Disturbi dell'alimentazione: diagnosi e clinica psicopatologicaGiorgio RossiFondazione "Istituto Neurologico C. Mondino" IRCCS, Pavia.Ormai sono numerose le osservazioni epidemiologiche secondo cui i disordini del comportamento alimentare sono in considerevole e costante aumento nel mondo occidentale, aumento più consistente per la bulimia, (tra il 7% e il 15% degli adolescenti scolarizzati delle città secondo dati di Jeammet). In Italia nell'88 Cuzzolaro segnalava circa 55.000 casi di anoressia nervosa e circa 70.000 di bulimia. Nel 1990 Richard Gordon, all'interno della sua analisi sull'Anoressia e la Bulimia, interpretate come epidemia sociale, suggerisce come i disturbi del comportamento alimentare possano essere considerati "disturbi etnici". Tutti noi sappiamo che, nonostante i nostri sforzi, rimane comunque sempre qualcosa che sfugge, quando ci troviamo ad occuparci di disturbi dell'alimentazione, (e tratteremo qui in particolare dell'anoressia nervosa e della bulimia), forse più che in altri campi della psicopatologia. Non è del resto determinata a sottrarsi ad una relazione vera, e quindi più lontana dalla nostra comprensione, ogni persona anoressica o bulimica con cui ci troviamo a lavorare ? Eppure in fondo i sintomi sono tutto sommato abbastanza stereotipati e a prima vista potrebbero sembrare corrispondere a meccanismi etiopatogenetici semplici e sempre uguali. Ma dietro questa apparente semplicità, si ritrovano invece grandi diversità e complessità : complessità della genesi e diversità della struttura di personalità di queste pazienti, anche se non tutti gli Autori sono d'accordo su questo punto; complessità e diversificazione dell'intervento terapeutico: psicoterapico di vario indirizzo, psicofarmacologico, internistico, endocrinologico. Nonostante molto si sia detto sui disturbi dell'alimentazione, alcune questioni di fondo rimangono controverse. Al simposio di Gottingen sull'Anoressia Mentale, nel lontano 1965, le conclusioni portavano ad indicare una struttura di personalità specifica propria dell'Anoressia Mentale. Ancora attualmente, in realtà, i numerosi tentativi d'inquadramento di questa patologia si possono riassumere in due precisi orientamenti: da una parte, la tendenza ad unificare i sintomi e i comportamenti all'interno di un quadro psicopatologico originale e specifico e dall'altra, quella di ricondurli a strutture differenti, di tipo nevrotico, borderline, perverso o psicotico. Del resto storicamente l'anoressia è stata avvicinata ora alla nevrosi isterica (da Charcot, da Freud), ora alle forme psicoasteniche e ossessive, ora alle psicosi schizofreniche e alla depressione endogena. Altra questione dibattuta è quella dei rapporti tra bulimia e anoressia. Ci si domanda se le due condizioni sono il rovescio della stessa medaglia. Alcuni dati sembrano indicarlo e per molti Autori (Brusset, Jeammet, Russel) sembrerebbe esistere uno spettro continuo di quadri clinici dalle forme di anoressia restrittiva pure fino alla sindrome bulimica. Eppure DSM IV e ICD-10 differenziano le due sindromi, pur con l'introduzione, in particolare nel DSM, di alcuni sottotipi. In effetti nel 1988 i membri del "Eating Disorders Work Group of the American Psychiatric Association's Task Force on DSMIV" proposero rispetto al DSM III-R, per il riconoscimento dell'Anoressia Mentale criteri diagnostici che rendevano meno netto il confine rispetto alla bulimia : introdussero cioè il "tipo bulimico" (purging type), etichetta applicabile alle pazienti che nel corso dell'anoressia presentano episodi di abbuffate o condotte di eliminazione; il "tipo restrittivo" non bulimico (non purging type) in cui non si presentano episodi bulimici . Questa variazione ha suscitato qualche perplessità, proprio per la maggior difficoltà di differenziare le due sindromi, tanto più che per la bulimia è previsto un sottotipo non purging type che potrebbe essere più difficile da distinguere dall'anoressia purging type. Secondo la Bruch anoressia e bulimia hanno poco in comune, ma questa opinione non è più condivisa ormai da molti Autori. Un dato che testimonia la correlazione tra i due disturbi è il fatto, che secondo Jeammet, circa il 50% delle pazienti anoressiche diventa bulimico, mentre in uno studio di Garfinkel risulterebbe che almeno il 40-50% di tutte le anoressiche sono anche bulimiche dall'esordio (purging type secondo il DSM IV). Non c'è paziente anoressica del resto che non riveli prima o poi il suo timore di diventare bulimica. Gabbard ritiene che "una delle ragioni per attenuare i confini diagnostici tra il comportamento anoressico e bulimico è il fatto che il quadro clinico può essere assai variato". Sul piano opposto, alcuni Autori si sono interrogati