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PSYCHOMEDIA
TERAPIA NEL SETTING GRUPPALE
Psicoanalisi di Gruppo


La dinamica del gruppo nel lavoro con le équipes di assistenza e i pazienti:
dal desiderio mimetico e la personificazione alla coesione con differenziazione

di Montserrat Martínez del Pozo (Barcellona)

(dalla Rivista KOINOS - Gruppo e Funzione Analitica)



Introduzione

Le idee esposte in questo lavoro sono basate sulle idee di Freud, Klein, Bion, W.R.; Corominas, J.; McDougall, J.; Esteve, J.O.; Folch, P.; Meltzer, D.; Resnik, S.; Tustin, ed altri autori postkleiniani. Nonché sulle idee di Girard, R., studioso delle opere di Shakespeare.

Ho presenti le forme di identificazione descritte in psicoanalisi: l'identificazione primaria, l'identificazione proiettiva, sia nel suo versante intrusivo come in quello comunicativo, l'identificazione adesiva, le posizioni - depressiva, schizoparanoide, ed una terza posizione a cui gli autori si riferiscono con terminologia varia (sensoriale, equazione simbolica, autistica-contigua, ecc.). Ed anche i presupposti fondamentali di Bion e le funzioni emotive della vita in famiglia: generare amore, favorire la speranza, contenere la sofferenza depressiva e favorire il pensiero, contro il suscitare odio, seminare sconforto, promuovere l'angoscia persecutoria e creare confusione, descritti da Meltzer.

Ho bene a mente la ricchezza del pensiero di René Girard, antropologo, storico, critico letterario e filosofo francese, che ci propone una nuova lettura di Shakespeare, ispirata ad una fertile teoria che lui chiama "Teoria mimetica o teoria della triangolarità del desiderio".

Talora, quando pensiamo nel ruolo che ha l'imitazione nello sviluppo ci soffermiamo maggiormente sugli aspetti esterni del soggetto, i vestiti, le forme gestuali e di espressione, che nella vita sociale favoriscono la riproduzione massiva di modelli spesso intrisi di gregarismo e di un insipido conformismo. Girard (1995) sottolinea la necessità di osservare con estrema attenzione la presenza di queste tendenze mimetiche, molto intense quando agiscono in rapporto alle qualità interiori. Una di queste, molto potente, è la forza del desiderio mimetico. Indubbiamente, l'imitazione avvicina le persone, ma è anche molto vero che le allontana. Il paradosso, con la sua straordinaria ricchezza, ci dimostra che la maggior parte delle volte i due fenomeni si presentano contemporaneamente. Ciò che unisce gli esseri che sperimentano gli stessi desideri e motivazioni è tanto potente che i loro vincoli permangono, inevitabili, quando sentono, nella loro fantasia, di poter condividere le illusioni e i desideri (spesso per via di una imperfetta differenziazione self-oggetto). Ma se tutto ciò crolla, quei vincoli di unione e spesso di affetto possono trasformarsi rapidamente e facilmente in rivalità mimetica, che spesso comporta rottura, frammentazione e odio. Tra la concordia e la discordia esiste una continuità che si rivela fondamentale, sia nelle opere di Shakespeare come nei tragici greci, e che costituisce una fonte inesauribile di paradossi e conflitti umani.

Seguendo lo studio di Girard sull'opera di Shakespeare possiamo pensare al desiderio suggerito o suggestionato, al desiderio invidioso, alla gelosia che nasce dall'amore per l'oggetto, al desiderio invidioso di emulazione, all'ossessivo, al desiderio di vita e quello di morte, così come ad una varietà di personificazioni ed una sfilata di maschere in cui i gruppi e gli individui esternano i loro aneliti più conflittuali.

Involontariamente, l'invidioso manifesta una carenza e una debolezza che tenta di dissimulare e che è una fonte inesauribile di vergogna che presto l'orgoglio provvede a reprimere. Tuttavia, se è pur vero che l'invidia favorisce dei potenti aspetti mimetici, è anche vero che in un'ampia gamma di stati psichici il desiderio mimetico favorisce una grande quantità di contenuti illimitati di evoluzione, di divenire in O (Bion). In parecchie sue opere, Shakespeare mette in evidenza Proteo, il dio della trasformazione e la metamorfosi, personaggio che incarna fortemente il desiderio mimetico. Nel "Sogno di una notte di mezza estate", questo desiderio si impone con una ricchezza incomparabile e ci mostra la sua influenza nella scelta di amici e di coppia (amare ciò che altri occhi scelgono, o d'amore per sentito dire). Girard ci porta ad approfondire nelle vicissitudini del desiderio e della motivazione, nell'interazione e nel transito reciproco tra i desideri individuali e quelli di gruppo, nelle nozioni di conflitto, violenza e sacrificio, ed in particolare nel sacrificio del capro espiatorio.

