ONNIPOTENZA-IMPOTENZA NEL RAPPORTO DIDATTICOdi Sofia Listorto
(Psicologa - Psicoterapeuta - Già Presidente dell'Associazione
Questo lavoro vuole essere la sintesi di una serie di riflessioni sollecitate da un decennio di attività all'interno delle scuole elementari, medie e superiori, in collaborazione con gli insegnanti e in relazione diretta con i ragazzi, sulle difficoltà insite nel rapporto educativo in quanto, essenzialmente, rapporto inter-personale. Esiste contemporaneamente una motivazione sottostante prodotta dalla consapevolezza, sperimentata nel tempo, circa l'utilità di una maggiore diffusione nel mondo della scuola delle scoperte psicoanalitiche, sia per quanto riguarda le funzioni del pensiero, sia per quel che concerne il dinamismo intra-psichico, duale e gruppale. L'obiettivo, naturalmente, non è quello di sovvertire le regole delle diverse funzioni di terapeuta e di docente. Piuttosto è forte la convinzione che una migliore conoscenza della realtà psichica possa consentire a quest'ultimo di svolgere al meglio la sua attività, senza per altro sconfinare in campi differenti ed inadeguati alla propria competenza ed al contesto in cui opera, proprio come un insegnante di educazione fisica può trarre vantaggio da una conoscenza approfondita del corpo umano, senza per questo sentirsi né in diritto né in dovere di fare il medico. I risultati conseguenti ad una maggiore conoscenza di certe dinamiche emotive presenti nella relazione didattica, potrebbero consentire anche una ripresa di interesse e di consenso intorno al difficile compito di ricerca psicoanalitica, cose che Freud per primo seppe conseguire grazie al suo assiduo lavoro di divulgatore. Dato il ruolo sociale che l'insegnante ricopre, la condizione emotiva che tende a vivere più frequentemente è la sgradevole alternanza tra l'aspettativa di poter realizzare l'immagine ideale di insegnante, abile al punto di poter riversare la propria conoscenza in qualsivoglia "contenitore-alunno", ed il doloroso sentimento di impotenza nella pratica quotidiana che dimostra l'impossibilità di questa, pur generosa, fantasia.
Esistono svariate occasioni in cui l'insegnante si può trovare a sperimentare tale vissuto e dal modo con il quale accoglierà tali sentimenti dipenderà la qualità e la struttura del suo rapporto educativo. Per facilitare il discorso osserveremo quello che può accadere tra i due poli della relazione, prendendo da un lato l'insegnante e dall'altro il singolo alunno che richiede delle spiegazioni per qualcosa che non riesce a capire; ovviamente nel caso in cui non sia il singolo ma l'intero gruppo-classe, l'escalation emotiva qui illustrata rischierà facilmente di svilupparsi con andamento geometrico. Risulta evidente che siamo alle prese con il sentimento di impotenza dell'alunno nel suo ruolo di discente, reso più doloroso dal fatto che anche lui, in modo complementare rispetto all'insegnante, vive la fantasia di poter realizzare l'immagine ideale di alunno modello, in grado di assorbire qualsivoglia nozione, cioè di essere il perfetto corrispettivo delle aspettative idealizzate che l'insegnante ha di se stesso. In effetti la condizione di impotenza tende a riattualizzare nel ragazzo la sensazione di essere il bambino piccolo di fronte al genitore vissuto come grande e potente. L'insegnante viene in tal modo ad essere vissuto dall'alunno come onnipotente, benevolo o malevolo a seconda dei casi, nei confronti di un sé vissuto come impotente. Questo accadimento emotivo è un aspetto particolare di quanto è ben noto tra gli specialisti con il termine di "transfert" ("Ripetizione di prototipi infantili che è vissuta con un forte senso di attualità" da Enciclopedia della Psicoanalisi, di Laplanche Pontalis) ed è una condizione in realtà estremamente comune e non di per sé prerogativa del lavoro in campo psicoanalitico. Tale sentimento di impotenza, come sovente accade nella comunicazione umana, potrà creare una risonanza emotiva nell'insegnante. Siamo in tal modo di fronte al manifestarsi del "contro-transfert". Con questo termine si intende un processo di risposta dovuto ad una risonanza emotiva nell'uditore relativamente alla