sulla necessità di introdurre la categoria "binge eating disorder", disturbo caratterizzato da abbuffate in assenza di condotte di eliminazione, che si presenta in persone che stanno seguendo programmi di perdita di peso, frequentemente obese ; tale disturbo appare comunque sostanzialmente sovrapponibile alla bulimia non purging type. La presenza di sintomi ossessivo-compulsivi ha portato alcuni ricercatori a domandarsi se un disturbo di personalità ossessivo-compulsivo coesista con l'anoressia. Secondo d'Halmi, il 68% delle anoressiche presenta episodi di depressione maggiore. Lo stesso Freud, nella minuta G diretta a Fliess (1895), aveva stabilito un nesso fra anoressia e depressione, oltre ad averla iscritta, successivamente, nella patologia isterica e ad averla correlata alle perversioni del carattere. I disturbi d'ansia, fobie e disturbi ossessivi, si presentano nel 65% dei casi. La bulimia presenta comorbidità, ancora maggiore, rispetto all'anoressia, per disturbi dell'umore (depressione maggiore tra il 60% e l'80%) ; nel 35% circa dei casi si rilevano alcoolismo o altre forme di tossicodipendenza. Caratteristica è la mancanza di qualsiasi preoccupazione circa il dimagrimento, anche quando la perdita di peso raggiunge il 2030% del peso iniziale, l'anoressica afferma di trovarsi normale, o anzi troppo grassa. In contrasto con questa sistematica restrizione, gli interessi alimentari e culinari vengono spesso rinforzati: cucinare, comporre i menù, far mangiare gli altri, costituiscono come è noto modalità tipiche di queste pazienti. Accanto al dimagrimento, altra caratteristica clinica è l'iperattività, sia sul piano motorio che intellettuale. Tale condotta, coscientemente sostenuta allo scopo di dimagrire, rivela anche disturbi dell'umore, che vengono mascherati difensivamente in modo ipomaniacale. L'iperattività, intellettuale soprattutto, può avere un valore di difesa dalle emozioni, di negazione della dipendenza, tema centrale dei disturbi alimentare e delle condotte secondo Jeammet, come vedremo più avanti. Nei suoi studi, durati un trentennio, Hilde Bruch ha messo in evidenza come la preoccupazione riguardo al cibo ed al peso sia una manifestazione, tardiva, di un disturbo più importante del concetto di sé. Spesso si tratta di adolescenti che sino a quel momento erano state "brave bambine", diligenti nello svolgimento dei propri compiti e premurose; il loro comportamento fuori casa è sempre stato buono, il rendimento scolastico eccellente, solo in adolescenza magari vengono descritte come ostinate e testarde. All'origine di questo funzionamento Bruch pone una relazione disturbata tra la bambina e la madre, che non riuscirebbe a vedere la figlia come altro da sé, e tenderebbe ad imporre le proprie sensazioni e i propri bisogni, invece di aiutarla a percepire e a riconoscere i propri. Ne risulterebbe, fin dall'inizio della vita psichica, un disconoscimento dei confini dell'Io, con un conseguente difetto nella costruzione dell'immagine corporea e un'incapacità di riconoscere e discriminare le percezioni enterocettive relative a stimoli provenienti dal proprio corpo (fame, sazietà, freddo, fatica, impulsi sessuali, stati emotivi). L'anoressia rappresenta, secondo la Bruch, "un tentativo di cura di sé, per sviluppare attraverso la disciplina del corpo un senso di individualità e di efficacia interpersonale. Le anoressiche trasformano la loro ansia e i loro problemi psicologici attraverso la manipolazione della quantità e della dimensione del cibo assunto". Sempre secondo la Bruch, il disturbo dell'immagine del sé corporeo, l'alterazione nella percezione degli stimoli corporei e il senso paralizzante di impotenza, assumono proporzione ed intensità deliranti. In un primo tempo l'autrice ritenne che il comportamento di queste pazienti fosse un tentativo di ottenere ammirazione e conferma come persona unica e straordinaria. In uno dei suoi ultimi lavori, ha suggerito che il quadro clinico possa essere in via di cambiamento, perché oggi è sempre più difficile che la paziente anoressica si senta unica, a causa della crescente prevalenza del disturbo e dell'attenzione dei mass media ai disturbi dell'alimentazione. Pur senza mai aver fatto esplicito ricorso a questa denominazione, le descrizioni della Bruch sembrano rimandare al concetto winnicottiano di Falso sé, utilizzato invece dai Kestemberg, Decobert, Masterson e più recentemente da Novelletto, rispetto al comportamento compiacente (verso la madre in primo luogo) della bambina che diventerà anoressica, volto a rassicurarsi di non essere abbandonata. Il disturbo alimentare si presenta in adolescenza dopo anni di crescenti risentimenti, come tentativo di affermare il Vero Sé, il Sé