Nel lavoro di gruppo, abbiamo anche tenuto conto di due concetti (Folch e Esteve, 1992) che interagiscono in due diverse direzioni: da una parte, interpretiamo le manifestazioni individuali dei membri del gruppo in funzione di un pensiero molteplice di gruppo, e, dall'altra, interpretiamo le manifestazioni verbali ed extraverbali dei partecipanti come l'espressione degli oggetti interiori e le parti del self che si mettono in scena durante la seduta del gruppo. Vale a dire, applichiamo al gruppo i concetti di molteplicità della mente, di enclave e di psichismo stratificato, e ci serviamo della metafora del teatro, della scena e della messa in scena nei sogni, nella mente e nel corpo, nel senso di Resnik e McDougall. Il ruolo del cleavage più o meno accentuato tra il mentale ed il somatico lo vincoliamo al ruolo esercitato dalla persistenza di aspetti non verbali o pre-verbali non integrati.

In questa direzione, potremmo pensare a tre livelli di simbolizzazione: a) stati di scarsissima mentalizzazione, in certi casi persino a-mentali, in cui non vi è quasi possibilità di pensiero, e dove osserviamo una ricerca o mantenimento di certe precise sensazioni, b) diverse gradazioni protosimboliche, e c) piena capacità di simbolizzazione del conflitto affettivo.


Esperienze di gruppo con le équipes di assistenza e i pazienti.

Partendo dalle idee testé indicate, ho riflettuto circa le esperienze condivise in gruppi formati da: a) infermiere e medici che seguono malati con insufficienza renale cronica, b) pazienti adulti con malattie psicosomatiche croniche, e c) bambini con malattie psicosomatiche, alcune di queste croniche.

Con il passare degli anni, i pazienti cronici e le équipes di assistenza percorriamo assieme un quotidiano viaggio palpitante durante il quale proviamo molte e svariate emozioni: sentimenti di profondo sconforto, momenti in cui rinasce la speranza e l'accesso al significato, molteplici interrogativi ed una grande incertezza provocata dai nuovi ritrovati tecnici e dalle difficoltà di riuscire ad assumere tanto la malattia e la morte, quanto le vere possibilità che la vita ci offre. Viviamo le angosce provocate dai labirinti senza via d'uscita, reali o immaginari, che tanto spesso ci presenta il malato cronico, il sollievo del miglioramento, la tristezza per gli assenti, stati d'animo di una tristezza opprimente e di evidente inquietudine per il timore di non riuscire a riscattare dallo sconforto alcuni pazienti che, a volte, hanno bisogno di rifugiarsi nella rivendicazione ... Forse un po' persi nella foresta di tanti sentimenti e umanamente commossi per la sofferenza, i membri del gruppo di assistenza cercano un vincolo significativo che offra un senso vitale e un valore ad ogni istante della giornata.

Le terapie alternative per l'insufficienza renale: le diverse tecniche di dialisi e il trapianto conferiscono al vincolo assistenziale certe caratteristiche ben precise, nella misura in cui l'esperienza dei diversi disturbi e della sofferenza che li accompagna impegnano ad affrontare la malattia, il dolore psichico, fisico e relazionale in modo continuo, spesso intenso e prolungato.

Attualmente, alle soglie del nuovo millennio, ci troviamo sommersi da vertiginose trasformazioni nel campo della medicina, della società e della cultura, che ci costringono ad interrogarci a proposito di come le nuove tecnologie ci tocchino, nella parte più intima e centrale di noi stessi. Un insieme di fattori contribuiscono a fare del trapianto e dei nuovi ritrovati della tecnica, che comportano la dipendenza dell'uomo da una macchina, dei fenomeni medico-psichici, sociali, culturali e antropologici estremamente complessi, che costituiscono un chiaro appello alla riflessione. È nella pratica clinica dove si manifesta la disarmonia tra un progresso tecnico profondamente voluto e le palpitanti ambivalenze che tali terapie inducono, quando risvegliano un sistema magico primitivo che permane negli strati più arcaici della vita intrapsichica di ogni individuo e che talora acquistano le caratteristiche degli assunti di base.

Nel processo di donazione e accettazione/rigetto dell'organo che sarà o è stato trapiantato si mette in moto una turbolenza emotiva in cui si intensificano i sentimenti di amore e odio, mentre, allo stesso tempo, si pongono molti interrogativi riguardo al significato e al valore dei rapporti all'interno del nucleo famigliare, le fantasie di reincarnazione e della vita nell'aldilà. È in questa esperienza, tanto desiderata quanto insolita e temuta, dove nasce il senso di essere diverso, estraneo, il desiderio di reclamare e volere con urgenza qualcosa di tanto prezioso quanto sinistro, di rivivificare il nostro essere con un organo nucleare del corpo di un altro. È in questo momento che nasce un potente desiderio di ottenere da un donatore vivo, o morto, un rene, e contemporaneamente un senso di abbandono e di colpa vissuto in solitudine e spesso negato ... E vivendo l'incomprensione si esacerba il dolore per la malattia e la finitezza, mentre cresce la volontà di andare controcorrente rispetto agli altri. Quando invece soffrono senza speranza, senza intravedere una via di uscita, senza la capacità di consolarsi, nasce e s'intensifica la violenza dell'intransigenza e della trasgressione.

