PSYCHOMEDIA Telematic Review
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Sezione: ARTE E PSICOTERAPIA
Area: Arteterapia
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Joan Miró e la reinvenzione del padre
Da unipotesi psicoanalitica allesempio di un artista
Marco Alessandrini*
PARTE PRIMA LIPOTESI TEORICA
Il passato vissuto e non sperimentato
Il passato è costituito da eventi che lindividuo ha vissuto ma non ha sperimentato. Gli eventi infatti, nellistante in cui vengono vissuti, si inscrivono per massima porzione sotto forma di impatti immediati, di sensazioni ed emozioni radicate nel corpo. Soltanto la restante porzione è effettivamente sperimentata, vale a dire avvertita in modo più definito grazie alla consapevolezza e alla riflessione.
Questa evidenza è ancor più vera nel caso di eventi in qualche modo traumatici. Come tali bisogna intendere gli accadimenti il cui impatto particolarmente intenso e repentino sia esso piacevole o doloroso determina una loro ancor più piccola penetrazione a livello della consapevolezza. Nellistante in cui si verificano, superano più dellordinario la capacità dellIo di elaborarli in forma definita e consapevole, penetrando perciò quasi del tutto nel canale elaborativo corporeo-affettivo. Questultimo appartiene anchesso allIo, tuttavia sotto forma di elaborazioni meno riflessive e soprattutto poco consapevoli, vale a dire inconsce.
Quindi il passato di chiunque è inevitabilmente costituito da tracce saldamente intrise di realtà, anzi, si direbbe, imbevute di corporeità sensoriale ed emotiva, ma queste tuttavia restano indefinite e sempre sfuggenti, fantasmatiche e irreali. Esse nella loro struttura sono «
un insieme di elementi sensoriali ed emotivi estremi» (1, p. 51), che dunque «
lIo è troppo immaturo per raccogliere insieme (
) nellarea dellonnipotenza personale» (2, p. 109).
Il passato è soltanto il presente
Queste tracce non sono sfuggenti soltanto perché inscritte sotto forma di sensazioni corporeo-affettive, poco discriminabili da parte della consapevolezza riflessiva. Lo sono anche perché pur derivando dallinfluenza dellaltro, vale a dire da rapporti con persone, situazioni, ambienti, non rimangono in condizione di immagini statiche, ma fondano unattività inconscia che da lì in seguito evolve e si modifica incessantemente. Questa attività mentale è quanto Hugo Bleichmar, per esempio, definisce come loriginariamente inconscio: unarea della mente il cui funzionamento «
combinando in vario modo le rappresentazioni che ne fanno parte, crea nuove produzioni al suo interno» (3, p. 159).
E senza dubbio questo il senso della vita umana, la base dellidentità personale nel suo procedere ed evolvere lungo la singola esistenza. Si può infatti dire che le tracce del passato, non essendo mai raggiungibili nella loro interezza, fanno sì che linevitabile volgersi a esse apparentemente un volgersi allindietro generi un continuo ripensarle e costruirle, in questo modo costruendo e inventando una vita, la propria vita, come costante progressione in avanti.
Pertanto ogni persona, inevitabilmente e non consapevolmente, pone in atto «
la ricerca dellevento passato, ma non ancora sperimentato, sotto forma di ricerca di tale evento nel futuro». E ciò accadrebbe perché «
lesperienza originale (
) non può essere collocata nel passato finché lIo non riesca a inserirla oggi nella sua esperienza presente e nel controllo onnipotente» (2, p. 109).
Anche dal punto di vista neurobiologico - come afferma per esempio Gerald Edelman - la coscienza primaria nasce dallinterazione dinamica tra memoria e percezione in atto. Questa interazione dinamica permette di ricategorizzare il presente alla luce del passato e di costruire in questo modo una scena percettiva coerente. Perciò lo stesso Edelman sostiene che lesistenza individuale equivale in ogni suo istante a un paradossale presente ricordato (4) : un passato che può esistere e definirsi soltanto nella reinvenzione che si plasma allinterno dellattimo presente.
Cercando allindietro ciò che lì sempre sfugge, perché costituito da tracce magmatiche, da vissuti essenzialmente corporei di natura sensoriale ed emotiva, la persona assimila e ricategorizza questi vissuti alla luce e nella forma dellesperienza presente, ricostruendo ogni volta il passato come realtà antica e tuttavia inevitabilmente nuova. Il passato non può quindi essere concepito come memoria statica, come fotografia riposta in un archivio e lì esistente, bensì come «
creazione di un senso assente, vera invenzione di un senso rimasto, come si dice, in sofferenza» (5, p. 46) (6).
Larte, la psicoterapia: due modi del passato reinventato
Se lesistenza individuale e lidentità personale consistono nella spinta interna di tracce alla ricerca di se stesse, queste inseguono un presente che le accolga, le sprigioni, le reinventi.
Tale processo dinamico può tuttavia coagularsi in forma di sintomo, di contrattura statica e ripetitiva. Ciò accade soprattutto quando le tracce contengono elementi di sofferenza, e quando lIo si avverte incapace o spaventato circa la possibilità di accogliere le tracce, di comporle e di definirle: quindi incapace, e soprattutto fragile, di fronte alla necessità di comporre e di delineare se stesso. La traccia viene allora ripetuta in forma sempre identica, quasi fosse uno scenario immobile, un fantasma ben definito che però è in realtà una fuga - o una difesa - rispetto al compito di accogliere davvero la traccia indefinita, sensoriale ed emotiva. Il vero compito sarebbe infatti, allopposto, rivivere la traccia per la prima volta e nel presente, accettando di doverla definire e riplasmare con cura, con coraggio e incessantemente.
Per sciogliere il sintomo, per accogliere le tracce che esso contiene in una forma che per quanto delineata è tuttavia informe e soffocata, può essere indispensabile unesperienza psicoterapeutica. Questa offre infatti innanzitutto unimportante «
funzione ausiliaria di supporto allIo, esercitata dalla madre-analista» (2, p. 109). Tuttavia è bene subito sottolineare che un tale supporto, con modalità diverse ma non per questo inefficaci, può provenire da altre attività ed esperienze, prima tra tutte il processo artistico, soprattutto il rapporto con gli strumenti e i materiali del suo procedere creativo.
Va però da sé che qualunque azione di supporto, sia essa svolta da un analista o da altre attività quale quella artistica, non esercita unazione paragonabile soltanto a quella di una madre - come afferma la citazione precedente - ma contemporaneamente assimilabile a quella di un padre. Il prodotto artistico è infatti di per sé lesteriorizzazione di vissuti poco elaborati, poco coscienti e soprattutto sfuggenti e indefiniti che premono a livello sensoriale ed emotivo, e che appartengono a tracce di rapporti interumani con un insieme di figure di riferimento, vale a dire con la madre, con il padre o con chi ne abbia rivestito il ruolo (7) (3).
