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PSYCHOMEDIA
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RISPOSTA AL DISAGIO
Psicosomatica
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Per un approccio dinamico-relazionale al
problema dei disturbi psicosomatici: il Lupus Eritematoso Sistemico
di Alessandra De Coro e Roberto
Mucelli (PM, 27 Giugno 1997)
Alessandra De Coro, Professore
Associato di Psicologia Dinamica, Corso Progredito, Facolta' di
Psicologia dell'Universita' di Roma "La Sapienza".
Roberto
Mucelli , Psicologo, Specialista in Psicologia Clinica Libero
Professionista, Socio del
Gruppo
Italiano per la Lotta contro il LES
Si ringrazia il Dott.
Mauro
Pizzuti per aver contribuito alla stesura dei paragrafi 2, 3 e
4.
INDICE
1- Evoluzione dei modelli psicodinamici della
relazione mente-corpo.
Dal punto di vista medico, da tempo la definizione di "malattia
psicosomatica", intesa come un insieme di disfunzioni fisiologiche e
alterazioni strutturali che siano originate da processi di natura
psichica, e' risultata ambigua e insufficiente ad operare precise
distinzioni diagnostiche. Bakal (1979) raccomandava per esempio un
approccio "olistico" e "integrato" a qualsiasi tipo di paziente,
sostenendo che "la maggior parte delle malattie sono di origine
multifattoriale, hanno cause sia psicosociali sia fisiche"
(op.cit.,p.15).
Anche nel campo degli studi psicoanalitici, d'altra parte, negli
anni '70 vari autori statunitensi mettevano in discussione la
questione della cosiddetta specificita' psicosomatica, cioe' la
corrispondenza di tratti tipici della personalita' (in termini di
specifiche situazioni conflittuali e strutture difensive) con
specifici disturbi funzionali. Fra gli altri, Luborsky et al. (1973)
mettevano in luce che non era possibile dimostrare altro che la
presenza, in tutti i pazienti affetti da sindromi "psicosomatiche",
di una maggiore intensita' dei conflitti relativi all'ostilita' e di
sentimenti di impotenza, frustrazione, depressione. In Europa
Cremerius, criticando la credibilita' dell'ipotesi di una "struttura
psicosomatica" della personalita', che era stata proposta dagli
autori francesi come diagnosticamente differenziabile sia dalle
nevrosi che dalle psicosi (Marty et al., 1963), invitava a
riconsiderare il significato delle molteplici e variabili
trasformazioni sintomatiche che si osservano nel decorso dei
cosiddetti disturbi psicosomatici su lunghi periodi: "le sindromi
funzionali possono trasformarsi in affezioni organiche, in quadri
patologici psiconevrotici e psicosociali, ma anche in un'altra
sindrome psicosomatica" (Cremerius, 1977, p.63).
La fluidita' dei quadri clinici induce ad abbandonare
definitivamente, allora, i tentativi di costruire quadri diagnostici
"strutturali" di una ipotetica personalita' psicosomatica, e a
ricondurre piuttosto la ricerca clinica all'obiettivo di formulare
ipotesi specifiche sulle modalita' relazionali e adattive che
caratterizzano determinati pazienti, e soprattutto sui significati
che assumono le malattie somatiche e/o i disturbi funzionali
nell'ambito di processi di sviluppo di natura e biochimica e
psicosociale.
In termini piu' generali, se intendiamo per "realta' psicologica"
quella evidenziata dal fatto che "una distinzione elaborata in un
certo ambito... poggia su principi psicologici di cui la gente si
serve per «negoziare» le proprie transazioni con il mondo"
(Bruner, 1986, p.114), appare indubitabile che la malattia somatica,
qualsiasi essa sia ma soprattutto quando essa presenti
caratteristiche di cronicita' e/o di rischio invalidante, assume lo
statuto di un "oggetto" privilegiato sia della ricerca che
dell'intervento psicologico.
