IL BAMBINO, L'ADOLESCENTE E IL GRUPPOdi Pierre Privatrelazione presentata a Roma il Sabato 30 Maggio 1998 al convegno"Gruppi terapeutici con adolescenti"
La psicologia dei gruppi varia in rapporto all'età di coloro che li compongono, secondo la loro patologia mentale, secondo la cultura alla quale essi appartengono. Inoltre, una caratteristica fondamentale dei gruppi costituiti dai bambini è l'unione disimmetrica di adulti e di bambini. Questo distingue completamente i gruppi terapeutici composti da bambini dai gruppi terapeutici composti da adulti, presupponendo una riflessione teorica specifica, che consideri questa presenza dell'adulto vissuta diversamente secondo le età. Comunque, ci sembra evidente che tutti i fenomeni che emergono nella vita di un gruppo di bambini non sono necessariamente gli stessi di quelli riscontrabili nei gruppi degli adulti. Tuttavia, come accade per gli adulti, le relazioni del gruppo sono presenti nel corso dell'evoluzione della vita del bambino e dell'adolescente e la tendenza al raggruppamento presenta un carattere specifico già dalla più tenera età. Questo, sebbene le esigenze psicologiche e affettive peculiari sembrino opporsi alla nozione stessa di gruppo di pari nella tenera età. Infatti, le condizioni dello sviluppo nei primi anni collocano il bambino nel nucleo familiare a cui egli è fortemente legato, tanto che la separazione sembra addirittura impossibile (soprattutto dalla madre dalla quale il bambino sarà a lungo dipendente per la sua stessa sopravvivenza). Eppure, l'approfondimento dei lavori sull'origine della socializzazione esige di andare oltre il contesto delle sole relazioni madre o padre e bambino. Infatti, a partire dall'asilo nido, numerose e varie sono le interazioni tra lattanti ed è possibile che nascano delle relazioni stabili. A questo proposito, degli osservatori etologi, quali H. Montagner, hanno riscontrato tra i più piccoli delle caratteristiche che differenziano completamente la comunicazione dei bambini tra di loro dalla comunicazione che noi conosciamo tra loro e gli adulti. Tali interazioni non sono dello stesso tipo: tra bambini soli, si evidenzia piuttosto la scoperta comune dei giochi e dello spazio, la competizione e alcune manifestazioni aggressive, il cui scopo, all'interno di questi giochi, è di garantirsi un ruolo predominante o, semplicemente, di mettere alla prova le reazioni degli altri. Sembra che questo spazio di comunicazione debba essere una fonte di arricchimento molto importante, di apprendimento e di autostima che, se utilizzata nell'età adulta, può diventare un sostegno importante per la vita sociale. D'altra parte, quando le interazioni si producono con l'adulto, si tratta di comportamenti di affiliazione: richiesta di aiuto, rassicurazione, protezione sono i predominanti. D'altro canto, in presenza dell'adulto, i bambini abbandonano gli atteggiamenti interattivi che avevano prodotto quando erano soli tra coetanei, così da privilegiare i canali di comunicazione più specificamente socializzati e destinati all'adulto, che allora si generalizzano a tutto il gruppo di bambini. Ciò implica una certa perdita delle competenze creative del bambino che non potrebbe più così sperimentare tutte le sue potenzialità. Nell'età scolare, la proposta del "gruppo-classe" assorbe e soddisfa la quasi totalità dell'attrazione per il gruppo, che caratterizza allora la dinamica psichica del bambino; questo gruppo organizzato dall'adulto privilegia i comportamenti di affiliazione, tradizionalmente funzionali all'apprendimento, danneggiando spesso la creatività. Nonostante ciò, questo movimento è indispensabile per la socializzazione visto che esso partecipa al lavoro di desessualizzazione del pensiero, proprio della latenza, permettendo, quindi, un adattamento alla realtà. Facilitando l'apprendimento, l'insegnante è di aiuto alla scoperta del piacere del funzionamento dell'io. Tale aiuto è fornito attribuendo a tale scoperta un ruolo di sostegno narcisistico. I contro-investimenti narcisistici sono, in effetti, gli strumenti più importanti per la rimozione del complesso di Edipo. Al