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PSYCHOMEDIA
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TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicoanalisi di Gruppo
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Iperbole e trasformazioni nel gruppo
di Alessandro Americo
Immaginiamo un gruppo psicoanalitico che appaia caratterizzato da un andamento tranquillo: gli interventi dei partecipanti sembrano coerenti tra loro, addirittura legati da un filo logico; compaiono sogni e fantasie che l'analista è in grado di riconoscere e che gli confermano che il gruppo sta pensando. Queste configurazioni possono essere assimilate a quelle immagini fantastiche che gli antichi erano in grado di vedere nel cielo stellato: orse, figure mitologiche, carri, bilance.
Improvvisamente il gruppo è attraversato da turbolenze emotive che distruggono tali configurazioni: le associazioni si interrompono, ogni buona forma scompare. Il clima di collaborazione si trasforma in reciproca diffidenza; pessimismo e sfiducia caratterizzano gli interventi; non è infrequente il silenzio. Nella mente dell'analista il cielo stellato perde il carattere di superficie bidimensionale per assumere una propria drammatica quadridimensionalità in cui nessuna illusione rappresentazionale è in grado di dare ordine alla comunanza esperienziale dei membri del gruppo. Come nel cielo notturno l'illusione dei sensi ci fa apparire simili tra loro pianeti, stelle o immense galassie, oppure considerare altrettanto reali i fantasmi di stelle ormai estinte ma la cui luce continua ad arrivare a noi quanto l'immagine di altri astri nati migliaia di anni dopo, così allo stesso modo le storie, le emozioni, i ricordi di quelle nove persone sedute in cerchio, che per un poco avevano posseduto un senso comune sembrano all'improvviso esplodere sino a far vivere nell'analista sentimenti di dubbio su ogni possibile commensurabilità tra la psiche di ciascuno lì presente.
Il gruppo può tendere per lunghi periodi a sfuggire dal dolore del dubbio e della turbolenza strutturandosi in modalità tali da offrire a se stesso e all'analista potenti attrattori archetipici (uno per tutti il Materno) in grado di tenere a distanza il non senso, il caos. Sarà la fiducia nel lavoro analitico a permettere ai partecipanti e all'analista di abbandonare ciclicamente il porto sicuro del già noto per avventurarsi nel mare aperto proprio ad ogni cambiamento. I periodi di tranquillità del resto permettono al gruppo di prendere fiducia nella propria capacità di pensiero, di confidare nell'importanza della storia individuale dei singoli ma anche in quella del gruppo che in certi periodi viene commentata con nostalgia, ad esempio nel ricordo di qualcuno che ha condiviso con gli altri un tratto dell'analisi per prendere poi una propria strada diversa.
In un gruppo da me condotto risulta particolarmente visibile come attraverso una particolare comunicazione sia emersa l'esistenza di forti angosce sottostanti un andamento apparentemente calmo svelando, allo stesso tempo, il livello di collusione che teneva il gruppo in una difensiva situazione di impasse.
Da un po' di tempo le sedute del gruppo hanno preso un andamento abbastanza prevedibile: una persona, sempre la stessa, inizia raccontando un sogno spesso evocativo e ricco di immagini e di movimento, con diverse scene che si sovrappongono tra loro. Dopo un breve silenzio un altro partecipante racconta un episodio della propria vita e via via gli altri si associano al discorso con ricordi del passato, fantasie o riferimenti attuali al gruppo. Verso i tre quarti della seduta un breve silenzio permette all'analista di inserirsi con un intervento in cui le varie associazioni sono ricondotte al tema del sogno iniziale che sembra combaciare in modo estremamente preciso con i vari intrecci successivi sino a formare un tessuto nitido e coerente. I partecipanti ascoltano con cortese attenzione e spesso sorridono sorpresi e compiaciuti dalla capacità dell'analista di dare un solo senso a tanti discorsi. Infine qualcuno si associa a questo intervento proponendo qualche considerazione conclusiva.
L'unica differenza avvertibile nel tempo è la crescente complessità delle costruzioni del gruppo e il maggiore sforzo del conduttore nel risolvere intrecci complicati.
All'inizio di una seduta Sandro, invece di raccontare il sogno, dice: "Bartezzaghi, quello della Settimana enigmistica è morto da poco: è strano che continuino ad uscire delle parole crociate firmate con il suo nome!".