Larte è interiorizzare se stessi allesterno
Il prodotto artistico è una modalità particolarmente pura di presente ricordato: tracce di relazioni con la madre o con il padre, o con le entrambe le figure o con altre ancora, si riversano allesterno - e nellalveo dellistante in atto - sopra a un supporto che a sua volta rievoca e incarna la presenza materna o paterna, questa volta però rendendola plasmabile e inventabile in misura ampia e in forma definita. In questo senso il prodotto artistico è padre o madre, ed è amato e al tempo stesso odiato, cercato ed evitato, ma sempre in qualità di luogo in cui le tracce interiori e indefinite, sensoriali ed emotive, di relazioni avute con padri e con madri di un passato in cerca di definizione, incontrano un doppio esterno dove riversarsi e conformarsi, e soprattutto dove potenzialmente evolvere (8).
In sostanza, le tracce dell originariamente inconscio, specie se traumatiche - e perciò insistenti nella loro indefinitezza sensoriale ed emotiva possono essere immesse in un supporto anchesso ricco di elementi sensoriali ed emotivi, sia questo la presenza dellanalista (insieme al setting) o una produzione e un prodotto artistici, riuscendo così a trasfondersi allesterno e ad attualizzarsi, a comporsi e a inventarsi. Perciò il poeta e romanziere Bernard Noël afferma, a proposito dellatto della scrittura (ma il discorso è valido anche per qualunque atto creativo artistico): «
scrivere è interiorizzarsi allesterno senza saperlo» (9).
Quindi il prodotto artistico, insieme al processo che ripetutamente lo lavora e lo compone, agisce elettivamente come organizzatore esterno: un vero contenitore che per effetto di una materializzazione proiettiva, e grazie alla natura sensoriale ed emotiva di questultima, accoglie elementi psichici non integrati, spesso di natura traumatica e prevalentemente anchessi di natura sensoriale ed emotiva.
Infatti il processo creativo, in qualunque modo si compia in veste di scrittura, di pittura, di scultura, di composizione musicale e via dicendo è costituito da tre componenti: gli elementi riversati allesterno, il processo insieme gestuale e intellettivo che opera questa materializzazione, e infine il risultato, il prodotto artistico. E poiché le tre componenti possiedono tutte una qualità eminentemente sensoriale ed emotiva, questa rende il processo un tutto unico, un crogiuolo nel quale il passato più sfuggente, inscritto nell originariamente inconscio in forma corporeo-affettiva, ottiene una riformulazione presente, la sola possibile e realmente esistente.
Questa poi a sua volta potrà possedere più luno o laltro di due possibili aspetti: potrà essere il reiterarsi di uno scenario bloccato, pur sempre poco definito e informe, soffocato e contratto, costituendosi perciò come semplice riformulazione di un sintomo preesistente, sebbene adesso collocato e distanziato allesterno; oppure potrà essere uno scenario in costante e creativa evoluzione, sempre lo stesso e tuttavia ogni volta diverso, strutturalmente lontano dallinformità bloccata di un sintomo.
Il Sé ferito: vero destinatario delloperare artistico
Una domanda si impone. Prima che allo spettatore, a chi si rivolge realmente lopera darte? Chi è il vero destinatario di cui lo spettatore impersona inconsapevolmente il ruolo? Lopera si rivolge ai genitori reali? Anzi, ai genitori del passato? O piuttosto alle tracce imprendibili, sensoriali e affettive e perciò fantasticate e fantasmatiche inscritte e generate dal rapporto con loro e poi evolute in maniera autonoma?
Proprio perché rivolta a tracce che sono dentro se stessi, e perché nel contempo è la trasposizione esterna e concreta di queste stesse tracce, lopera è un luogo di costruzione e di reinvenzione del Sé. E rivolta al proprio Sé ferito, alle tracce traumatiche in esso inscritte, affinché queste, in lei e attraverso di lei, possano reinscriversi e così definirsi, e soprattutto affinché possano evolvere e riplasmarsi.
Si può anzi dire che lopera darte incarna un possibile sguardo altrui, e in realtà anche il proprio sguardo rivolto a se stessi. Tuttavia adesso, nellopera darte, lo sguardo daltri, che è anche il proprio sguardo interno rivolto a se stessi (questultimo è comunque la personale rielaborazione, in gran parte inconscia, dello sguardo altrui interiorizzato (10)), si materializza allesterno in una forma controllabile e manipolabile e può così sostituire lo sguardo di chiunque, altrimenti non controllabile e potenzialmente deludente.
Lopera darte è quindi reinvenzione di uno sguardo altrui, ma di uno sguardo che questa volta non deluda. Nel contempo anzi in questo modo è reinvenzione di un proprio sguardo, che fondendosi a un nuovo sguardo altrui, nuovo perché reinventato e riplasmato nel presente, doni forma e definizione a tracce sensoriali ed emotive costantemente sfuggenti. Queste altrimenti, specie se traumatiche e insistenti, sono fonte di uningestibile destabilizzazione dellidentità.
Detto diversamente lopera darte è un supporto, dallesterno, al narcisismo dellartista (11): un «riduttore di frattura» nei confronti di ciò che è inscritto a livello sensoriale ed emotivo, e che in più insiste come trauma indefinibile, come ferita sfuggente. Una ferita quindi vissuta ma non sperimentata, che in quanto tale rende fragile il Sé e che soprattutto insegue un contenimento che la organizzi, che la rendenda elaborabile a livello dellesperienza consapevole (1, p. 52) (12). Lopera è uno strumento di inscrizione, di definizione e di incessante costruzione della propria identità, a partire dal suo fondamento corporeo-affettivo, un fondamento in cerca di esistenza consapevole e di conseguente possibile trasformazione.
Due forme darte come due opposti autismi
E ovvio il rischio implicito in una simile operazione. Poiché questa infatti è per così dire auto-gestita, il rischio è la caduta in una posizione psicologica autistica (11) (13) (14) (15). Il sostanziale emanciparsi dai possibili influssi dellaltro può indurre lartista a rinchiudersi in un atteggiamento rigidamente difensivo, il quale invece di produrre maggiore consapevolezza determina una condizione di scarsa elaborazione riflessiva e di carente contatto con la realtà.