contrario, in adolescenza, è il gruppo di pari ad avere la responsabilità dello spazio di appoggio narcisistico e di supporto per l'identificazione. Per l'adolescente, si tratta di mettere in discussione la sua identità di figlio. Questo lavoro di separazione si svilupperà durante un percorso di disidentificazione rispetto agli oggetti primari come parti dell'io, anche se le funzioni e gli attributi dell'oggetto potranno essere mantenuti e reinvestiti nell'ideale dell'io. Eppure, come abbiamo potuto osservare, l'investimento del gruppo di pari marca, nell'adolescente, uno stato di crisi d'identificazione da cui, nel migliore dei casi, il gruppo dei pari lo aiuterà ad uscire. Quindi, il gruppo si può formare solo in seguito ad una presa di distanza nei confronti dell'adulto. Questa soluzione sembrerebbe essere per l'adolescente l'unica possibile per accedere all'autonomia. Così il gruppo gli permetterà di separarsi dal suo nucleo familiare. Per questo motivo, il riconoscimento e l'elaborazione del divario tra il suo ideale dell'io e quello del gruppo gli permetterà di costruirsi il suo futuro ideale dell'io e di accedere ad un'altra tappa della socializzazione, utilizzando l'ideale gruppale come sostegno dei suoi oggetti di identificazione. Rapidamente possiamo dunque concludere che il funzionamento in gruppo per il bambino può organizzarsi solo con un adulto; nell'età della latenza il gruppo durevole si concepisce solo in sua presenza. Più avanti, per l'adolescente, il gruppo si costituisce, il più delle volte, contro l'adulto. I GRUPPI TERAPEUTICI Riteniamo sia importante che il lavoro terapeutico di gruppo, a qualsiasi età, si possa appoggiare sullo sviluppo e l'elaborazione delle modalità di comunicazione più specifici tra pari, che l'adulto deve rispettare, favorendo tutte le interazioni di gruppo. Eppure, l'attitudine e le modalità di intervento dello psicoterapeuta dovranno considerare le peculiarità dell'investimento del gruppo nell'economia psichica dei giovani pazienti. In effetti, nei gruppi terapeutici, il rapporto adulto-bambino è mediato dal gruppo. Quest'ultimo ha un effetto tampone e il lavoro in gruppo permette l'elaborazione di questa relazione, visto che, fin da subito, si pone la questione della differenza generazionale. Tuttavia, a seconda delle età, questa differenza non pone gli stessi problemi. Come abbiamo osservato in precedenza, se il bambino prova della rivalità nei confronti dei suoi fratelli e sorelle, o dei suoi compagni di gioco, egli si trova in un rapporto del tutto diverso, sia di fronte ai genitori, sia di fronte all'adulto in genere. Il bambino domanda loro un riconoscimento attraverso il loro sguardo e le loro parole. Il bambino tende più facilmente ad imitarli e non ad affrontarli, mentre l'adolescente può soffrire una superiorità gerarchica dell'adulto, di cui non percepisce più una giustificazione. IL PROCESSO GRUPPALE A partire dagli anni settanta, la nostra ricerca, che verteva sui gruppi di bambini nell'età della latenza, ci ha condotto ad evidenziare un processo gruppale che ha reso possibile rilevare questa particolare posizione, che occupa l'adulto nella sua funzione terapeutica e soprattutto di individuare la sua evoluzione. All'inizio, il gruppo è percepito come un luogo non organizzato che mette in pericolo l'identità di ognuno, a causa della perdita dei propri punti di riferimento abituali. Questo primo periodo è molto angosciante, perché il gruppo è attraversato da fantasmi arcaici di vuoto, di frammentazione e di persecuzione diffusa. L'adulto è investito in una maniera contro-fobica, come oggetto di detenzione delle qualità delle quali l'io si sente privato; è l'inizio di un transfert di tipo narcisistico. A questo livello, la comunicazione è raramente laterale (tra pari). Se il bambino vuole stabilire un contatto privilegiato con l'adulto, tende ad escludere gli altri, cioè nega il gruppo in ciò che ha di minaccioso. L'atteggiamento di astinenza del terapeuta che non risponde al desiderio di ognuno e i suoi interventi gruppali permettono l'emergere di un fantasma che risuona in ognuno: esisterebbe un gruppo immaginario diverso dalla giustapposizione degli individui, che potrebbe produrre delle gratificazioni narcisistiche che il terapeuta deve rifiutare. I bambini cercano di unire il gruppo, e questo tentativo si traduce con il rifiuto di tutto ciò che sembra opporsi al suo funzionamento, pensieri, oggetti o persone. In seguito alla ricerca di un capro espiatorio tra di loro, è infine il terapeuta che diventa il luogo di proiezione di tutto ciò che li imbarazza. Il livello di angoscia diminuisce, il gruppo ne beneficia in coesione. Il terapeuta è, al tempo stesso, dentro e fuori. L'unità è rispettata, seguendo questo specifico funzionamento: da una parte i bambini, dall'altra, a maggiore distanza, il terapeuta, che non solamente contiene le loro proiezioni, ma permette, a livello collettivo, il disinvestimento del genitore dal ruolo di oggetto sessuale. I bambini esprimono così il loro bisogno di proteggersi contro qualsiasi tentativo di intrusione o seduzione dell'adulto, che rischierebbe di riaccendere il conflitto edipico e di aprire, nuovamente, la ferita narcisistica dell'incompletezza. Questa problematica della seduzione, spesso all'origine delle massicce difese nella psicoterapia individuale, in questo caso rinforza l'investimento sul gruppo. Questo movimento di desessualizzazione conduce alla creazione di uno spazio intermediario, propizio ad un vero e proprio incontro identificatorio. Esso permette, dunque, di trovare una giusta distanza che lasci spazio alle manifestazioni pulsionali, senza rimettere in discussione gli investimenti narcisistici. Il gruppo accede, allora, ad una fase nuova, tutti i membri sono associati all'unità di gruppo. In un momento di illusione gruppale, rendendo lo spazio gruppale privo di conflitti, i bambini negheranno, sia in rapporto ai sessi, che alla differenza generazionale, qualsiasi differenza che potrebbe essere sentita come attacco narcisistico. Questo movimento coincide con l'illusione gruppale. Questo stato, che noi possiamo considerare come un mezzo di lotta collettiva contro l'angoscia di castrazione e la depressione, permette l'investimento del gruppo come oggetto portatore delle gratificazioni narcisistiche, oltre che detentore di onnipotenza. Noi possiamo, a tale proposito, parlare di transfert sul gruppo, fantasmatizzato come una madre onnipotente, che dona a tutti i figli in parti uguali. I temi che vengono trattati rivelano che i fantasmi di indifferenziazione sono prevalenti perché negano, al tempo stesso, la differenza generazionale e la differenza tra i sessi. Questa situazione è recepita come ideale perché priva di conflitto e qualsiasi pericolo sembra essere evitato. Il gruppo, nel suo complesso partecipa e comunica in una atmosfera di festa. Questa fase è fondamentale perché lo psicoterapeuta ha l'occasione di favorire l'elaborazione di questo fantasma, grazie al lavoro interpretativo. In effetti, l'interpretazione di questo movimento difensivo permette una riorganizzazione delle relazioni adulto-bambino. Dopo questo incontro, le situazioni che si creano sono diverse da quelle precedenti. Abbiamo potuto evidenziare questi movimenti diversi utilizzando un dispositivo specifico: i gruppi sono chiusi, di una durata indeterminata e condotti in monoterapia. I gruppi sono misti e composti da 6 a 7 bambini. La terapia ha luogo una volta a settimana per 1 ora. Lo psicoterapeuta prende posto nel cerchio costituito dai bambini. Egli li invita alla discussione libera, dicendo che ognuno può "esprimere qui ciò che gli viene in mente". La parola prende così il significato di uno strumento privilegiato di comunicazione. Nessun materiale è proposto. D'altronde, è possibile ricorrere a delle sequenze brevi di gioco psicodrammatico quando l'importanza dei movimenti affettivi ostacola la simbolizzazione. Questo dispositivo, che noi abbiamo esteso agli adolescenti ed ai bambini tra i 5 e i 6 anni, aggiungendo qualche materiale da gioco per questi ultimi, ci ha dimostrato che, in funzione dell'età e delle patologie, l'adulto occupa un posto diverso... Come abbiamo già riscontrato