È allora che pateticamente osserviamo che, circondato da una tecnica che si trasforma ed evolve, l'uomo può diventare il grande incompreso, colui che desidera fuggire dal proprio risentimento e ostilità con la morte. Non deve essere un ingrato, a lui è stata data una parte essenziale del corpo di un parente oppure qualcuno è morto per aiutarlo. Ma, in quanto a tutte le sue perdite e carenze, chi ne parla più? : la funzione che aveva al lavoro, o in casa, il cambiamento di ruolo all'interno della coppia, le difficoltà nel formare una famiglia, o nel seguire degli studi, la metamorfosi della sua immagine corporea, o la sua biochimica sensibile e incontrollabile. Sulla base della nostra esperienza, riteniamo che la capacità di sostenersi in modo sufficientemente integrato in queste situazioni dipenda dal preesistente tipo di personalità e di psicopatologia del paziente, prima della comparsa della grave malattia, dal grado, qualità e tolleranza delle emozioni, ed in particolare dai sentimenti di colpa sperimentati dal gruppo di pazienti, équipe medica e parenti, nonché da un punto che riteniamo molto importante, e cioè il desiderio di conoscenza e l'amore per la cultura e l'arte.

Ma anche il dolore vissuto in solitudine, la fragilità, possono portare l'équipe e i pazienti a riscoprirsi reciprocamente solidali e aventi la volontà di coltivare nessi motivazionali, dato che esiste un momento in cui i pazienti sanno far caso all'équipe. Allora, la risposta si risolve in un bivio decisivo, e la drammatizzazione nasce nel desiderio di conoscenza, dato che la conoscenza comporta anche, ed in special modo in queste situazioni, un'esperienza di sofferenza. Il problema forse non risiede tanto nella mancanza di conoscenza bensì nella conoscenza illusoria, onnisciente, creata dal desiderio, una pseudo-conoscenza che entra in tensione e lotta contro la ricerca sincera di significato e l'amore per la verità, ed è fonte di gravi problematiche di gruppo e individuali. In questo moto di sistole e diastole, di comprensione e tensione, l'équipe trascende sé stessa in quanto movimento affettivo, emozione e vincolo, e si pone la sfida di conferire valore ad ogni istante. Nasce qui la stima nei confronti di un piccolo gruppo, in cui si tenta di contenere gli alti e bassi tra la cooperazione creativa, la routine neutra o distruttiva e gli assunti di base; e nei confronti di uno spazio in cui si tenta di comprendere, evocare e ripensare quello che sembra sempre omogeneo, favorendo così la ricerca delle piccole e varie sfumature in ciò che è stato finora invariabile, personificazione stessa della cronicità che smorza sempre l'ampio spettro delle possibilità espressive, negando ogni possibilità di cambiamento e quindi di libertà.

Quando l'équipe si sente accompagnata, questo spazio di gruppo si abitua a vivere come in un'esperienza motivante, dove la maggiore capacità di osservazione serve per prevedere le difficoltà e quindi per ripensarle e tentare di modificare, tramite la relazione, alcuni dei disturbi che fino a questo momento sembravano immodificabili e imprevedibili (cefalee, vomiti, ipotensione, giramenti di testa, ecc.), riuscendo anche a differenziarli da altri che sono o sembrano assolutamente inalterabili. Queste osservazioni più a contatto con la realtà generano un'atmosfera di corrispondenza e reciprocità tra pazienti ed équipe, tale da rendere più sostenibile ciò che è o sembra irreparabile. Allora la cura dell'oggetto si svolge con meno proiezioni e cresce un movimento di comunicazione più famigliare, una compagnia vivificante e identificatrice, come contrappunto del sempre presente sinistro. E qui constatiamo che il vincolo vivificante è anche mimetico e identificatore.

In realtà, quello che tentiamo di fare è aiutare a differenziare quei sintomi che, in modo difensivo, risvegliano nell'équipe il desiderio mimetico di allontanarsi dalla propria impotenza (e che, paradossalmente, li porta alla diagnosi difensiva di psicogeno), da quelli in cui si desidera prendere le distanze dal paziente come persona totale, senza capire bene i nessi dei sintomi con le molteplici perdite e cambiamenti subiti dai pazienti come conseguenza della loro malattia. Nei limiti del possibile, intendiamo tracciare la differenza tra i comportamenti medici e psicologici benefici per i pazienti, e quelli che invece rappresentano l'espressione dell'ansia e sofferenza dell'équipe. Ciò vale a dire, dei diversi presupposti fondamentali che servono il desiderio evitativo di non entrare in contatto con i limiti delle nostre conoscenze e capacità. Quei casi che mettono costantemente alla prova l'équipe e la famiglia, risvegliano in questi il desiderio della morte del paziente e, di conseguenza, sentimenti di colpa, che qualora non compresi e metabolizzati, tenderanno ad essere negati ed evacuati per mezzo di un aumento di prove ed esplorazioni non necessarie.

