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Il sistema e l’identità etnica dei rom al campo nomadi di Palermo

di Alessandra Stringi



Premessa

Scrivere e parlare dei “rom” non appare compito facile e ciò per diverse ragioni: innanzitutto essi costituiscono un oggetto di studio di cui non tutte le discipline delle scienze umane si sono occupate in profondità. Molta della letteratura sulla popolazione rom è di tipo antropologico e storico-antropologico, inoltre, alcuni contributi si devono alla sociologia ed all’etnopsicoanalisi.
Ma soprattutto i rom sono un popolo carico di attribuzioni e che evoca grandi suggestioni, dalla zingara maga, al ladruncolo sporco e furbo, al domatore di animali nei circhi, al rapitore di bambini ed inoltre essi occupano più frequentemente le pagine dei quotidiani con le tristi storie di baracche bruciate ai margini delle nostre città, di condizioni igieniche precarie nei campi nomadi.
Si parla con facilità di immigrazione dall’Africa, dal Sud-America, dallo Sri Lanka, oggi sempre più dai paesi dell’Est europeo, difficilmente si considera la presenza della “popolazione zingara”, che pure si aggira sulle 110/120.000 persone, rappresentando una piccola, consistente minoranza, che vive sul territorio italiano da lungo tempo, spesso oggetto di discriminazione, se non di vera persecuzione (Persico, G. 2005).
Tale fenomeno è addebitabile all’atteggiamento della popolazione italiana ospite, pertanto il popolo cosiddetto zingaro, preferiamo utilizzare la parola “rom”, pur essendo estremamente vario nella composizione e nonostante sia costituito per il 60% da persone di cittadinanza italiana e per il restante 40% di persone provenienti dall’Est europeo, è percepito come un tutto indistinto e guardato con sospetto, se non addirittura con razzismo. A tale proposito possiamo affermare che lo zingaro, il nomade, a prescindere se sia in posizione di regolarità con leggi italiane o no, resta lo “straniero” per eccellenza, soggetto ad esclusione e discriminazione.
Che i rom inoltre o come spesso si dice, gli zingari, siano “camminanti”, sedentari, semisedentari, Sinti, Cergari, che lavorino negli spettacoli itineranti dei circhi, che siano rom dell’Italia meridionale, rom Larvati, rom Kalderasha, rom Khorakhané, rom di antica e recente immigrazione, dal Kosovo e dall’Ex Jugoslavia, così com’è nel sud d’Italia, allo stesso modo restano oggetto di pregiudizio e stigmatizzazione, alimentando un immaginario collettivo metropolitano fatto di diffidenza e paura (Persico, G., 2005).
Già oggetto di persecuzione nel XV secolo ad opera di Maria Teresa d’Austria, i rom sono inoltre stati, insieme agli ebrei tra le principali popolazioni vittime dell’olocausto nazista: ad Auschwitz ed in altri campi di sterminio, ad opera di Himmler, furono sterminati 500.000 rom (Piasere, L. 2004).
Oltre al fatto che essi tradizionalmente hanno costituito una minaccia all’ordine sociale nella rappresentazione delle popolazioni ospiti, essi sono stati e sono oggetto di pregiudizio anche perché non hanno prodotto una letteratura autoctona. I rom parlano il “romanès”, una lingua di origine indoeuropea, sono portatori di antiche tradizioni, norme, valori, usi, credenze, costumi, abilità e mestieri. Trasversalmente alle differenze dei diversi gruppi, adottano comunque un modello di vita comunitario, basato sul sistema della famiglia allargata, la “vica”, costituita mediamente da 30/40 persone; sul riconoscimento delle gerarchie, sull’assistenza reciproca e su antiche regole di solidarietà, esprimendo modalità proprie di rapporto tra le comunità rom e i diversi gruppi, nonché con la società ospite ovvero la società dei “gagè.”
Ai processi di assimilazione essi reagiscono con una resistenza ed una tendenza all’acculturazione antagonista (Devereux, G.,1943; Vassallo, L., Stringi, A., Sampino, P., 2006).


1. Per una comprensione del sistema culturale e dell’identità etnica rom

Lo studio condotto sul sistema culturale dei rom presenti al campo nomadi di Palermo, inquadra il fenomeno, considerandone in questa sede alcune dimensioni, alla luce dei costrutti teorici presenti in letteratura. Si sono tenuti in considerazione studi precedenti che evidenziavano bisogni emergenti e caratteristiche della popolazione (Affronti, M., Carrillo, 2005; Vassallo, L., Stringi, A., Sampino, P., 2006)

1.1 Obiettivi
Le dimensioni indagate in questo studio riguardano:
a. l’identificazione etnica, attraverso le autopercezioni (Mancini T., 2006). ovvero:
la capacità di identificarsi con il proprio gruppo etnico, che si fonda sulla percezione di possedere caratteristiche fisiche, psicologiche o sociali che specificano contemporaneamente sia se stessi sia il gruppo al quale si appartiene. Alcune volte un solo attributo è sufficiente per evidenziare la propria identificazione etnica. Per i bambini, esso può essere di tipo percettivo (il colore della pelle, la forma del viso); per gli individui più adulti, può essere rappresentato dalla religione, dalla lingua o dal comportamento (Inguglia, C., Lo Coco A., 2004, p. 65).