Segreto, che per tanto tempo è rimasto nascosto e non sviluppato. Solitamente, la restrizione alimentare prende avvio progressivamente e rimane per molto tempo inavvertita, tanto più che l'adolescente condivide, con molte sue compagne, la preoccupazione per la dieta. Qualunque siano le spiegazioni che ne da', il suo comportamento alimentare è molto particolare: si tratta di una restrizione metodica, risoluta, portata avanti con energia. La limitazione alimentare riguarda sia la quantità che la qualità ; possono associarvisi altri mezzi: vomiti provocati, lassativi, lavande, iperattività fisica. Anche Selvini Palazzoli ritiene che le anoressiche non siano separate psicologicamente dalla madre, e che non abbiano quindi una percezione stabile del proprio corpo. L'autrice, soprattutto nei suoi primi studi ritiene che con l'anoressia si riveli una forma di "psicosi monosintomatica", di "paranoia", che comporta la percezione di un corpo abitato da un cattivo oggetto interno; il digiuno può essere un tentativo di non far crescere questo introietto intrusivo. Anche i Kestemberg parlano di "psicosi", definita congelata, in cui un particolare tipo di organizzazione strutturale permette di evitare sia la depressione psicotica che la psicosi delirante, sottolineano, inoltre gli aspetti perversi della struttura anoressica (l'orgasmo da fame). Harris e Meltzer, in "Problemi emozionali dell'adolescenza", ritengono invece che l'anoressia sia un sintomo che copre una situazione nevrotica o psicotica. Nella stessa linea i Laufer, che pensano all'anoressia come ad un'espressione di un break down evolutivo. Anche Jeammet è tra gli autori che pensano all'anoressia come ad un sintomo e non una struttura. Abbastanza recentemente, nell'89, ha sostenuto l'importanza del concetto di dipendenza per la riflessione psicopatologica in tema di disturbi del comportamento in adolescenza, (non solo anoressia e bulimia, ma anche tossicomania, tentativi di suicidio, disturbi frequentemente combinati e con forme di passaggio dall'uno all'altro). Le condotte di anoressiche e bulimiche riflettono "una mancanza di autonomia, un bisogno oggettuale importante, ma non tollerabile". Il fallimento relativo del processo di separazione-individuazione comporta una dipendenza dall'oggetto, che viene però rimosso o negato. Sia che si tratti di cibo che di affetto, le pazienti sono messe a confronto con il fatto che non possono avere ciò che desiderano. La soluzione delle anoressiche è di non prendere niente da nessuno, tantomeno il cibo, quella delle bulimiche di prendere "tutto", senza riuscire mai ad essere soddisfatte. Gatti ha sottolineato per l'anoressica la necessita' della presenza di un "altro", la madre prototipicamente, in qualche modo tirannicamente coinvolto in un rapporto di tipo perverso, tra affamatrice e affamata. Ma qual'è il destino dei segni clinici presenti nell'anoressia ? Da alcuni studi di follow up da noi condotti, risulta che circa il 90% delle nostre pazienti anoressiche, a distanza di anni non presentano disturbi del comportamento alimentare, mentre abbiamo riscontrato un decorso favorevole sul piano relazionale, sociale e psichiatrico in circa il 75% dei casi. Jeammet sottolinea che nel 50% dei casi si hanno a distanza di tempo difficoltà che disturbano notevolmente la loro vita, difficoltà che si possono raggruppare intorno a tre poli preferenziali : depressivo, fobico ed ipocondriaco. Sul piano degli investimenti, le ex anoressiche possono presentare una modalità di relazione di tipo passionale oppure un atteggiamento di evitamento e di ritiro degli investimenti. Si tratta in realtà di due modalità relazionali speculari che hanno in comune di essere l'una il rovesciamento dell'altra, con risultati in apparenza opposti per la relazione che si stabilisce, ma che in realtà appartengono allo stesso tipo di relazione di oggetto, caratterizzata da un impegno narcisistico massiccio e da una difettosa differenziazione soggetto/ oggetto. Più facilmente che per l'anoressia, per la bulimia, termine introdotto da Russel nel 1979, diversi autori ritengono che possa essere osservata in pazienti con strutture caratteriali ampiamente diverse, sia psicotiche, che borderline o nevrotiche. Per quanto ci riguarda riteniamo comunque che lo stesso discorso valga per l'anoressia. Nella bulimia è ipotizzabile anche l'influenza di fattori biologici, come testimonierebbe la relativa efficacia di farmaci serotoninergici soprattutto sui sintomi depressivi e sull'iperfagia. Questi aspetti non possono comunque essere considerati indipendentemente dalle caratteristiche dell'organizzazione psichica, legata alle esperienze di piacere-dispiacere e alle relazioni complesse che coinvolgono il