"Fenomeno doping": perché?
Premessa L'interesse per lo sport ha da sempre accompagnato la storia dell'uomo fin dalle Olimpiadi dell'antica Grecia (IV sec. a.C.), che rappresentavano un importante momento di incontro e confronto per tutta la popolazione. Lo sport mette in gioco valori profondi, forti emozioni, sentimenti di ogni tipo. L'atleta vincitore, dopo una competizione leale, salendo sul podio per la premiazione, dimostra a se stesso e al pubblico, che, in quel momento, nessun altro potrà vincere la prova che egli ha superato. Per ottenere questo risultato, l'atleta si sottopone ad una disciplina rigorosa, volta a migliorare e perfezionare il proprio rendimento fisico. Questo tipo di impegno, che gli permette di conoscere e padroneggiare al meglio il proprio corpo e le sue potenzialità, rappresenta per lo sportivo un modo per realizzare se stesso ed imparare a conoscere la propria personalità (Vincenzi, 2005). I principali aspetti psicologici da tenere presenti in un atleta sono i seguenti: - il significato della competizione - le difficoltà relative al corpo - l'aggressività - la presenza di genitori iperprotettivi - il rapporto con le proprie forze istintuali La competizione può essere esaminata a due livelli: intrapsichico, cioè il rapporto con se stessi, e interpsichico ovvero il rapporto con gli altri. Il rapporto del singolo atleta con gli altri sportivi è un concetto chiaro ed è l'essenza stessa della competizione: ognuno cerca di vincere e di battere gli altri; perché questo abbia validità, tutti devono rispettare le regole sportive. L'atleta combatte innanzitutto contro se stesso, contro la fatica, il dolore muscolare e la mancanza di fiato; in questo modo arriva a conoscere i limiti del proprio corpo e cerca di superarli. La scelta sportiva, a livelli professionali, comporta il dedicarsi per un periodo di tempo abbastanza lungo e per la maggior parte delle ore della giornata all'attività praticata. Di fronte ad un impegno così pesante, ci si può chiedere se una parte significativa della motivazione, che spinge uno sportivo a passare la maggior parte del tempo a migliorare le sue prestazioni fisiche, non possa essere rintracciata nel desiderio di risolvere una difficoltà relativa al corpo o a ciò che esso rappresenta. Un'altra interpretazione della competizione sportiva é quella di canalizzare in modo corretto e costruttivo l'aggressività rivolta verso gli altri. L'ambiente sportivo sano abitua a contenere ed accettare la frustrazione, senza trasformare una sconfitta in un'esperienza distruttiva per la personalità dello sportivo. La passione per l'attività sportiva potrebbe anche nascere da un'infanzia nella quale genitori troppo ansiosi e protettivi hanno impedito al figlio di esprimere la sua normale esuberanza o di gareggiare con i fratelli o con i compagni di gioco. In questi casi la voglia di primeggiare viene spostata nell'ambito sportivo e la lotta con gli altri atleti sostituisce il mancato confronto con gli altri bambini. Questo concetto dovrebbe essere ben conosciuto da tutti quei genitori che, intorno ai campi da gioco, incitano a comportamenti aggressivi i propri figli: la maggior parte dei campioni ha avuto nella propria infanzia ed adolescenza genitori apprensivi che invitavano i figli a condotte prudenti. Il desiderio di imparare ad entrare in relazione con le proprie energie vitali (le forze istintuali) è particolarmente vero per chi percepisce la propria vitalità come una forza incontrollabile e potenzialmente distruttiva. La disciplina sportiva in questi casi diventa scuola di vita perché, attraverso il rispetto delle regole sportive, l'atleta può trovare un'attività regolatrice e rassicurante, cioè un contenimento delle energie, indispensabile al suo equilibrio psichico. Il fenomeno "doping" L'origine del termine "doping" va ricercata nell'usanza di popolazioni dell'Africa come i Cafri, i quali nel loro idioma definivano "Dop" un estratto liquoroso eccitante che veniva bevuto durante le cerimonie religiose. La storia del doping, ovvero il tentativo di modificare le prestazioni atletiche con mezzi non fisiologici o, comunque, illeciti nel corso di