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PSYCHOMEDIA
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Sport e Psiche



Il disturbo depressivo e l’immersione subacquea

di Salvatore Capodieci




Premessa
Negli ultimi dieci anni l’attività subacquea è diventata sempre più un’attività di massa. Sono, infatti, centinaia di migliaia le persone che si dedicano in Italia a questa pratica sportiva.
Attualmente si conosce ancora molto poco delle relazioni fra condizioni psichiche ed immersione e al di là dei motivi più ovvii per i quali l'immersione è controindicata (sintomi dissociativi, scompensi psicotici, impulsi suicidari, allucinazioni), molte persone convivono con ansia, fobie e altri disturbi psichici e si immergono in sicurezza.
Esistono pochi studi che riguardano i rischi dell’immersione in caso di disordini psichici, come le sindromi depressive e i disturbi bipolari. In precedenti studi ho affrontato le problematiche subacquee correlate al panico, all’ansia e alle fobie.
Le patologie da immersione, come la malattia da decompressione neurologica, la narcosi da azoto, l'ipercapnia, l'intossicazione da ossigeno, le sindromi neurologiche da alta pressione ed il black-out in acque profonde possono provocare reazioni simili a quelle dei disturbi psicopatologici ed è necessario riuscire a differenziare le due patologie per predisporre il trattamento adeguato.

Disturbo depressivo e implicazioni nell’immersione subacquea
L’ambiente sottomarino può indurre una normale ansietà che fa diventare eccessiva la consapevolezza dei potenziali pericoli insiti nell’attività immersiva causando uno stato di ansia fobica negli soggetti predisposti. Può stabilirsi un circolo vizioso che porta il subacqueo a sviluppare una fobia specifica all’immergersi in acqua. Alcuni sommozzatori sperimentano questi vissuti durante i corsi di addestramento, ma durante il training intervengono altri fattori motivazionali che consentono il superamento di questi timori.
Alcuni subacquei presentano claustrofobia durante un’immersione o se ritrovano in camera iperbarica per una terapia decompressiva. Tale disturbo può insorgere nelle situazioni di stress o nel caso di scarsa visibilità (come avviene nelle immersioni notturne o in acque torbide) o quando l’immersione si prolunga eccessivamente.
Una reazione agarofobica, definita anche “blue orb syndrome”, può verificarsi se il subacqueo perde il contatto con la superficie o con il fondale in caso di immersioni “nel blu”, che sono fonte di disorientamento perché non ci sono più definiti riferimenti spaziali, ma solo il “blu” del mondo sommerso.
Un’esagerata reazione ansiosa può occorrere occasionalmente in caso di incidenti imprevedibili, come ad esempio l’allagamento della maschera, che possono scatenare il panico o comportamenti irrazionali come una risalita veloce definita, nel gergo subacqueo, “pallonata” o la mancata osservazione dell’incolumità degli altri compagni di immersione. Questi avvenimenti si verificano in subacquei con un normale gradiente di nevroticismo e un adeguato livello d’ansia.
In sintesi, in condizioni di stress la risposta del sub può variare dalla semplice reazione d’ansia fino ad un grave attacco di panico.
Un sommozzatore affetto da un disturbo dell’umore può oscillare dal senso di tristezza alla profonda melanconia; la maggior parte dei soggetti depressi presentano anche ansia e irritabilità che sottostanno all’abbassamento del tono dell’umore. Un subacqueo depresso che continui nella sua attività rappresenta un rischio importante tanto per se stesso quanto per i compagni di immersione. Molti incidenti subacquei possono risultare suicidi o tentativi di suicidio messi in atto in modo imprevedibile da un soggetto affetto da una Depressione Maggiore.
I disturbi depressivi influenzano in modo significativo la capacità del sommozzatore di prendere decisioni in un ambiente come quello sottomarino e, pertanto, non dovrebbe essere consentito immergersi a chi presenta importanti patologie depressive.
Le terapie farmacologiche impiegate per il trattamento della depressione debbono essere prescritte con cautela se il subacqueo continua a praticare l’immersione specialmente se si tratta di attività in situazioni impegnative o ad alta profondità.
Le implicazioni del Disturbo Depressivo Maggiore nell’attività subacquea sono le seguenti:
a) l’immersione subacquea potrebbe diventare in modo relativamente semplice un metodo suicidario e quindi dovrebbe essere valutata con la stessa attenzione che si presta quando esiste un’arma in casa;
b) i farmaci antidepressivi possono avere un’imprevedibile interazione con l’attività immersiva; l’aspetto più importante da prendere in esame è il rischio che possano ridurre la capacità critica e la consapevolezza di un errore di valutazione.
c) La difficoltà di concentrazione e l’incertezza, sintomi presenti frequentemente nella depressione, possono influenzare la sicurezza del subacqueo in immersione.
Forme depressive lievi possono essere compatibili con l'immersione, mentre non lo sono le situazioni gravi o complicate da sintomi quali profonda angoscia con disperazione, sintomi psicotici, dispercezioni, ideazione suicidaria. Dal momento che la depressione può notevolmente compromettere le funzioni cognitive, devono essere valutate attentamente la concentrazione e la capacità di giudizio. Occorre anche prendere in esame quando i sintomi sono comparsi e con quale frequenza ricorrono.
Si stima, infatti, che il 5-10% di chi ha sofferto di depressione grave sia soggetto ad ulteriori episodi depressivi entro 6-10 anni.
Se queste persone desiderano immergersi, la situazione sarà, naturalmente, diversa per un subacqueo che abbia avuto un singolo episodio depressivo molti anni prima, da chi presenta episodi frequenti ed ingravescenti.