A questo intervento segue una discussione in cui vengono proposte diverse ipotesi del genere: "Avrà lasciato delle scorte e continueranno sino all'esaurimento" oppure "E' il figlio che continua l'attività del padre".
Seguo con interesse il discorso e mi accorgo che il gruppo sta trattando in modo angosciato di se stesso e della propria leadership. L'ansia cresce sino a culminare in un silenzio carico di dubbi ed aspettative.
Gli sguardi dei membri si rivolgono verso il conduttore: tutti aspettano un suo intervento. Dopo un po' un partecipante non ce la fa più e chiede: "adesso cosa facciamo?". Ci sono delle richieste dirette di svelare il significato occulto dei discorsi fatti.
La morte di Bartezzaghi, evento catastrofico ma inevitabile, rappresenta la morte in quel gruppo di una certa ermeneutica intesa come gioco e passatempo e l'uscita dall'impasse che conduttore e membri stavano vivendo.
La richiesta di aiuto che il gruppo rivolge all'analista, finché inascoltata, ha subito il destino di un crescendo iperbolico che il gruppo stesso ha contribuito a trasformare.
Dopo alcune sedute nelle quali l'andamento del gruppo ha perduto ogni prevedibilità con maggiore ansia e fatica per tutti, S racconta un sogno carico di rabbia e nostalgia per la precedente modalità: "C'è una macchina distributrice di bibite e sigarette; ci metto i soldi ma escono degli oroscopi; la scuoto con violenza e continuano ad uscire oroscopi".
Possiamo ipotizzare nel gruppo psicoanalitico diversi livelli di funzionamento mentale caratterizzati da differenti meccanismi e modalità di comunicazione e quindi da peculiari campi trasformazionali.
Quando nel gruppo prevalgono il pensiero rappresentazionale e il linguaggio verbale possiamo ipotizzare siano dominanti quelle che Bion chiama trasformazioni a moto rigido, proprie del concetto psicoanalitico di transfert; tali trasformazioni sono espressione della parte non psicotica della personalità e presuppongono un rapporto contenitore-contenuto stabile e continuativo.
Non mi soffermerò a lungo su tale gruppo di trasformazioni limitandomi a sottolineare l'importanza che qui viene ad assumere la costanza dei parametri spaziali e temporali per cui un determinato contenuto del passato può essere proiettato nel presente in modo tale da essere riconoscibile grazie ad un relativamente basso grado di deformazione:
I sentimenti e le idee appropriati alla sessualità infantile e al complesso di Edipo e ai suoi derivati, sono trasferiti (con una interezza e coerenza che sono caratteristiche) al rapporto con l'analista. Questa trasformazione comporta una deformazione trascurabile. Il termine "transfert", come Freud lo usò, implica un modello di movimento dei sentimenti e di idee da una sfera di applicabilità ad un'altra. Propongo perciò di chiamare questo insieme di trasformazioni "moti rigidi". La invarianza del moto rigido deve essere nettamente distinta dalla invarianza propria delle trasformazioni proiettive". Bion, 1965, p. 34.
Le trasformazioni proiettive presuppongono una maggiore deformazione dei contenuti della comunicazione e quindi una loro minore riconoscibilità. Nel gruppo lo scopo degli scambi sembra essere, in questo caso, quello di investire intense quote affettive per effettuare movimenti e transazioni inconsce. La modalità di comunicazione prevalente sembra essere l'identificazione proiettiva; di conseguenza sono ipotizzabili stati di confusione tra i membri del gruppo. Il rapporto contenitore-contenuto è caratterizzato da stati di forte tensione.
Per descrivere il passaggio da uno stato del gruppo in cui prevalgono trasformazioni a moto rigido ad uno dominato dalle trasformazioni proiettive proporrò l'immagine di una trasformazione topologica.