competizioni sportive, inizia molto tempo fa. Si hanno notizie di 'episodi' di doping fin dalle prime edizioni delle Olimpiadi, allorquando gli atleti ingerivano sostanze stimolanti mescolate agli alimenti carnei e alle bevande. D'altra parte l'assunzione di sostanze che aiutassero a sopportare la fatica e gli sforzi era, ed in qualche caso lo è ancora oggi, consuetudine presso le popolazioni vichinghe, cinesi e andine (Palmieri et al., 2004). Fino agli anni '40, anche in Italia era considerato normale per un atleta prendere sostanze eccitanti o stimolanti (soprattutto nel ciclismo, sport allora più faticoso di oggi), come caffeina, stricnina, ... E' stato, tuttavia, solamente a seguito del decesso del ciclista Tommy Simpson avvenuta negli anni '60 sul Mont Ventoux, addebitato all'effetto additivo di anfetamina e grande caldo, che emerse alla ribalta delle cronache e all'attenzione del grande pubblico il problema connesso con l'uso di sostanze potenzialmente mortali da parte degli sportivi. Il culmine della diffusione del doping tra gli atleti di livello superiore e di fama internazionale lo si raggiunse alla fine degli anni '70. Il Comitato Olimpico Nazionale (CONI) definisce il doping: "...l'assunzione di sostanze o il ricorso a metodologie [...] comunque in grado di alterare artificiosamente le prestazioni agonistiche...". La lotta al doping nasce, in Italia, ufficialmente nel 1954, mentre dalle Olimpiadi di Tokio (1964) si è iniziato a testare sistematicamente gli atleti. Doping e modificazioni psicologiche In seguito all'uso di sostanze dopanti si verificano cambiamenti psicologici; studiati soprattutto tra i bodybuilders si suddividono, in base alla dose e alla durata dell'assunzione, in tre gruppi: 1° gruppo: effetti precoci. Comprende stati di euforia ed altri cambiamenti dell'umore: aumento della fiducia in se stessi, dell'energia, dell'autostima ed un incremento dell'entusiasmo e della motivazione. In tale fase diminuisce la stanchezza, migliora la capacità di sopportazione del dolore e spesso compaiono sintomi di iperattivazione come insonnia, aumento della libido, agitazione e irritabilità. 2° gruppo: effetti legati ad alte dosi. Include perdita dell'inibizione e mancanza di giudizio, con umore instabile e maniacale. 3° gruppo: effetti dopo assunzioni prolungate. Racchiude tendenza ad essere sospettosi, polemici, impulsivi e molto aggressivi. Talvolta, possono essere particolarmente intensi ed aumentare fino a sfociare in violenza, ostilità, comportamento antisociale. In alcuni casi questa rabbia può portare ad azioni molto pericolose quali tentativi di suicidio od omicidi. Esistono altri effetti psicologici negativi che si evidenziano quando l'assunzione è in fase avanzata. Tali conseguenze rappresentano un vero e proprio "effetto di rimbalzo" e generano un crollo di tutte quelle abilità che precedentemente si è pensato di possedere, comportando insonnia, diminuzione della libido, della concentrazione ed un contemporaneo aumento dell'ostilità e dell'ideazione persecutoria, che tendono ad influenzare le prestazioni e la vita quotidiana. Non è rara in questa fase la comparsa o un aumento dei conflitti relazionali e matrimoniali (Pope & Katz, 1998; Yates, 2000). Infine, come insegna la psicologia del successo, le conseguenze psicologiche del doping sono anche connesse alla possibilità di subire accuse, derisioni e colpevolizzazioni da parte dell'opinione pubblica e dei tifosi, come è accaduto nel corso di inchieste antidoping, che hanno causato un crollo inesorabile dell'immagine pubblica (e dell'identità privata ad essa strettamente intrecciata) di molti atleti. Le motivazioni al doping Il ricorso al doping è un comportamento deviante spesso plurimotivato, l'International Society of Sport Psychology (Anshel, 1993) ha effettuato una classificazione sulla motivazione al doping, distinguendo tre principali categorie di motivazioni: * Cause psicofisiologiche * Casse psicologiche ed emotive * Cause sociali Il primo tipo di motivazioni è strettamente legato alla volontà da parte di un atleta di controllare, attraverso sostanze farmacologiche, il dolore, l'energia e l'attivazione