Tale costrutto si riferisce al modo in cui in una società tradizionale si sente l’appartenenza al gruppo, che, nel caso dei rom, passa attraverso il codice linguistico, la parentela, le forme di alleanza (anche le attività lavorative), la religione.
Sono stati considerati:
b. i processi di socializzazione legati a quelli di trasmissione culturale, considerando che nella cultura rom, come in tutte le culture a trasmissione orale, il perpetuarsi degli elementi e dei codici tradizionali, ovvero dell’identità etnica, è garantito dal rapporto tra le generazioni.
c. La percezione della guerra, evento che costituisce una delle cause di maggiore disgregazione dei legami familiari, che può intervenire nel rapporto tra le generazioni. Si è ritenuto utile rilevare la percezione delle guerre balcaniche nei secoli e la rappresentazione di guerra come evento traumatico e causa di diaspora dei rom. Tale evento è stato causa di processi di “nomadizzazione”.
A partire dalla considerazione dello stereotipo sui rom come nomadi, una delle dimensioni considerate è stata quella:
d. nomadismo/stanzialità, pertanto, si è posta attenzione agli spostamenti dei rom dal paese di provenienza, ma anche attraverso più paesi o alle soste sui loro territori. In Italia i luoghi di sosta sono costituiti dai “campi”, luoghi assegnati ai rom dai comuni e dai paesi ospitanti, la dimensione fa riferimento alla salienza della rappresentazione di sé in rapporto ai luoghi, ai territori diversi dal proprio paese di origine.
Quella del nomadismo dei rom è una questione di notevole portata, posta spesso in maniera falsante, per cui in letteratura, poichè non tutti i gruppi cosiddetti zingari sono nomadi; poichè non tutti parlano il romanès, la lingua che ha origini, secondo i linguisti, dal sanscrito e che si è arricchita successivamente degli apporti delle lingue balcaniche; poichè non esistono in tutti i gruppi rom o nomadi delle attività artigianali sempre comuni, che fungano da indentificatori trasversali, pertanto non si può sostenere che esista un'identità rom intesa nel senso di un’appartenenza ad un unico gruppo etnico. Tale conclusione spesso induce, però, ad affrontare la natura della questione, ricorrendo alla categoria della marginalità: i rom, quindi, sarebbero una sottocategoria di marginali, addirittura di devianti, presenti in tutti i paesi europei, compresi gli Stati Uniti e l’Australia.
Posizioni estreme sono state assunte da M. Stewart (1995), che prende come punto di partenza del suo pensiero la posizione di Barth (1994), per contrapporvi la messa in discussione del costrutto stesso di gruppo etnico. Qualunque definizione relativa all'identità non può che riferirsi alle relazioni di alcune persone con altre e possiamo affermare che tre sono le dimensioni che orientano l'identità: 1) quella relazionale, col doppio versante interno ed esterno; 2) quella diacronica; 3) quella somatica, tutte sono mediate dai sistemi culturali di significato e simbolizzazioni proprie di un gruppo sociale. Infatti, proprietà dell’autopercezione è il processo di socializzazione e trasmissione culturale. Laddove questa dimensione ha un peso rilevante, l’assimilazione nella società ospitante si rallenta. Se la trasmissione culturale si riduce si assiste ad un’inglobamento ambivalente di elementi della società moderna ospitante.
e. I fenomeni di assimilazione e di modernità sono stati approcciati, considerando gli studi che contemplano l’incontro tra soggetti di gruppi socio-culturali diversi nel quadro delle società post-moderne, determinando processi di trasformazione delle identità. Per assimilazione intendiamo, pertanto, proprio uno degli esiti possibili del processo di acculturazione, che si distingue dagli altri: separazione, integrazione ed emarginazione (Berry et al., 1986). Nell’assimilazione il soggetto assume completamente i valori e le caratteristiche comportamentali di un altro gruppo sociale maggioritario, rinunciando all’unicità culturale. Nell’incontro tra soggetti di culture diverse, quindi, l’assimilazione è pertanto uno dei “rischi identitari” possibili e conseguenti al contatto con la cultura post-moderna del gruppo dominante, maggioritario.
L'assenza di un'identità religiosa forte e conseguentemente un vuoto di "presenza", secondo De Martino (1959), ovvero una riduzione delle credenze magico-religiose del sistema culturale di appartenenza, comportano in alcuni casi una maggiore esposizione ai processi di modernizzazione e di globalizzazione, favorendo l’inglobamento nel gruppo maggioritario. Ci si riferisce qui allo sviluppo delle società post-moderne basato sulla forza dell’individuo, della ragione e della tecnica e sull’esclusione della categoria dell’irrazionale.
La reazione opposta all’assimilazione è quella di cui rende ragione la tipica caratteristica dello:
f. orgoglio rom, con il quale si intende l’idea di una superiorità morale, data dalla percezione del proprio gruppo (in-group) come migliore, rispetto a quello maggioritario (out-group). L’idea di un’uguaglianza tra i fratelli rom è contemplata dalla dimensione dello:
g. egualitarismo. La rappresentazione della fratellanza rom è basata su una struttura sociale, che trova un tratto distintivo nella prolificità delle famiglie e legittima un sistema basato sulla redistribuzione delle risorse.