Stiamo leggendo un giornale: sono fruibili titoli, articoli, fotografie; alcuni articoli si interrompono in una pagina per continuare in un'altra indicata. Improvvisamente il giornale viene accartocciato trasformandosi in una sfera irregolare; osservando la superficie si possono notare immagini deformate, frammenti di frasi e di parole: è difficile decifrare qualcosa che possa assumere un significato comprensibile. Sul giornale si è effettuata una trasformazione topologica che ha lasciato invariata l'estensione della superficie provocando di contro considerevoli modificazioni alle sue coordinate spaziali. Se fosse stato il lettore ad operare la trasformazione egli potrebbe utilizzare la propria memoria per riconoscere dai frammenti del presente strutture di significato del passato. Diversa è la situazione di un nuovo osservatore che, posto dinanzi a deformazioni così accentuate non sarà in grado di interpretare in modo compiuto i contenuti del giornale. E' chiaro, uscendo dalla metafora, che è diversa la posizione dell'analista che si trovi ad osservare il cambiamento da uno stato del gruppo in cui prevale il moto rigido ad uno dominato da trasformazioni proiettive, da quella di un altro analista che si trovi, ad es. nella fase iniziale di un gruppo, immerso nella confusione e turbolenza proprie di un gruppo che utilizzi meccanismi di pensiero più basici.
E' possibile osservare tali trasformazioni realizzarsi più volte nel corso di una sola seduta, nella tipica oscillazione ps-d, oppure, dopo lunghi periodi di strutturazione in una delle due posizioni, assistere al passaggio nell'altra.
Insieme ai due gruppi di trasformazioni sin qui trattati Bion esamina quelle che definisce trasformazioni in allucinosi. In esse è fortemente danneggiato il rapporto contenitore-contenuto; alla comunicazione verbale è sostituita una forma di evacuazione in cui gli organi sensoriali sono usati per "liberare la psiche dall'eccesso di stimoli"; meccanismo dominante è l'identificazione proiettiva eccessiva come è stata descritta da Bion.
I contenuti mentali non trovando un contenitore in grado di trasformarli in pensieri del sogno (funzione a e funzione g) vengono allucinati, cioè evacuati in uno spazio esterno all'individuo ma interno al gruppo che viene così invaso da oggetti dolorosi, violenti, iperconcreti che tengono il gruppo stesso in ostaggio in stati di stupore, sonno, immobilità oppure attivano movimenti eccessivi e inconsulti, quali urti, acting out, scoppi di violenza. Incombe l'idea di una catastrofe originaria generata dalla collisione tra un contenitore inadeguato e l'eccesso di avidità e violenza di un contenuto sempre più disperato.
Mentre nell'ambito delle trasformazioni proiettive il contenitore è presente, anzi è proprio tale presenza che permette ai contenuti più informi e turbolenti di cercare uno spazio in cui esistere, nelle trasformazioni in allucinosi è il contenitore spazio temporale ad essere lacerato o talmente dilatato da non poter offrire ai contenuti mentali un luogo e un tempo dove potersi collocare e significare. Bion paragona tale situazione a quella dello shock chirurgico:
"in occasione del quale la dilatazione dei capillari in tutto il corpo aumenta talmente lo spazio in cui il sangue può circolare che il paziente può sanguinare a morte nei suoi stessi tessuti. Lo spazio mentale è così vasto in confronto a qualsiasi realizzazione dello spazio tridimensionale che il paziente sente di aver perso la propria capacità di provare emozioni perché sente l'emozione stessa fluire via e perdersi nell'immensità". Bion, 1970, p. 22.
"La realizzazione mentale dello spazio è perciò sentita come un'immensità così grande da non poter essere rappresentata neppure per mezzo dello spazio astronomico in quanto non può essere rappresentata affatto". Bion, Op. cit. p. 21.
"Lo "spazio" diventa terrificante, anzi diventa il terrore stesso: "Le silence de ces espaces infinies m'effraiie" . Bion, Op. cit., p. 32.
E' mia opinione che un gruppo analitico sia sempre in contatto con queste tre classi di trasformazioni che mettono in gioco livelli diversi della vita mentale di ciascuno e soprattutto la capacità del gruppo stesso di tollerare livelli psichici più o meno primitivi e basici.
Introdurrò, adesso, alcuni momenti significativi di una lunga relazione con un paziente caratterizzato da disturbi del pensiero, per evidenziare di nuovo la fecondità del modello contenitore contenuto soprattutto alla luce di uno dei concetti bioniani più geniali nell'illustrare le vicissitudini della relazione esistente tra il pensiero psicotico e il cosiddetto mondo reale: le trasformazioni iperboliche.