psicofisica, nonché dal desiderio di agevolare il controllo del peso o il processo di riabilitazione dopo un infortunio. Le motivazioni psicoemotive sono connesse con aspetti psicologici che possono riguardare soprattutto l'area dell'identità e quella dell'autostima. In particolare, infatti, gli atleti che ricorrono al doping possono essere spinti da paura di fallire, da sentimenti di insicurezza sulle proprie capacità, dal desiderio di essere competitivi o più semplicemente dalla ricerca di una perfezione psicofisica. Le cause sociali, infine, sono rappresentate da tutte quelle forze che agiscono sulla mente di uno sportivo, come il gruppo d'appartenenza o i compagni di allenamento, le altre persone dell'ambiente (a volte gli stessi elementi dello staff o gli sponsor) e la subdola azione esercitata a livello psicologico dai modelli di atleti di alto livello che, attraverso questo comportamento, sono riusciti ad ottenere in breve tempo risultati prestigiosi. Il ricorso al doping può essere schematicamente riepilogato nel seguente modo: - è un estremo rifiuto di conoscere se stessi ed accettare i propri limiti; - é la dichiarazione dell'incapacità a sostenere il rischio del fallimento nella gara sportiva; - è una modalità che favorisce l'identificazione con la vittoria sportiva, unica e indispensabile affermazione di se stessi; - facendo credere all'atleta di diventare invincibile e affascinandolo con il miraggio della vittoria, lo rende sostanzialmente vittima della propria paura di perdere; pur di non confrontarsi con questa paura mette in atto un comportamento autodistruttivo. L'atleta che ricorre al doping: a) non sopporta lo stress della competizione, la possibilità di vincere e di perdere; come i bambini vive nell'idea di "tutto o niente", senza acquisire la maturità adulta, che è basata sul senso di realtà; b) può sviluppare una dipendenza dal successo e dall'acclamazione del pubblico e, per non rischiare di perdere vittorie e applausi, preferisce barare con se stesso e danneggiare il proprio corpo; c) rischia anche una vera e propria dipendenza dalla sostanza dopante. Esistono anche tutta una serie di altri elementi, che caratterizzano l'ambiente sportivo e che giocano un ruolo importante nella vita dell'atleta, fino a spingerlo a far uso del doping, che non riguardano i suoi aspetti psicologici ed emotivi, ma l'ambiente nel quale vive. I principali aspetti di tipo ambientale possono essere così riepilogati: - la dimensione stressante dello sportivo professionista - le pressioni economiche - gli impegni presi per la stagione - i contratti che impongono risultati - la richiesta di continue prestazioni ad alto livello - le aspettative del pubblico e dei club di tifosi - la necessità di essere sempre vincenti - il confronto continuo con il record anziché con l'altro atleta - gli allenamenti sempre più pesanti - gli eventuali incidenti e le sofferenze fisiche che possono lasciare - la sudditanza nei confronti del coach (l'atleta assume tutte le droghe che l'allenatore gli propone) - il malcostume generalizzato in certi ambienti sportivi e il cinismo che ne deriva - la frustrazione dovuta alla mancanza di progressi nelle prestazioni - gli sponsor e la loro influenza In un contesto così pesante, diventa difficile per l'atleta professionista, resistere alle pressioni, conservare la dignità di se stesso ed il rispetto per il proprio corpo, che è poi rispetto per la sua stessa vita (Vincenzi, 2005). Conclusioni propositive Le motivazioni del fenomeno "doping" a causa dell'intrecciarsi di aspetti psicologici, emotivi e socioambientali necessitano di un'interpretazione che si basi su considerazioni tanto di tipo sociologico quanto di tipo psicoanalitico. Si utilizzerà, pertanto, il pensiero di Zygmunt Bauman, il teorico della postmodernità, e i principi della psicoanalisi nella prospettiva offerta da Raymond Cahn. Bauman (2006a) sostiene che "la società degli individui è una società di persone sole e isolate, che hanno paura di non avere le caratteristiche giuste per ottenere successo"; nei suoi studi, riflettendo sulla cosiddetta "crisi postmoderna" della società occidentale, parla di