Terapia della depressione e immersione subacquea
La pratica medica corrente tende ad escludere dall’attività subacquea chi si trova in una fase di depressione, chi è nel momento acuto del trattamento ed anche chi abbia una storia di episodi depressivi ricorrenti. Il trattamento può essere farmacologico e/o psicoterapico; chi risponde bene alla psicoterapia, può, ovviamente, immergersi in sicurezza, mentre se si instaura una terapia farmacologica occorre valutare con attenzione indicazioni e controindicazioni all’attività subacquea.
I principali farmaci che vengono utilizzati si dividono in diverse classi: inibitori delle mono-amino-ossidasi o anti-MAO, antidepressivi triciclici, antidepressivi ad attività NAergica, inibitori selettivi della ri-captazione della 5HT o SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della 5HT e NA o SNRI, inibitori selettivi della ricaptazione della NA o NaRI, antidepressivi noradrenergici e serotoninergici o NaSSA, inibitori della ricaptazione della NA e della Dopamina (bupropione), antidepressivi ad attività 5-HTergica mista (trazodone) e stabilizzatori dell'umore, come il litio ed alcuni anti-convulsivanti.
I farmaci antidepressivi possono provocare effetti collaterali, che hanno serie conseguenze in ambiente subacqueo. Questi includono: nausea, secchezza delle fauci, ipotensione ortostatica, sedazione, senso di vertigine, tachicardia, ansietà e visione offuscata. L'immersione è un'attività che richiede abilità psicomotorie simili a quelle necessarie per guidare un'automobile. Inoltre, richiede piena presenza, controllo e che la capacità di giudizio non sia compromessa da pensieri auto-distruttivi o dagli effetti collaterali di farmaci che alterino le capacità cognitive e la funzione neuromuscolare. Alcuni antidepressivi triciclici possono provocare aritmie cardiache, potenzialmente pericolose in immersione.
Nella valutazione medica occorre sapere se si tratta di un individuo che assumendo psicofarmaci consumi alcolici per il potenziamento dell'effetto di entrambi.
Bisogna conoscere, infine, a quale profondità massima si immergerà il subacqueo e quale potrà essere la risposta ad un'incipiente narcosi da azoto.
In generale i sub esperti hanno profili psicologici positivamente correlati con l'intelligenza e caratterizzati da un livello di nevrosi normale o sotto la media della popolazione generale.

Le patologie subacquee
Le più importanti sono la Malattia da decompressione, la sovradistensione polmonare o embolia traumatica e la narcosi da azoto.
Quest’ultima è quella che interessa di più per le analogie con una patologia psichiatrica e per la possibile interazione con l’assunzione degli antidepressivi.
Conosciuta anche come ebbrezza da profondità, la narcosi da azoto è determinata dall'eccessiva pressione parziale dell'azoto che altera i sistemi di trasmissione delle cellule nervose. I segni e i sintomi comprendono: perdita di capacità di valutazione e destrezza, euforia ingiustificata, azioni inconsulte, falsa sicurezza, intorpidimento mentale, ansia immotivata, stordimento, sonno. Il pericolo più grande è l'indifferenza per la propria sicurezza per cui il subacqueo può arrivare anche a togliersi dalla bocca l'erogatore. La narcosi da azoto non ha una quota di attivazione ben definita, sono state osservate forme di narcosi anche a quote non eccessive, come 25 metri. L'immersione profonda, dopo un lungo periodo di riposo, può favorire la narcosi; anche una velocità di discesa molto rapida è un fattore da controllare e da evitare. Una respirazione superficiale che causa ristagno e accumulo di CO2 favorisce questa patologia.
La narcosi ha però un aspetto benevolo, quello cioè di scomparire con la risalita. Si possono avere residuati temporanei come cefalee e disorientamento, oppure brevi momenti di amnesia, ma che non necessitano di cure mediche.

Conclusioni
Ogni subacqueo possiede una propria struttura psicofisica che può rispondere in modo diverso agli effetti dell’ambiente subacqueo e ai vari gas (azoto, ossigeno, anidride carbonica) in base a profondità raggiunte e alla permanenza sott’acqua.
I divemaster e gli istruttori dovrebbero imparare a riconoscere i cambiamenti che i subacquei, loro affidati, possono presentare osservando le loro reazioni; sarebbe auspicabile, inoltre, che sappiano osservare prontamente sintomi e modifiche della personalità che l’allievo può presentare in occasione delle immersioni sia tecniche che ricreative.
Il medico di base, se ha degli assistiti che praticano l’attività subacquea, deve essere a conoscenza degli effetti che i vari farmaci e, nella fattispecie, gli antidepressivi possono esercitare su attenzione, vigilanza e concentrazione e sapere consigliare in che modo gestire gli eventuali effetti collaterali (vertigini, torpore, irrequietezza, xerostomia) che possono presentarsi all’inizio della terapia e quando sconsigliar l’immersione. Nel corso del trattamento antidepressivo è opportuno non effettuare immersioni oltre i 30 metri di profondità per la possibile interazione tra i farmaci e la narcosi d’azoto.
I subacquei professionisti con disturbo depressivo maggiore dovrebbero essere valutati con attenzione da un medico subacqueo che abbia anche esperienza di patologie psichiatriche e familiarità con gli effetti collaterali degli antidepressivi.


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