Infatti questi due processi, vale a dire il contatto con la realtà e lelaborazione riflessiva, procedono di pari passo alimentandosi a vicenda. E quindi fondamentale che loperare artistico, per quanto possieda inevitabilmente una valenza difensiva autistica, abbia tuttavia leffetto di stimolare questi due processi, anzi di renderli possibili in una misura che per quella determinata persona non sarebbe probabilmente realizzabile in altro modo. Come infatti annota MUzan (in questo caso riferendosi, quale esempio, allatto creativo della scrittura): «Si scrive perché non è possibile fare altrimenti. Scrivere è a volte il mezzo migliore, se non lunico, di cui alcuni possano disporre per venire a patti con la loro economia psichica» (16).
E però vero che là dove i due processi - il contatto con la realtà e lelaborazione riflessiva - siano già in partenza fortemente deficitari, come nel caso di personalità psicotiche, loperare creativo non può di per sé attivarli. Ed è altrettanto vero che una eventuale stimolazione di questi processi può comunque verificarsi soltanto qualora la persona dialoghi - e soprattutto accetti di dialogare - con un contesto interumano e culturale, operazione, questa, che è appunto particolarmente problematica nelle personalità psicotiche.
Il contesto interumano e culturale, nel caso di chi intraprenda una carriera artistica, è solitamente composto da più agenti: i colleghi artisti, la tradizione dellarte, la conoscenza delle tecniche artistiche, i critici del settore, il pubblico, il mercato e così proseguendo. Nel caso invece di molti pazienti psicotici il dialogo con tale contesto è assente, ma soprattutto è da loro non ricercato e anzi evitato (17). Nei veri e propri artisti, invece, questo contatto è non soltanto presente, ma attivamente e speso febbrilmente ricercato.
Si può insomma dire che la personalità di partenza imprime alla valenza intrinsecamente autistica delloperare artistico un effetto, a seconda dei casi, poco o molto trasformativo, favorendo rispettivamente due opposte modalità creative: una modalità irrigidita, lontana dal contatto con la realtà e dallelaborazione cosciente; e una modalità invece in grado di pervenire, proprio attraverso questa strada, a un migliore contatto con la realtà e a percorsi di consapevole esperienza. In altre parole i due processi, ovvero il contatto con la realtà e lelaborazione riflessiva, devono essere già abbastanza attivi - o attivabili - nella personalità di partenza (18) (19).
Autoritrarsi è reinventare lo sguardo ricevuto in passato
In termini riassuntivi si può affermare che la funzione psicologica svolta dalloperare artistico, pur essendo una modalità unitaria, può essere scomposta in più sfaccettature interconnesse. Almeno tre sfaccettature risultano essenziali: (a) la capacità di contenere, di organizzare e di delineare le tracce sensorio-emotive dell originariamente inconscio, (b) creando in questo modo un presente ricordato, (c) il quale a sua volta offra un supporto e unevoluzione al Sé. Tale supporto è dunque offerto alla coesione narcisistica, in particolare alle eventuali ferite che per loro costituzione sensorio-affettiva sfuggono allelaborazione cosciente.
A queste tre componenti della funzione psicologica svolta dalloperare artistico bisognerebbe aggiungere anche il correlativo effetto comunicativo. Questo, per quanto tenda ad attuarsi in forma difensivamente protetta e fondamentalmente autistica, garantisce potenzialmente un contatto con gli altri, con il contesto e con la realtà, un contatto in grado di stimolare positivamente la capacità riflessiva e lelaborazione cosciente.
Nel campo specifico delle arti figurative questa articolata funzione svolta dalloperare artistico si rivela particolarmente evidente nel caso dei cosiddetti autoritratti. Una interessante precisazione al riguardo, pienamente in accordo con quanto detto più sopra, è fornita da Marie-Claude Lambotte a proposito della personalità del melanconico. Lautrice riprende, modificandola, una tesi sostenuta da Otto Rank, il quale in un lavoro del 1911 intravedeva nellautoritratto «
una certa forma di sublimazione dellamore narcisistico», in quanto «
in questa restituzione appassionata dei tratti del proprio volto vi è un amore narcisistico per la propria persona» (20). Come precisa la Lambotte, lautoritratto non è però soltanto «
una proiezione della propria immagine, ma soprattutto «
il marchio originale dello sguardo che è stato rivolto su di sé; in altre parole, [lautoritratto] significa vedere dinanzi a sé quegli stessi occhi mediante i quali si è stati visti una prima volta» (21, p. 364).
Ancora, sempre seguendo quanto dice la Lambotte, «
il pittore si traccia o ritraccia come si è visto prendere corpo attraverso lo sguardo della madre, mediante un processo di identificazione che da allora in poi fa parte della sua struttura. Questo stesso sguardo costitutivo sia della sua immagine che del suo rapporto con il mondo gli ha tramandato la cornice in funzione della quale ha preso forma lespressione del suo desiderio» (ibidem, p. 226) (22).
PARTE SECONDA APPLICAZIONE DELLIPOTESI: JOAN MIRÓ
La melanconia in Joan Miró
Larte di Joan Miró (1893-1983) è tradizionalmente associata al disincanto giocoso, al sogno e allinfanzia (23) (24) (25). La poetica di questo artista è anche ricca di elementi tragici e oscuri, ma tuttavia resta apparentemente serena. In realtà proprio le lunghe premesse teoriche sopra accennate permettono di interpretare la sua arte come costante auto-trasformazione, in direzione eccezionalmente positiva, di una particolare ferita dellidentità, una ferita specificamente melanconica (26). Nellarte di Miró è possibile infatti rinvenire la sorprendente evoluzione mutativa di tracce sensoriali-affettive intrise di un mancato riconoscimento da parte dello sguardo paterno.
Nel periodo più difficile della sua vita, quando lesilio dalla Spagna si impone a causa della dittatura di Francisco Franco, e sotto il rapido succedersi degli eventi della Seconda Guerra mondiale, Miró realizza, insieme al pittore cubista Louis Marcoussis (1883-1941), un singolare ritratto di se stesso [Figura 1].
Si tratta di unincisione del 1938 intitolata Ritratto di Miró. In basso a sinistra campeggiano due scritte, pluie de lyres (pioggia di lire, vale dire uneffusione musicale che è anche il diffondersi della creatività artistica) e cirques de melancholie (circhi di melanconia). Il volto e le mani di Miró sono ricoperti dai simboli del tipico mondo figurativo dellartista, da sempre indicativi della sua sensibilità più intima: stelle, un sole nero, fiori, pianeti, creature primordiali, il grafema primitivo di una scala. Dei due occhi, il destro è tramutato in una stella, mentre il sinistro ha la pupilla vuota e bianca, come se fosse assente o cieco. Nel suo complesso la raffigurazione sembra descrivere come assolutamente duplice lidentità di Miró: profondamente visionaria, da un lato, protesa verso larte e il cosmo (locchio a stella, gli astri, la scala, la pluie de lyres), e tormentata e malinconica dallaltro lato, immersa in uninteriorità imprendibile e dolente (locchio con la pupilla bianca, il sole e la stella neri, loscurità che circonda la mano sinistra, i cirques de melancholie).
