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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Anoressia e Bulimia



Tra Peter Pan e Agilulfo. Un caso di anoressia maschile

Sandro Rodighiero

Presidente dell'AION (Cosenza)



ADOLESCENZA

Salomon Resnik scrive: "La vita è movimento e il percorso umano può essere concepito temporalmente e spazialmente come la manifestazione corporizzata di un ritmo cangiante".
La dinamica di questo mutevole percorso ha come specchio il corpo nei suoi continui ed inesorabili cambiamenti, tali cambiamenti propongono il concetto del limite, del confine e quindi della fine.
L'adolescente vive più intensamente di altri, un turbinoso cambiamento dell'immagine del proprio corpo e del suo stesso spazio mentale.
Tutto questo si oppone all'onnipotenza infantile nella consapevolezza nuova di una finitezza che irrompe dall'incontro con un sé sconosciuto e mortale. Il sentimento di angoscia e depressione che ne scaturisce prelude, con la sua possibile elaborazione attraverso i riti di passaggio, all'entrata nell'età adulta. Può però dare anche origine a sentimenti di negazione della crescita e della morte.

Possiamo così trovare dei pazienti anche di quaranta anni che hanno grande difficoltà ad entrare nel mondo degli adulti.
Persone di questo tipo non riescono ad entrare nell'adolescenza oppure non ne sanno più uscire; non accettano infatti i cambiamenti del corpo infantile, oppure non riescono ad abbandonare quel corpo adolescente che mantiene l'illusione di essere bisessuali: un pò ragazzi, un pò ragazze. L'elemento che accomuna tutti questi pazienti viene definito da Anna Taquini Resnik come "Il complesso di Peter Pan", per evidenziare sì l'onnipotenza infantile, ma soprattutto il rifiuto di varcare la soglia dell'età adulta. In questo modo soltanto, infatti, si rimane una promessa per gli altri ma anche per se stessi. Il problema è sempre il lutto, la difficoltà ad abbandonare questa "Vita per il domani" come segnala la Taquini, per accorgersi che è "Qui e adesso" che si svolge l'esistenza.
Compaiono così comportamenti suicidari di sfida, o di rifiuto di un corpo ingombrante e non riconosciuto, con disturbi del comportamento alimentare quali anoressia e bulimia.

Antoin de Saint-Exupéry, eroico aviatore e grande scrittore, è anche lui come Peter Pan un eterno fanciullo, secondo l'analisi che ne fa Marie-Louise von Franz
"Per favore mi disegni una pecora?" chiese il Piccolo Principe sceso dalle stelle, ad Antoin de Saint-Exupéry, e questi lo ascoltò, perché il Piccolo Principe fu il solo che seppe vedere nel disegno che fece da bambino non un cappello come tutti i grandi, ma il profilo di un boa che ha inghiottito un elefante.
Non sa disegnare una pecora e allora l'aviatore disegna una scatola che la contiene, piccola come serve nel piccolo mondo del Piccolo Principe.
L'incontro con il suo segreto mondo infantile, distrae l'aviatore perso nel deserto, con il suo aereo da riparare.

In ogni adolescente vi è un elefante, un eroe adulto, che rischia di essere stritolato da un boa, il boa dell'incomprensione, della solitudine, della paura, dell'angoscia, dell'indifferenza soffocante, del non essere ascoltato. Ogni fanciullo ha bisogno di essere ascoltato. Le cronache dei giornali sono piene di suicidi commessi da adolescenti non ascoltati dai grandi, anche il primo della classe può aver tedio per la solitudine.
La mancanza di valori da condividere, la disoccupazione, l'assenza di speranza, in questa fase delicata del percorso umano, rappresentano un potente detonatore che fa esplodere in rabbia e vendetta l'energia giovanile trasformandola in criminalità, 'ndrangheta ecc.