Nell'ambito teorico della psicologia dinamica, basti ricordare che
un recente trattato di "terapia psicoanalitica" individua lo spazio
dei rapporti fra cura psicoanalitica (Gli stessi autori, nel primo
volume dell'opera, indicano questo termine come inclusivo di scelte
tecniche differenziate, dalla tradizionale "psicoanalisi" alla
"psicoterapia psicoanalitica" alle diverse forme di "psicoterapia a
orientamento psicodinamico". Cfr. Thomä, Kächele, 1985,
p.274). e sintomi somatici in relazione a due tipi di problemi: a) il
nesso psicodinamico fra la disfunzione somatica e l'esperienza
dell'angoscia (Nell'originaria concezione freudiana delle nevrosi
attuali l'angoscia "non era ascrivibile... a dinamiche che
interessavano livelli simbolici inconsci, ma... originava da un
circuito somato-psichico diretto" -Petrella, 1989, p.47-. Ricordiamo,
tuttavia, che in anni successivi Freud abbandonava la definizione
puramente energetica dell'angoscia per attribuirne le origini
all'impotenza originaria del bambino piccolo di fronte alla paura di
perdere l'oggetto d'amore);
b) la "traducibilita' del linguaggio corporeo in lingua parlata",
attraverso una ricerca dei significati affettivi che consenta di
valutare i diversi elementi osservati in maniera integrata
(Thomä, Kächele, 1988, pp.437-520). A nostro parere, un
modello evolutivo che permette di coniugare questi due livelli e'
quello proposto da Stern (1985), che ridefinisce le "angosce
primitive" in termini di una "valutazione affettiva negativa" in
presenza di situazioni interpersonali che creino fratture
nell'esperienza dell'organizzazione del Se' e di specifiche
organizzazioni sociali: tali fratture, infatti, provocherebbero
"temporanee e parziali dissoluzioni del senso del Se' nucleare"
(op.cit., p.207). Sulla base delle sue ipotesi sulla formazione
interpersonale dei sensi del Se', Stern propone di considerare la
psicopatologia come il risultato di "deformazioni" di uno qualsiasi
dei sensi del Se' in un qualunque momento del corso dell'intero ciclo
di vita: "A un estremo vi sono le nevrosi attuali, in cui un evento
isolato (imprevedibile e specifico) colpisce l'individuo con
conseguenze patogene.... All'altro estremo si trovano i modelli
interattivi cumulabili che si possono osservare molto precocemente,
anche nell'infanzia, quando si formano, e certamente in seguito,
durante tutto lo sviluppo" (ivi, p.261).
Tale prospettiva interpersonale sembra dunque consentire di
ricondurre le ipotesi relative all'espressione somatica dell'angoscia
e l'indagine sulle difficolta' di comunicazione simbolica degli
affetti ad un medesimo quadro evolutivo di riferimento: concetti
quali quello di "sintonizzazione" e di "risonanza affettiva" sembrano
offrire un contenuto operazionale piu' rispondente alle rilevazioni
sulle competenze del neonato, rispetto alle ipotesi cliniche
formulate, per esempio, da Winnicott e da Bion circa le funzioni
materne come "organizzatore" delle simbolizzazioni affettive;
l'ipotesi di una continua "riorganizzazione" dei modelli interattivi,
inoltre, permette di rendere piu' flessibile la ricerca dei momenti
"sensibili" nel corso dell'intero arco evolutivo.
In anni recenti Taylor (1987) ha utilizzato appunto i risultati
della ricerca psicoanalitica in eta' evolutiva per suggerire che le
difficolta' incontrate nelle interazioni precoci, in quanto
ostacolanti una adeguata interiorizzazione delle relazioni
oggettuali, possano comportare anche nell'eta' adulta una eccessiva
dipendenza dalle relazioni reali per la regolazione biologica: cio'
potrebbe spiegare le differenze individuali nelle reazioni ad eventi
stressanti (per lo piu' indicati dalle ricerche come "eventi di
perdita"), che vengono segnalate da piu' parti come fattori
scatenanti o almeno concomitanti nell'insorgenza di varie malattie
somatiche. In una direzione analoga Kreisler (1985a) invita a
considerare il "rischio psicosomatico" in eta' evolutiva sulla base
di fenomeni "antecedenti", come stati di disorganizzazione e
manifestazioni di tipo allergico, accanto a "fattori ambientali
scatenanti", come un sovraccarico di eccitazioni o viceversa una
carenza di stimolazioni o una condizione di frustrazione permanente.
Per quanto riguarda piu' specificamente le disfunzioni del sistema
immunitario, queste da un lato appaiono particolarmente influenzate
dalle vicende relative a stati mentali, e dall'altro risultano sempre
piu' coinvolte in numerose situazioni di patologia somatica. In una
recente rassegna degli studi sulle patologie da deficit della
funzione immunitaria - biologicamente articolata in base alla
specificita' della risposta e alla memoria del sistema immunitario -
Solano e Coda (1994) evidenziano che "un approccio multifattoriale
alla situazione psicosociale dei soggetti" permette di rilevare
significative interazioni tra variabili diverse, sia di natura
ambientale che individuale, che correlano con situazioni di
depressione del sistema immunitario (op.cit., p.5). Gli autori, in
particolare, riportano tra i fattori di rischio eventi stressanti
definiti in termini di qualita' e quantita' delle emozioni, nonche'
in termini di relazioni interpersonali (perdita di una persona cara,
separazione o divorzio, vissuto di solitudine, ecc.).
Vorremmo a questo punto delineare brevemente due aree della
ricerca psicodinamica tradizionale sulle relazioni mente-corpo che ci
sembrano particolarmente pertinenti a un intervento psicologico
rivolto a pazienti affetti da Lupus Eritematoso Sistemico.
