Anche Habermas (1996) ha appoggiato con forza questa opinione. L'anoressica sarebbe talmente intimorita dalla possibilità di diventare grassa, da preferire una condizione di estremo sottopeso, che le assicura una "distanza di sicurezza" dal peso normale, piuttosto che avere un peso normale percepito come pericoloso, in quanto troppo vicino in termini di chili al sovrappeso.
A sua volta la paura di ingrassare sarebbe una manifestazione particolare della profonda paura universale di tutto, che pervaderebbe la personalità della anoressica. Questa paura sarebbe il frutto di una auto-valutazione estremamente negativa che la anoressica esercita su sé stessa. L'anoressica si ritiene sempre inadeguata, insicura, di poco valore e priva di controllo sulla propria vita: è quel "pervasivo senso di incapacità", già indicato dalla Bruch come costrutto cognitivo sotteso all'anoressia. Esso è concettualmente molto vicino al moderno concetto di scarsa autostima o Negative Self Evaluation (NSE) . Una ricerca epidemiologica analitica dello stesso Fairburn ha stabilito che la NSE è uno specifico e potente fattore rischio nello sviluppo degli eating disorder (Fairburn et al., 1997). Come scrive Wilson (1999), NSE e bassa autostima sono concetti che si estendono ben al di là della semplice preoccupazione per il peso e l'aspetto, e sono caratteristiche molto diffuse tra le pazienti affette da disturbi alimentari.
Accanto alla paura, un ruolo importante è svolto anche dal disgusto. Il disgusto sarebbe rivolto verso il cibo, in quanto considerato essere ingrassante, ed in secondo luogo verso il corpo o alcune parti del corpo che vengono percepite come grasse o come vicine ad esserlo. Il disgusto dell'anoressica è rivolto anche verso tutta la propria persona, e ciò è di nuovo sintomo di bassa autostima (Troop et al., 2000). Infine, anche la pressione sociale alla dieta ed all'essere magri fornisce un contesto culturale, in cui l'overeating ed il sovrappeso sono generalmente visti con disgusto.
Questi stati emotivi sono evidentemente presenti nella "paura di ingrassare". Tuttavia, la componente cognitiva esplicita ha finora attirato la maggior parte dell'attenzione dei clinici. Insomma, "ingrassare" era più importante della paura. In realtà, è impossibile provare delle emozioni che siano prive di una componente cognitiva esplicita. La paura è sempre paura di qualcosa. La paura, come tutte le altre emozioni, non esiste di per sé, ma è sempre vissuta in relazione ad un oggetto.
Nell'indagine clinica, è molto difficile effettuare delle ricerche che escludano la componente cognitiva esplicita delle emozioni. Presumibilmente, una persona, che non decodifica esplicitamente i suoi stati emotivi, cade in uno stato di confusione in cui riesce a descrivere con chiarezza soltanto degli stati somatici, che clinicamente possono essere definiti come sintomi soggettivi.
L'articolo da leggere è, a questo proposito, quello di Lee, Ho & Hsu (1993): in uno studio su 70 anoressiche diagnosticate e curate ad Hong Kong, i tre studiosi ebbero grosse difficoltà nell'applicare il set diagnostico del DSM-IV. Infatti solo la metà (anzi un po' meno) delle pazienti anoressiche giustificava il proprio rifiuto del cibo con la paura di ingrassare. Le rimanenti, invece, riportavano, come ragione del rifiuto del cibo, problemi quali gonfiore di stomaco, perdita dell'appetito, assenza di fame, disgusto per il cibo, nodo alla gola o, semplicemente, dicendo "non lo so". A ben vedere, queste giustificazioni sono l'espressione verbale degli stati somatici di cui sopra.
Secondo Lee, il rifiuto del cibo costituirebbe un mezzo universale per esprimere "una profonda sofferenza, (....) e disagio per le ostilità interfamiliari e mezzo per salvare il potere interpersonale in differenti contesti come: lo sviluppo dell'identità, le eccessive pressioni delle prove della vita , i conflitti tra i genitori..." (Lee, 1993, p. 298). Lee & Hsu (1993) e Katzmann & Lee (1997) hanno appoggiato questa ultima ipotesi, sulla base di due argomenti. Prima di tutto il timore di ingrassare non è un elemento psicopatologico ritrovabile nella letteratura precedente gli anni '60 che si è occupata della fenomenologia dei disturbi alimentari. Inoltre la paura di ingrassare non è un carattere costantemente presente tra i casi di disturbi alimentari.
