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Giulia Grava
Anoressia come modalita’ di sopravvivenza
Vari autori nel corso del tempo, trattando patologie diverse, provenendo da scuole di pensiero separate, hanno, sia direttamente che indirettamente, trattato il fenomeno che spesso costituisce il nucleo della psicopatologia, e cioè il tentativo, più o meno consapevole, dell’individuo di sopravvivere anche usando “mezzi” estremi per farlo.
Difatti l’autore che meglio, a parer mio, ha trattato la psicopatologia dell’anoressia mentale, Hilde Bruch (1978 e 1988), afferma che le giovani anoressiche assumono un tal comportamento e pensiero distorti per ottenere il dominio almeno sul proprio corpo. Infatti esse, almeno fino agli inizi del duemila, provenivano da famiglie caratterizzate da madri onnipresenti che non lasciavano spazio alcuno alle figlie, sia negli aspetti più concreti (peso, come vestirsi), sia come modalità di “vita” (cioè eccellere in qualunque aspetto della vita si cimentassero), sia come modalità di pensiero (“la vita è una lotta”, “non esistono amici o persone cui affidarsi” etc…).
Questo il pensiero esplicito. Ma da ciò deriva un pensiero implicito forte: queste ragazze derivano la loro starvation dal tentativo di appropriarsi di se stesse passando prima di tutto dall’appropiarsi del proprio corpo. Qual è il pensiero implicito? E’ che stati d’animo, condotte, pensieri estremi, possono essere funzionali per la sopravvivenza dell’individuo stesso.
La Palazzoli Selvini (1963) invece pare più calata in un ipotesi di lotta per il potere all’interno della famiglia che alla necessità di sopravvivere.
Sempre in tema di senso implicito forte della condotta anoressica ci pare completamente erronea l’ipotesi di concepire l’anoressia come perversione (vedi in Kestemberg e Decobert, 1972, e in Gatti 1998).
La linea di pensiero della Bruch (1978) d’altronde richiama gli scritti di Ferenczi La confusione delle lingue tra bambini e adulti (1932) e Il diario clinico (1932), in cui egli sostiene che vi è un fraintendimento fra bambini ed adulti: la richiesta di tenerezza dei primi bisognosi viene invece intesa come seduzione dai secondi. Quando il bambino si riprende dallo stato di annichilimento in cui l’ha gettato l’aggressione, non crede ai suoi residui ricordi e vive l’aggressione come se fosse venuta dall’esterno o addirittura non fosse avvenuta (proiezione all’esterno e negazione successive alla dissociazione). Nel tempo, la sproporzione di forze e il bisogno che il bambino ha di chi lo accudisce, gli impone di sottometterglisi, addirittura di identificarsi con lui (identificazione con l’aggressore). Si potrebbe banalizzare questo parlando di una sindrome di Stoccolma di bambini-adulti in mano a persone folli.
Una digressione….
Margaret Little (1951 e 1977), che dalla sua vita ben sapeva quello che poi avrebbe affermato, diceva che al diritto inalienabile di vivere e di essere veramente se stessi è impossibile accedere se non si è ricevuto amore. La Little ha per questo commentato il Peer Gynt di Ibsen mostrando nell’opera il dramma fra l’autogiustificazione e la sincerità, quest’ultima resa possibile da un sufficiente accudimento rispettoso della propria unicità.
Questo stesso tema, pur cambiando il tipo di psicopatologia, è trattato da uno psicoanalista americano dei nostri giorni, Maltzberger (2002, 2004) negli scritti riguardanti i tentati suicidi. Egli infatti ritiene che questi siano pienamente intenzionali perché risposta ad uno stato emotivo estremo, da lui denominato emotional flooding (rabbia, colpa, ferita narcisistica, percezioni di perdita, quello quindi che Maltzberger chiama desperation), che appunto i soggetti pensano di poter controllare solo tramite la morte. Pertanto la morte appare loro, ed è, frutto di un gesto estremo di sopravvivenza.
Il paradosso che accomuna comportamenti apparentemente così diversi-anoressia, resa al volere dell’adulto fino all’identificazione con l’aggressore, comportamente autolesivi fino al suicidio, realizzato o meno (Grava, 2005)-, è che essi rappresentano una delle pulsioni identificate da Freud, quella di sopravvivenza.
Pertanto sia che il disturbo sia di tipo anoressico/bulimico, sia che si parli di T.S, si sta sempre parlando di modalità, seppur disfunzionali, di prendere in mano la propria vita.
Rimando oltre la trattazione di un legame, che nel momento in cui sto rielaborando mi pare per la prima volta chiaro, fra condotte alimentari, T.S e Disturbo da Attacco di Panico. Sono infatti tre tipologie accumunate dallo scaricare sul corpo del proprio malessere: le prime due mi pare evidente, l’ultima perché in fin dei conti l’attacco di panico non è altro che una via di fuga attraverso il corpo di emozioni e sentimenti non gestibili, in primis per un grave deficit della mentalizzazione; tale disturbo rientra, quindi, a parer mio nella schiera del disturbo psicosomatico.
Le condotte psicopatologiche esaminate in questo capitolo, seppure in maniera estremamente semplice e riduttiva, sono gli esempi più estremi e più calzanti di come le cose, nella loro realtà non solo inconscia, vogliono spesso dire il contrario di quanto apparentemente dicono. In altri termini il Falso Sé di Winnicott è spesso uno stato di necessità, ma non paragonabile a queste manifestazioni estreme, perché la continuità del Falso con il Vero Sé è comunque sempre mantenuta.
Bibliografia
Borgogno F., (1999). Psicoanalisi come percorso, Bollati Boringhieri, Torino.
Bruch H. (1978). tr. it La Gabbia D’Oro. L’enigma dell’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano, 1983.
Bruch H. (1988). tr. it. Anoressia. Casi Clinici. Cortina, Milano, 1988.
Ferenczi S. (1932). tr. it. Confusione delle lingue fra adulti e bambini. In Fondamenti di Psicoanalisi, vol. 3, Guaraldi, Rimini, 1974
Ferenczi S. (1932). tr. it. Diario clinico, Cortina, Milano, 1988.
Gatti B. L’anoressia Mentale. In (a cura di ) Semi A. A (1988). Trattato di Psicoanalisi, vol. 2, Cortina, Milano.
Grava G. (2005). Ballando Con la morte. Storie di tentati suicidi, FrancoAngeli, Milano.
Kestemberg J., Decobert S.(1972). La Faim et le Corps, PUF, Paris.
Little M. (1957), tr. it. La risposta totale dell’analista ai bisogni del paziente. In Verso l’unità fondamentale, Astrolabio, Roma, 1994.
Little M. (1977), tr. it. Note sul Peer Gynt di Ibsen. In Verso l’unità fondamentale, Astrolabio, Roma, 1994.
Maltzberger J. T. (2002). The Descent Into Suicide, presented at the Austen Riggs Center Conference Dancing with Death, Stockbridge (MA).
Maltzberger J., T. (2004). The descent into suicide, Int. J. Psychoanal., vol. 85, 653-677.
Selvini Palazzoli M. (1963). L’anoressia Mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare, Feltrinelli, Milano.
Selvini Palazzoli M., Cirillo S., Sellini M., Sorrentino A. M. (1998). Ragazze anoressiche e bulimiche. La terapia familiare, Cortina, Milano.
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