Un paziente lamenta l'assenza di una parte del proprio cervello. Dopo alcune sedute nelle quali mostra angoscia e risentimento nei confronti del proprio impulso a masturbarsi, collega i due discorsi:
"E' a causa della masturbazione che mi manca un pezzo di cervello. Non ho mai avuto una donna; mi masturbo, poi sto male, non riesco più a pensare bene, é una parte del cervello che é andata via".
E' un modo di pensare che sento rigido, senza sfumature, che provoca in me scarso ottimismo sul futuro del nostro rapporto.
Un giorno esordisce in seduta dicendo:
"Mi manca Venere".
Fa una strana risatina e mi guarda, evidentemente in attesa di una mia reazione.
Chiedo spiegazioni. Accenna alla mancanza di donne. Mi sento turbato e messo alla prova, avvertendo un cambiamento nel genere di comunicazione sin qui adottata. All'improvviso realizzo con stupore che per motivi imprevisti non ci eravamo incontrati nell'ultima seduta, il precedente venerdì. Incerto sul carattere inaspettatamente metaforico di questo enunciato e quindi sulla possibilità di verbalizzare al paziente qualcosa che temo incomprensibile per lui, vengo colto dal pensiero che al suo lamentarsi di essere matto corrisponde la frase di uso comune: "Mi manca un venerdì". La sensazione é quella di una vertigine iperbolica: sino ad allora lo sentivo in grado di esprimersi soltanto attraverso una noiosa comunicazione concreta, all'improvviso lo avverto utilizzare parole in una chiave polisemica estremamente complessa. Infatti ho la certezza che dicesse:
"Mi manca Venere (la donna) e quindi mi masturbo; in questo modo perdo una parte del mio cervello (mi manca un venerdì); tutto ciò si evidenzia con la perdita della seduta precedente (mi manca lo scorso venerdì)".
Alla mia riluttante verbalizzazione di questa costruzione che temevo essere un mio schema delirante replica con tranquillità che era proprio quello che intendeva dire.
Dopo un certo periodo la relazione con il paziente ha assunto un duplice andamento; una parte si svolgeva con modalità per me allora riconoscibili in terapie simili: i nostri linguaggi cominciavano ad entrare in sintonia, gli aspetti deliranti, collegandosi ad aspetti storici ed attuali della sua vita perdevano quella carica violenta e pervasiva che aveva caratterizzato la prima parte dei nostri incontri; ad esempio non era più assordato dalla voce tonante del tenore Caruso, avendo collegato questi a figure significative della sua infanzia, in particolare al padre morto da diversi anni; insomma visti anche alcuni suoi progressi nella vita quotidiana, come, ad esempio, un lavoro statale da poco ottenuto, la situazione sembrava soddisfacente in quanto si intuiva essere in atto un percorso di sviluppo personale.
Una seconda modalità della nostra relazione assumeva invece per me aspetti perturbanti portandomi ad interrogarmi di continuo sul senso e le caratteristiche dei nostri incontri: in determinati momenti di quasi ogni seduta, persi in un mare di banalità o di comunicazioni eccentriche comparivano particelle di senso che si muovevano a grande velocità urtando gli altri contenuti, generando attrito e destando in me stupore ed interesse. Spesso tali particelle erano talmente decontestualizzate da non poter essere inserite in un discorso che avesse un filo; talvolta a distanza di lunghi periodi mi tornavano alla mente assumendo significati determinati.
Che uso fare di questi frammenti era estremamente incerto in quanto una semplice restituzione, come nel caso del significante "Venere", le poche volte in cui era possibile, mi sembrava una forzatura razionalizzante; mi limitavo quindi, per quanto possibile, a conservarne la memoria.
Riassumendo le due modalità, la prima era rappresentata da un paziente lavoro di restituzione e di ordinamento di elementi che già in sé possedevano una struttura discorsiva, benché delirante, la seconda consisteva nell'essere investito con grande intensità da elementi frammentati e disomogenei dal resto del materiale rimanendo emotivamente turbato ma carico di aspettative.
