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PSYCHOMEDIA
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Scuola e Istruzione



Sapere di adolescente

di Giovanni A. Mura

(articolo tratto da "Cooperazione Educativa", 2/96, La Nuova Italia, Firenze, 1996).



Può capitare di incontrare un adolescente che, di fronte alla carta geografica, nel momento in cui sta per dire che la Sicilia e la Sardegna sono delle isole mostra una singolare esitazione. E questo non è certo perché non sappia che sono isole, ma perché si tratta di cose che ha imparato da bambino e rispetto alle quali è bene quindi essere guardinghi. Cose non più affidabili e che non si possono riaffermare senza avvertire un misto di vergogna, di diffidenza e di incertezza. Allo stesso modo una quindicenne di prima magistrale che da alcuni anni aveva preso l'abitudine di scrivere in stampatello e che non era più in grado di scrivere in corsivo, quando riuscì di nuovo a tracciare la lettera 'g' si espresse dicendo :"La 'g' allora era fatta così". Come se perfino la carta geografica e la lettera dell'alfabeto, oltre ad innumerevoli altri elementi del mondo, non fossero rimaste le stesse e non potessero più essere trattate allo stesso modo di quando si era bambini. Ora, è proprio la modalità con cui l'adolescente ridefinisce il rapporto con il mondo della sua infanzia e della sua fanciullezza uno degli elementi fondamentali da cui può dipendere lo sviluppo successivo, sia in termini di investimento e valorizzazione dei processi di pensiero e di conoscenza, sia in termini di integrazione di personalità. In alcuni adolescenti sembra che la rottura con il mondo precedente sia avvenuta o stia avvenendo in modo talmente violento, che è come se non potessero più disporre di punti di riferimento interni, di un contesto soggettivo di esperienza a cui ricorrere per potere decifrare e dare significato alle parole e alle cose. L'esuberanza ideativa e fantastica dell'età infantile e della fanciullezza sembra scomparsa, e non è raro trovare insegnanti che lamentano di trovarsi di fronte non solo ad un'assenza delle nozioni più elementari, ma ad un vuoto, come se i pensieri e i concetti non trovassero più un terreno su cui fare presa e fermarsi. Ed in effetti, se da un lato l'adolescente vive il distacco dal proprio mondo infantile, dall'altro non riesce però ad andare con decisione incontro al sapere degli adulti, dal quale si sente escluso e non rappresentato. E se l'insegnante gli offre gli oggetti della cultura con la convinzione di stargli porgendo cose attraenti e preziose, lui mostra quasi sempre di essere fondamentalmente altrove, quasi avesse innanzitutto bisogno, per salvaguardare la sua identità, di chiudersi e concentrarsi in se stesso. Diffidente nei confronti delle rappresentazioni del proprio mondo infantile, e nello stesso tempo incapace di padroneggiare e di usare come propri gli oggetti e i modi del sapere adulto, l'adolescente si trova allora sprovvisto di strumenti per pensarsi e rappresentarsi nella sua esperienza di trasformazione. Se in questa situazione incontra qualcosa magari un'opinione o un atteggiamento, in cui crede di potersi riconoscere, può capitare che l'adolescente vi aderisca e li faccia propri, ma in modo tale che poi sembra precipitarvi dentro fino al punto di scomparire lui stesso. L'adolescente ha bisogno di simboli e li usa per riaffermare la sua presenza e la sua identità. Ma molto spesso i simboli da cui ha deciso di farsi rappresentare non lo accolgono nella sua integrità, anzi gli impongono di lasciar fuori, di amputare tutto un mondo di pensieri, di impressioni, di affetti che dovrebbero costituire il vario e multiforme materiale della sua esperienza e della sua storia. Si riduce allora lo spazio in cui il pensiero può muoversi e può stabilire associazioni e legami, e proprio ciò da cui l'adolescente si aspettava la restituzione di un'identità può bloccarlo dentro la prigione precoce di un'immagine sclerotica. Ed a questo punto l'adulto può a sua volta rimanere prigioniero dell'impressione che la mente dell'adolescente non contenga un tessuto articolato di rappresentazioni, e può tendere a trattarla come una cosa non fatta di pensieri e quindi non pensabile, una cosa di fronte alla quale ci si sente disarmati e impotenti. Il bisogno di operare una cesura rispetto al mondo precedente lo si può riscontrare anche in quegli adolescenti che investono di valore le funzioni intellettuali e fanno leva sulle prestazioni della loro intelligenza per risolvere i problemi posti dalla crescita. In questo caso, però, l'intelligenza viene a volte esercitata come fosse un muscolo, e si ha con essa la relazione che si potrebbe avere con uno strumento il cui scopo è quello di far sentire potenti. Questo esercizio si compie allora in una condizione di separatezza rispetto alle altre parti di sé e lascia non elaborato tutto un complesso di rappresentazioni più strettamente legate al problema della