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PSYCHOMEDIA
ARTE E RAPPRESENTAZIONE
Arti Visive



Spiritualità e neuroscienze*

di Fabrizio Marcolongo **



* relazione presentata in occasione dell'inaugurazione della Sala dedicata a Boucher de Perthes, Museo delle Origini dell'Uomo , Genova (29/11/1999)
** E-mail : fabrizio.marcolongo@fastwebnet.it



Il genere di opere che troviamo esposte nel "Museo delle origini dell'Uomo" emanano una atmosfera particolare da cui sono rimasti rapiti grandi personaggi, come lo stesso Freud, di cui, al riguardo, vorrei citare, fra tutte, l'opera "Un disturbo della memoria sull'Acropoli: lettera aperta a Romain Rolland" del 1936, in cui il fondatore della psicoanalisi manifesta la propria meraviglia nel trovarsi di fronte alla "realtà" della Storia, fino ad allora studiata solo sui libri.
Il mio intervento verterà sul legame fra spiritualità, arte e neuroscienze, che Julian Jaynes ha trattato oramai più di vent'anni fa.
Ciò che ha fatto di Jaynes un pioniere è l'importante teorizzazione di un processo neurofisiologico che egli ha individuato nelle persone che "sentono le voci". E, nel fare ciò, ovviamente, si è occupato di arte ma anche di aree cerebrali del linguaggio.
In persone sottoposte ad intervento di resezione del corpo calloso per grave patologia epilettica, la stimolazione dell'area temporale dell'emisfero opposto corrispondente all'area di Wernicke (area di comprensione del linguaggio) induce allucinazioni uditive in forma di voci.
"... E' possibile che queste aree "del linguaggio "dell'emisfero destro, oggi mute, abbiano avuto in una fase anteriore della storia dell'uomo una funzione che non hanno più? ... "
Jaynes teorizza che in un tempo lontano l'attività della Commissura anteriore che unisce le due aree fosse più grande ed efficace di altre e quella che oggi risulta un'area "muta" era in effetti la corteccia dalla quale originavano le voci imperative degli dei. Questo minuto gruppo di fibre sarebbe responsabile di gran parte della Storia del Comportamento dell'Uomo fino a Solone (VI sec. a.c., Talete, Anassimandro, Pitagora).
La teoria di Jaynes riguarda il fatto che il linguaggio degli uomini fu localizzato in un solo emisfero per lasciare l'altro libero per il linguaggio degli dei.
Jaynes ipotizza quindi che tutta la cultura del mondo romano, e quello egizio fino a quel tempo, doveva fare i conti con le voci che originavano, percezioni senza oggetto, dall'area allucinatoria.
La produzione artistica di quei tempi, che era in diretta connessione con la attività e la cultura religiosa, aveva la funzione di stimolare ed indurre le allucinazioni acustiche, in prevalenza le voci.
La mente dell'uomo di allora era priva della coscienza dell'Io; ciò significa che si ipotizza per quell'epoca la difficoltà alla coscienza di Sé, soprattutto nei termini di Demarcazione, Identità, Immagine di Sé, mentre alcune parti meno "nobili" della coscienza dell'Io come Energia dell'Io, consistenza, attività e vitalità, non ne erano intaccate.
Se mancano le funzioni di demarcazione, identità ed immagine di sé diventa difficile la "narratizzazione" degli eventi da parte della mente. Il tempo non ha significato e le attività mentali e motorie si perdono.
Infatti Jaynes (p.169) afferma: " Consideriamo un uomo che abbia ricevuto da se stesso o dal suo capo l'ordine di costruire uno sbarramento per la pesca in un torrente molto a monte del sito del campo. Se egli non è cosciente, e non è quindi in grado di narratizzare la situazione e di mantenere in tal modo il suo analogo "io" in un tempo spazializzato con le sue conseguenze immaginate fino in fondo, come può farlo?
Solo il linguaggio può mantenerlo impegnato, ... in questo lungo lavoro destinato a durare tutto il pomeriggio. Un uomo del Pleistocene medio avrebbe dimenticato ciò che stava facendo. Ma un uomo con la parola aveva appunto il linguaggio a ricordargli il suo compito: egli poteva ripeterselo da solo, cosa che avrebbe richiesto però un tipo di volizione di cui non penso che egli fosse allora capace, oppure, come mi pare più probabile, se lo sentiva ripetere da un'allucinazione verbale " interna" che gli diceva cosa fare...".
Così tutte le attività dell'uomo, l'agricoltura, la pastorizia, la costruzione di case e palazzi, la vita familiare, il commercio, insomma tutte le attività dell'uomo erano tutte mutuate e controllate da voci che l'istituto del potere aveva indotto.
La morte del resto era una nuova vita, nel senso che le voci e, forse, attraverso lo stesso meccanismo, anche le visioni dei morti, potevano essere presenti per il tempo in cui il ricordo della persona morta era presente nella mente dei superstiti, poiché questi ultimi, non avendo coscienza e "ricordando" pur non avendo un contenitore per ricordi (i ricordi senza coscienza sono rappresentazione del vissuto che si riconosce come identità dell'Io), affrontavano i vividi ricordi con riti necessariamente "religiosi" nei quali (le sepolture natufiane lo attestano) si staccava la testa dal corpo della persona morta, le gambe venivano spesso spezzate e legate, veniva spesso messo cibo nelle tombe, oppure si eseguiva la doppia sepoltura: la seconda quando erano cessate le voci.