STUDIO SPERIMENTALE SUI TRIGGER EMOZIONALI ALLA BASE DEI SINTOMI IN UN CAMPIONE DI 45 PAZIENTI AFFETTE DA DISTURBO DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE.
Sulla base di quanto esposto finora nei nostri precedenti lavori, abbiamo elaborato un disegno di tipo sperimentale-esplorativo dei trigger cognitivi ed emozionali presenti nel campione studiato, non tralasciando alcun sintomo riferito dalle pazienti. La nostra ricerca si propone di investigare la prevalenza sia dei criteri di Lee che di quelli del DSM-IV nei pazienti con disturbi alimentari. I risultati verranno poi interpretati alla luce della teoria delle emozioni. Quindi, i criteri del DSM (paura di ingrassare) rifletterebbero una maggiore tendenza a decodificare esplicitamente le emozioni. Invece, i criteri di Lee rifletterebbero una tendenza a vivere fino in fondo le emozioni, ma senza decodificarle in termini cognitivi.
Obiettivi
L'obiettivo che ci siamo preposti, quando abbiamo cominciato questo studio, è stato quello di osservare la frequenza e la co-frequenza dei vari trigger del nostro campione. Tutto ciò al fine di capire, sia pure in via preliminare, il peso di tali trigger nell'insorgenza e nel mantenimento dei sintomi nei disturbi del comportamento alimentare.
Campioni
E' stato studiato un campione di una popolazione clinica di pazienti con diagnosi di "disturbo del comportamento alimentare" (anoressia nervosa e/o bulimia nervosa).
Tale campione è composto da 45 pazienti donne, con un'età media di 24,13 anni (deviazione standard = 4,47), con una mediana di 24 e un intervallo di età compreso tra 16 e 34 anni. Queste pazienti sono state intervistate nell'anno 1999, presso l'Istituto Auxologico Italiano di Milano.
Le diagnosi di queste pazienti erano:
Diagnosi | Pazienti | % |
Anoressia nervosa tipo 1 | 11 | 24.4 % |
Anoressia nervosa tipo 2 | 21 | 46.7 % |
Bulimia nervosa | 12 | 26.7 % |
Disturbo del comportamento alimentare NAS | 1 | 2.2 % |
Materiali e metodi
L'intervista clinico-diagnostica è stata da noi rielaborata sulla base della già nota TIB (therapist interview at the beginning of the treatment, COST ACTION B6, unissued).
Tale intervista valuta le caratteristiche psicologiche e comportamentali delle pazienti anoressiche e bulimiche, ma soprattutto le motivazioni che hanno indotto i comportamenti patologici e i trigger alla base di questi.
Alle pazienti è stato chiesto quali sono state le motivazioni che le hanno indotte ai comportamenti patologici durante gli ultimi 6 mesi: è stata chiesta la motivazione di ogni comportamento patologico indagato, proponendo una serie di motivazioni standard; poi è stato chiesto se ci fossero altre motivazioni, oltre a quelle proposte dal nostro test, e se ne è annotata l' eventuale presenza in modo dettagliato.
I questionari sono stati somministrati da uno staff composto da studenti laureandi in "medicina e chirurgia" e da medici psichiatri, sotto la supervisione del medico psichiatra che ha in cura le pazienti. L'intervistatore ha annotato le risposte delle pazienti su appositi moduli prestampati, in presenza delle pazienti stesse, nel corso della somministrazione dell'intervista. Le pazienti si sono sottoposte volontariamente all'intervista clinico-diagnostica, dopo essere state da noi informate sulle modalità di esecuzione e sugli scopi dello studio.
Risultati
Nel nostro studio abbiamo analizzato la frequenza dei seguenti comportamenti anoressico-bulimici: la dieta, il vomito, l'uso di lassativi, il digiuno e l'esercizio fisico eccessivo. Nell'esecuzione dei test statistici abbiamo considerato solo i sintomi "dieta" (tab. 1), "vomito" (tab. 2) e "lassativi" (tab. 3), trascurando il digiuno (tab. 4), poiché solo 7 delle nostre pazienti presentavano questo sintomo comportamentale, e l'esercizio fisico eccessivo (tab. 5), perché i trigger alla base di questo appartenevano solo al cluster "paura di ingrassare" o a quello "altri motivi".