Ad un certo punto ho cominciato a sospettare che le due modalità fossero complementari e che i reali progressi del paziente fossero determinati dal mio accogliere dei frammenti piuttosto che dal cercare di dare loro coerenza. Questo pensiero si è rafforzato quando mi sono accorto che i due momenti presupponevano stati mentali profondamente diversi: rassicurante il primo, quello relativo alla costruzione metodica di senso, doloroso il secondo, quello proprio all'essere colpiti da elementi più autonomi quali emozioni non ancora trasformate in pensieri. Con questo paziente lasciarsi andare, lasciando a lui la gestione del discorso era incredibilmente faticoso in quanto era capace di mettere in atto racconti tautologici fatti di ripetizioni di stesse frasi a proposito di eventi della cronaca per me assolutamente privi di interesse, alternati a riflessioni sulla sua vita, aspetti deliranti, compiti quotidiani, amori non corrisposti, domande pressanti e così via. Dopo un certo periodo comunque, questo diventò il nostro principale modo di interazione (1).
A questo periodo appartiene l'episodio che racconterò e che mi permetterà di introdurre alcune riflessioni sul modello delle trasformazioni iperboliche che mi ha aiutato a sopportare con maggiore fiducia i successivi anni vissuti in questa relazione.
Alberto, questo é il nome del paziente, è un appassionato spettatore televisivo di ogni genere di sport, sport che non ha mai potuto praticare in quanto dalla nascita soffre di gravi problemi di deambulazione; in un'occasione mi stava raccontando, dilungandosi, le prestazioni eccezionali di qualche tennista o calciatore.
Il mio ascolto era distratto da immagini e pensieri estranei al suo racconto, quando all'improvviso mi colpì l'incongruenza dell'espressione "Circo bianco" da lui inserita nel discorso. Con fatica mi distolsi dal mio fantasticare e sottolineai che con tale termine ci si riferisce al Campionato del mondo di sci, gli chiesi quindi come mai lo avesse nominato mentre stava parlando di altri sport.
Con un senso di profonda tristezza mi parlò di Gustavo Thoeni campione imbattibile del momento.
Il clima emotivo del momento insieme al fatto che Thoeni non gareggiava ormai da molti anni provocarono in me una sensazione di intenso perturbamento fino a quando fui colpito con violenza dal nome del campione allora attuale, Alberto Tomba. L'impatto con questa immagine di morte fu tale che non mi sentii di dirgli niente, registrando mentalmente la presenza in Alberto di un tale sentimento di annichilimento da poter essere espresso soltanto come un contenuto che attraversa in modo mimetico la noia di un lungo discorso.
Diversi interrogativi sono scaturiti in me in seguito a questo veloce scambio.
Che genere di comunicazione è quella, in cui un significato è occultato in modo tale da poter essere percepito solo con difficoltà ed incertezza?
Quale destino avrebbero incontrato i contenuti della comunicazione, in questo caso il sentimento di morte, se non fossero stati in qualche modo registrati dalla mente dell'altro?
Cosa fare di questa comunicazione: esplicitarla, trasformarla interpretativamente, conservarla silenziosamente?
Nel tentativo di trovare una risposta a queste domande ho incontrato con grande interesse il concetto di "iperbole" che W.R. Bion introduce nello sforzo di avvicinare le "teorie dell'osservazione", a cui appartiene l'iperbole, alle "teorie psicoanalitiche" cui corrispondono concetti di diverso livello di astrazione, in questo caso quello di identificazione proiettiva:
"Iperbole é un termine appartenente alle teorie dell'osservazione, a differenza della teoria dell'identificazione proiettiva, da me considerata appartenente al sistema della teoria psicoanalitica" (Bion, 1965, p.221).(...) "Iperbole é il termine che adopero, nelle teorie di osservazione, per le realizzazioni che corrispondono all'identificazione proiettiva" (Op. cit. p.223).
Cercherò di esplicitare cosa Bion intende per iperbole per poi legare il modello individuato alle sollecitazioni prodotte dall'incontro con il paziente di cui ho parlato.
In Trasformazioni W. R. Bion così introduce il concetto di iperbole:
"E' un luogo comune che qualsiasi tentativo di indagine scientifica implichi una distorsione giacché vengono esagerati taluni elementi allo scopo di mostrarne il significato. Chiamerò iperbole questa caratteristica, allo scopo di legare la sua controparte fenomenologica nella pratica analitica con la penombra di associazioni che considero significative. Desidero che il termine comunichi una impressione di esagerazione, di rivalità e, grazie al suo significato originale, l'idea di scagliare a distanza. La comparsa dell'iperbole in qualsiasi forma, deve essere considerata come l'inizio di una trasformazione in cui operano rivalità invidia ed evacuazione" (Op. cit. p.195).