A) L'area del riconoscimento e della categorizzazione mentale
delle emozioni: quasi tutti gli autori psicoanalitici sottolineano la
mancanza di mediazione simbolica del sintomo somatico, dove il corpo
malato diventa in qualche modo "estraneo" alle capacita' di
comprensione della mente e puo' venire utilizzato per inviare segnali
e richieste al mondo esterno (Khan, 1983, pp.58-59).
D'altra parte, i sentimenti ostili rivolti ad un "esterno
colpevolizzante o minaccioso" nonche' le emozioni negative riferite
"al timore di perdere la propria identita' soggettiva o addirittura
la vita" troverebbero una collocazione nel corpo come "cosa"
appartenente ad un mondo esterno sconosciuto (Mc Dougall, 1989,
pp.67-68). Le difficolta' di riconoscimento delle emozioni rilevate
nei soggetti affetti da gravi disturbi psicosomatici (cfr. Trabucco
et al., 1988), hanno sostenuto l'ipotesi di un impedimento ad
esprimere e a scambiare le emozioni nel gioco costante delle
interazioni personali (alessitimia ), indicando la funzione di un
intervento psicologico-clinico nella direzione di un apprendimento a
utilizzare le parole quali "contenitori" delle emozioni (Ricci Bitti,
Caterina, 1990). Anche la letteratura sui disturbi somatici
dell'infanzia sottolinea la presenza di un "funzionamento vuoto",
caratterizzato da notevole poverta' espressiva degli affetti e da una
marcata indistinzione nelle relazioni interpersonali (Kreisler,
1985b).
B) L'area della differenziazione tra se' e gli altri: la nozione
di "Io-pelle" introdotta da Anzieu (1985) si riferisce appunto ai
fantasmi relativi al contatto e alla separazione, che contribuiscono
alla costruzione di un involucro protettivo e differenziante,
originato nella reciproca regolazione della diade madre-bambino
(op.cit;, pp.79-83). Tra altre funzioni, l'autore attribuisce
all'Io-pelle anche una funzione immunologica, che, nei fenomeni di
autoimmunita', presenta un'inversione dei segnali di sicurezza e di
pericolo: "la familiarita', anziche' protettiva e rassicurante, e'
rifuggita come cattiva e l'estraneita', anziche' inquietante, si
rivela attraente" (ivi, p.134). A questo proposito, la frequente
insorgenza del Lupus Eritematoso Sistemico in adolescenza ci induce a
riflettere sui compiti adattivi centrali in questa fase del ciclo di
vita: la spinta ad una complessiva riorganizzazione del senso di
identita' personale propria dell'eta' adolescenziale comporta una
riattivazione del processo di separazione-individuazione, che "rompe
il delicato equilibrio fondato sul falso Se'" (Giaconia, 1989,
p.906). Le disfunzioni somatiche possono esprimere in questa fase
dello sviluppo psichico la ricerca di un luogo privato e protetto in
cui "salvaguardare" un'identita' personale separata da quella della
madre (ivi, p.908). In questo caso, pero', cosi' come in presenza di
sintomi psichiatrici e di disturbi del comportamento, il sintomo
offre dei confini che imprigionano l'adolescente "in una immagine
negativa di se stesso", una sorta di "identita' negativa" ( e
fisicamente inadeguata!) che costituisce tuttavia una specifica
organizzazione relazionale (Jeammet, 1992, p.101).
Sulla base di questi elementi teorici, piuttosto schematicamente
ripresi dalla letteratura, proponiamo due linee generali che possono
opportunamente orientare l'intervento dello Psicologo Clinico in una
struttura sanitaria finalizzata alla valutazione diagnostica e alla
cura dei pazienti affetti da malattie autoimmuni:
- la prima, connessa alla funzione di facilitare la
verbalizzazione e il riconoscimento delle emozioni, e' rivolta ad una
ricostruzione della storia "patobiografica" che permetta di
illuminare circostanze e nessi, solo in apparenza insignificanti sia
per il medico che per il paziente, allo scopo di colmare quelle che
Scoppola (1990) definisce le "aree lacunari di integrazione" nella
narrazione e nell'organizzazione mentale sottostante;
- la seconda, centrata sulla relazione con il medico, con la
struttura sanitaria e con lo stesso psicologo, e' rivolta a creare,
attraverso la costituzione della triade paziente-medico-psicologo
osservatore, uno spazio di contenimento e di riflessione sulla
richiesta di cura e sulle aspettative reciproche che informano il
dialogo fra medico e paziente.
INDICE
2- La psicoimmunologia: verso una
dissoluzione dei confini mente-corpo
Le relazioni che intercorrono tra fattori psicosociali e parametri
immunitari fanno parte di una vasta area di ricerca appartenente ad
una scienza recente come nascita e denominata psicoimmunologia.