Dobbiamo aiutare le équipe a rinunciare al desiderio di onnipotenza, a beneficio di un vincolo più sincero e autenticamente interdisciplinare in cui vengano accolti tutti quegli elementi dell'esperienza che nascono dai legami di affetto e di conoscenza. Nel nostro rapporto con questi pazienti, dobbiamo cercare di tenere a mente il loro stato sia mentale che fisico, soppesando ciò che diciamo, come e quando lo comunichiamo, tenendo sempre a mente le possibilità di mentalizzazione, di rappresentazione e di comunicazione verbale di ogni paziente, soprattutto in quei casi in cui tendono a evacuare immediatamente, per via somatica, l'eccesso di dolore che, diventando insostenibile, si trasforma in rivendicazioni e somatizzazioni che si aggiungono e sovrappongono alla malattia.

La sofferenza fisica e mentale riporta al presente traumi e perdite precedenti, anche quelle di più antica data, per cui riteniamo necessario evitare un'emorragia di affetti, in particolare quando questa può derivare in un peggioramento psicofisico tale da ridurre le capacità simboliche e affettive e accrescere le diverse disfunzioni.

Si tratta di un'esperienza che ci ha permesso di constatare che il dolore e l'angoscia per la limitazione, la finitezza e la morte sono sempre diversi a seconda delle persone, e che anche nella stessa équipe o persona non si presentano mai allo stesso modo. È proprio questa specificità che ci separa e che, allo stesso tempo, ci riporta alla nostra stessa idiosincratica sofferenza, quella che ci spinge ad essere solidali con gli altri, lavorando per instaurare dei vincoli strutturanti che, accogliendo e ponendo in relazione tra loro le sensazioni più concrete fino ai pensieri più sofisticati, si costituiscono in catalizzatori di una complessa trama di significati e di un senso esistenziale proprio, ben differenziato, che può diventare un motore di creatività quotidiana, forse limitata, ma che apre delle possibilità.

Ciò che vogliamo stimolare è lo sviluppo di una comunicazione atta a promuovere la comprensione progressiva e modulata delle emozioni, nel contesto di vincoli crescenti per sincerità ed affetto che stimolino un rapporto personale il quale, a sua volta, possa incoraggiare a guardare là dove nessuno osa, a guardare in faccia la verità che si avvicina o chiama ogni paziente, sempre dal punto di vista della cura dell'oggetto interiore ed esterno, del corpo e dell'anima, per abbracciare l'unità.

Entrando in contatto con questo sconforto fonte di violenza trasgressiva, di un'agonia di abbandono senza confini, vorremmo identificare e coltivare tutti quei vincoli d'amore che generano la speranza, non maniacale, in tutte le persone coinvolte nella terapia. Siamo in contatto con un oggetto che è fragile e che ricorda e dimostra la presenza della finitezza, dell'intima frammentazione, un oggetto che ha qualcosa di irreparabile e profondo.

Queste vicissitudini generano il desiderio di fuga e il rifiuto, dal momento che ci immergono in stati d'animo imprecisi, difficili da oggettivare, in cui ci potremmo trovare tanto nei panni di salvatori eroici come nel ruolo di esuli. Ci troviamo in categorie estreme di vita e di morte, di presenza e di assenza radicali. Queste fluttuazioni nella vitalità del rapporto possono essere meglio contenute quando riusciamo a prenderne progressivamente coscienza e tentiamo di stabilire una comunicazione, nel contesto di un vincolo assistenziale in cui il nesso intelligenza e cuore, sede del sentimento originale, diventa un rifugio sicuro e sereno. Finché un giorno, in un momento che ci sembra incredibile, il rapporto diventa più affidabile ed allora, malgrado la malattia, comincia a sorgere l'alba della speranza.


Casi clinici: a) Il lavoro con il Gruppo di assistenza. Partecipano a questa seduta tre infermiere e tre medici.

A: (infermiera) In emodialisi ora c'è un paziente che non fa che raccontare barzellette spinte, e mi fa ogni genere di scherzi! Mi guarda in un modo che mi da molto fastidio, e oltretutto fa tutte le possibili trasgressioni dietetiche. C'è un altro paziente che lo imita, fa le stesse cose, e tra tutti e due mi innervosiscono; non so come rimediare alla situazione. Alla fine, tutti i pazienti ridono.
B: (infermiera) L'altro giorno, il Sig. X si è molto spaventato quando è scattato l'allarme della macchina, e tu non riuscivi a controllarlo, ma è vero, è un paziente fastidioso.
A: è spaventato, ne parlavamo l'altro giorno qui, con te, è vero (si riferiscono alla coordinatrice del gruppo). Ma non per questo deve farmi stare tanto male, raccontandomi delle barzellette così sporche e trattandomi così, da vecchio sporcaccione.
C: (medico) Anche io la penso come A, dobbiamo stabilire un limite e dirgli di lasciare le barzellette per quando sarà a casa. La verità, abbiamo tutti tanta pazienza, ma è difficile da sopportare.
D: (infermiera) Oggi ho un gran mal di testa ed ho dimenticato a casa degli appunti che volevo commentare riguardo a quello che mi dicono alcuni pazienti sulla terapia. Anche se forse sarebbe meglio non preoccuparsi troppo della terapia, dato che provoca loro tanti di quegli effetti collaterali che, finché non troveranno un altro farmaco alternativo c'è poco da fare, solo sopportare!
A: La penso esattamente come te.
E: (medico) Sono colpito da un paziente, il Sig. Z, che mi dice che vuole morire, non trova un senso alla sua vita, e io non so come aiutarlo, né che atteggiamento assumere quando sono accanto a lui.
Tutti dicono che per loro è molto difficile.