Per quanto riguarda la dieta, questa veniva osservata da 36 delle nostre pazienti, di cui 13 erano a dieta per paura di ingrassare (o per la sensazione di essere grassa), 2 motivavano tale comportamento con dei sintomi psicosomatici, 21 adducevano come motivazione entrambi i cluster.
A proposito del vomito, questo era presente in 24 delle nostre pazienti;
3 vomitavano per "paura di ingrassare", 7 ritenevano causa del vomito alcuni disturbi psicosomatici e, infine, 14 motivavano il vomito con entrambi i cluster.
Fra le nostre pazienti 17 assumevano regolarmente lassativi: 4 di loro per paura di ingrassare, 6 per motivazioni psicosomatiche e 7 per entrambi i cluster considerati.
Discussione
Abbiamo esaminato le frequenza dei vari trigger per tutti i sintomi comportamentali dell'anoressia e della bulimia. Poi abbiamo raggruppato i trigger in cluster tematici. Il cluster "paura di ingrassare" raggruppa i trigger legati alla paura di ingrassare: la paura di ingrassare e la sensazione di essere grassa. Questo cluster avremmo potuto denominarlo anche "cluster razionale", poiché raggruppa i trigger che agivano come spiegazione logico- razionale verbalizzata di un comportamento ("Ho paura di ingrassare e per questo vomito o mi astengo dal cibo").
Nel secondo cluster vi sono invece i trigger psicosomatici: assenza di fame (solo per il comportamento patologico "dieta"), gonfiore di stomaco, bruciore di stomaco, difficoltà a digerire, nausea, disgusto del cibo, nodo alla gola, fastidio perché sa di avere del cibo.
Pur avendo indagato anche i trigger "non sa" e "altri motivi", non li abbiamo considerati nell'elaborazione statistica dei dati.
Infine nel cluster "entrambi" rientrano i casi in cui la paziente ha riferito uno o più tipi di entrambe le categorie di trigger.
Le frequenze misurate sono state poi confrontate con quelle attese, mediante il test statistico Chi-quadrato, per verificare l'esistenza di differenze significative.
Abbiamo riscontrato una differenza significativa rispetto ai risultati attesi solo nei comportamenti patologici "dieta" e "vomito".
Infattti la maggioranza delle nostre pazienti era a dieta, sia per cause psicosomatiche verbalizzate come sintomi organici, sia a causa di una decodificazione esplicita dell'emozione alla base di tale comportamento (la paura di ingrassare).
Anche riguardo al vomito la maggior parte delle nostre pazienti ha motivato tale comportamento con entrambi i cluster: verosimilmente hanno provato le emozioni di base, già citate da Power e Dalgleish, le hanno decodificate e poi razionalizzate, quindi espresse verbalmente secondo quelli che sono i criteri del DSM IV.
Al contrario non abbiamo ottenuto una differenza significativa tra attesi e osservati riguardo all'assunzione di lassativi. In questo caso i cluster "paura di ingrassare", "psicosomatico" e "entrambi" erano presenti con frequenze simili.
Conclusioni
Il risultato più significativo dello studio la differente prevalenza dei trigger del comportamento dietetico-restrittivo rispetto ai trigger che si osservano nei comportamenti compensatori della bulimia (vomito e lassativi). Il comportamento dietetico è quasi sempre spiegato in termini espliciti e razionali di "paura di ingrassare"; solo la metà delle nostre pazienti aggiunge la giustificazione psicosomatica. Il quadro è diverso per i comportamenti compensatori, per i quali il cluster psicosomatico tende invece a prevalere.
La prima conclusione da trarre è che l'astensione dal cibo, per il suo carattere di comportamento di forte autocontrollo, razionalmente programmato e prolungato nel tempo, tende a determinare uno spostamento dell'attenzione del soggetto dall'area fenomenologica degli stimoli di provenienza corporea verso l'area del pensiero cosciente. Nell'esperienza soggettiva dell'anoressica vengono quindi rifuggiti con terrore tutti gli impulsi emozionali e gli stimoli corporei, a cominciare dalla fame, poiché questi sono vissuti come minacciose possibilità di perdere il controllo. Viene invece desiderato e perseguito lo stato d'animo di vittoria che nasce dal controllo di sé e dal perfezionismo (Fairburn et al., 1998).