Se allora, come detto più sopra, lopera artistica è in generale una sorta di protesi esterna dellapparato psichico, tale da permettere a questultimo di inscrivere e così di delineare, reinventandole, le imprendibili tracce sensoriali-emotive di un passato composto da ferite in costante trasformazione, sembra che nel caso di Miró lintera operazione riguardi uno sguardo paterno che non ha riconosciuto lidentità del figlio. Questultima infatti appare divisa, come in questo autoritratto, tra un sentimento di vuoto, di rinuncia, di carente autoaffermatività una mancanza di fiducia nella propria identità, quasi costretta a farsi assente a se stessa e una capacità di evasione e di trascendenza, una sorta di tensione liberatoria verso uno spazioso universo di creatività e di immaginazione.
Nel trasporsi allesterno, acquisendo una configurazione ora abbordabile da parte della consapevolezza e della riflessione, la ferita impressa dallo sguardo paterno diventa però anche materia da lavorare artisticamente, vale a dire da far evolvere sul suo stesso terreno, quello sensoriale ed emotivo. Lì, nellinteriorità esteriorizzatasi in opera darte, divenuta insomma loggetto sensoriale ed emotivo che è il prodotto artistico sotto forma di presente ricordato, accade che il mancato riconoscimento dellidentità del figlio da parte del padre - un mancato riconoscimento che è come un sole nero o una pupilla bianca e cieca, e che rende futile ogni cosa come un circo di melanconia - ritrovi anche un nuovo sguardo, quello che la creatività, la pluie de lyres, rende appunto possibile.
Lopera stessa infatti, grazie al contatto che offre con lambiente artistico e con i suoi esponenti, ma anche con unintera tradizione di stili, di linguaggi, di persone, e grazie poi allinteriorità sensoriale ed emotiva che in essa si delinea e che si rende anche modificabile, è adesso un nuovo padre: un potente strumento di riflessione. Ovviamente, qui per riflessione bisogna intendere non solo una capacità di pensare e di ripensarsi, ma anche la possibilità di ricevere un nuovo riflesso - una nuova immagine di sé - da parte di uno schermo o di uno specchio. O da parte, appunto, di uno sguardo.
Lopera darte come Padre universale
Non solo il Ritratto del 1938, ma lintera arte di Miró, e soprattutto alcuni suoi caratteristici elementi figurativi, risultano indicativi del costante inscriversi, da un lato, di un imprendibile sguardo paterno che non riconosce lidentità del figlio, e dallaltro lato di un nuovo padre e di un suo nuovo sguardo. Larte, diventando qui un padre di natura creativa e trascendente, offre alla ferita dellidentità - una ferita melanconica, oscura e sterile, fortemente ctonia - un riscatto cosmico e celeste: un supporto identitario inaspettato, nuovo e straordinariamente fertile.
Occorre precisare che quando invece il mancato riconoscimento dellidentità è opera dello sguardo materno, ne risulta minata laffettività profonda, e allora il trauma melanconico, un trauma da madre, è legato alla mancanza - e alla ricerca - di un amore perduto. In questo caso lidentità si fa particolarmente dolente, profondamente fragile e passiva, sebbene accesa da intensa rabbia (27). Quando però il mancato riconoscimento dellidentità è frutto prevalentemente dello sguardo paterno, e soprattutto nel caso in cui il figlio sia di sesso maschile, risulta minato laspetto dellidentità più strettamente autoaffermativo. In questo caso il trauma melanconico, un trauma da padre, è legato alla mancanza e alla ricerca di un riconoscimento perduto (anche mancato o negato).
In altre parole, se la carenza narcisistica, la ferita dellidentità è di provenienza materna, risulta minata la stessa nascita del Sé, il suo telaio strutturale, la sicurezza primaria e di fondo: la sicurezza di esistere e di poter esistere. Sul piano psicopatologico,si può perciò parlare di una struttura di personalità di taglio psicotico. Se invece la carenza narcisistica è di prevalente provenienza paterna, lidentità ha già una sua base, una sua autorizzazione ad esistere, ma ha invece difficoltà nellaspetto in qualche modo successivo o complementare, che consiste nello sviluppare le proprie vere caratteristiche. Qui in sostanza lidentità ha difficoltà ad adottare determinate caratteristiche avvertendole come veramente personali, e quindi come fonte di salda autoaffermazione. Dal punto di vista psicopatologico, ne deriva allora una conflittualità di natura più spiccatamente nevrotica.
E questa seconda evenienza a trasparire dallarte di Miró. Nel suo mondo figurativo luniverso ctonio, la profonda realtà della terra, in particolare il paesaggio della Catalogna a cui lartista rimarrà legato fin dallinfanzia (28), è sede del trauma da padre, delloscura melanconia dovuta al mancato contatto con lautenticità di se stessi. Tuttavia accoglie al tempo stesso la fertilità di un accudimento materno evidentemente sereno, non traumatico.
Perciò nellarte di Miró la terra e il paesaggio sono un punto di partenza costante e privilegiato: dimensioni abitate, in un tempo solo, sia da uno sguardo rigido e impositivo, e quindi in fondo assente, lo sguardo del padre che adesso è anche lo sguardo che lo stesso Miró rivolge su di sé, sia invece da una fiducia di base di provenienza materna, vera linfa primordiale a cui lartista può attingere per slanciarsi al di fuori delle limitazioni di provenienza paterna. Non a caso, Miró predilige come fonti ispirative alcuni aspetti primari e materni della propria terra, quali i graffiti preistorici delle caverne di Altamira o gli sconfinati orizzonti del mare, pur tuttavia ricercando, sempre però nellambito di questo stesso alveo costituito dai luoghi di appartenenza, anche aspetti più prettamente maschili e paterni, espressi per esempio dalle Chiese romaniche e dai loro affreschi, o dalle rocce e dagli alberi che resistono al tempo (29) (30).
Accade insomma che delle due dimensioni mentali ed esistenziali a cui per esempio accenna Binswanger, la dimensione verticale e quella orizzontale (rispettivamente l«ampiezza dellesperienza» e l«altezza della problematica», o la «capacità di costruire» e la «capacità di salire») (31), Miró privilegi innanzitutto la dimensione orizzontale, perché sede del trauma da padre ma contemporaneamente anche dellenergia positiva materna. Egli perciò impasta a questo livello, grazie alla trasposizione allesterno offerta dalla creazione di opere darte, il vuoto melanconico e una preesistente fiducia di base, ovvero una fragilità narcisistica e la sua possibile fertilizzazione.