Strategia di adattamento dei rom, come gruppo minoritario nella società ospitante è quella della:
h. immersione (Piasere, L., 2004), per indicare ciò che si accompagna il più delle volte ad una mediazione alla maniera rom con la società gagè, approfittando delle sue sfasature. Quest’ultime consistono nelle crepe del sistema, i vuoti di rete inter-istituzionale, i vuoti di norma, le ambiguità, ovvero i luoghi di circostanza, che costituiscono l'occasione per insediarsi.
I rom sono stati definti un “popolo delle sfasature” (L. Piasere, 2004), si è indagata:
i. la capacità dei rom di approfittare dei vuoti di norma delle società ospitanti, cioè delle loro disfunzioni per adattarsi e meglio difendere la propria civiltà. E' il caso dei confini tra due stati, nelle zone di frontiera, nei "non luoghi" (M. Augè, 1992) dei gagè, ivi essi trovano il loro spazio, la loro collocazione.
L'immersione dipende anche dalla decisione di più nuclei familiari, in termini di famiglia estesa, di rimanere o meno nello stesso territorio e dalle dinamiche di conflitto tra più gruppi rom compresenti.
Fenomeni di immersione e dispersione nei territori attraversati o di residenza sembrano contrapporrsi, si è considerata la frequenza della strategia di mobilità propria delle reti di famiglie, che si disperdono e riaggregano a seconda della mediazione nel rapporto con la società gagè. Se il rapporto con essa è saturo o si verificano delle reazioni di rifiuto o delle cause di forza maggiore, come la guerra, che rompe gli equilibri pre-esistenti, i rom si disperdono. D’altronde, poiché i legami parentali costituiscono forti collanti sociali nella cultura rom, essi si mantengono efficacemente anche a distanza, ottenendo nel contempo una distribuzione a polvere della loro presenza, che abbassa la conflittualità con i gagè (Piasere, L., 2004).
A tali dimensioni, pertanto, si connette quella delle:
l. relazioni sociali intra-comunitarie, che contempla la frequenza della dimensione sociale familiare, intendendo le percezioni relative alla famiglia estesa, così come al rapporto tra famiglie all’interno della comunità, ma anche al rapporto tra sotto-gruppi di una stessa comunità. In particolare le relazioni tra i rom musulmani, ortodossi e cristiano-cattolici.
Si è posta attenzione all’indagine della dimensione del:
m. rapporto uomo-donna, intesa come sistema logico generatore di un senso leggibile e specifico, in tal senso va anche intesa la credenza del potere occulto, che può esprimere una donna.
Le regole di parentela hanno in tal misura una precisa rilevanza (Nathan, 1990c) e
n. le “relazioni sociali intra-comunitarie” costituiscono circolarmente una determinante del rapporto uomo-donna.
Come detto nei paragrafi precedenti le strategie di adattamento risentono anche della reazione del gruppo maggioritario, della società ospitante verso quella “ospitata”, pertanto, si è indagata la percezione del:
o. rapporto con la società gagè, che si riferisce alla percezione dei rom verso quella non rom, con riguardo agli aspetti istituzionali, normativi e politici. Di quest’ultima, ulteriore specificazione è costituita dal rapporto con la città di Palermo, che si riferisce alla percezione dei rom verso la società palermitana, negli stessi aspetti, compresi anche quelli di costume e valoriali.
p. Altro aspetto considerato è quello del rapporto con la scuola, con cui si intende il rapporto con la scuola in senso lato, come parte della relazione con la società gagè, si esprime un aspetto rilevante del rapporto con la cultura gagè palermitana.
Ciò anche in considerazione di esperienze di politica sociale di attenzione ai rom, come è il caso di Torino, dove vivono circa 1100 rom, di cui circa la metà rom piemontesi e Sinti; l’amministrazione comunale ha procurato loro alloggi di edilizia pubblica, o abitazioni offerte dalle associazioni o prese in affitto, mentre l’altra metà è rimasta in campi attrezzati. A quanti hanno scelto di rimanere nei campi, la loro permanenza ivi è stata subordinata alla scolarizzazione dei bambini a scuola.

1.2 Metodo
Sono state condotte 21 interviste libere, metà rese da uomini e metà da donne, che hanno partecipato volontariamente alla ricerca ed acconsentito alla registrazione. I trascritti, sono stati successivamente sottoposti ad analisi testuale di tipo qualitativo per un’indagine in profondità.
Le interviste sono state realizzate seguendo una traccia, secondo la metodologia prevista per il racconto di eventi di vita Bichi (2002), esso, come è stato ampiamente argomentato (Bruner, 1991), rappresenta una forma convenzionale trasmessa culturalmente. Tale natura culturale e condivisa fa sì che il racconto, scritto o orale che sia, è un prodotto costruito in-relazione con altri relazionalmente costruito e con obiettivi sovra-individuali (Gergen e Gergen, 1983; 1988); che si caratterizzi per la natura interazionale dell’intervista biografica, un evento in cui le parti mostrano un’intenzione di conoscenza.
Date queste premesse di “narratività” della vita quotidiana, di natura culturale e costruita dei processi di pensiero, lo studio delle narrazioni assume un ruolo di rilievo tale che emergono paradigmi ermeneutico-interpretativi per i quali i significati diventano l’unità di analisi privilegiata.