Paolo Crepet nel suo "Cuori violenti" infatti dice: "All'inizio del mio viaggio mi chiedevo perché ogni anno in Italia più di 50.000 minori compiono crimini a volte orrendi. Ora mi domando perché sono solo 50.000 a farlo" e più oltre: "Come fa Salvatore a scegliere di andare a scuola per diventare disoccupato, come accade nel suo paese a quattro ragazzi su dieci, oppure a sperare di essere assunto come operaio a poco più di un milione al mese?
Come potrebbe poi comprarsi i vestiti che gli pubblicizziamo, lasciare le discoteche e le birrerie in cui lo costringiamo dopo aver distrutto qualsiasi altro luogo d'incontro? Dove può trovare le norme etiche per scartare le seduzioni di una criminalità che gli offre due o tre milioni alla settimana per lavorare un solo giorno, quando quella stessa criminalità elegge rappresentanti nei nostri enti locali, nel nostro parlamento nazionale?"
Fondamentale appare quindi il nostro compito di genitori, educatori e terapeuti nel non fare mai mancare ai nostri giovani la speranza di un lavoro, di un posto nella società, di una vita degna di essere vissuta. Altrimenti dovremmo dire che: "I bambini cattivi un cuore ce l'hanno: è quello violento dei loro padri, dei loro cattivi maestri".

Bisogna amarli i giovani e far loro sentire il nostro amore per insegnar loro ad amare la vita e loro stessi.
Il disturbo alimentare può essere una spia di disamore e solitudine incompresa, spia importante da non trascurare e considerare come equivalente di disagio giovanile con tutti i possibili tragici sviluppi.

ANORESSIA

La diagnosi dell'anoressia ha toccato tutti i campi del sapere, medico, psicologico, psicoanalitico e prima ancora, con le sante anoressiche il sapere religioso. I sacerdoti sono stati i primi a tentare rimedi per questa dannata santità.

Teresa d'Avila, Caterina da Siena, Chiara d'Assisi sono delle grandi anoressiche, come pure Pedro de Alcantara.
L'anoressia, quindi, non è un fenomeno esclusivo della nostra epoca; ha qualcosa in comune con l'ascetismo delle sante medioevali, hanno in comune un oggetto: il cibo, da cui astenersi.

"Per capire l'anoressica" scrive Lacan, "non bisogna pensare che il bambino non mangia, ma che mangia niente". Mangiare niente pone l'esistenza di un oggetto, pone quindi una relazione tra soggetto e oggetto.
Si può interpretare il vuoto anoressico, quindi come un tentativo di costruire un terzo, un ponte di comunicazione, come avviene anche quando ci si comunica attraverso l'ostia consacrata.

Teresa d'Avila dice che vomita tutte le mattine però se fa la comunione, non vomita più la mattina ma la sera, e un giorno dirà: "mettendo in bocca l'ostia consacrata, mi sono sentita tutta la bocca riempita di sangue".
In questo modo quindi si realizza, attraverso l'ostia consacrata vero alimento, il terzo mediatore nel percorso verso Dio.

San Giovanni della Croce dice: "Se vuoi avere tutto non devi prendere qualcosa". Quindi il qualcosa, l'oggetto parziale, nega il tutto. Infatti l'immagine portata nella mistica è il vetro che potrà essere totalmente attraversato dal raggio del sole solo se non avrà impurità di sabbia, se non sarà sporco. Per essere totalmente trasparente dovrà essere senza alcuna macchia perché questa arresterebbe il passaggio del raggio. L'idea del corpo mistico del santo è quella di essere totalmente attraversata dal raggio divino.
L'idea mistica di Giovanni della croce nel suo cammino verso la perfezione quindi è dire: "Devo dire di no all'umano per avere tutto il divino".

È suggestivo qui l'accostamento con il caso clinico del Presidente Schreber e con l'analisi che ne fa Freud nel 1910, e che divenne il paradigma della paranoia.
Il presidente di corte d'appello veniva attraversato dai raggi del sole che lo fecondavano e lo femminilizzavano: erano i Raggi Flechsig, dal nome del suo psichiatra. La paura di un corpo che muta ed è invaso dalla sessualità, spinge l'anoressico a farsi trasparente, attraversabile dai raggi del sole e quindi invisibile.

Nessuna patologia annovera un tasso di mortalità così elevato, ipoteticamente l'anoressica si potrebbe trasformare in una tossicodipendente, per le similitudini di gravità e personalità.
Ma perché l'anoressia trova il suo momento scatenante in quel periodo della vita che è l'adolescenza?

Maria Selvini Palazzoli fa pensare all'anoressia come una passione, ad uno stato di violenta e persistente emozione erotica in contrasto con le esigenze della ragione.
È il realizzarsi della sessualità, la concretezza di un corpo sessuato, che senza chiedere il permesso espone il corpo a modificazioni che sono bruscamente evidenti e impone la discontinuità tra la sessualità perversa polimorfa infantile e la sessualità adulta, incarnata dal periodo della pubertà.
È il momento che impone la scelta di appartenenza al sesso.