percezione di una situazione transferale nel parlante. Esso può manifestarsi in forma simmetrica, come nel caso ora analizzato, cioè con una tonalità emotiva simile a quella dell'interlocutore, oppure complementare, come vedremo meglio in seguito. Laddove l'insegnante, sollecitato a sperimentare egli stesso una analoga emozione di impotenza, non sia abituato a riflettere sulle cause di attivazione del suo sentimento può rischiare di non riconoscerne la parte appartenente al ragazzo. In effetti potrebbe accadere che l'insegnante tenda a leggere l'impotenza dentro di sé come una propria impossibilità a realizzare la sua qualità determinante di ruolo, ovvero di essere colui che sa trasmettere la conoscenza, percependosi in tal modo come inadeguato. La mancanza di chiarezza rispetto a questo fattore emotivo può pertanto indurre l'insegnante a confondere quanto lui sperimenta (perché corrispondente effettivamente alla percezione dell'impossibilità di realizzare l'immagine di insegnante ideale) con quanto è frutto della sua sensibilità nel percepire lo stato emotivo dell'alunno. Tale confusione può produrre un doloroso sentimento che risulta quasi intollerabile perchè sovradeterminato. Può accadere talvolta che l'insegnante consideri come esclusivamente suo il sentimento di impotenza (l'esasperazione di non riuscire ad insegnare) non distinguendo la parte che non gli appartiene ma che gli è stata suscitata dal ragazzo e finisca così per viverlo come un interlocutore pericoloso in quanto in grado di "metterlo in crisi". Il malessere dell'insegnante potrà rischiare a questo punto di venire spostato - perchè non gli è consentito, per ruolo, di esplicitare il suo sentirsi impotente come insegnante - su di un piano disciplinare: "Non riesco a farmi obbedire perchè è un ragazzo maleducato". Sovente anche il ragazzo preferirà sentirsi cattivo o svogliato piuttosto che stupido, creando così effettivi problemi disciplinari. Tornando in campo strettamente didattico, laddove l'insegnante non sia in grado di sopportare il sentimento sgradevole che la situazione frustrante comporta, e la condivisione con l'alunno del sentimento di "impotenza relativa" al qui ed ora, può accadere che tenda rapidamente ad operare una separazione netta tra sé ed il ragazzo, in cui non vengono salvaguardate le obiettive iniziali componenti personali. Si rischierà allora di assistere ad una cristallizzazione in cui l'insegnante potrà diventare connivente con il problema del ragazzo, delegando a lui il ruolo di impotente e prendendo su di sé il ruolo di onnipotente discente, facendo così involontariamente leva sulle stesse aspettative dell'alunno di trovare chi, magicamente, gli risolva il problema.
In questo caso il "contro-transfert" assumerà il carattere complementare, che riteniamo essere difensivo rispetto al dolore che può produrre quello simmetrico, in quanto consente la percezione netta del disagio dell'altro. La modalità con la quale solitamente tale allontanamento si struttura è data dal fatto che l'insegnante tenderà a riprodurre una spiegazione che lo riconfermi anzitutto di fronte a se stesso come dispensatore di informazioni, autorinforzandosi, ma riproponendo il messaggio senza avere chiaro cosa non sia stato capito. Questo può accadere perché l'insegnante, oltre alle proprie motivazioni interne, potrà rischiare di rimanere vittima del meccanismo, nel senso che si troverà incastrato nel ruolo di "onnipotente" anche sulla base delle aspettative dell'alunno - situazione per altro niente affatto agevole - ed a trovarsi quindi in difficoltà, perchè a questo punto imbarazzato ad ammettere la sua impotenza temporanea e ad esplicitare di non avere lui stesso capito che cosa non sia stato comprensibile per il ragazzo. L'alunno, a sua volta irrigidito nel ruolo di impotente si troverà collocato nel ruolo di ricettore passivo ed indifferenziato, ed avrà solo tre vie di uscita possibili: 1. riuscire finalmente a capire, cosa assai improbabile visto che la spiegazione non viene finalizzata a sciogliere il suo personale dubbio, quanto a riproporre l'insieme dell'informazione; 2. ammettere di non avere ancora capito, creando spesso