Attraverso l’utilizzo del software Atlas.ti 5.0. si sono messe in luce le relazioni tra le dimensioni oggetto dell’indagine. ATLAS.ti è un software di supporto all’analisi del contenuto di tipo interpretativo: esso è stato progettato in Germania nella prima metà degli anni ‘90 a opera di Thomas Muhr. Rientra nella categoria dei “Computer Assisted Qualitative Data Analysis Software” ovvero CAQDAS (De Gregorio e Mosiello, 2004), ed è un software pensato coerentemente ad un approccio Grounded theory (Glaser, B.G. e Strauss, A.L., 1967; Cicognani, E., 2002b).


2. Risultati

2.1 Il sistema culturale dei rom al campo nomadi di Palermo
L'insieme di più gruppi rom in uno stesso territorio costituisce un sistema rom, ogni gruppo si relaziona all'altro attraverso dei referenti, che hanno autorevolezza e sono anche responsabili di ciò che accade in quel gruppo, di fronte agli altri sottogruppi, nonchè di fronte alla società gagè. Al campo nomadi della città di Palermo sono tre i gruppi principali presenti: i Montenegrini cristiani, i Serbi ortodossi ed i Kosovari musulmani.
Più specificamente dai resoconti di interviste, infatti, emerge che i rom musulmani kosovari percepiscono positivamente se stessi in maniera saliente e per contrapposizione nel rapporto con gli altri gruppi rom: ortodossi montenegrini e cattolici serbi. Anche da tali percezioni derivano le decisioni su come condividere gli spazi e le risorse del territorio in cui vivono. Nelle mediazioni o nel rafforzamento di determinate decisioni i matrimoni rapresentano alleanze tra famiglie o il riconoscimento della superiorità di una data famiglia su un’altra. L'immersione nella realtà palermitana, oltrechè risultare difficile per le problematiche inerenti alle lente procedure di regolarizzazione della loro posizione rispetto al permesso di soggiorno, per le condizioni di grave degrado del "campo", risulta spesso condizionata dal conflitto tra i tre gruppi per la divisione e la gestione delle risorse.
In tale contesto non è purtroppo frequente riscontrare l'idea di scuola come diritto per i minori, nè come mezzo per garantire il loro sviluppo e la loro educazione. Le donne rom al campo, con difficoltà mandano i propri figli a scuola, in un ambiente che considerano ostile, anche perché percepito come culturalmente diverso e stigmatizzante.
Il rapporto con la scuola è sintomatico della difficoltà di inserimento dei rom nella società ospite palermitana ed essi quindi con resistenza concepiscono la scuola come mezzo per migliorare l'esistenza dei loro figli, programmando un'istruzione. In caso i rom accettino l'idea di una rinunzia al ricavato immediato della risorsa-bambino, possono entrare positivamente in relazione con la scuola, ma solo in situazioni di compromesso con la società ospitante (coinvolgimento degli adulti nel riferimento dei bambini a scuola, sotto forma di tutoraggio, sotto forma di servizio accompagnamento, etc.). La scuola, quindi, appare percepita e pertanto utilizzata, nella migliore delle ipotesi, come un mezzo di compromesso, di conciliazione dell’attrito esistente con la società gagè, una concessione al gruppo maggioritario, nell’ottica di una strategia per garantire indisturbata la propria presenza sul territorio.
L'opinione che i componenti della comunità si fanno di un determinato problema di una famiglia può condizionarne profondamente l'esistenza, ciò appare come l'altra faccia della medaglia dell'accettazione e del riconoscimento di appartenenza all'interno di un determinato spazio condiviso. Lo spazio è quindi assunto come indicatore di relazione, è relazione stessa, così come accade che definisca i rapporti prossemici all'interno di un accampamento di famiglie.
I rom musulmani kosovari definiscono quelli cristiani montenegrini come Cérgari. Vengono percepiti come rivali e la definizione infatti è svilente, fa riferimento ad un nomadismo stagionale (vedi codice “nomadismo/stanzialità”) e ad un viaggiare da stato a stato, in cerca di mezzi di sussistenza. La Germania, ad esempio, pur presentando un sistema di tipo garantista nei riguardi degli extra-comunitari, d'altronde è più vincolante e normativa. Il suo maggior rigore può risultare in tempi lunghi intollerabile per i rom cattolici montenegrini e quindi indurli a spostarsi. In contrapposizione ad essi i rom musulmani kosovari si definiscono come "più seri", vale a dire, in definitiva più etici e più coerenti con i loro codici normativi e nei rapporti all'interno del sistema, tra i gruppi. Ma si tratta di forme di presunta superiorità, per ragioni di dominanza, dovute anche alla mancata redistribuzione delle risorse provenienti dai gagè ad opera dei montenegrini, così come della loro presunta complicità con i gagè, a scapito dell'ordine interno al sistema. In realtà i montenegrini sono Kalderash, (accento sulla fricativa) cioè artigiani del rame, ovvero calderai, producono le stufe a legna per tutto il campo, stufe che il resto dei rom acquista. Questo li rende competitivi rispetto ai musulmani kosovari, tra cui pure sono presenti parecchi soggetti che si spostano da paese in paese, ancora, o che l'hanno fatto nei periodi precedenti. I gruppi si sono costituiti in momenti diversi, tra i musulmani c'è un cospicuo numero di famiglie che si trova a Palermo da venti e più anni
E' quest’ultimo il capitolo di un rapporto con la società e le istituzioni, che viene confermato come estremamente ambivalente. La città di Palermo, con le sue innumerevoli contraddizioni, i suoi molteplici problemi, le sue luci ed ombre, si presta ad immersioni per sfasature, l'appartenenza è quindi opportunistica, così come d'altronde il rapporto con la cittadinanza. Ed all'immersione, negli ultimi cinque anni, infatti, è seguita una fase di dispersione, con l'esodo di circa mille persone. Nella prima metà del 2006 i 245 rom presenti e distribuiti in 48 nuclei familiari, sopravvivono in condizioni di miseria. Grave risulta il fatto che il Comune di Palermo dagli anni '80 ad oggi non abbia mai condotta una politica unitaria, coerente e realmente interessata ai rom. Le azioni espresse sono state guidate da una rappresentazione dei rom come obbligatoriamente nomadi, favorendo pertanto un processo di rinomadizzazione, che favorisce soltanto la marginalizzazione dei tre grossi gruppi presenti al campo. Anche la logica del campo risponde al bisogno di negare la loro presenza, confinandola quasi ad una dimensione da “non luogo” (M. Augè, 1994). D'altro canto, rispetto ad altri “campi” d'Italia, quello di Palermo è uno dei più disagiati e distingue la città per la sua difficoltà a rapportarsi ai gruppi minoritari.