nei nostri gruppi da adulti, questi momenti di incontro, dove lo psicoterapeuta-psicoanalista potrà, in un movimento di regressione controllata, lasciarsi immergere in un bagno affettivo ed emotivo del gruppo che elimina momentaneamente le barriere della differenza. Riteniamo questa una tappa essenziale dell'approccio terapeutico gruppale. I tre esempi che seguono mettono in evidenza le sfumature che sostengono questa affermazione in funzione della particolare situazione del gruppo, caratterizzata dall'età e dalle patologie. PRIMO ESEMPIO Un gruppo di bambini da 9 a 10 anni, seduti in cerchio con il loro terapeuta, si interroga sui motivi del silenzio che domina dall'inizio del gruppo. Siamo al termine della terza seduta. Qualche idea è stata esplorata, senza dargli seguito, come la timidezza, la difficoltà a trovare le parole per esprimere le proprie idee, la paura di dire sciocchezze o di compierne. Nathalie racconta che un giorno aveva fatto una sciocchezza insieme a delle compagne, suo padre la punì dicendole che in questo modo avrebbe imparato a riflettere. Dopo un periodo di silenzio, il terapeuta domanda: "Qui potreste quindi avere paura di dire delle sciocchezze e temere che io mi alteri come un padre severo?". Eric: "Non penso che lei sia cattivo". Ivan: "Io mi fido di lei". Poi, riferendosi più direttamente all'esperienza di gruppo, egli aggiunge: "Ma ci sono delle persone di cui mi fidavo a scuola, mi hanno aggredito e adesso non mi fido più, fortunatamente mio padre mi ha insegnato a difendermi". Una bambina fino a quel momento silenziosa nota, inquieta, che alcune persone si esprimono solo attraverso la violenza. Eric sottolinea, dubbioso, che effettivamente qui si potrebbe litigare. Nathalie decisa: "Quando ci conosceremo meglio!". Ivan: "E' vero che quando conosciamo il carattere degli altri, conosciamo i loro punti deboli e sappiamo come attaccarli. Ma, se colui che attacchiamo è amico di tutta la classe, c'è il rischio di avere tutti contro". Il terapeuta: "Questo è ciò che pensate che potrebbe succedere qui?". Christelle: "Ma lei ci difenderebbe?" e Ivan aggiunge: "Lei farebbe l'arbitro, non come nello sport, ma per impedirci di farci del male". Dopo qualcuno preciserà che il signor P. non è qui per incoraggiare la lite, ma piuttosto per raccoglierne i pezzi, per fare in modo che il gruppo si comprenda perché se c'è una lite ogni 5 minuti è inutile che esista un gruppo. Noi capiamo che attraverso questa breve sequenza di un gruppo costituito, per la maggior parte, di bambini su un versante di patologia nevrotica, l'adulto è immediatamente investito di una funzione limitante e protettiva. Egli deve essere abbastanza forte per proteggersi dalle conseguenze dell'aggressività che ostacolerebbe il funzionamento del gruppo. Egli è il punto di riferimento delle paure di straripamento pulsionale e di una eccessiva eccitazione legata alla rivalità, e alle angosce di abbandono, riattivate dalla gruppalità. Comunque sia, questi bambini possiedono un buon livello linguistico, essi possono interrogarsi sulla situazione, condividere le loro idee e presentare i loro fantasmi. Questo lavoro di simbolizzazione permette concretamente l'elaborazione ed evita il passaggio all'atto. Questo segnale specifico è sicuramente collegato al fatto che, in questo tipo di gruppo di bambini, la problematica nevrotica resta dominante. Abbiamo l'impressione che questi bambini abbiano già potuto interiorizzare stabilmente delle funzioni genitoriali sufficientemente differenziate che assicurino loro dei limiti interni affidabili. Ciò permette loro di integrare, quasi in modo naturale, la funzione contenente del quadro, come farebbe un gruppo di adulti. Si tratta di bambini con i quali il lavoro di gruppo sulla formazione del contenitore non è indispensabile e i contenuti possono, come vedete, essere affrontati subito. SECONDO ESEMPIO Il gruppi terapeutico è composto da 4 bambini, Alexandre, Anthony, Jimmy e Mathieu e dallo psicoterapeuta, ed è alla quindicesima seduta. Dopo una interruzione dovuta alle vacanze scolastiche, i bambini si ritrovano nella sala