nell'insegnante un incremento della tensione dovuto all'aumentare delle aspettative sia personali che dell'allievo, con la conseguente scelta da parte del docente di una ulteriore distinzione ed allontanamento: "sei tu che non capisci, non ti sforzi, non ti impegni". E' questa la situazione tipica, che si traduce di fatto in una sorta di rinuncia all'insegnamento, con i ragazzi con problemi di sub-handicap o caratteriali. Una terribile sottovia per il ragazzo che voglia rifiutare di sentirsi inadeguato nel suo ruolo di discente, è data dall'utilizzare per se stesso il meccanismo onnipotente, negando la temporanea impotenza del non sapere e rifiutando il fatto stesso di poter apprendere nel presente come nel futuro (il vissuto di coloro che abbandonano la scuola ne è la prova lampante). E' in corso di preparazione un articolo in cui verrà investigato un ulteriore elemento determinante ai fini del buon esito del rapporto didattico, ovvero quello relativo alle problematiche di invidia e gratitudine nell'apprendimento;
3. onde evitare la situazione precedente nella sua doppia articolazione, spesso perché già dolorosamente sperimentata in passato, il ragazzo può mentire, dicendo di aver compreso, collocando così l'insegnante sempre più in una condizione di perfezione idealizzata di ruolo ma, di fondo, connivendo nella creazione di un buco nella relazione, premessa di una successiva, spiacevole quanto condivisa, incomprensione futura. Accade, in verità raramente e di solito negli alunni che si trovano solo eccezionalmente in condizione di non capire, che essi stessi, sopportando il sentimento di impotenza relativa, si pongano come "polo elaboratore" chiarificando all'insegnante che non è il complesso dell'informazione a non essere passato, bensì un particolare aspetto, soggettivamente importante. L'insegnante, rasserenato, a quel punto sarà molto più disponibile a fornire la chiave richiesta. Ma per gli alunni che si dovessero trovare più frequentemente nella condizione di non capire, la possibilità di accedere al ruolo di "polo elaboratore", verrà ostacolata dal concetto di sé che nel frattempo si sarà venuto strutturando: "Sono io che non funziono". E' ben difficile, partendo da un sentimento di inadeguatezza, assumersi la responsabilità che tale polo ha nel rapporto interpersonale, per l'onere emotivo che, come abbiamo visto, comporta. Questo è uno degli elementi che determinano l'instaurarsi del meccanismo della "profezia auto-verificantesi" nelle due direzioni, positiva e negativa, relativamente alla valutazione che l'insegnante fa dell'allievo già dai primi scambi interpersonali. Naturalmente è più semplice, e pedagogicamente più corretto, che sia l'insegnante a farsi carico di tale processo emotivo interno. E' importante pertanto che l'insegnante riesca a non entrare nel corto-circuito difensivo dell'auto-dimostrazione a scapito, come si è visto, del ragazzo e del rapporto che intrattiene con lui, permettendosi piuttosto di tollerare questi sentimenti, sgradevoli ma transitori, senza nemmeno cadere nel polo opposto, facendo cioè esclusivamente proprio il sentimento di impotenza. In tal modo si potrà creare lo spazio per pensare ed il docente, partendo dalla riflessione sui propri sentimenti "contro-transferali", potrà distinguere il sentimento di impotenza del ragazzo dal proprio, (riconoscendo cioè la propria "impotenza relativa" rispetto al fatto di non poter in quel momento ad essere l'insegnante ideale che vorrebbe essere) riuscendo in tal modo a tollerare meglio il sentimento, quindi a comprendere rispetto a quale "micro-scalino" della conoscenza l'allievo si sia arenato ed in che modo stia funzionando la sua mente. Uscendo in tal modo dalla rigida logica binaria "impotenza-onnipotenza", si potrà consolidare il processo di costruzione continua che il rapporto educativo richiede, ponendo le basi per una efficace "alleanza didattica", e l'appagamento emotivo, personale e relazionale, che l'ampliamento di reciproca comprensione comporta, riteniamo possa essere l'incentivo adeguato per sostenere l'incremento di sforzo necessario per attuarlo.
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