2.2 La “politica” dei rom attraverso le loro percezioni sociali
Gli spostamenti dei rom nel territorio della società ospitante o attraverso i loro territori non sono sempre soltanto generati dalle politiche gagè, ma anche da strategie specifiche di adattamento messe in atto dai rom, nel rapporto con le società di riferimento. Con politica rom si intendono i movimenti di dispersione/immersione e l’organizzazione delle reti di famiglie nello stesso territorio o su diversi territori.
A Palermo, l'esistenza del campo corrisponde ad una politica di sedentarizzazione forzata di gruppi rom, precedentemente stanziali già da alcune generazioni: una "ziganizzazione" alla maniera italiana, come sopra accennato. Molti dei rom musulmani nel campo palermitano appartengono alla migrazione dovuta alla guerra in Kosovo del 1998. Ciò riguarda prevalentemente i rom musulmani Khorakhanè, essi nell'impossibilità di regolarizzare la propria posizione restano in una condizione esistenziale di perenne limbo: privi di cittadinanza, privi di appartenenza al territorio, divenendo dei veri marginali.
In realtà, i rom, compresi i Kalderash ortodossi serbi, manifestano l'esigenza della casa, della dimora fissa, testimoniando dell'esistenza di gruppi già stanziali da più generazioni nei paesi di origine.
La società ospitante, percepita sempre come non rom (gagè), per contrapposizione, risulta un mondo non affidabile, a volte caratterizzato da lusinghe pericolose, seppur sempre allettanti. La scelta di rimanere nell'ambito dei confini della comunità rom è guidata dalla tendenza endogamica.
Poichè i rom si insediano in un territorio già civilizzato, in un contesto urbano, la questua rappresenta il modo per sopravvivere, una strategia di adattamento, quindi. Essa potrebbe essere considerata come un'offerta di servizio (l'elemosina cristiana) in un contesto religioso prevalentemente cristiano cattolico, come la Sicilia ed inoltre come un modo di svincolo immediato dall'altro con cui avviene lo scambio (D. Nemeth, 1995). E' pertanto l'opposto del dono, che vincola una persona all'altra e che tanta importanza ha nella cultura rom. La questua è assimilabile alla vendita, in quest’ultimo caso per il bene prodotto viene offerto in cambio il denaro.
Il te-mangà o Te-gà-mangà o manghel è stata considerata dagli antropologi analoga all'attività di raccolta che i gruppi di cacciatori-raccoglitori realizzano negli ambienti naturali (G. Sanga, 1995; Williams P., 1995).
La donna è, paradossalmente, il tramite continuo con la società dei gagè, essa, infatti, è quella che viene continuamente a contatto tramite la questua con i gagè, ed ha tanto più valore quanto è in grado di far leva su di essi per ottenere il suo sostentamento. La compassione, a volte la seduzione, risultano le principali armi a cui si affida (J. Okeley, 1995). Ciò appare in contraddizione con la severità a cui nella comunità rom sono sottoposte, soprattutto stride con la loro sottomissione alla legge dell'uomo. Pur esercitando il manghel in alcuni casi, gli uomini esprimono pudore nell'ammettere di andare ad elemosinare. L. Piasere (1980) d’altronde documenta la tendenza ordinaria anche degli uomini ad elemosinare nel gruppo dei Khorakhané musulmani. Il manghel costituirebbe, analogamente alla vendita di un bene, l’offerta di un servizio, da parte dei rom ad una società improntata sui principi caritatevoli cristiano-cattolici e sul senso di civile solidarietà sociale.
In una società fatta da genitori-bambini il senso dell'autorità si allenta e l'uguaglianza tra le generazioni aumenta, ciò sta alla base della redistribuzione delle risorse e favorisce un'idea di proprietà che è contraria all'accumulo. La condivisione, quindi, sta pure alla base dell'egualitarismo. L'egualitarismo rom, la tendenza, cioè, alla redistribuzione della proprietà e delle risorse, che in genere è comunque regolamentata dai responsabili di una comunità, appare in contrapposizione con l'egoismo e l'individualismo gagè. Tale caratteristica rappresenta un punto di vanto nell'autorappresentazione rom e nell'identità rom. Alla base di ciò esiste il concetto di bambino come risorsa, per cui le famiglie rom sono famiglie molto numerose, in cui i figli rappresentano forza, potere, ricchezza per l'uomo, ma soprattutto per la donna, attraverso cui la comunità rom realizza il suo progetto di adattamento, resistenza e padronanza nel mondo della società gagè.