incertezza, dispersione, frammentarietà, sgretolamento del tempo, individualismo, perdita dei valori durevoli. Nella costruzione delle gerarchie di influenza - afferma Bauman (2006b) - la "notorietà" si è sostituita alla "fama" e la "visibilità pubblica" ha rimpiazzato le "credenziali accademiche". Questo è il tempo della "mediocrazia" e nelle scelte personali la parola chiave è "adesso". Secondo Bauman il nostro tempo "è contrassegnato da una preoccupazione ossessiva per il corpo", considerato come "strumento di piacere" e perciò consegnato "in pasto a tutte le attrattive che il mondo ha in serbo"; di fronte a questo quadro l'autore auspica il recupero di "standard etici". Questa analisi sociologica consente di trovare alcune risposte ai tanti "perché" che sottostanno all'utilizzo del doping nelle attività sportive: senso di solitudine, individualismo, paura di non ottenere successo, perdita di principi etici, esigenza di notorietà e di visibilità. La preoccupazione ossessiva per il corpo, infine, offre la spiegazione a tanti altri rischi sottesi alla decisione di assumere sostanze dopanti. Raymond Cahn, psicoanalista, già presidente della Società Psicoanalitica francese e per molti anni direttore dell'Ospedale diurno per adolescenti gravi, afferma che non è facile valutare le tracce lasciate sulle generazioni attuali dagli orrori e la violenza del XX secolo. Cahn (2004) precisa che ciò che sembra peculiare al mondo attuale è il fatto che la paura di non essere all'altezza abbia preso il posto dei sensi di colpa. Il senso di angoscia non viene più affrontato con il lavoro mentale, ma viene ridotto solo attraverso il sostegno concreto di 'oggetti' o della realtà esterna, mediante la valorizzazione del proprio corpo o dei comportamenti secondo il culto della prestazione, della padronanza tecnica, della riuscita tangibile in qualunque campo. Il rischio - conclude Cahn - è che queste esigenze narcisistiche finiscano per imporsi alla totalità della mente, fino ad eclissare il ruolo dei limiti e dei divieti. E' singolare come due importanti discipline scientifiche come la Sociologia e la Psicoanalisi, che si collocano tradizionalmente agli antipodi nelle proprie valutazioni essendo rivolta al mondo esterno la prima e ai vissuti interiori la seconda, si trovino, invece, così vicine nell'analisi dei fenomeni devianti. Entrambe, infatti, evidenziano aspetti legati alla paura di non essere all'altezza e all'esigenza di notorietà e di come il corpo sostituisca il lavoro mentale diventando una preoccupazione ossessiva e un "oggetto" che fornisce all'individuo un sostegno concreto alla propria difficoltà di mettere in atto un lavoro di mentalizzazione. In conclusione, oltre a tutte le iniziative che da vari fronti (educativi, sportivi, governativi, ecc.) si stanno mettendo in atto nella lotta contro l'utilizzo di sostanze dopanti, è necessario che si affronti il problema anche da un vertice di tipo psicodinamico, perché sarà solo "lavorando" sugli aspetti narcisistici, che caratterizzano la cultura di molti ambienti sportivi, che si potrà intervenire in modo significativo sul "fenomeno doping". Bibliografia Anshel M.H., Drug abuse in sport: causes and cures. In J.M. Williams (ed.), Applied sport psychology: personal growth to peak performance. Mountain View, Ca.: Mayfield, 1993: 310-327. Bauman Z., Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. La Terza, Roma-Bari, 2006a. Bauman Z., La vita liquida. La Terza, Roma-Bari, 2006b. Cahn R., La fine del divano? Borla, Roma, 2004. Palmieri G., Pincolini V., Casti A., Instant Medical Books "Doping 2004". Pubblicato sul sito di Medicina dello sport alla pagina: www.sportmedicina.com/doping_2004.htm. Pope H.G. Jr., Katz D.L., Affective and psychotic symptoms associated with anabolic steroid use. American Journal of Psychiatry, 1998 (145): 487-490. Vincenzi R., Sport, disciplina e doping. Diagnosi & Terapia, 4, 2005. Yates W.R., Testosterone in psychiatry. Archives of General Psychiatry, 2000 (57):155-56. 1) Relazione presentata al Congresso "Sport e patologie urogenitali", Mestre-VE, 25 novembre 2006
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