Le statue e tutte le rappresentazioni artistiche avevano questa funzione cioè quella di esercitare il controllo e fungere da guida per le occupazioni quotidiane. Certo la produzione artistica era in forma diversa rispetto a quella che ci è pervenuta: per esempio le statue erano finemente decorate e non erano mai presentate così come ora sono esposte nei musei, erano colorate in modo che richiamassero le sembianze umane ed in modo da facilitare lo scaturire delle voci.
Jaynes inoltre, nella ricchezza del suo saggio che ormai data 24 anni ma è ancora molto attuale, nota l'indice oculare, cioè il rapporto tra il diametro dell'occhio e l'altezza della testa, che per l'uomo è uguale a dieci. La funzione di avere un indice oculare superiore a quello umano doveva indurre una facilità alla elicitazione delle voci. E' infatti raro ritrovare statue che non abbiano un indice oculare inferiore a 15. Inoltre gli occhi delle statue erano gemme, il volto era dipinto, i capelli colorati ed il contorno degli occhi era pesantemente ornato di nero. Quando guardiamo al passato guardiamo ad un mondo effettivamente poco consapevole in cui il ricordo e la narratizzazione non esistevano, o meglio esistevano attraverso le opere d'arte (e di memoria) che all'interno del Sé, non trovavano posto, poiché non vi erano strutture neurali in grado di accoglierle. Le iscrizioni rupestri possono essere allora considerate come una "memoria a supporto di silicio", dove la rappresentazione interna degli affetti "è" il disegno, pervenuto fino a noi, miracolosamente attraversando le ere, troni e dominazioni. E' ben vero che ogni razionalismo si scioglie nella contemplazione della opera della pura volontà, della "rappresentazione" dell'affetto che non poteva restare in altro luogo se non in un luogo esterno dal Sé, una memoria concreta, esterna, arricchita da tutti gli affetti che avevano determinato le ragioni dell'opera stessa e della sua origine, punto del cronotopo.
Il solo Jaynes però non rende gli aspetti più recenti dell'indagine sulla mente e delle possibili ripercussioni. Questa teoria delle Commissure che connetterebbero parti di cervello distanti in maniera veloce ed elettiva, è stata usata almeno un'altra volta, per esempio da LeDoux, citato da Goleman nel libro "Intelligenza Emotiva", per quanto riguarda l'impulsività e le emozioni come la rabbia e le reazioni violente.
Inoltre esiste la teorizzazione di Edelman e della doppia coscienza. Edelman infatti distingue due tipi di coscienza: una coscienza primaria, che è una specie di connessione online con la realtà degli eventi registrabili dalla mente e che hanno un connotato semplicemente percettivo cioè: " ... una memoria Sé - non Sé che categorizza la realtà in tutte le modalità: odorato, gusto, vista, udito, tatto, propiocezione; ed una coscienza di ordine superiore che è la coscienza primaria più il linguaggio ..." (Tononi G. 1995)
In una prospettiva senza tempo e senza memoria l'attività dell'uomo doveva comunque proseguire, ... progredire, evolversi.
Lo spazio della concretezza insieme all'affetto che si sviluppa nel tempo hanno dato la possibilità, con il concorso della coscienza, alla creatività consapevole, in cui ci si distingue artisti. Ma all'epoca, tutti erano metaforicamente artisti.
La lezione che qui possiamo trarre è quella dell'affetto contro la cognizione. La percezione, disordinata avrebbe avuto almeno un ordine, cioè quello derivante dall'affetto. Così l'appercepito (la percezione nel contesto dell'affettività del soggetto) pur non avendo contenitore, pur non avendo strumenti che sarebbero arrivati dopo, cioè la coscienza di ordine superiore, ha cercato di arrivare fino a noi. La sua memoria di allora era la pietra. Possiamo considerare comunque la creatività dell'Uomo del Paleolitico e, se è vera la teoria di Jaynes e di Edelman, dobbiamo apprezzarne la origine necessariamente mitica. Possiamo ancora in una iscrizione rupestre avvertire l'estatica contemplazione degli animali nella savana. E considerarci liberi.
Ad incertezza di queste teorie vi è la contemplazione delle opere artistiche dell'Uomo paleolitico che fanno pensare a qualcosa di più di una vita sociale ed individuale "dissociativa", come è stata ipotizzata da Jaynes essere a quel tempo, e sul reperto inesistente di un cervello privo di corpo calloso, il solo reperto in grado di avvalorare la tesi della commissura anteriore come "preferenziale" connessione dei due emisferi, elemento necessario e sufficiente per considerare impossibile la presenza della coscienza. Gli aspetti di stratificazione della corteccia cerebrale, e tutti gli elementi della anatomia sono in forma di calco sulla superficie interna della scatola cranica fossile. Oggi altri uomini lasciano il segno su altri supporti di silicio, .... Ma la loro coscienza?
Ringraziamo quindi Boucher de Perthes che per primo si è soffermato ed ha cominciato a conservare e ringraziamo Pietro Gaietto per averci fatto soffermare su questo suggerimento che ci arriva dagli uomini senza tempo e senza capacità di narratizzare, ma con il loro originalissimo modo di osservare questo pianeta, originale perché primo.


