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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Sezione: RISPOSTA AL DISAGIO
Area: Suicidio e suicidologia


I suicidi e la crisi economica: aiutare gli individui in crisi

Maurizio Pompili


Department of Psychiatry, Sant’Andrea Hospital, Sapienza University of Rome, Italy
McLean Hospital – Harvard Medical School, USA

Corresponding author:
Maurizio Pompili, M.D., Department of Psychiatry – Sant’Andrea Hospital, Sapienza University of Rome, 1035 Via di Grottarossa, 00189 Roma Italy Tel.: +39 06 33775675. Fax:+390633775342;
E-mail Address: maurizio.pompili@uniroma1.it or mpompili@mclean.harvard.edu.
www.prevenireilsuicidio.it


Key points:

  • l’impatto della perdita del lavoro sulla vita dell’individuo

  • valutare tutte le cause contribuenti

  • prevenire con adeguati messaggi e con il riconoscimento dei segnali d’allarme

Sempre più spesso si parla del peso sulla società della crisi economica che stiamo attraversando. Un quesito di rilievo è se la crisi, la perdita di lavoro e l’instabilità economica dei singoli possa aumentare il rischio di suicidio. Recentemente, diversi sono stati i casi in cui il suicidio è stato attribuito alla perdita di lavoro.


Qual è l'impatto della crisi sul suicidio e che cosa si può fare per compensare eventuali effetti negativi?

La crisi dovrebbe portare ad un forte aumento della disoccupazione e sostenuta, e studi osservazionali indicano che i disoccupati sono a rischio 2-3 volte più a rischio di suicidio Sebbene questo rischio è legato alla presenza di disturbi psichiatrici che portano maggiormente a rischio di perdere il posto di lavoro, tuttavia anche in persone con nessun disturbo psichiatrico la perdita di lavoro è ancora associato con circa un 70% di rischio di suicidio. Si è inoltre visto che la disoccupazione ha un influenza causale sulla depressione e sull’ideazione suicidaria

Ricerche longitudinali riportano che la disoccupazione, ad esempio in Gran Bretagna nel 19320 e nel 1930 era associata ad un aumento dei suicidi tra gli uomini. Una recente analisi della crisi economica asiatica (1997-8) ha indicato che sono circa 10 000 i suicidi tra Hong Kong, Giappone, e Korea.

L’analisi degli indicatori socio-economici in Italia indica che il suicido è più frequente dove ci sono più occupati, dove c’è maggiore reddito e dove le famiglie hanno più risorse. Questo potrebbe indicare che proprio dove l’essere occupati è la regola, perdere il lavoro e affrontare una crisi finanziaria porta alla vergogna, all’emarginazione e dunque ad un aumento del rischio di suicidio. Al contrario là dove l’essere disoccupati riguarda molti più individui, il senso di solidarietà e di condivisione di una stessa realtà protegge in qualche modo gli individui.

A Hong Kong il 24% di tutti i suicidi nel 2002 riguardava le persone con indebitamento.

Il suicidio è il risultato di un dialogo interiore; la mente passa in rassegna tutte le opzioni per risolvere un certo problema che causa sofferenza estrema. Emerge il tema del suicidio e la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni. Trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo; ma alla fine, fallite tutte le altre possibilità, la mente accetta il suicidio come soluzione, lo pianifica, lo identifica come l’unica risposta, l’unica opzione disponibile.