Non sempre la breve distanza d'età tra figli e genitori, l'allentamento dei rapporti intergenerazionali, comporta la riduzione dell’autorità paterna sui figli, almeno nel gruppo rom musulmano. I bambini rom raggiungono più precocemente un livello di autonomia, rispetto a quelli delle famiglie gagè, nei loro gruppi, inoltre, il rapporto tra pari ha una grande rilevanza.
importanza educativa e formativa, considerata la loro precoce funzione di risorsa per la sopravvivenza."
In qualunque luogo essi vadano i rom sono sottoposti ad un pensiero stereotipo, che li rappresenta come inaccettabili, ciò almeno appare dalla loro percezione. D'altronde poichè spesso non equilibrano la loro politica di sfruttamento (“caccia e raccolta”) del territorio, finiscono per essere rifiutati ed allontanati.
Nei riguardi delle donne gagè, i rom vivono delle forme di pregiudizio, spesso la donna moderna è rappresentata secondo stereotipi negativi della modernità e cioè come tossicodipendente e comunque contaminante. In generale i rapporti con donne gagè sono in genere regolamentati da decisioni prese all'interno del gruppo, ad opera della kris, cioè del "tribunale" interno alla comunità, altrimenti, se non si legano in matrimonio ad un rom, evento abbastanza infrequente, vengono comunque allontanate.
L'identità dei rom persiste nel mantenimento delle proprie tradizioni culturali, del proprio sangue e dei legami parentali, a discapito delle politiche gagè, in contrapposizione quindi alla loro società, come difesa dalla privazione di riconoscimento di originalità/etnicità, oltrechè di esistenza. D'altronde difficile sarebbe, almeno nella realtà siciliana, il matrimonio di un uomo rom con una donna gagè, essa dovrebbe infatti seguire l'uomo presso la sua comunità e ciò è infrequente.
Però, nelle nuove generazioni, cresciute sul territorio nazionale, così come in quelle ivi nate, si scorge un principio di appartenenza alla realtà italiana o forse si potrebbe dire di maggiore adattamento assimilativo al territorio. Nei riguardi della società palermitana resta comunque parecchia diffidenza, l'aiuto viene richiesto, come sempre, ma con una modalità che presuppone già un rapporto “delusorio”. I rom delimitano il loro confine etnico esterno ossessivamente attraverso le regole di purezza e pertanto esplicitamente considerano quest’ultima contaminante.
E' frequente, inoltre, che il campo venga utilizzato come discarica irregolare di certi materiali, ma anche come rifugio o nascondiglio di oggetti fuori legge, pertanto è difficile immaginare che i rom possano percepire positivamente i gagè palermitani.
Con il territorio circostante i rom mantengono volutamente un rapporto di non completo sfruttamento delle risorse, agendo su territori limitrofi e salvaguardando la propria relazione con il quartiere, con la città. In genere gli uomini si spostano nei paesi intorno e ivi ad essi il più delle volte è riservato il compito della "caccia" ovvero dell'esercizio dei furti, o della “raccolta” attraverso il te-mangà. In generale sul territorio della società gagè i rom, ai fini di un migliore adattamento adoperano una politica di dispersione.
Tale fenomeno può essere letto considerando sia il fatto che l'Italia ed in particolare il sud d'Italia rappresentano territori in cui l'anomia è più forte e che possono motivare la preferenza da parte dei rom, nonostante il territorio di caccia e raccolta possa risultare caratterizzato da minor ricchezza eccedente.
D'altro canto la società gagè mantiene un atteggiamento di rifiuto, se non di indifferenza nei riguardi dei rom presenti al campo e il più delle volte media in maniera disfunzionale tra i diversi gruppi presenti, producendo conflitti, ciò risulta dalla percezione dei rom.
Ciò accade laddove non c'è un buon coordinamento tra gli interventi realizzati presso il campo tra forze diverse, laddove esistono delle prospettive diverse sul modello operativo e sulla lettura dei rapporti tra i gruppi del sistema rom. Nelle falle del sistema i rom paradossalmente trovano il loro adattamento alla società dei gagè ed è proprio perchè le riconoscono, che vi possono vivere a cavallo.
Essi, inoltre, in tali casi, fanno ricorso alla kris, che ha un responsabile, il quale riesce a conquistare il rispetto di tutti e tre i gruppi, anche perchè è sostenuto da altre figure di anziani altrettanto autorevoli con cui solo alcuni gagè possono parlare.
Nella percezione dei rom i gagè sono coloro che impediscono il processo di modernizzazione, anche se comunque non possono impedire che il processo di globalizzazione li raggiunga. Tale fenomeno, però coincide con una privazione dello specifico culturale tradizionale, agendo al livello della loro precipua cosmogonia. La discoteca, la coca-cola, i vestiti firmati, l’antenna satellitare sulla baracca, la mini-gonna, etc. sono tutti prodotti culturali, ovvero “falsi idoli” del sistema globale. In particolare è emerso che laddove il rapporto tra le generazioni non è mantenuto, o perde di significatività, si assiste al manifestarsi di fenomeni di assimilazione.