Nasce così lo slancio verso il cielo, vale a dire una rinnovata dimensione verticale che corrisponde poi - nellopera darte ma specularmene anche nello spazio interiore - alla vera e propria creazione di una sorta di padre universale e impersonale, virile e tuttavia non scevro da aspetti femminili. Un padre forte e al tempo stesso accogliente, rigido eppure fluido, autoaffermativo ma disponibile e aperto: un padre-arte che accoglie in sé anche la terra e la madre, anzi le tracce interne di provenienza materna. E che infatti nelluniverso figurativo di Miró compare, appunto, nella veste di ricorrenti scenari celesti, decisamente verticali e paterni, resi però straordinariamente simili a fondali marini, più evocativi di vissuti orizzontali e materni.
Questo nuovo padre, amalgama di componenti paterne e materne o verticali e orizzontali, è plasmato ed evocato allinterno dei manufatti creativi (dipinti, disegni, incisioni, sculture), per essere da lì poi specularmente introiettato nella mente di Miró. Si tratta di un padre rinnovato che è anchesso, al pari di quello originario interno, una pura traccia sensoriale e affettiva. La sua presenza materica e corporea ha la natura di una traccia sensoriale e affettiva assai concreta, eppure sempre sfuggente. Infatti questo padre-arte si incarna da una parte nel processo stesso della creazione artistica (latto motorio e affettivo del dipingere e dello scolpire), e dallaltra parte nel prodotto finale (la corporeità e la materialità dellequilibrio compositivo, dei colori, delle forme, dei simboli).
Entrambi questi fattori - lopera prodotta e il processo necessario a produrla - sono appunto di natura corporeo-affettiva, e quindi provengono dalla stessa area della mente, l originariamente inconscio, dove sono inscritte e attive le tracce originarie. Lopera darte - e il processo necessario a produrla - possono perciò agire sulle tracce originarie interne ed eventualmente trasformarle. Dunque questo padre-arte esterno sostituisce e supplisce, determinandone la trasformazione e la reinvenzione, le dolenti tracce originarie interne.
Il tema figurativo della scala
Ecco allora, per esempio, il ricorrere nei quadri di Miró del tema della scala. Lui stesso racconta: «La scala è un
motivo ricorrente della mia opera. Nei primi anni, era una forma plastica che appariva spesso perché mi era molto vicina una forma familiare ne La fattoria [Figura 2].
Più tardi, in particolare durante la guerra quando ero a Maiorca, giunse a simbolizzare levasione; come forma dapprima essenzialmente plastica, poi era divenuta poetica. O meglio, dapprima plastica, poi nostalgica allepoca de La fattoria, e infine simbolica» (32, p. 230).
La raffigurazione della scala rende quindi attiva a livello non solo simbolico ma sensoriale e affettivo, strettamente legato alla materialità dellopera darte e dei processi necessari a produrla, una vera e propria evasione verso lalto. E quanto accade non solo nel dipinto citato da Miró, La fattoria, risalente al 1921-22, ma in molte altre opere tra cui un dipinto del 1926, Cane che abbia alla luna [Figura 3].
Qui in modo ancor più netto la terra è una corporeità sensoriale e affettiva (uno strato uniforme e spoglio, di colore marrone) da cui evidentemente occorre fuggire, perché sede di istinti feriti e melanconici (il cane che abbia alla luna). Nel contempo fornisce però lenergia, la nascosta spinta materna, da cui nasce lo slancio dellarte (la scala variopinta che si inoltra nellabissale libertà del cosmo).
Certo, qui la libera spaziosità del cosmo è anche temuta e in effetti Miró, negli anni in cui ha realizzato il dipinto, era ancora allaffanosa ricerca del suo stile personale: di una poetica in grado di appagarlo pienamente e di imporlo nellambiente artistico. In sostanza il padre-cosmo, offerto dai materiali e dai simboli delloperare artistico, è il luogo in cui a quellepoca in Miró era ancora in incompiuta gestazione lamalgama di due opposte dimensioni del vissuto: da un lato le tracce di provenienza paterna, fonte di limitazione, di insicurezza, di rinuncia allautoaffermazione, di introversione melanconica; dallaltro lato lo slancio che usufruendo di altre tracce, quelle di provenienza materna, intende fondare grazie alla loro energia e al loro appoggio una nuova virilità finalmente autoaffermativa. Perciò nel dipinto in questione il cosmo è ancora buio e anchesso spoglio, ma ricco di promesse, come attesta la scala variopinta che con fermezza e gioia vi si slancia.
Daltronde anche Margit Rowell, attenta critica dellarte di Miró, sottolinea lintrecciarsi di due analoghi temi nella poetica dellartista: la «
pesantezza della terra, rappresentata dagli sconfinati orizzonti del paesaggio catalano e da figure di lumache, di serpenti, di insetti striscianti, di alberi, di fiori» e «
levasione dalle contingenze terrestri, rappresentata da figure di scale, di uccelli, di insetti volatili, di stelle, di comete» (33, p. 12). Il primo tema evoca dunque una dimensione mentale - soprattutto sensoriale e affettiva - più orizzontale e materna, là dove invece il secondo sembra attivare un vissuto verticale e paterno, decisamente cosmico.
Il tema della scala, così inteso, porta infine con sé limmediata analogia con la celebre incisione di Albrecht Dürer, Melencolia I del 1514 [Figura 4], definita da Erwin Panofsky l«
autoritratto spirituale di Albrecht Dürer» (34, p. 222).
Questa immagine personifica la Melencolia nella figura di un angelo immobilizzato dalla tristezza. Senza analizzare in questa sede la complessa simbologia iconografica di questa composizione figurativa, occorre ricordare che essa rinvia allidea secondo cui dalle ferite depressive il genio creativo dellartista deve attingere la possibile elevazione verso una realtà trascendente, simboleggiata, oltre che dalle ali dellangelo, dalla scala appoggiata alledificio. La scala, nella sua umile e rozza semplicità, indica la limitatezza di tale aspirazione, o meglio la limitatezza dei comuni strumenti umani, alludendo dunque alla necessità di intraprendere il liberatorio operare artistico, ma sottolineando anche linconcludibile tensione in avanti che esso inevitabilmente impone (35).