Nei comportamenti compensatori, invece, la paziente ha una esperienza di fallimento e di colpa: l'autostima, già bassa in tutte le pazienti affette da disturbi alimentari, è ulteriormente compromessa dal fallimento nel campo del controllo alimentare. Nel momento in cui non riesce a conseguire la restrizione alimentare, la paziente cade in un pervasivo stato di angoscia, che le impedisce di razionalizzare i suoi comportamenti e di trarne delle conclusioni "appaganti". Pertanto, prevalgono i connotati fisici dell'angoscia e gli input corporei, che più facilmente si traducono in compulsioni compensatorie (vomito e lassativi) immediate, alla base delle quali c'è il corpo e non il pensiero; così, nelle nostre pazienti, le manifestazioni organiche diventano lo spunto "emozionale" per giustificare una condizione mentale patologica.
BIBLIOGRAFIA
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TABELLA 1
DIETA = 36 pazienti
Paura di ingrassare |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
3 |
8,3 |
SI |
33 |
91,7 |
Totale |
36 |
100,0 |
Sensazione di essere grassa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
25 |
69,4 |
SI |
11 |
30,6 |
Totale |
36 |
100,0 |
Assenza di fame |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
26 |
72,2 |
SI |
10 |
27,8 |
Totale |
36 |
100,0 |
Gonfiore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
24 |
66,7 |
SI |
12 |
33,3 |
Totale |
36 |
100,0 |
Peso sullo stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
30 |
83,3 |
SI |
6 |
16,7 |
Totale |
36 |
100,0 |
Bruciore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
33 |
91,7 |
SI |
3 |
8,3 |
Totale |
36 |
100,0 |
Difficoltà a digerire |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
26 |
72,2 |
SI |
10 |
27,8 |
Totale |
36 |
100,0 |
Nausea |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
34 |
94,4 |
SI |
2 |
5,6 |
Totale |
36 |
100,0 |
Disgusto del cibo |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
34 |
94,4 |
SI |
2 |
5,6 |
Totale |
36 |
100,0 |
Nodo alla gola |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
32 |
88,9 |
SI |
3 |
8,3 |
Totale |
36 |
100,0 |
Fastidio cibo dentro |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
28 |
77,8 |
SI |
7 |
19,4 |
Totale |
36 |
100,0 |
Altri motivi |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
19 |
52,8 |
SI |
17 |
47,2 |
Totale |
36 |
100,0 |
Non sa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
19 |
52,8 |
SI |
17 |
47,2 |
Totale |
36 |
100,0 |
-DIETA-
Confronto tra cluster |
Osservati |
Attesi |
Differenza |
Solo cluster "paura di ingrassare" |
13 |
12,0 |
1,0 |
Solo cluster psicosomatico |
2 |
12,0 |
-10,0 |
Entrambi |
21 |
12,0 |
9,0 |
Totale |
36 |
|
|
|
Confronto tra cluster |
Chi-Quadro |
15,167 |
Gradi di libertà |
2 |
P |
,001 |
TABELLA 2
VOMITO = 24 pazienti
Paura di ingrassare |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
7 |
29,2 |
SI |
17 |
70,8 |
Totale |
24 |
100,0 |
Sensazione di essere grassa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
17 |
70,8 |
SI |
7 |
29,2 |
Totale |
24 |
100,0 |
Gonfiore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
5 |
20,8 |
SI |
19 |
79,2 |
Totale |
24 |
100,0 |
Peso sullo stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
10 |
41,7 |
SI |
14 |
58,3 |
Totale |
24 |
100,0 |
Bruciore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
21 |
87,5 |
SI |
3 |
12,5 |
Totale |
24 |
100,0 |
Difficoltà a digerire |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
15 |
62,5 |
SI |
9 |
37,5 |
Totale |
24 |
100,0 |
Nausea |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
14 |
58,3 |
SI |
10 |
41,7 |
Totale |
24 |
100,0 |
Disgusto del cibo |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
21 |
87,5 |
SI |
3 |
12,5 |
Totale |
24 |
100,0 |
Nodo alla gola |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
22 |
91,7 |
SI |
2 |
8,3 |
Totale |
24 |
100,0 |
Fastidio cibo dentro |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
12 |
50,0 |
SI |
12 |
50,0 |
Totale |
24 |
100,0 |
Altri motivi |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
7 |
29,2 |
SI |
17 |
70,8 |
Totale |
24 |
100,0 |
Non sa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
24 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