Questi soggetti si presentano spesso depressi ma la loro condizione e’ il risultato di una reazione ad un fatto che li ha feriti e traumatizzati emotivamente. Può succedere dunque che questo accada anche in presenza della depressione ma non necessariamente si deve considerare il rischio di suicidio correlato alla depressione, bensì possono esistere due dimensioni separate che si intersecano: quella della depressione e quella della suicidalità. Quest’ultima caratterizzata dal dolore mentale insopportabile e della visione tunnel, ossia il poter vedere solo in una sola direzione e mai altre opzioni a disposizione. Questi individui pensano con una logica molto diversa da quella comune, un pensiero dicotomico nel quale il range delle opzioni e’ ristretto a due: poter risolvere magicamente il proprio dolore (impossibile) oppure suicidarsi (possibile). Gli eventi avversi o spiacevoli della vita di tutti i giorni che spesso ci causano sofferenza derivano dalla mancata soddisfazione e frustrazione di bisogni psicologici che ognuno di noi possiede, con sfumature molto particolari e del tutto personali. Come nel caso dei bisogni fisici, anche per i bisogni psicologici la frustrazione si traduce in una sofferenza sempre maggiore soprattutto nel caso di quei bisogni che riteniamo fondamentali per la nostra esistenza. Se questi bisogni psicologici vitali non vengono soddisfatti, l’individuo giunge a mettere in discussione la sua vita pur di alleviare il dolore derivante della frustrazione di questi bisogni.

Il suicidio è meglio comprensibile non come desiderio di morte, ma in termini di cessazione del flusso delle idee, come la completa cessazione del proprio stato di coscienza e dunque risoluzione del dolore psicologico insopportabile. il suicidio è meglio comprensibile se considerato non come un movimento verso la morte ma come un movimento di allontanamento da qualcosa che è sempre lo stesso: emozioni intollerabili, dolore insopportabile o angoscia inaccettabile, in breve psychache. Se dunque si riesce a ridurre, ad intaccare e a rendere più accettabile il dolore psicologico quell’individuo sceglierà di vivere.


Diversi approcci potrebbero essere adottati per compensare l'impatto della recessione sul suicidio. In primo luogo, e la maggior parte, soprattutto, sono misure di politica sociale per creare nuovi posti di lavoro, le prestazioni previdenziali adeguati per i disoccupati, e la fornitura di soluzioni alternative alla rapida entrata nel mercato del lavoro.


Non deve essere dimenticato che i datori di lavoro dovrebbero essere sensibili all’impatto della perdita di lavoro sulla salute mentale e sul rischio di suicidio. Allo stesso modo, i sindacati dovrebbero essere sollecitati a compiere il loro dovere di tutela per i membri.
In terzo luogo, le agenzie di sostegno comunitario dovrebbero essere dotate di risorse adeguate per aiutare le persone con problemi derivanti dalla perdita di posti di lavoro e problemi finanziari indirizzandoli a servizi di assistenza come i centri per la prevenzione del suicidio.

I mass media hanno un ruolo cruciale nella prevenzione. Questi dovrebbero trattare le notizie inerenti il suicidio in modo non senzazionalistico ma invece dare messaggi di prevenzione ed incitare a chiedere aiuto. Si dovrebbe evitare la conclusione semplicistica che la perdita del lavoro ha portato al suicidio. Si dovrebbe invece far leva su situazioni precedenti che già mettevano in uno stato di vulnerabilità l’individuo. La maggior parte delle persone che perdono il posto di lavoro non si uccidono ma di fatto tale evento è uno dei fattori di rischio che deve essere tenuto in adeguata considerazione.

Spesso molti soggetti presentano una o più caratteristiche o segnali d’allarme che dovrebbero essere considerati attentamente. Sebbene l’intenzione non sia sufficiente a compiere il gesto suicidario, coloro che circondano il soggetto che esprime desiderio di morire o emette segnali come “Magari fossi morto” o “Ho intenzione di farla finita” oppure segnali meno diretti come “A che serve vivere?”, “Ben presto non dovrai più preoccuparti di me” e “A chi importa se muoio?” dovrebbero mobilitarsi per cercare aiuto. Inoltre isolarsi dagli amici e dalla famiglia, esprimere la convinzione che la vita non abbia senso né speranza, disfarsi di cose care, mostrare un miglioramento improvviso e inspiegabile dell’umore dopo essere stato depresso; trascurare l’aspetto fisico e l’igiene sono altri segnali che spesso sono rintracciabili nelle vittime del suicidio. Altri elementi che devono destare preoccupazione sono: fare scorte di farmaci, comprare armi, un improvviso nuovo interesse oppure la perdita di un interesse per la religione, trascurare attività quotidiane di routine fissare un appuntamento medico anche per sintomi lievi.

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