Unautoaffermazione cosmica e marina
Nellarte di Miró la reinvenzione del padre si compie in molti altri modi. Si può dire che dopo la lunga preliminare gestazione tale reinvenzione sboccia in forma davvero compiuta nella serie di ventitrè gouaches intitolata Costellazioni. Realizzata dal 1940 al 1941, a cavallo del breve esilio in Normandia, dunque sotto linflusso delle notti stellate di luoghi tanto diversi da quelli della Catalogna, la serie ritrae un puro spazio cosmico nei suoi vari volti. A ben vedere anche qui però si tratta di una terra unita al cielo, o di un fondale marino elevatosi ad altezze planetarie, figurazione di un istinto primordiale slanciatosi nella libera e personale autoaffermazione di se stesso. Sul piano strettamente iconografico, nella serie riappare la scala [Figure 5 e 6], questa volta però unita a occhi, a stelle, agli astri, a grafemi, a numeri, a note musicali, a spirali, a creature sottomarine o celesti, a volti primordiali e a uccelli.
Di nuovo, accade come se questi dipinti ritraessero lo stesso Miró, il suo volto e il suo corpo, riflessi da uno sguardo che amalgama tristezza e gioia, coniugando - per quanto sembri paradossale - un buco melanconico e il suo superamento.
Levidente frammentazione, la dispersione degli oggetti, sono qui inoltre la gioia sofferta ma finalmente libera di unidentità non più irrigidita e soffocata, limitata dalle proprie insicurezze, bensì aperta e fluida, capace di trasformare le insicurezze nellautoaffermazione di un volo artistico e creativo. E questa unidentità che in tale forma - una forma del tutto personale - è dunque decisamente autoaffermativa. Si tratta come detto di unautoaffermazione al tempo stesso maschile e femminile, attiva e passiva, celeste e marina, che in questo modo procede con conquistata fermezza lungo la propria strada.
Miró daltronde era noto per la personalità impenetrabile: benevolo con tutti, a nessuno era possibile capire esattamente che cosa realmente pensasse, anche se poi aveva labitudine di parlare con toni asciutti ma incisivi, in modo risoluto e fermo. Soprattutto, Miró si dedicava con strenua determinazione allarte, linguaggio da lui avvertito come lunico propriamente suo. Mal sopportava inoltre le persone rigidamente autoritarie e impositive, vedi il generale Francisco Franco, da lui paragonato al ridicolo protagonista dellUbu re (1896) di Alfred Jarry, oppure lamico André Breton, leader del gruppo surrealista, a cui Miró infatti aderì ma mantenendo un ruolo indipendente e autonomo (36).
Lunione di Cielo e Terra
Un rapido accenno spetta adesso al linguaggio artistico di Miró, perché caratterizzato dalla commistione e dalla fluttuazione di arte figurativa, parola poetica, echi sonoro-musicali, calcoli numerici, scultura, arte della ceramica, utilizzo di oggetti quotidiani inglobati nella tela dei dipinti nelle sculture (scarpe, scatole di latta e via dicendo).
In tutto ciò risiede un evidente sentimento di ripartenza: un bisogno di auto-generarsi, appunto ripartendo da una sorta di stupore bambino avidamente alla ricerca di unappropriazione sensoriale e affettiva del mondo e di se stessi, grazie a una libera onnipotenza che - come afferma Winnicott (37) - permette attraverso il gioco (qui il giocodel fare arte) di sperimentare e di acquisire uno spazio interno in grado di accogliere e di contenere limpatto con le pulsioni e con la realtà.
E questo uno stupore spiccatamente sinestesico, sebbene guidato e sorretto da capacità riflessive ormai adulte. Miró sembra addentrarsi volutamente e con poche mediazioni - come è peculiare di molta arte contemporanea - in unarea sensoriale-affettiva della propria mente, per lì riannodare l originariamente inconscio con letà adulta, e i linguaggi dellindistinto con quelli della distinzione (due ordini del pensiero e del linguaggio di cui la psicoanalisi ha molto parlato, da Matte Blanco (38) fino alla Quinodoz (39) ). In questo modo accade inoltre come se Miró volesse rifondare il linguaggio stesso, la Legge del Padre, innestandovi elementi fluidi e indecisi in parte patologici, eppure, grazie a questa operazione, fonte di una stabilità di per sé non patologica.
Accade anche come se Miró scoprisse la libertà, insieme alla tensione e alle difficoltà, di un profondo dialogo tra linconscio originario e la coscienza. Una libertà che lo conduce ogni volta a rinvenire, nel momento creativo, ciò che lui stesso non sapeva consciamente di cercare. Ogni volta accade come se lui scoprisse una via di uscita, attraverso un processo che tuttavia nel caso della creazione artistica, a differenza di quello indotto dalla psicoterapia, deve per forza ricominciare di continuo, senzaltro perché privo del rapporto dialettico, transferale e controtransferale, con un altro che non sia soltanto oggetto ma persona, come nel caso del terapeuta. Infatti soltanto il rapporto con questultimo può offrire stabilità allintroiezione di una modalità di relazione, questa intesa come modalità di rapporto con laltro e insieme con se stessi.
Comunque anche in questo caso lunione delle due componenti, attiva e passiva, terrena e celeste, orizzontale e verticale è il frutto dellarte di Miró, nel senso che questa, agendo come un riduttore di frattura esterno, come luogo di inscrizione dell originariamente inconscio, permette alle sfuggenti tracce sensoriali-affettive, soprattutto alle più dolenti, non solo di delinearsi ma di reinventarsi in modo trasformativo. Il supporto esterno offerto dai materiali sensoriali e affettivi i pennelli, le tele, i colori, la scultura, gli oggetti e via dicendo agisce come vero e proprio prolungamento dellapparato psichico, suo straordinario supporto perché manipolabile, da un lato, con consapevolezza e riflessione, e dallaltro lato con la più intima partecipazione corporeo-affettiva. Inoltre tale supporto, pur di per sé autistico perché auto-gestito, consente tuttavia - se la personalità di partenza, come nel caso di Miró, ne ha le premesse - un rinnovato contatto con la realtà esterna, anzi un fermo inserimento in essa, e quindi in parallelo il già detto fecondo legame con corrispondenti metamorfosi psicologiche interne.
La consapevolezza della morte come stimolo a rinascere
Nel 1938 Miró realizza unopera da lui considerata incompiuta, lAutoritratto I [Figura 7].
Ad essa segue nello stesso anno lAutoritratto II [Figura 8].
Il suo amico e biografo, Jacques Dupin, scrive: «Qui forse abbiamo [in queste due opere] un unico autoritratto in due dipinti
Se questo è vero, il primo
esprime la tragedia, il confronto con la morte, con un disegno puro, minuzioso, implacabile fino alla furia; il secondo celebra il trionfo della vita
» (40, pp. 304-306). Bisogna sottolineare che nel secondo dipinto Miró si autoritrae sotto forma di un paio di occhi somiglianti ciascuno a un sole irradiante, circondati insieme da stelle e da pesci. Di nuovo, lo sfondo circostante è completamente nero, ed evoca al tempo stesso un fondale marino e lincerto e libero spazio cosmico.