Coordinatrice: Mi pare che oggi siate particolarmente tristi e stanchi, ed è quindi più difficile immaginare che, pensandoci, si possa trovare una via d'uscita.

F: (medico) Sì, hai ragione. Sai, il fatto è che oggi è morta una paziente e ci sentiamo tutti male perché è morta la Sig.ra Z: tutti l'apprezzavamo e sentivamo affetto per lei, poteva morire qualcun altro, e non lei; comunque, sono cose sulle quali non abbiamo scelta.
A: (infermiera) Ha gli occhi lucidi, ma si trattiene.
B: (infermiera) Sono molto arrabbiata con un gruppo di medici, di un altro servizio, perché ci mettono tanto a venire quando li chiamiamo, e sia noi (le infermiere) che i pazienti stiamo male. Un medico, in particolare, dovrebbero cacciarlo via.
Sono tutti d'accordo nel sottolineare le negligenze di altre équipe.
B: è difficile: a volte si avrebbe voglia di lasciar correre tutto.
Tutti le danno ragione e dicono di avere troppo lavoro, e che i pazienti sono sempre più anziani e più difficili.
C: Stavo pensando al Sig. X: a volte ho provato a farlo parlare di sua figlia, che è incinta, e ho l'impressione che in questo caso non sia così pesante con le sue barzellette.
In questo incontro, in cui la sofferenza è tangibile, osserviamo molto chiaramente come riescono a mettersi d'accordo e a rassicurarsi a vicenda.


b) Un gruppo di cinque donne, alcune con malattie croniche ed altre con malattie classificate tradizionalmente come psicosomatiche.
Una delle pazienti, Miriam, spiega che i suoi genitori (diversamente da quello che fanno con sua sorella) la rendono dipendente, dato che non le danno uno stipendio adeguato nell'impresa di famiglia. Gli altri membri del gruppo, un po' mimeticamente, raccontano di esperienze molto simili. Una di loro, invece, parla dei vantaggi di lavorare con uno stipendio inferiore in un'impresa che forse, in futuro, sarà sua.

In momenti diversi della seduta, la terapista interpreta che esprimono un po' mimeticamente di aver vissuto esperienze simili. Questi vissuti forse simili possono essere meglio osservati se visti nelle compagne. Questo fa sì che si sentano unite, e così, tutte unite, prendono il coraggio di dirmi che io mostro favoritismo verso altri pazienti, e aderiscono ad una visione ben nota di sé stesse e del perché dei loro conflitti, che evita l'incertezza e la paura della libertà di espressione dell'esperienza di gruppo, esperienza che spesso hanno detto di ritenere dura.

Tutte rispondono trasferendo il conflitto all'esterno, e, ognuna a modo suo, dice di vivere esperienze molto dure altrove (sul lavoro, in casa o in dialisi), ma non qui. Spiegano anche i loro timori ed il bisogno che sentono di adattarsi ai medici, dato che sono loro che hanno la padella per il manico e potrebbero escluderle dalla lista dei trapianti. Subito dopo, compaiono le lamentele: loro seguono la dieta, e si sforzano, ma non migliorano quel tanto che sarebbe giusto dati gli sforzi.

Una delle pazienti riconosce di pensare che ci sono ancora cose che non osano dire. Alcune insistono sul carattere dominante di uno dei genitori. Una delle pazienti (la più anziana) protesta, e dice che lei ha fatto tutto il possibile per le figlie, e che ciononostante sono venute su molto male. Le dispiace per le nipoti, e insiste sul fatto che l'unica soluzione per la famiglia è il trapianto. Poi aggiunge: "Se non vedessi gli altri pazienti sarebbe diverso, ma proprio adesso ricordo una compagna di dialisi. Poverina! Mi diceva: questo non è vivere. Mi parlava di una sofferenza che l'accompagna costantemente, mette in discussione il fatto di vivere ... e si consuma. Non ha voglia di parlare, non ha nemmeno figli, e a lei piacciono molto i bambini, è stanca della dialisi e ha sempre tanto freddo .... Mentre parlava, si è sentita male. Per fortuna l'infermiera è venuta subito e ha regolato la macchina."