24 |
100,0 |
-VOMITO-
Confronto tra cluster |
Osservati |
Attesi |
Differenza |
Solo cluster "paura di ingrassare" |
3 |
8,0 |
-5,0 |
Solo cluster psicosomatico |
7 |
8,0 |
-1,0 |
Entrambi |
14 |
8,0 |
6,0 |
Total |
24 |
|
|
|
Confronto tra cluster |
Chi-Quadro |
7,750 |
Gradi di libertà |
2 |
P |
,021 |
TABELLA 3
LASSATIVI = 18 pazienti
Paura di ingrassare |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
7 |
38,9 |
SI |
11 |
61,1 |
Totale |
18 |
100,0 |
Sensazione di essere grassa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
15 |
83,3 |
SI |
3 |
16,7 |
Totale |
18 |
100,0 |
Gonfiore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
5 |
27,8 |
SI |
13 |
72,2 |
Totale |
18 |
100,0 |
Peso sullo stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
16 |
88,9 |
SI |
2 |
11,1 |
Totale |
18 |
100,0 |
Bruciore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
18 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
18 |
100,0 |
Difficoltà a digerire |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
18 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
18 |
100,0 |
Nausea |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
18 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
18 |
100,0 |
Disgusto del cibo |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
18 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
18 |
100,0 |
Nodo alla gola |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
18 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
18 |
100,0 |
Fastidio cibo dentro |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
15 |
83,3 |
SI |
3 |
16,7 |
Totale |
18 |
100,0 |
Altri motivi |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
11 |
61,1 |
SI |
7 |
38,9 |
Totale |
18 |
100,0 |
Non sa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
18 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
18 |
100,0 |
-LASSATIVI-
Confronto tra cluster |
Osservati |
Attesi |
Differenza |
Solo cluster "paura di ingrassare" |
4 |
5,7 |
-1,7 |
Solo cluster psicosomatico |
6 |
5,7 |
,3 |
Entrambi |
7 |
5,7 |
1,3 |
Totale |
17 |
|
|
|
Confronto tra cluster |
Chi-Quadro |
,824 |
Gradi di libertà |
2 |
P |
,662 |
TABELLA 4
DIGIUNO = 7 pazienti
Paura di ingrassare |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
4 |
57,1 |
SI |
3 |
42,9 |
Totale |
7 |
100,0 |
Sensazione di essere grassa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
6 |
85,7 |
SI |
1 |
14,3 |
Totale |
7 |
100,0 |
Assenza di fame |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
6 |
85,7 |
SI |
1 |
14,3 |
Totale |
7 |
100,0 |
Gonfiore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
6 |
85,7 |
SI |
1 |
14,3 |
Totale |
7 |
100,0 |
Peso sullo stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
6 |
85,7 |
SI |
1 |
14,3 |
Totale |
7 |
100,0 |
Bruciore di stomaco |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
6 |
85,7 |
SI |
1 |
14,3 |
Totale |
7 |
100,0 |
Difficoltà a digerire |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
5 |
71,4 |
SI |
2 |
28,6 |
Totale |
7 |
100,0 |
Nausea |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
7 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
7 |
100,0 |
Disgusto del cibo |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
7 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
7 |
100,0 |
Nodo alla gola |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
6 |
85,7 |
SI |
1 |
14,3 |
Totale |
7 |
100,0 |
Fastidio cibo dentro |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
6 |
85,7 |
SI |
1 |
14,3 |
Totale |
7 |
100,0 |
Altri motivi |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
0 |
0,0 |
SI |
7 |
100,0 |
Totale |
7 |
100,0 |
Non sa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
7 |
100,0 |
SI |
0 |
0,0 |
Totale |
7 |
100,0 |
TABELLA 5
ESERCIZIO FISICO ECCESSIVO = 19 pazienti
Paura di ingrassare |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
8 |
42,1 |
SI |
11 |
57,9 |
Totale |
19 |
100,0 |
Sensazione di essere grassa |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
13 |
68,4 |
SI |
6 |
31,6 |
Totale |
19 |
100,0 |
Altri motivi |
Frequenza |
Percentuale |
NO |
3 |
15,8 |
SI |
16 |
84,2 |
Totale |
19 |
100,0 |
PM
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