Miró conservò una copia dellAutoritratto I, e riprese a lavoravi nel 1960. Ha perciò elaborato un altro autoritratto [Figura 9] nel quale al volto precedente si sovrappongono linee di pittura nera fortemente spesse, tali da configurare un personaggio insolito, bizzarro e burlesco, non esente da tratti inquietanti.
Gli occhi del personaggio sono raffigurati come due cerchi neri, il sinistro accentuato da un ulteriore cerchio in rosso, mentre poi più sotto una chiazza gialla si diffonde nel pieno dellarea genitale. Il pittore Robert Motherwell, esponente dellEspressionismo astratto movimento artistico statunitense che attinse molto allarte di Miró e a cui questultimo a sua volta non ha mancato di ispirarsi -, dice di questa immagine: «Vi è in essa uno scherzo di Dio a cui non si può sfuggire la consapevolezza della morte
» (41, pp. 65-67).
Ancora una volta in questa sequenza figurativa Miró testimonia la ricerca e la costruzione, dentro al prolungamento esterno che loperare artistico fornisce al suo apparato psichico interno, di unenergia generativa, fallica, che scaturendo da profondità primordiali e materne, ed elevandosi poi nella consapevolezza di sé offerta dalla libertà e dalle sfide del cielo e del cosmo, è in grado di rinsaldare unidentità minata da un vuoto depressivo, da una passività melanconica. La presa di coscienza della lacerazione depressiva, del buco generato dallo sguardo paterno, avvolge questultimo - pur lasciandolo inevitabilmente intatto - con un impulso trasformativo che è una continua spinta a rinascere. Gli autoritratti costruiscono tutti, a livello della corporeità affettiva del prodotto artistico, un nuovo sguardo paterno a sua volta maschile-femminile o paterno-materno, capace di impersonare e di riflettere una nuova identità dellautore, un nuovo volto di Miró.
Il dato biografico
Nemmeno in chiusura è realmente importante accennare al dato biografico. No, non è importante citare la personalità rigida del padre di Miró, lopposizione dei genitori alla carriera artistica del figlio, lepisodio depressivo che di conseguenza lui ebbe in gioventù. Nemmeno è utile ricordare il carattere schivo e taciturno, decisamente triste che Miró ebbe negli anni della scuola, e che trovò riscatto soltanto nella frequentazione dellAccademia darte. Ancora è secondario citare le alternanze di stasi e di iperattività che hanno costellato la vita di questo artista, e che pur suggeriscono il susseguirsi di momenti depressivi e ipomaniacali. Nel caso di Miró, ma anche nel caso di qualunque artista e nel caso di qualunque essere umano, non sono infatti in gioco gli eventi di un passato statico e ben definito, quanto le tracce sensoriali e affettive dellinteriorità profonda, assolutamente soggettive e in costante evoluzione. E in gioco la sola dimensione dell originariamente inconscio, che più che un passato definito e statico è, del passato, limprendibile e cangiante reinvenzione.
Le vere ragioni che inducono un artista a essere tale, così come le vere motivazioni dei contenuti delle sue opere, non risiedono nelle vicende del passato biografico: risiedono nelle tracce e nelle concatenazioni inconsce che si esprimono nelle sue opere e che lì evolvono, evolvendo in parallelo nella sua interiorità.
Queste concatenazioni o reinvenzioni possono tramutarsi in sintomo, in illusoria e statica ricostruzione di un ipotetico passato ben definito, solitamente tragico. Ma possono anche tramutarsi in creazione artistica: in ricostruzione infinita e mai statica di un presente in cui il passato assuma il volto di una vita che cresce in avanti. Una vita anchessa spesso intrisa di vissuti tragici e dolenti, ma in questo caso tali da alimentare un presente ricordato che di per sé ha il volto e le movenze di una spinta in avanti.
Annota Miró in un suo scritto: «Io sono di indole tragica e taciturna. Nella mia giovinezza ho conosciuto periodi di profonda tristezza. Ora sono abbastanza equilibrato, ma tutto mi disgusta: la vita mi sembra assurda
Se vi è qualcosa di umoristico nella mia pittura, non è il risultato di una ricerca cosciente. Questo humor deriva forse dal bisogno di sfuggire al lato tragico del mio temperamento. E una reazione, ma involontaria» (42, p. 58). Aggiunge in un altro scritto: «Se non dipingo divento inquieto, mi sento depresso, mi tormento, sono triste, ho idee nere e non so che cosa fare di me stesso» (43, p. 224).
La potenza dellanonimato
Miró inoltre afferma: «Lanonimato mi permette di rinunciare a me stesso, ma rinunciando a me stesso giungo ad affermarmi maggiormente» (39, p. 64).
Proposizioni come questa attingono apertamente ai grandi mistici catalani da lui amati, San Giovanni della Croce e Santa Teresa dAvila. E però possibile leggere in questa sua enunciazione, come peraltro nello stesso interesse verso i mistici, un risvolto psicologico del tutto conseguente a quanto fin qui suggerito.
Accade in effetti come se Miró, attingendo e delineando il vuoto depressivo della propria interiorità, e ciò grazie al supporto esterno fornito dalloperare artistico, ottenesse la già citata e peculiare ripercussione psichica. Volendo qui riferirsi alla teorizzazione di Jacques Lacan (44) (19), di norma lidentità umana rifugge la percezione della mancanza e del vuoto, condizioni immanenti allesistenza, immanenti dunque non solo ai casi in cui sussistano specifiche ferite depressive. Perciò solitamente, e in maniera difensiva, lidentità rifugge i vissuti di mancanza e compone una propria posizione di stabilità: una stabile coerenza di se stessi e degli oggetti esterni. Tuttavia unidentità più autentica si fonda sul contatto consapevole con la mancanza, con il vuoto interno. Questo contatto infatti, più che costituire una sorta di minus, è lunica possibile fonte di un plus: la fonte dellaspirazione a un di più irraggiungibile che però orienta, esso solo, il desiderio del soggetto, e che anzi proprio perché irraggiungibile e sempre mancante fonda un incessante e autentico desiderare.
Sembra pertanto che grazie allarte Miró abbia potuto ripudiare la falsa identità di provenienza paterna, difensivamente rigida e stabile, per lanciarsi alla ricerca di una nuova identità, di per sé sempre mancante e in fondo sofferente, ma per questo motivo anche feconda e propulsiva.