Bion passa quindi a spiegare perché l'esagerazione sembra un aspetto così rilevante del suo discorso. Partendo da una relazione tra un contenitore e un contenuto egli propone di indagare sul destino di un'emozione originaria ignorata da un contenitore con cui entra in relazione; per essere accolta, l'emozione-contenuto, esagererà le proprie caratteristiche. Se il contenitore non tollererà tale contenuto esagerato e il contenuto non sarà in grado di essere ignorato il risultato sarà l'iperbole:
"Cioè: l'emozione che non può tollerare di essere trascurata aumenta di intensità, é esagerata per assicurarsi l'interessamento; e il recipiente reagisce con un'evacuazione sempre più violenta. Usando il termine "iperbole" intendo legare la congiunzione costante dell'aumento di forza dell'emozione con l'aumento di forza dell'evacuazione" (Op. cit. p. 196).
L'iperbole acquista grande interesse per la clinica quando compare nell'ambito di una serie di enunciati in relazione tra loro; Bion ne propone un esempio:
"1) Ho sempre creduto che lei fosse un bravissimo analista.
2) Conobbi una donna in Perù, quando ero bambino, dotata di prescienza.
3) Mi sembra che gli analisti farebbero meglio a credere in Dio: Dio può curare.
4) Non dovrebbe esserci tanto dolore e sofferenza nel mondo. Che cosa può fare un semplice essere umano?" (Op. cit. pp. 221-222).
In questa esemplificazione sembra utile individuare una sequenza che permette di riconoscere il destino di una invariante (bontà) che si allontana sempre con maggiore violenza dal campo analitico.
Nell'enunciato 1 la bontà dell'analista si ferma nella persona stessa dell'analista. Bontà ed analista coincidono. Gli enunciati successivi danno l'idea di come la bontà dell'analista si allontani sempre più nel tempo e nello spazio. Dapprima essa é stata scagliata lontano nel tempo ("quando ero bambino") e nello spazio (Perù); poi in un Dio onnipotente e infine distrutta e frammentata nel mondo: rimane solo un senso di impotenza e disperazione.
"La bontà dell'analista è stata proiettata molto lontano nel tempo e nello spazio. Questa è iperbole; vi è qualche cosa nella esperienza con l'analizzando che rende questo termine idoneo per legare la particolare congiunzione, e nessun'altra (dimensione negativa della definizione), che voglio esaminare. Il termine già indica una congiunzione che è presente nella congiunzione su cui voglio richiamare l'attenzione; cioè l'antico significato di iperbole come uno "scagliare al di là" qualcun altro, indicante rivalità" (2) (Op. cit. p. 222).
Con taluni pazienti ci troviamo cimentati sin dall'inizio con enunciazioni che sono da situare all'ultimo stadio di tale sequenza. In questi casi però non ci troviamo all'ultimo momento di un possibile processo iperbolico: questo potrebbe essere il silenzio totale di chi ha perso ogni speranza nell'esistenza di un contenitore che possa accogliere le proprie emozioni eccedenti (suicidio, catatonia, autismo). Ci troviamo bensì in un punto intermedio in cui é ancora possibile tentare di diminuire la violenza iperbolica dei contenuti scagliati dal paziente.