Miriam le dice: "Io non faccio la dialisi, ma quando mi prendono questi attacchi di panico anch'io vorrei morire. E non potrò nemmeno avere figli, né un compagno. E quando parli di tua figlia, io mi sento allo stesso modo, vi ho detto che ho anche sofferto di anoressia nervosa ed ero diventata dipendente dai diuretici. È la paura della morte, di un buco nero che t'inghiotte e che tu sai che è una strada senza ritorno, un senso di vuoto che ti fa sentire tanto male."
Juana: Bisogna riconoscere che noi genitori abbiamo la colpa di molte cose. I miei, lo sapete già, erano delle bravissime persone ma pensavano solo a lavorare, ed io ero sempre sola.
Miriam: Ma anche tu lavori tanto.
Juana: Non verrai a dirmi quello che mi ha detto mia suocera, che la morte di mia figlia è colpa mia.
Aurora: Queste cose vanno come vanno, anche io ho avuto un aborto, ma poi sono subito rimasta di nuovo incinta, e tutto è andato bene.
Juana: Pensare come ero sconsolata! Soffrivo moltissimo! Ma credo di averlo superato perché sono riuscita a togliermelo dalla testa. Non so cosa mi sia successo, poi cominciai a stare male e non vedevo più bene, ho perso molta capacità visiva. Dicono che la vista è peggiorata per via del diabete. Il diabete, i reni, e ancora! Mah, non so se parlare di tutto questo ci può aiutare un gran che. Quando passa la dottoressa dico di sì a tutto, ma ci sono giorni in cui non mi sento bene, e devo venire al pronto soccorso ... E le infermiere, ce ne sono di insopportabili, ma devo dire che ce ne sono altre che hanno abbastanza pazienza. Come va, va!! Ma succede anche a me, la cosa peggiore è la paura del buio, quando si fa notte, allora mi prende una grande angoscia: quando mi avvolge la notte, vedo la mia morte, e talora la morte ha il volto di mia madre. Se mia madre mi avesse seguito meglio. Non sento affetto per lei, e non l'ho perdonata.
Monica: Sì, e non mi sorprende che tutte beviamo più acqua di quanto dovremmo e non osserviamo la dieta, ma che, quando le infermiere ci sgridano, cominciamo a litigare tra noi come se fossimo ragazzine, e a dire che è l'altra quella che fa peggio, mi pare troppo!
Terapista: Adesso potete aver fiducia, e dire quanto avete sofferto e quanto soffrite! ...
Silenzio. Due persone del gruppo stanno piangendo ... Mi dicono che probabilmente pensano che tutte fanno e sentono cose simili ... che soffrono ... ma che poi va a finire che litigano.
Miriam: Mia madre dice sempre, e mi da fastidio, che io e mio padre litighiamo perché ci piacciono le stesse cose. Forse è proprio vero che io assomiglio più a lui di quanto non creda. Invece, con mia madre, andiamo abbastanza d'accordo.
In diversi interventi la terapista dice: Forse vi è difficile riuscire a pensare dal punto di vista dell'altra ... Comunicano che tutte sono un po' spaventate e sentono dolore, forse anche senza identificarlo chiaramente, e forse per questo sentono tutte insieme le stesse cose, chissà, magari per poter riconoscere quello che ciascuna ha dentro di sé per mezzo di quello che le altre comunicano. ... Mi dicono che trovano difficile esprimere un'opinione diversa, una prospettiva propria, dato che la sentono come un pericolo, temono che, se l'esprimessero, il gruppo non le capirebbe ... Ma forse questo specifico di ognuna di loro, quello che non osano guardare, è quello che le fa soffrire di più e le tiene sveglie di notte, per trasformarsi in paura del buio ...


c) Un gruppo di bambini affetti da malattie psicosomatiche

Tutti i bambini cominciano a disegnare, eccetto Alicia, che scrive un racconto.
Nel suo disegno, Gerardo illustra un vulcano che "rende felici gli uomini". Gli uomini entrano dal cratere del vulcano ed escono dall'estremo del tubo che finisce a terra. Il vulcano espelle anche dell'altro: terra, acqua, pietre. L'associazione è che gli uomini sono di tutti i colori, ma che tutti devono passare dalla stessa parte per finire sulla terra.

Enrique colora un poliziotto di nero e Gerardo dice che i poliziotti diventano angeli custodi.

La maggioranza di loro raccontano storie di guardie e ladri e Jaime ricorda che l'altro giorno ha visto i terapisti che parlavano con i dottori dell'ospedale. Immediatamente, Gerardo fa il disegno di un uomo che fa il karate. Poco dopo, cominciano a fare i movimenti di questo sport. Sono eccitati.

Jaime fa un uomo con molti muscoli nell'atto di sollevare dei pesi. Spiega che le righe rosse sono le vene che sporgono.

Si fa l'interpretazione cercando di avvicinarli alle varie intensità e sfumature del loro mondo emotivo, vincolando l'eccitazione con il fatto di aver visto i terapisti parlare con i dottori. Più avanti, si fa loro notare la loro curiosità per il processo della gestazione e della nascita, ed il timore che avvengano nuove nascite nel gruppo. Mimeticamente, si mettono d'accordo per fare dei rumori con la bocca che dicono che sono peti. Gerardo apre la porta del locale del gruppo e dice che va a vedere da dove escono i bambini, e dice: "guarda, guarda, un fantasma!" Poi entra in scena Fredy, e la paura di questo personaggio, che li obbliga a far cose che non vogliono. Evocano personaggi che diventano mostri e cominciano a fare magie dicendo: Abracadabra, compari!, Abracadabra, scompari! Tornano a fare molto rumore con la bocca (peti), ma, alla fine, riescono a concentrarsi sul racconto di Alicia. Un racconto che risveglia il loro interesse e che, dopo qualche discussione circa il ruolo che vorrebbero interpretare, decidono di rappresentare, dato che lo trovano molto divertente:

"Un giorno, due bovari e una bovara si alzarono e trovarono un libro su cui c'era scritto: "La magia dei fantasmi". Il libro cadde per terra e si aprì in una pagina che diceva: "Chi leggerà questa pagina subirà una maledizione", e divennero piccoli piccoli e si infilarono nel libro e seguirono un sentierino e, improvvisamente!: Oh! Un castello!, che era pieno di ragnatele ed era molto tenebroso. Compare uno zombie e scompare un bovaro, Enrique. E tutti cominciano a cercarlo. Ed Enrique appare e scompare e tutti rimangono a bocca aperta. Dopo c'era un uomo, che era metà uomo, metà uccello e metà fantasma, lo morse e divenne di nuovo uno zombie. Allora vengono Gemma e Tomás da una caverna e a metà strada caddero in un pozzo e trovarono una pozione magica per uscire dal libro, presero una fune e uscirono fuori. Diedero la pozione magica ai loro amici, se la bevvero e tornarono a casa".

Si sottolinea la sfiducia nei riguardi delle terapiste (Fredy) e il fatto che sentono l'essere tanto piccoli come un grande pericolo, un pericolo tanto grande come stare all'interno di un castello tenebroso, vissuti che anche adesso sperimentano nel gruppo.

Ora ascoltano ed Enrique può esprimere la propria confusione tra realtà esteriore ed interiore, e dice di aver paura di sognare e di rappresentare il racconto perché ha paura di essere morso, così come gli accadeva nel sogno della scorsa notte.

Dopo alcune interpretazioni dirette a differenziare la realtà interiore da quella esterna, compare un disegno molto significativo. Jaime voleva fare un robot ma gli è riuscito un personaggio con gli occhi rossi e una bocca con i denti, e ci dice: attenti! Dietro c'è una capretta. Poi, alcuni bambini prendono coraggio e raccontano che allo zoo hanno visto delle capre che allattavano i loro capretti.

Commentiamo che nel gruppo si nutrono della reciproca compagnia e anche di quello che capiscono, ma forse l'appetito aumenta quando devono aspettare una settimana per la seduta successiva.

Alicia dice che è vero e si mette a parlare del, e spiega che ci saranno sfilate di streghe, puffi e Paperino. Allora Jaime mostra un disegno:

c'è una pista e due pinguini che pattinano. Questi personaggi stanno molto bene, ma poi aggiunge che c'è una fontana con due pinguini che vorrebbero uscire ma non possono farlo. Dicono di essere dentro un uovo e domandano: chi sono, questi? Jaime dice: questo è Gerardo e questi siamo Gemma ed io. Sì, questi sarebbero i genitori e questo il figlio.

Quando la terapista fa notare che questi pinguini sono dentro l'uovo, si rendono conto dell'inversione e dicono: è a rovescio! Questi sono i figli e questo il padre!

Si conclude la seduta, riconoscendo che a tutti piacerebbe cambiare ruolo, poter essere qui gli psicoterapisti e, a casa, i genitori.


Qualche considerazione a proposito di queste esperienze

1 - Il vincolo vivificante favorisce la mimesi e i processi di identificazione. La funzione mimetica sfrutta i sistemi di identificazione adesiva e proiettiva per sviluppare i processi di simbolizzazione. In quella funzione mimetica in cui non predomina il sentimento d'invidia, che ha un carattere molto distruttivo, esistono elementi molto vivi e concreti atti a favorire una presa di contatto molto diretta. Ciò che viene attualizzato attraverso la mimesi si evolve nella propria realtà corporeo-mentale e trascende la conoscenza per divenire con maggior facilità in O.

2 - Nella terapia di pazienti con sintomatologia corporea esiste una dissociazione corpo-mente con persistenza di sensazioni e desideri corporeo-mentali non integrati della relazione di oggetto. Quando la funzione mimetica della personalità e la funzione gamma del gruppo confluiscono, diminuiscono la a-mentalizzazione e la dementalizzazione. Il verificarsi di processi di mimesi all'interno del gruppo può rendere più facile che i partecipanti si vedano riflessi gli uni negli altri, favorendo così una reciproca visione e comprensione che aumenta l'insight del loro mondo interiore. Tuttavia, questo desiderio mimetico può all'improvviso divenire rivalità e/o assunto di base.

3 - Il fatto di essere riuniti in gruppo intensifica le ansie e le difese radicali, rendendo maggiormente osservabili gli aspetti primitivi, bizzarri e idiosincratici di ogni singolo individuo (aspetti spesso compromessi negli stati psicosomatici e psicotici della personalità) mentre, allo stesso tempo, ne favorisce il contenimento e l'ulteriore comprensione, evitando così un'evacuazione che impoverisce e normopatizza i soggetti. Con Bion, Coromines e Meltzer, diremmo che si tratta di sensazioni, sentimenti, desideri e pensieri alla ricerca di un "gruppo-seno pensatore", generatore di vincoli significanti e vivificanti, orchestratore di una molteplicità e combinazione di oggetti che favoriscono che il vuoto di cesura, il terrificante buco nero, diventi invece un contenitore in grado di rivelare sentimenti diversi e complessi.