Teoricamente i riti sociali, si adoperano per far fronte al trauma di questo momento cruciale. L'antropologia sociale e culturale ha studiato con particolare attenzione i riti di iniziazione legati alla pubertà tra gruppi etnici diversi, in tutte le culture e in ogni epoca, vista l'importanza che riveste il cambiamento corporeo in relazione alla funzione sociale dell'individuo. Apprendiamo cosi come l'infibulazione e la circoncisione per certe società primitive rappresentino, all'interno di una ritualità ancestrale, un modo per recidere dal corpo ormai cresciuto, ogni ricordo anatomico del sesso opposto: la memoria del pene nella clitoride o della funzione accogliente della vagina nel prepuzio che accoglie e contiene il glande. Chirurgicamente si amputano così i rischi e le preoccupazioni conscie ed inconscie che la pubertà risveglia nella mente adulta e se ne allontanano l'ambiguità e l'insicurezza proprie di questa età di confine.

QUEL DOLORE CHE AGILULFO NON CONOSCE

Nel racconto di Italo Calvino, Agilulfo, il cavaliere inesistente, muore, se mai è vissuto, lieve e impercettibile, nello spazio appena di poche righe: lo spazio occupato dai pezzi dell'armatura, "alcuni disposti come nell'intenzione di formare una piramide ordinata, altri rotolati al suolo alla rinfusa." Il tempo di "un mezzo svolazzo, come d'una firma cominciata e subito interrotta." E tutto non è già più che un movimento del vuoto, quell'armatura non vuota come prima, vuota anche di quel qualcosa che era chiamato il cavaliere Agilulfo e che adesso è dissolto come una goccia nel mare.

C'è questa fantasia, nell'incontro con il paziente anoressico, di una progressiva rarefazione della presenza, ogni profondità scompare li, e divenendo pura superficie, pura visibilità senza apparente consistenza.
Questo avviene alla fine di un processo che ci sembra felicemente descritto da Clorinda Salardi: "Se l'Io corporeo del paziente non può coniugarsi con l'Io psichico, la mente viene negata come tramite di relazione con l'ambiente interno e con l'ambiente esterno: non solo, ma questa dissociazione manterrà, a sua volta, secondo una circolarità dalla quale il paziente non può uscire con le sue sole forze, la dissociazione Io-Mondo in cui l'essere si disperde."

Nella relazione, il tutto si gioca tra la fascinazione e l'orrore, l'orrore della reciproca scomparsa, il fascino onnipotente di sentire che tutto possa essere controllato.
È come dire con Epicuro: "Se tu ci sei non c'è la morte, se c'è la morte non ci sei tu", dove la morte è l'ultima onnipotente garante dell'immortalità.
Questo lavoro riguarda invece un momento specifico in cui si tratta proprio di lottare attivamente contro questa dissociazione in atto, ed è possibile farlo affrontando le fantasie e la presenza della morte proprio come dolore reale e condivisibile.

Proprio condividendo nella relazione con il paziente tale esperienza è stato possibile comprendere come, per non disperdersi, il nostro paziente opponga all'angosciosissima sensazione di nulla interno la sensazione fisica di fame dolorosa, che come un cilicio dolorosamente cinge i confini del corpo. Già Schilder, infatti, nel '35 segnala come sia importante il dolore nello sviluppo dell'immagine corporea; e D. W. Krueger scrive che "le sensazioni fisiche forti come la fame o le percezioni dolorose provenienti dagli organi interni.... .possono avere la funzione di riorganizzare, stimolandole, alcune basilari sensazioni corporee che portano, nella loro evoluzione, alla consapevolezza psichica di sé".

La profonda regressione, secondo Thomä, spiega anche la riattivazione del narcisismo, con l'assunzione di atteggiamenti ispirati all'onnipotenza infantile. "Posso ben dirmi privilegiato, io che posso farne senza e fare tutto. Tutto-si capisce-quel che mi sembra più importante..." fa dire ancora Italo Calvino al suo cavaliere, mentre seppellisce la carcassa di un compagno. Le anoressiche pretendono di vivere senza mangiare abbandonandosi ad attività frenetiche, "quasi fossero macchine del moto perpetuo" scrive ancora Thomä. Infatti, distaccati dai bisogni della carne, paiono trasformarsi in macchine o vuote corazze.