Bibliografia

Jaynes J., 1976, Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza, It.eds., Adelphi, 1984.
Scharfetter C., 1976, Psicopatologia generale, It. Eds., Feltrinelli, Milano, 1992
Goleman D., 1995, Intelligenza Emotiva, it. Eds. Rizzoli, 1996
Edelman G., 1987, Darwinismo Neurale. La teoria della selezione dei gruppi neuronali, it.eds. note al testo di G. Tononi Einaudi, 1995.
Buchholtz EA, Seyfarth EA, 1999, The gospel of the fossil brain: Tilly Edinger and the science of paleoneurology, Brain Res Bull, Mar 1;48(4):351-61
Henneberg M, 1998, Evolution of the human brain: is bigger better?, Clin Exp Pharmacol Physiol Sep;25(9):745-9
Conroy GC et al., 1998, Endocranial capacity in an early hominid cranium from Sterkfontein, South Africa Science Jun 12;280(5370):1730-1
Falk D, 1985, Hadar AL 162-28 endocast as evidence that brain enlargement preceded cortical reorganization in hominid evolution, Nature Jan 3-9;313(5997):45-7
Tobias PV, Falk D, 1988, Evidence for a dual pattern of cranial venous sinuses on the endocranial cast of Taung (Australopithecus africanus), Am J Phys Anthropol Jul;76(3):309-12


Links:

http://members.xoom.it/MUSEOORIGINI/
http://www.psychomedia.it/pm/science/psybyo/ml-parte1.htm
http://www.psychomedia.it/pm/science/psybyo/ml-parte2.htm



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