4 - Le teorie a proposito della sensorialità e il desiderio mimetico ci consentono di avvicinarci ad alcune esperienze che forse il paziente non è in grado nemmeno di sognare, e suggeriscono un dialogo tra gli aspetti pre- e post-natali dell'individuo, rendendo così possibili la nascita e lo sviluppo delle parti non nate della personalità.

5 - La capacità di personificazione e di proiezione e introiezione che mobilita un gruppo rafforza la trasformazione degli stati bidimensionali in tridimensionali, delle semplici sensazioni e desideri inconsci in sentimenti complessi, e favorisce la graduale presa di coscienza delle fantasie e conflitti non coscienti. Per questo motivo, riteniamo che il gruppo sia una tecnica particolarmente indicata per quei pazienti che presentano una mentalità tendente alla monodirezionalità, molto dissociati ed apparentemente privi di fantasia. Man mano che si svolgono le sedute, lo scenario del gruppo si trasforma in molteplici ambienti: onirico, pittorico, ludico, teatrale, e in ognuno di questi si fa eco della psicologia dei pazienti. Nella misura in cui i membri sono in grado di proiettare le proprie contraddizioni, paradossi e confusioni (oggetti frammentari y totali), e di distribuirli nei diversi personaggi, diminuisce il potere difensivo della proiezione e la sua problematica diventa più palese, concretizzandosi e visualizzandosi con maggiore nitidezza nello specchio vicino dei compagni; si propizia così il dialogo tra le diverse parti del proprio self. Tale dialogo favorisce l'oggettivazione e il successivo percorso di reintroiezione di quanto precedentemente proiettato e scisso. Allora, il timore più frequente è quello di vivere e rendersi conto che i diversi scenari del gruppo non sono altro che la drammatizzazione tra le diverse parti del proprio self, e che alcuni dei conflitti veramente importanti corrispondono con quelli creati in seguito alla perdita dei successivi travestimenti e maschere. I desideri impossibili di fusione, gli aneliti vietati o imposti, nonché quelli totalmente muti e sconosciuti vanno così acquistando nuova vita e parola, e a poco a poco si trasformano in linee, scarabocchi e strani personaggi che cominciano a parlarci e a trasmetterci sentimenti, e lo scenario del gruppo si costituisce gradualmente in un'alternativa della scena corporea. In esso scoprono quante diverse persone ospitano al proprio interno e quanto siano stati reiterativi i propri copioni e drammi ... e, a poco a poco, comincia a comparire un altro repertorio di personaggi ... si disfano di una maschera e immediatamente ne compare un'altra. Ora attori, ora pubblico, con l'evoluzione del transfert l'inconscio viene visualizzato nei sogni, nei disegni e nei giochi, a volte addirittura in forma estetica, e tali realizzazioni si vanno costituendo in vere e proprie rappresentazioni di un processo strutturato e creativo dell'inconscio. Quando poi accade di nuovo che non trovano le parole, né un altro strumento di espressione simbolica ed hanno un bisogno urgente di comprensione, fanno nuovamente ricorso ai gesti stridenti, all'iperazione o alle reazioni psicosomatiche. Gradualmente, l'ampio spettro di sentimenti si esprime e si cela sotto le molteplici maschere di ieri, oggi e domani, pur rendendosi conto che la fantasia inconscia, che è espressione di un rapporto di oggetto ripetitivo, si sta trasformando in un'immaginazione più libera e creativa, e possono quindi cominciare a comunicare ciò che non hanno mai potuto sentire né dire, e a recuperare le loro voci perdute, mentre con diverse rappresentazioni rivivono le molteplici e scisse sfaccettature dei loro esseri essenziali: la madre, il padre, i fratelli, i nonni ... e di sé stessi. I pazienti inibiti rappresentano con il loro sguardo il ruolo del pubblico, mentre si avvicinano a molteplici personaggi, vivendo una serie di emozioni fino ad allora dissociate o mai interiorizzate che possono così verificare o negare, come anche vivere la propria bisessualità in modo più creativo.

Il regista e lo psicoterapista del gruppo contribuiscono a mettere in scena quelle rappresentazioni e quei vissuti di altri tempi che, data la loro capacità evocativa di significato, continuano ad essere molto attuali e si legano alle problematiche odierne. Il tentativo di approfondire tutte le sfumature e la ricchezza del mondo interiore, in ciascuno dei diversi personaggi che nascono nel gruppo, porta all'introspezione e l'approfondimento degli aspetti ancora non noti o poco esplorati della propria personalità. Quando queste rappresentazioni simboliche si susseguono in uno scambio relazionale speranzoso capiamo che i pazienti sono in condizioni migliori per affrontare i propri conflitti ed avere quindi una vita forse più creativa in cui poter sviluppare vincoli progressivi di affetto e conoscenza, per i quali ha un senso vivere.


Bibliografía

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