Certo, lanonimato esprime anche unincapacità ad autoaffermarsi, il timore delle proprie pulsioni aggressive, unidentità maschile poco salda, una tendenza alla passività. Tuttavia nel contempo, e grazie allappoggio offerto dalla creatività artistica oltre che dalla stessa identità di artista - per Miró sembra diventare accessibile un contatto con questa incapacità, con questa ferita. Così come diventa possibile il tentativo tramite la poetica dell anonimato di ribaltare la ferita nel suo contrario, vale a dire in una recuperata autoaffermatività: in una sorta di aggressività mediata, non piena e diretta ma pur sempre vivibile, parzialmente conquistata.
E dunque questo l anonimato di cui parla Miró: laccettazione creativa del vuoto e della depressione, e di una fondamentale carenza nella sfera pulsionale paterno-virile. Grazie a questa accettazione la passività e limmobilità, anzi la loro spinta a esprimere solo per vie traverse lidentità, diventano lunica possibile fonte di unidentità più vera, in costante e mai conclusa costruzione. Unidentità che si dipana perciò nel presente sempre nuovo di un passato che ricrea e che trasforma le sue tracce più ferite e dolenti.
Note
(1) Cadoux B., Écritures de la psychose, Paris, Aubier, 1999.
(2) Winnicott D.W. (1974), «La paura del crollo». In: Esplorazioni psicoanalitiche (1989), Milano, Raffaello Cortina, 1995, pp. 105-114.
(3) Bleichmar H. (1997), «Il rimosso, il non-costituito e la disattivazione settoriale dellinconscio». In: Psicoterapia psicoanalitica. Verso una tecnica di interventi specifici, Roma, Astrolabio, 2008, pp. 124-241.
(4) Edelman G.M. (1989), Il presente ricordato. Una teoria biologica della coscienza, Milano, Rizzoli, 1991.
(5) Green A. (1973), «Il doppio e lassente». In: Slegare. Psicoanalisi, antropologia e letteratura (1992), Roma, Borla, 1994, pp. 43-68.
(6) Viderman S., La Construction de lespace analytique, Paris, Denoël, 1971.
(7) Guillamin J., «Le « moi » clivé et son partenaire (ou Clivage du « moi » et interagir)», Psychologie médicale, 1991, 23, 4, pp. 355-360.
(8) Alessandrini M., Vedere il Sosia. Le emozioni come Doppio impensabile (in appendice: Paul Sollier, Les Phénomenes dautoscopie [I fenomeni di autoscopia], 1903), Roma, Edizioni Scientifiche Ma.Gi., 2003.
(9) Noël B., Lil de la lettre, numéro spécial Bernard Noël (sous la direction de Catherine Martin-Zay), Orleans, Librairie Les Temps Modernes, 1996.
(10) Alessandrini M., «Lo specchio e la notte che laltro è in me. (Note in margine ai fenomeni di transfert-controtransfert)», Il vaso di Pandora, 2000, VIII, 2, pp. 11-21.
(11) Semi A.A., Il narcisismo, Bologna, Il Mulino, 2007.
(12) Alessandrini M., Eco a me stesso. La metamorfosi schizofrenica di Hölderlin in eco, Roma, Edizioni Scientifiche Ma.Gi., 2002.
(13) Tustin F. (1986), Barriere autistiche nei pazienti nevrotici, Roma, Borla, 1990.
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(19) Kaltenbeck F., «Sublimation and Symptom». In: Parveen A. (ed.), Art Sublimation or Symptom, New York, Other Press, 2003, pp. 103-121.
(20) Rank O., «Ein Betrag zum Narzissismus», Jahrbuch fur Psychoanalytische und Psychopathologische Forschungen, 1911, 3, pp. 401-426 [tr. francese: «Une contribution au narcissisme», Topique, 1974, 14, pp. 29-49].
(21) Lambotte M.C. (1993), Il discorso melanconico. Dalla fenomenologia alla metapsicologia, Roma, Borla, 1999.
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(28) Llorens T., Miró: la terra (Catalogo della Mostra, Ferrara, Palazzo dei Diamanti), Ferrara, Ferrara Arte Editore, 2008.
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(32) Miró J., «Entretien avec James Johnson Sweeney» (Partisan Review, 1948). In: Rowell M. (présentés par), Joan Miró. Écrits et entretiens, Paris, Daniel Lelong, 1995, pp. 228-234.
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(35) Klibansky R., Panofsky E., Saxl F. (1964), Saturno e la melanconia, Torino, Einaudi, 1983.
(36) Alessandrini M., «Note ai testi»; «Nota biografica». In: Miró J., Lavoro come un giardiniere e altri scritti, op. cit., pp. 65-81; 93-104.
(37) Winnicott D.W. (1971), Gioco e realtà, Roma, Armando, 1974.
(38) Matte Blanco I. (1988), Pensare, sentire, essere. Riflessioni cliniche sullantinomia fondamentale delluomo e del mondo, Torino, Einaudi, 1995.
(39) Quinodoz M. (2002), Le parole che toccano. Una psicoanalista impara a parlare, Roma, Borla, 2004.
(40) Dupin J., Joan Miró Life and Work, New York, Harry N. Abrams, 1962.
(41) Motherwell R., «The significance of Miró», Artnews, 1959, 58, pp. 32-37 [ora in: Terenzio S., ed., The Collected Writings of Robert Motherwell, Oxford, Oxford University Press, 1994].
(42) Miró J., «Lavoro come un giardiniere» (XX siècle, 1959). In: Lavoro come un giardiniere e altri scritti, op. cit., pp. 57-64.
(43) Miró J., «Entretien avec Francis Lee» (Possibilities, 1947-1948). In: Rowell M., Joan Miró. Écrits et entretiens, op. cit., pp. 223-227.
(44) _i_ek S., «Why Are There Always Two Fathers?». In: Enjoy Your Symptom! Jacques Lacan in Hollywood and out, New York and London, Routledge, 1992, pp. 149-193.
* Marco Alessandrini - Psichiatra, psicoterapeuta, Responsabile Unità Operativa Territoriale del Centro di Salute Mentale di Chieti, Professore a contratto presso lUniversità di Chieti (per linsegnamento di Psichiatria nella Facoltà di Psicologia e per linsegnamento di Psicosomatica nella Scuola di Specializzazione in Psichiatria)
Indirizzo per la corrispondenza: Centro di Salute Mentale (C.S.M), Viale Amendola n. 47, 66100 Chieti (Ch), tel. 0871-35.89.08/33, fax 0871-35.89.23; e-mail: lucesegreta@libero.it
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