corpo. La bulimia è la manifestazione chiara di una carica pulsionale che non trova altre modalità di espressione. Si manifesta come una fame inesauribile per un difetto o un cortocircuito della possibilità di elaborazione psichica. La regressione e la fissazione a livelli pregenitali ha come conseguenza l'esasperazione dell'oralità, con avidità, impazienza, perdita di differenziazione rispetto all'oggetto, che è posseduto ma allo stesso tempo distrutto e poi violentemente espulso (attraverso l'abbuffata e il vomito). Le pazienti anoressiche sono caratterizzate da un Io e da un SuperIo più forti, rispetto alle pazienti bulimiche, che sono quindi per questo meno capaci di dilazionare la scarica degli impulsi, come dimostrano non solo le abbuffate, ma anche la maggior tendenza ad agire, anche in senso autolesivo, con tentativi di suicidio e condotte tossicomaniche. Abbiamo già sottolineato quanto la bulimia appaia come il contrario dell'anoressia: la pulsionalità delle bulimiche opposta all'idealismo ascetico dell'anoressia. Le bulimiche generalmente utilizzano le relazioni alla ricerca di una punizione o di un danno dall'esterno, mentre nelle anoressiche prevale il ritiro dalle relazioni. Mintz ha individuato l'origine del bisogno di punizione delle pazienti bulimiche come il risultato di aggressività inconscia verso i genitori, che verrebbe spostata sul cibo, distrutto voracemente o espulso con il vomito per scaricare la rabbia e i cattivi oggetti interni. Il passaggio dall'anoressia alla bulimia sembra avvenire quando i meccanismi di difesa dalla 'dipendenza', rimozione e negazione, vengono meno. Il passaggio inverso avviene molto più raramente, probabilmente anche perché sono il bisogno e l'avidità (di oggetti e di cibo) ciò che più determina queste pazienti, e/o perché, come ci ricorda Jeammet, in generale è più facile togliere un'inibizione che creare una costrizione. Anche nelle pazienti bulimiche, (e nei loro genitori), si rilevano difficoltà nel processo di separazione individuazione. Le madri di queste adolescenti si comportano con loro durante l'infanzia come se fossero un prolungamento di sé. Follow-up effettuati oltre i due anni con pazienti bulimici curati con terapia cognitivo-comportamentale e antidepresssivi, hanno rilevato che nel 16-50 % dei casi è ancora possibile diagnosticare una bulimia nervosa, e che il 9-37 % soffre ancora per occasionali episodi caratterizzati da abbuffate e uso di lassativi. Tra quelli che non rispondono al trattamento, i due terzi potrebbero avere un disturbo borderline di personalità, mentre gli altri potrebbero avere altri disturbi di personalità o una depressione significativa. Gabbard sottolinea la personalizzazione del piano terapeutico in particolare per la bulimia, considerata la maggior concomitanza di disturbi di personalità, l'abuso di sostanze. Abbiamo parlato finora di disturbi dell'alimentazione al femminile, apriamo adesso una breve parentesi relativa ad alcune caratteristiche psicopatologiche delle due sindromi nei maschi. Il rapporto di è 10 femmine per 1 maschio, circa, mentre nella bulimia viene indicato in letteratura anche un rapporto è 10 a 3. E' opinione di diversi Autori che non ci siano differenze sul piano clinico e psicodinamico tra anoressia e bulimia nervosa nei maschi e nelle femmine. In realtà sembrerebbe di più frequente riscontro nei maschi una strutturazione di personalità di tipo psicotico ; inoltre sono maggiormente presenti disturbi di tipo ipocondriaco e dell'identità sessuale. Una differenza sostanziale tra DSM e ICD-10 appare quella relativa alla perdita di interesse sessuale nei maschi affetti da anoressia prevista dall'ICD e non dal DSM. Per concludere vorremmo di nuovo sottolineare quanto tutti riteniamo importante nel trattamento di questi disturbi un approccio clinico integrato, ospedaliero, ambulatoriale, farmacologico, considerando la genesi multifattoriale e la complessità dei quadri clinici. A questo proposito, vorremmo citare, come monito, l'aforisma che paragona gli studiosi dei disturbi d'alimentazione a studiosi che bendati toccano un pachiderma, (anche se il paragone può sembrare fuori luogo rispetto a persone che soffrono di anoressia o bulimia) ciascuno descrivendone una parte, ma senza averne una visione d'insieme. Ciò non solo pensando alla comprensione della malattia, ma anche a proposito della necessità che non avvenga ad esempio che i familiari siano dimenticati, o che in un trattamento ospedaliero i membri dell'equipe curante non comunichino abbastanza, o che il neuropsichiatra o lo psichiatra trascurino le competenze internistiche, o che l'internista trascuri le competenze psichiatriche.
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