Santa Caterina da Siena, racconta il suo confessore Raimondo da Capua, si ridusse a cibarsi solo di erbe amare e più aumentava il digiuno più da esso traeva energie e vitalità, e più intensa diveniva la sua unione con Gesù. "Mi sento puro spirito", disse un giorno soddisfatto il mio paziente, alto un metro e novanta, raggiungendo i quarantanove chili scarsi.
Ma il vuoto sentito come presenza dolorosa di sé non è certo il nulla, è un modo, sia pur patologico di esserci. Giangiorgio Pasqualotto, cita nel suo libro: "l'estetica del vuoto", Cheng Yao tian, calligrafo della dinastia Ching:
".... È proprio grazie al Vuoto che sole e luna si muovono, che le stagioni si succedono; è da esso che procedono i diecimila esseri. Tuttavia il vuoto non si manifesta e non opera se non mediante il Pieno".

Riflettendo sulla qualità estetica di questo vuoto, che è un donatore di senso, come la pausa che crea la musica, ci si avvicina a comprendere come attraverso di esso questi pazienti possano esistere e sentire di esistere, e questo ci può aiutare ad avvicinarci a quanto Hilde Bruch, raccomanda al terapeuta che deve "empatizzare con l'esperienza interna della paziente e assumere un vivo interesse per ciò che la paziente pensa e sente". Un po' quello che Roberto Losso definisce "sedurre alla vita".
"Udire con gli occhi appartiene al fine ingegno d'amore", scrive nel ventitreesimo sonetto Shakespeare, e Masud Khan aggiunge: "Udire con gli occhi significa conoscere l'altro mediante l'esperienza visiva che si ha di lui. Io non credo che si possa intraprendere questo tipo di lavoro clinico senza provare una reale simpatia per il paziente e senza essere particolarmente sensibile alla sua presenza corporale."

Questo mio lavoro si è incentrato in particolare su un momento tecnico in se stesso comune nel trattamento dell'anoressico, che viene affidato, per le cure del corpo ad un internista, come già raccomandato dalla Tustin, Hilde Bruch, Bianca Gatti ed altri.
Però questo non si è verificato come una fredda prassi automatica ma è stato accolto all'interno della relazione e proprio l'esplorazione delle fantasie qui scaturite ha permesso la creazione di uno spazio transizionale in cui la storia può incominciare ad essere narrata.

CASO CLINICO

Carlo, ragazzo di venti anni, mi è stato inviato da una psicologa di un'altra città, lo ho visto la prima volta con il padre, poliomielitico ad una gamba, per cui zoppica. È molto preoccupato per questo figlio che da un paio di anni ha il problema dell'anoressia. È stato visitato dal medico di base e da una neurologa per i problemi organici.
Il ragazzo è alto un metro e ottantacinque, forse uno e novanta e pesa cinquanta chili scarsi. È molto molto magro. Fa impressione a vedersi, sembra lo scheletro dell'aula di anatomia, uno scheletro dipinto di rosa. Ricorda la famosa descrizione del medico inglese Morton, del 1689: "Come uno scheletro ridotto alla sola pelle".
Malgrado questo l'espressione del ragazzo mantiene una certa vivacità, ha degli occhi molto belli, vivi, ha delle labbra ancora carnose, ancora, perché tutto il resto è scarnificato, labbra carnose e una bocca molto mobile. C'è il ricordo di una certa bellezza. Fa impressione a vederlo però un tempo doveva essere un bel ragazzo.

Il ragazzo viene puntuale, con voglia di fare qualcosa, ha coscienza di malattia, dice di sentirsi molto malato e di non essere capace di risolvere questo suo problema. Dice che ha iniziato (comincia a raccontarmi la storia) perché si vedeva molto grasso, gli sembrava di avere i fianchi e il sedere grosso; allora ha fatto delle diete che sono diventate sempre più forti, sempre più restrittive ed era dimagrito moltissimo.
Lui pesava settantotto chili, poi, quando ha fatto la maturità, pesava sessantacinque chili, questo perché saltava il pranzo e a volte anche la cena. Invece di mangiare faceva quattro ore di tennis oppure andava in piscina e nuotava per un pomeriggio intero. Faceva un'enorme quantità di sport per stancarsi. Questo per calare ancora di peso. L'estate la trascorse abbastanza tranquillo, al mare con la famiglia, prese sole, stava benino ed era abbastanza soddisfatto. Era l'estate del '93, aveva 19 anni. Poi è andato sempre peggio, fino ad adesso quando si è iscritto all'università.
Per quanto riguarda il servizio militare lui ha fatto domanda di entrare nella polizia, ed è stato accettato, (prima di dimagrire troppo) ed aspetta con ansia la chiamata, perché l'arma della Polizia gli concede di frequentare la facoltà di Legge all'università, ha voglia di fare il poliziotto e dice che forse poi potrà mangiare.