2.3 La percezione di identità etnica rom
Per parlare di appartenenza ad un’identità etnica rom, dobbiamo fare riferimento al costrutto di identità rom, che risulta dalle interviste variamente declinato. I rom non appartengono ad un territorio ed alla società che vi vive, semmai la loro identità nasce proprio per continui processi di contrapposizione con le società gagè. Facendo riferimento alla teoria di Devereux, nel rapporto con la società gagè emerge quello che l’autore definisce un processo di identificazione polarizzatore-oppositivo. Secondo la psicologia sociale, inoltre, per processi di percezione dell'in-group (Tajfel, 1978) come superiore rispetto all’out group maggioritario, l'orgoglio rom, che è legato alla purezza del sangue, è uno dei tratti distintivi dell'identità dei gruppi rom minoritari, ciò emerge dalle dichiarazioni rese in sei interviste.
I rom si considerano superiori ai gagè, in contrapposizione ai quali si definiscono, la loro superiorità si fonda sulla superiorità del loro sangue. Pertanto se i gagè sono quelli che hanno molti soldi, il danaro nella cultura rom è comunque frutto dell'opera del diavolo, non serve se non per organizzare i funerali, per le buone esequie ai morti e per regolare le alleanze familiari attraverso i matrimoni. Il concetto di superiorità del sangue rom derivante da una loro idea di purezza, si fonda anche su tali assunti.
Si è riscontrato inoltre che, come è prevedibile per il rifiuto e la riprovazione che sono associati allo stereotipo dominante che li riguarda, l'altra faccia dell'orgoglio rom è costituita dalla vergogna di essere rom o per meglio dire “zingaro”; a volte il rom, subendo il pregiudizio verso di esso, sceglie la via dell'apparente assimilazione, rigettando la sua identità.
Le relazioni logiche tra le dimensioni assimilazione e modernità, autopercezione e quella relativa all'asse nomadismo/stanzialità risultano utili alla comprensione dei processi di formazione dell'identità rom. Dall’analisi di tali relazioni emerge che il modo in cui i rom intervistati si rappresentano è determinato dal rapporto che intercorre tra essi e la società gagè, ma anche dal modo in cui si strutturano le relazioni sociali intra-comunitarie ed il rapporto uomo-donna all’interno della comunità.
Attraverso il rapporto dell'uomo con la donna durante l'organizzazione del matrimonio si realizzano importanti transazioni economiche, che rendono conto del prestigio di una famiglia rispetto ad un'altra. Il prezzo pagato in dote dalla famiglia dell'uomo non è pertanto l'espressione del valore della donna e di quanto è necessario risarcire la sua famiglia d'origine in seguito al matrimonio, quanto quello della famiglia del futuro marito, in una concezione della società patrilineare. L'uomo infatti è colui che ha il compito di garantire i rapporti tra le famiglie, all'interno della comunità.
La rappresentazione della donna rom, in contrapposizione a quella gagè, la vede esente da forme di impurità come la tossicodipendenza. La purezza della donna rom, soprattutto di quella non ancora madre, viene garantita, quando si reca tra i gagè, attraverso un controllo ad opera della famiglia del marito.
Nel confronto con la donna gagè, ci si attende che la donna rom dimostri la sua superiorità, se ciò non accade è normale che tenti nella narrazione di enfatizzare la propria aggressività, anche mentendo, tali risultanze risultano confermate da studi antropologici (J. Okeley, 1995).
Nell'abbigliamento la donna, a prescindere dal culto osservato, deve solitamente rispettare forme di pudore, che rappresentino e segnalino la sua purezza di fronte all'uomo, essa non può indossare i pantaloni, tranne che nel caso delle donne macedoni rom se vivono nel paese di provenienza.
Poichè nella famiglia al ruolo familiare della suocera viene attribuito notevole potere, l'uomo mantiene e naturalmente manifesta tratti di dipendenza dalla madre, così come dalla moglie. I lavori domestici, la gestione della casa, la questua settimanale, tranne il lunedì e la pulizia degli abiti, così come la gestione della baracca sono d'altro canto compiti della donna, che si divide faticosamente tra essi ed un numero di figli non inferiore mediamente ai quattro-cinque bambini.
A tale proposito, per ciò che concerne il senso di appartenenza, a prescindere dalla religione professata, risulta che il nome viene in genere attribuito ai bambini dal padre ed anche quando non ripete quello dei nonni paterni, o di congiunti del padre, comunque può riportare parti di esso, a sottolinearne la discendenza.
La formazione dell'identità si crea a partire dalla scelta di appartenere ad una delle due famiglie d'origine ed in genere si è riscontrato che le donne seguono la famiglia dello sposo anche in un altro paese e si assoggettano alla suocera, con la quale collaborano nella gestione economica della famiglia, attraverso la questua e nella conduzione dei lavori domestici. Il potere decisionale della suocera non riguarda solo ciò che concerne la propria famiglia, ma anche quella del figlio maschio, prescindendo dalla volontà della nuora. La dimensione nomadismo/stanzialità è in rapporto di causalità con quella delle relazioni sociali intra-comunitarie.