E' diverso il caso in cui l'analista si trovi dinanzi al momento iniziale di una trasformazione iperbolica quale ad esempio la prima verbalizzazione che un soggetto fa di un proprio delirio. In questo momento è predominante un aspetto comunicativo di elementi emotivi non altrimenti significabili ed utilizzabili rispetto al contemporaneo scopo del delirio di occultare ed espellere tali contenuti non pensabili. Delirare, uscire dal solco (dal latino lira, lo spazio tra la terra sollevata dall'aratro), dal seminato insomma, è quella strategia ben nota di nascondere qualcosa illuminandola sino all'eccesso, di occultare mostrando (si pensi alla Lettera rubata di E. A. Poe), di tacere gridando. Lasciarsi scoraggiare dall'apparente assenza di senso del delirio è altrettanto rischioso che lasciarsi catturare da complesse schermaglie ermeneutiche. Il senso del delirio è da intendere, a mio avviso, nella sua funzione e struttura e non nei soli contenuti; in altre parole di fronte alla comunicazione dell'altro piuttosto che chiedersi soltanto quale sia il significato di ciò che sta dicendo è più proficuo entrare in sintonia con il perché un soggetto sia costretto ad utilizzare una forma di comunicazione così ambigua ed estrema. Allora, una volta che l'ascolto sia stato indirizzato sull'angoscia sottostante e sulle difese utilizzate, la comunicazione delirante potrà attenuare il suo carattere perturbante ed escatologico, potrà essere "umanizzata" e perderà quella funzione di disperato salvagente al quale il paziente è aggrappato. In questo caso egli accetterà anche una restituzione di senso senza che questo diventi l'unico aspetto o il principale della relazione terapeutica.
Spesso il momento iniziale del delirio è quello propizio per stabilire un contatto significativo, per accordare i rispettivi strumenti, per sorprendersi reciprocamente passando da un senso di alienità senza speranza alla scoperta di una "somiglianza inaudita" che offra qualche speranza nel futuro. Penso che sia accaduto qualcosa del genere con la trasformazione linguistica "Venere" operata insieme ad Alberto: è stato l'evento che ha reso possibile il nostro lavoro comune.
Citerò una situazione in cui la trasformazione iniziale di elementi deliranti sembra aver permesso la nascita di una relazione analitica.
"Christine, ragazza di diciotto anni mi viene inviata dai genitori a causa delle difficoltà che incontra nel seguire gli studi. Christine stessa mi spiegò, dopo due colloqui, di soffrire di una "rigidificazione della testa" e della paura di diventare guercia. In risposta alle mie domande mi confidò un segreto: i suoi mali di testa erano dovuti all'influenza dei gatti. I gatti la "magnetizzavano" dopo molte ore di studio e soprattutto quando usciva in istrada. Anche nel suo letto i gatti "magnetizzanti" la perseguitavano, ma lei aveva trovato un rimedio alla loro potenza. Dormiva con una piccola croce di legno stretta tra le gambe. (...) Cercando il conflitto relativo alla realtà pulsionale le domandai se non stava anche tentando di parlarmi della sua "gatta" (NdT: chat denota anche il sesso femminile) nello spiegarmi l'effetto straordinario dei gatti. Approvò immediatamente: "Ma certo, è evidente per tutti!". Associò parlandomi della sua lotta contro la masturbazione, attraverso la quale rivelava fino a che punto le pulsioni sessuali erano sentite come minacciose, non solo per il corpo nella sua interezza ma anche per il senso di identità psichica. (...) E' superfluo dire che il delirio dei gatti sparì in fretta e che Christine poté uscire ancora in istrada; ma il suo pensiero tuttavia rimaneva profondamente psicotico. Un sistema di scissioni le permetteva infatti di cogliere facilmente i legami tra la sua credenza delirante e la sua teoria sessuale, ma senza che questo modificasse né la relazione con il suo corpo e con il corpo degli altri" (Mc Dougall, 1993, p. 293.).
Tornerò a sottolineare un punto che sento centrale nel discorso. L'intuito mostrato dall'analista ha probabilmente avuto successo per una particolare forma di "pazienza" presente in lei. Il contatto con l'angoscia dell'altro, con il suo dolore era centrale rispetto al piacere di svelare qualcosa di occultato. La Mc Dougall non si fa illusioni sul tipo di pensiero di Christine e proprio per questo può accettarlo e mostrarle interpretativamente tale accoglimento. L'interpretazione segnala sintonia tra contenitore e contenuto ed è questa la sua funzione principale.
Al contrario un tentativo precoce di catturare elementi iperbolici può essere un'interpretazione data per "impedire turbolenza nell'analista": ne risulterà un'interpretazione astrusa.
"La interpretazione astrusa è connessa al desiderio dell'analista, un desiderio di sentire che egli può vedere più lontano dell'analizzando o da qualche altro che funge da rivale. Essa appartiene al campo dell'iperbole. Diametri troppo piccoli o troppo grandi indicano difesa dall'iperbole e proiezione di essa: la difesa è contro l'iperbole originata dall'analizzando" (Bion, 1965, p. 230).