Mi mostra due fotografie di quando pesava settantacinque chili e di quando ne pesava dieci di meno, con l'espressione come se dicesse: "Vede che bello che ero?". Lui è orgoglioso del suo aspetto fisico di allora, e chiede a me una conferma.
Dice che quando entrava in classe o in un gruppo di persone si sentiva che lui c'era, la sua presenza non passava inosservata, era ammirato dalle ragazze, era presente ed era molto contento di essere così. Adesso ha tutti i vestiti di firma, si veste come lo stereotipo dei ragazzini di oggi, cioè grandi scarponi Timberland d'inverno, grandi giubbotti Chiodo, di pelle, dice che adesso può permettersi questi abiti costosi e che glieli comperano, però malgrado ciò nessuno lo guarda, cioè lui sente di non esserci.
Quando lui entra in una stanza con delle persone o entra in classe; lui non esiste; mentre prima non aveva delle cose così belle, era vestito molto più dimessamente però lui emergeva, guardavano lui e non quelli più eleganti.
Passa per la strada e si guarda sulle vetrine e alle volte nota di piacersi così e a volte no, di essere troppo magro. È molto ambivalente su questo.
La mattina, spesso non accende la luce per farsi la barba, si rade solo con la luce che filtra dal corridoio, perché ha paura di guardarsi e di riscontrare che quella mela che ha mangiato magari la sera prima lo abbia fatto ingrassare e che si veda. Poi "come tutte le anoressiche", come lui dice, si diverte a preparare il cibo, gode nel vedere gli altri mangiare, e lui no, e ad avere questa grande forza. Ha il timore di ingrassare un poco e di annullare tutti i suoi grandi sforzi, i sacrifici inumani indicibili per dimagrire.

Ha detto anche che lavora in una pizzeria come cameriere per arrotondare un po' e per rendersi utile, dove ha avuto dei dispiaceri in quanto i clienti dicono al proprietario che lui fa passare la fame.
Sente una tremenda solitudine, "la fame è la mia unica amica, è sempre dolorosamente presente, solo lei mi fa compagnia" dice con tristezza.
Un giorno si volta per appendere la giacca, e vengo preso da un sentimento di panico, c'è veramente solo uno scheletro dentro i suoi abiti. Lui racconta che è riuscito a mentire a sua madre facendole credere di fare colazione al bar e invece riesce a fare una partita di tennis: è calato così più di due chili.
Nell'atmosfera della seduta sembra manchi l'aria, la Morte l'inghiotte tutta. Dico che non riesco a lavorare se non togliamo dallo spazio del nostro incontro l'elefantiaca presenza di queste ossa rinsecchite e asfissianti. Sento che ne percepisce anche lui la presenza. Di questo si occuperà il suo medico, noi così potremo riprendere il lavoro.
Si affida fiducioso all'internista e i nostri colloqui riprendono aria e spazio.

Era troppo presente, ha voluto rendersi trasparente, come difesa dallo sguardo degli altri e delle compagne, ora, con questa sua malattia femminile, ginecologica, come lui la vive, è nuovamente troppo visibile: "Diverso tra i diversi", dirà, "malato e di un morbo femmineo".
Ma presto vestirà la divisa del poliziotto. Sa che gli donerà molto, lui sta bene col blu.
Peter Pan, eterno efebo che non può crescere; ha un padre zoppo e flaccido, cui non può identificarsi, preferisce ancora l'indeterminazione, e fermare il tempo perché il tempo che scorre evoca la morte.
Aver sentito realmente, in modo concreto, l'alito della morte sul collo, credo abbia operato il cambiamento. Accetta una sua identificazione maschile e aspetta di indossare la divisa non come la bianca armatura di Agilulfo e nemmeno come gli abiti da indossatore che porta, ma forse come il vestito di un uomo che sta imparando a mantenersi eretto.
Da qualche tempo noto che siede molto lontano dal tavolo, contro la parete opposta. È per mostrarsi meglio, così è più visibile e si possono apprezzare quei sette otto chili in più.

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