Le guerre nei territori d'origine, oltrechè ragioni di ordine economico, hanno generato ulteriori particolarismi e povertà tra i rom, costituendo causa di migrazione e obbligandoli spesso alla dispersione delle reti familiari anche al di là dei confini tra gli stati. Proprio perchè sottrattisi alla guerra, spesso hanno la necessità di richiedere in Italia l'asilo politico, che viene comunque rinnovato dopo un certo numero di anni, previa un'indagine a Roma, volta ad accertare la sussistenza dei presupposti in base a i quali vige il diritto all'asilo politico.
Il termine “nomade” fa riferimento a soggetti che non si definiscono in funzione di un territorio geopoliticamente delimitato e inteso, pertanto, data la diversa natura dei gruppi rom, ampio è stato ed è il dibattito in letteratura ed anche in sede di rivendicazione sociale di diritti politici da parte delle associazioni rom in Europa e nel mondo, su che cosa sia l'identità rom e quanto abbia a che fare con il nomadismo.
Ci si è chiesti se ci fossero differenze tra i musulmani, tra i cattolici e gli ortodossi per ciò che concerne il mantenimento del rapporto di trasmissione culturale. Ipotizzando che fosse meglio mantenuto tra i musulmani, abbiamo riscontrato, che ciò non è sempre vero e che quindi esso è ai rom intervistati, prescindendo dal culto religioso dichiarato.
Per alcuni rom ortodossi intervistati, antiche tradizioni come quella dell'arte di leggere il destino nel fondo del caffè, arte della divinazione, per cui le donne rom sono sempre state famose nell'immaginario della società gagè, sembra essere rimasto attività propria degli anziani, ma cosa ne è di altri aspetti? Per esempio nel caso del ruolo di capo, abbiamo ipotizzato che potrebbe esserci una trasmissione dei valori del capo (il responsabile del campo). E' il caso di un rom musulmano, che cresciuto in un contesto diverso da Palermo, a Napoli, era stato educato dal nonno paterno, responsabile di un campo della città. Ad oggi egli ha un ruolo di rilievo nelle controversie e nell'opera di mediazione all'interno del sistema rom del campo. L’ipotesi resta da confermare.
I processi di trasmissione culturale a volte, nella narrazione dei soggetti, prescindendo dal tipo di religione, appaiono comunque ridotti dai miraggi della modernità, di cui uno esemplare è costituito dal successo televisivo. In tali casi si assiste ad una riduzione dell’adesione alla cultura tradizionale ed alla svalorizzazione della trasmissione culturale attraverso la socializzazione intergenerazionale.


Conclusioni

In sintesi l’analisi delle osservazioni ha consentito di affermare che i rom del campo nomadi di Palermo sono un insieme di sottogruppi con diversa religione ed origine geografica, ma con un’identità etnica sovraordinata, che mantiene un adattamento marginale, ma oppositivo alla società, che consente la conservazione di elementi culturali tradizionali, con pochi fenomeni di assimilazione. Ciò nonostante la definizione di sé negli intervistati in funzione di aspetti diversi, quali la lingua, la religione, un’attività lavorativa, la riduzione, cioè, delle differenze e la percezione di sé come parte però di un gruppo unico ed inclusivo (dual identity, Dovidio, J.F., Gaertner, S.L., et al. 2006)) è data dalla presenza di esigenze analoghe, nonchè dalla necessità di trovare strategie condivise di gestione e soluzione dei problemi comuni e generatori di conflitto, ma anche da caratteristiche proprie delle culture rom, che favoriscono, ad esempio, la redistribuzione delle risorse (egualitarismo) o l’istituzione di tribunali propri.
Sono inoltre emerse strategie tipiche di adattamento alla società ospitante, quali l’immersione e la dispersione, l’utilizzo di ambiguità e “crepe” nel sistema del gruppo maggioritario, la funzione di cerniera delle relazioni sociali intracomunitarie nel rapporto con la società maggioritaria ed il rapporto di mediazione di tutte le relazioni attraverso il sistema ordinatore di norme e valori della relazione uomo-donna.
In ultimo riteniamo che la Sicilia ed in particolare la città di Palermo, in quanto realtà caratterizzate da enormi "sfasature", siano state scelte inizialmente dai rom come sede di soggiorno, nonostante si sia poi determinata per loro una condizione ambientale ed esistenziale di gravissima marginalità. Quindi a tale fattore potrebbero essere, da un canto, attribuite le motivazioni dell'esodo degli ultimi cinque anni dal campo nomadi, si può affermare, comunque, dall’altro, che gli spostamenti in Sicilia e dalla Sicilia, in genere, agli altri paesi siano il frutto di una deliberata e tipica strategia di dispersione, intesa come negoziazione e ri-negoziazione continua dei rapporti tra i sottogruppi presenti al campo, rispetto all’utilizzo delle risorse del territorio.
Solo l’interesse e la conoscenza per la cultura rom e la loro identità etnica possono garantire autentiche politiche di integrazione. L’integrazione deve innanzitutto partire dalla scuola e da quelle agenzie che dialogano con i genitori dei bambini, garantendo ad essi non solo le conoscenze utili per l’inserimento nelle istituzioni e nel mondo lavorativo, ma anche e soprattutto il rispetto per una diversità culturale ed una tradizione che non venga vissuta come subalterna.
Tali risultati potranno essere raggiunti esclusivamente attraverso un reale coordinamento delle agenzie, che si occupano di tale popolazione, un lavoro di raccordo esercitato da figure istituzionali, che ottengano il consenso ed il riconoscimento comune dalle diverse parti sociali.


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