Un'altra modalità possibile di difesa dall'iperbole è rappresentata dalla litòte, "figura retorica che consiste nell'attenuare un'espressione usando il termine contrario preceduto dalla negazione" (Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli) La Litote ha "un effetto di attenuazione e di eufemismo" (Remo Cesarani e Lidia De Federicis, Strumenti, decimo volume de Il materiale e l'immaginario, Loescher). L'interpretazione litotica è opposta a quella astrusa iperbolica ma ha lo stesso scopo: impedire turbolenza nell'analista; essa consisterà nel semplificare i discorsi, nello smussare i contrasti, nello sminuire ciò che vi è di esagerato. In chiave mitica essa si può collegare all'hybris di Palinuro nei confronti del Dio Sonno. Così Bion ci riporta il mito traendolo dal Vo canto dell'Eneide:
"Le ansie del padre Enea vengono alleviate da Nettuno, e la flotta approfitta della quiete seguita alla burrasca; viene dato ordine di navigare dietro alla squadra governata da Palinuro. I marinai vanno a dormire. Sonno si reca da Palinuro portando, all'uomo incolpevole, sogni cattivi. Sotto le spoglie di Forba egli siede a poppa e comincia a sedurre Palinuro, facendogli notare che è tempo di dormire, che il mare è tranquillo e favorevole e che lui, Forba, prenderà il timone, lasciando che Palinuro riposi. Palinuro risponde senza mezzi termini, respingendo indignato la suggestione di dormire con un mare così traditore, ed egli può rischiare la vita del comandante. Egli non lascia la barra del timone, né muove gli occhi dalle stelle con le quali si orienta.
Il Dio, allora, scuote sopra di lui la rugiada dell'oblio di Lete e lo scaglia nel mare, con tanta violenza che Palinuro si porta via una parte della murata. I suoi compagni non ne sentono le grida di aiuto ed egli annega. Enea si accorge che la nave straorza, e amareggiato per l'inettitudine di Palinuro, assume il governo della nave" (Bion, 1981).
Nei Seminari Italiani, dopo aver narrato la storia di Palinuro Bion si interroga: "Ora guardate la superficie calma e uniforme presentata da questo paziente - non ci sono elementi di rilievo. Cosa è successo alla tempesta?" (Bion, 1985).
La fedeltà non è sufficiente a Palinuro per salvarsi dalla catastrofe: è la sua litotica ottusità a perderlo; continuare a guardare le stelle in presenza del Dio è la colpa imperdonabile di chi persegue i propri fini ignorando il mondo circostante.
Possiamo concludere accostando Palinuro a quella parte di noi che si rifiuta di ascoltare ciò che vada oltre la tranquilla evidenza del visibile, nel vano tentativo di addomesticare o ignorare le lusinghe del Dio, segnale dell'avvicinarsi di una tempesta invisibile ma inevitabile.
Bibliografia
Bion W. R. (1965), Trasformazioni. Il passaggio dall'apprendimento alla crescita, Armando, Roma, 1973.
Bion W. R. (1970), Attenzione e interpretazione. Una prospettiva scientifica sulla psicoanalisi e sui gruppi, Armando, Roma, 1973.
Bion W.R. (1977), La Griglia in Il Cambiamento catastrofico, Loesher, Torino, 1981.
Bion W.R., Seminari Italiani, Borla, Roma 1985
Mc Dougall J.(1990), A favore di una certa anormalità, Borla, Roma, 1993.
Alessandro Americo
via del Circo Massimo 7
00153 Roma
NOTE
1 Per sottolineare l'eccezionalità di tale metodo di interazione citerò André Green che recensendo Cogitations (Int. J. Psycho-Anal. 1992 73, 585), ricorda che Bion, parlando con lui dei fraintendimenti ai quali può andare incontro l'invito ad astenersi dal ricordare e dal desiderare, ricordava che il metodo proposto da Freud di accecarsi artificialmente quando il materiale sembra essere troppo oscuro, è valido in determinati momenti dell'analisi, come quelli di impasse o quando il funzionamento psicotico è prevalente e non è quindi una regola di funzionamento ordinario.
2 Dal greco hyperballein 'lanciare (ballein) oltre (hyper)'.
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