ridefinizione del proprio mondo affettivo e delle proprie relazioni con gli altri. Nell'aggrapparsi alle proprie doti e alle proprie capacità per fornirsi di un'immagine di sé come già formato e già compiutamente inserito nel mondo degli adulti, questo tipo di adolescente può abituarsi a lasciare inascoltate parti del suo mondo psichico, che vengono così private della possibilità di una crescita e di una evoluzione. Ma forse il caso che capita di incontrare più frequentemente all'interno delle istituzioni scolastiche è quello dell'adolescente che, mentre si trova a dover ridefinire i termini tramite cui pensare se stesso e il suo stare al mondo, può incominciare a nutrire una profonda sfiducia nelle proprie capacità di venire a capo di una trasformazione che lui non riesce pienamente a capire. Un adolescente, questo, che ha visto diminuire drasticamente la sua autostima e che si presenta non di rado davanti alle figure degli adulti come già segnato dalla pena di un non incontro tra l'intelligenza e il mondo, tra il proprio sé privato ed il sapere. A lui i compiti della conoscenza rimanderanno unicamente la sua inadeguatezza attuale, ed egli li vivrà come una minaccia alla sua integrità e alla sua capacità di funzionare piuttosto che come un'occasione per la sua crescita e per lo sviluppo delle sue funzioni. E questo adolescente si dimostra non solo dubbioso circa le sue capacità, ma anche diffidente verso le sue proprie rappresentazioni, quelle che intanto sono nella sua mente e costituiscono comunque il bagaglio della sua esperienza. Diffidente fino al punto di arrivare quasi a cancellarle. E' su questa base che si può instaurare una inibizione intellettuale, ed è forse questo dell'inibizione intellettuale il terreno di più specifica competenza dell'insegnante. E' per questo che nel momento in cui si richiede all'adolescente di arrivare a padroneggiare le astrazioni di un sapere dato, si dovrebbe contemporaneamente riportarlo ad entrare in contatto e a registrare i pensieri, le immagini e le fantasie che comunque sono presenti nella sua mente. Quello che così l'adolescente può sperimentare è che l'oggetto della cultura può risvegliare una attività propria della mente altrimenti silente e che in esso può ritrovare scritti da qualche parte i propri stessi pensieri mai ancora compiutamente pensati. Se riesce a registrare tale attività propria, l'adolescente può cominciare a compiere un lavoro di spola tra il sé privato ed il sapere, tra il vissuto personale e l'astrazione. E così non si trova a dover essere alle prese con i contenuti di un sapere che avverte come sempre altrove, come mai veramente saputo, non è posto nella condizione di dover fornire qualcosa che sente di non avere, quanto piuttosto in quella di accogliere e mantenere in vita qualcosa che c'è ed è in lui. L'adolescente può così tornare a fare esperienza di una facilità del pensiero e di una disponibilità degli oggetti mentali, e su questa base può arrivare a scoprire che è possibile stabilire legami tra momenti diversi della sua vita. E questa esperienza di facilità, di disinibizione, di continuità è di fondamentale importanza per la costituzione di un vissuto di sé come soggetto integro e per investire di valore le funzioni chiamate in gioco. Su questa strada l'adolescente può giungere anche lui ad avvertire che dai processi intellettuali si può trarre una qualche forma di piacere. Certo, la conoscenza intrattiene un legame profondo con il dolore, e Freud ci ricorda che essa prende l'avvio con l'instaurarsi del principio di realtà. Ossia con la frustrazione di una modalità di funzionamento regolata dal principio di piacere : una modalità di funzionamento in base alla quale la psiche tende a risolvere le sue tensioni senza uscire mai da se stessa, senza sobbarcarsi la fatica di incontrare un mondo. Potremmo dire senza lavorare, senza subordinarsi ad un compito. E tuttavia è anche vero che all'interno delle istituzioni scolastiche quello dei 'compiti' rimane ancor oggi il linguaggio prevalente, se non l'unico linguaggio che l'adulto riesce ad usare nei confronti dell'adolescente. Un linguaggio che corre però il rischio di nascondere una difficoltà di comprensione della complessità e della drammaticità dei vissuti dell'adolescente, e che può essere usato dall'adulto a scopo difensivo, per evitare a sua volta il compito di conoscere una realtà, quella appunto dell'adolescente, che gli può apparire ostica ed estranea.

Freud, S., Precisazioni sui due principi dell'accadere psichico, 1991.
Bion, W.R., Una teoria del pensiero, 1962.
Meltzer, D., Teoria psicoanalitica dell'adolescenza, 1973, in "Quaderni di psicoterapia infantile",1, Borla,Roma.

GIOVANNI MURA, dottore in filosofia e psicologia, già insegnante di scuola superiore e psicopedagogista. Ha lavorato a Roma con il gruppo MCE "Educazione e psicoanalisi". Svolge attualmente la professione di psicologo.


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