Per una comprensione sufficientemente esaustiva della materia e
per la descrizione delle interfaccie psico-biologiche esistenti tra
sistema nervoso centrale, sistema immunitario, sistema endocrino e la
dimensione emozionale-relazionale rimandiamo all'ottimo testo di
Solano e Coda (1994).
Basti qui ricordare che con il termine "Psicoimmunologia" e' stata
definita " la disciplina che studia in modo sistematico il sistema
immunitario quale sistema in grado di reagire e modificare la sua
reattivita' anche sulla base delle interazioni tra individuo e
ambiente mediate dal sistema nervoso relazionale " (Biondi, 1984).
Le prime ricerche, focalizzando l'attenzione sugli stressors
fisici ( Fischer,1972; Kinzey 1975; Palmblad, 1976 ), avevano
condotto ad ipotizzare un'influenza dello stress sui processi
immunitari.
Solo piu' recentemente, tuttavia, si e' avanzata l'ipotesi che il
fattore di stress psicosociale potesse aumentare la predisposizione
di un individuo verso determinate categorie di malattie quali quelle
infettive, autoimmuni, neoplastiche e da deficit immunitario. Una
serie di studi sono stati condotti per valutare le relazioni tra i
fattori psicosociali e i processi immunitari. Alcune ricerche hanno
preso in considerazione la variazione del numero delle cellule
appartenenti al sistema immunitario, in particolare dei linfociti e
delle cellule NK ( Natural Killer ) .
Mc Kinnon (1989), aveva osservato un basso numero di linfociti
T-suppressor in individui che vivevano una condizione di stress
cronico; mentre Kemeny (1989), metteva in evidenza come l'esposizione
agli stressors diminuisse anche la percentuale delle cellule T-Helper
e T-Suppressor. Anche molti degli studi riguardanti gli affetti di un
individuo e l'importante ruolo che occupano come mediatori nei
confronti del sistema immunitario hanno utilizzato come parametro il
numero dei linfociti.
Kemeny (1989), osservo' una diminuzione delle cellule T-Suppressor
associata ad alti livelli di depressione, e cosi' anche Schleifer
(1984, 1985) per quello che riguardava le cellule T totali; e sempre
Kemeny ( 1989 ) aveva notato la stessa diminuzione di cellule
T-Suppressor associata pero' ad alti livelli di ansia e di odio.
Anche l'eccessivo attaccamento ad un ex-coniuge fu associato ad
una diminuzione, (Kiecolt-Glaser et al. 1987 ) questa volta pero'
nella percentuale di cellule T-Helper; e sempre la stessa ricerca
noto' che nelle esperienze di separazione e di divorzio la
diminuzione si osservava nella percentuale di cellule NK.
Un altro parametro che e' stato preso in considerazione dai
ricercatori e' l'attivita' citotossica delle cellule NK. Questa
attivita' subisce dei cali sia in presenza di un alto numero dei
cosiddetti " eventi della vita ", (importanti situazioni di
cambiamento), come risulta da uno studio di Irwin et al. (1986,
1987a), sia a causa di stressors accademici (Glaser, 1986) e di lutti
parentali (Irwin et al. 1987b).
Tutti gli studi citati tendono a dimostrare, attraverso i loro
risultati, che esiste un' indubbia correlazione tra gli stressors e i
processi immunitari, soprattutto a livello soppressivo, e che alcune
variabili quali gli affetti, la solitudine, il conflitto e il
supporto sociale possono influenzare queste relazioni. Sebbene
risulti abbastanza evidente dai risultati di questi studi che gli
stressors psicosociali hanno un effetto negativo sul sistema
immunitario, esistono pero' alcuni problemi metodologici associati
agli studi stessi. Uno di questi problemi riguarda la casualita'
nella scelta dei soggetti, che, per quanto riguarda le ricerche sulla
relazione tra stressors, parametri immunologici e malattie, risulta
molto difficile da effettuare nell'ambito di settings naturali.
Sarebbe piu' opportuno, quindi, in questi casi utilizzare un metodo
di studio longitudinale con una raccolta dati effettuata in diversi
momenti, per poter effettivamente dimostrare la successione temporale
e causale tra stressors, cambiamenti nei parametri immunologici e
malattie. Dobbiamo invece annotare che soltanto la meta', piu' o
meno, delle ricerche effettuate intorno a questo argomento ha
utilizzato un metodo comprendente la raccolta di piu' misurazioni
prese in diversi momenti dell'esperimento. Risulta molto difficile,
infatti, avendo trovato in un soggetto un basso livello di
immunoglobulina e correlandolo con una malattia avuta negli ultimi
due mesi, stabilire se le immunoglobuline sono basse per colpa della
malattia, se invece il soggetto ha contratto una malattia proprio a
causa dei bassi l
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