d'attesa e, molto eccitati, corrono verso la sala del gruppo. Quando il terapeuta arriva, i bambini sono già pronti a litigare per appropriarsi delle figurine degli animali messe a loro disposizione. L'elefante grande e quello piccolo hanno subito affascinato Anthony, che è un gemello, che grida: "Sono dei fratelli!" e oggi il coccodrillo, con una grande bocca aperta e denti aguzzi, attira tutti i partecipanti. Tutti lo vogliono, se lo strappano, ma il coccodrillo è solido. Quando, per ripicca, il coccodrillo viene buttato per terra con violenza, con un gesto di rabbia distruttiva, esso resiste e rimbalza. L'analista spera di trovare riscontro tra i 4 bambini, tutti sistemati in famiglie di accoglienza per l'"Aide Sociale à l'Enfance" e tutti con una problematica abbandonica. Allora l'analista tenta un intervento per mettersi in contatto con la colera che potrebbe essere stata "abbandonata" da molto tempo. Non si fa nulla, i bambini sono sempre più eccitati, ignorano la proposta dell'adulto e si ritrovano come indistinti in questo violento corpo a corpo. Confrontato con questo caos, egli vorrebbe utilizzare la sua autorità di adulto, ottenere un momento di calma visto che egli sa che i rumori si ripercuotono lungo i corridoi dell'istituzione... In tal modo egli non riprodurrebbe, allora, la condotta abitualmente repressiva degli adulti, con cui questi bambini si confrontano continuamente? Non significherebbe rispondere attuando una controidentificazione proiettiva della loro onnipotenza? Come è possibile essere psicoterapeuta e fare riferimento alla psicoanalisi in un simile momento? Egli si sente sprovveduto, impotente, non capisce più niente. Ma, ben presto, egli non cercherà più di capire, si lascerà invadere da un vago sentimento di abbandono. Ecco che allora il caos insorge nella sua testa, poi il vuoto...I bambini, che il terapeuta non vede più, continuano a litigare per il coccodrillo. Il terapeuta si ricorda dell'immagine di un altro coccodrillo di quando egli era bambino. Egli era stato turbato e rapito dal racconto del piccolo elefante disubbidiente che al margine del fiume Limpopo si era visto afferrare la cima del suo piccolo naso dal coccodrillo cattivo. Diciamo che è così che gli elefanti si sono ritrovati forniti di questa enorme proboscide. L'immagine di Mathieu che faceva finta, durante le sedute precedenti, di tirarsi su il pene in modo provocante si sovrappone a questo ricordo. Eccolo tornato nel gruppo! Il terapeuta capisce, in quel momento, che i bambini non litigano più e lo guardano incuriositi, il suo mettersi in disparte li riporta, forse, come se si trattasse di uno specchio, ai loro sentimenti di abbandono. Anthony è di fronte al terapeuta e sorridendo teneramente gli porge il coccodrillo! Stupito, egli si sente domandare: "Le piacerebbe sapere perché gli elefanti hanno una proboscide?". Ora i bambini sono seduti vicino a lui ed egli racconta una storia. Attenti, i bambini recitano la storia con tutte le figurine. Nelle settimane successive, la storia sarà richiesta, i bambini non si lasceranno, come se fossero legati da questo involucro narrativo. Progressivamente, nasce una attività di pensiero condivisa che si traduce, tra l'altro, nell'organizzazione di giochi e nella realizzazione di disegni comuni. Ma il piccolo elefante che disobbedisce, abbandonato dalla mamma, salvato e protetto dal gruppo degli animali, scapperà, sempre, dal cattivo coccodrillo, dopo tante peripezie. I bambini affrontano così la problematica dell'abbandono, contenuti dalla rappresentazione del gruppo, che è simbolizzato dal gioco con le figurine. Avendo scelto di riferire questo momento di un gruppo terapeutico di bambini di 6 anni che presentino delle patologie limite, noi vorremmo sottolineare questo doppio ruolo che lo psicoterapeuta/psicoanalista è condotto a rivestire, perché l'avvio di un incontro gruppale possa basarsi sulla condivisione degli affetti al di là della differenza generazionale. Questo momento di regressione permette di mettere in relazione l'infantile dell'analista con la problematica dei bambini. Per questa ragione, egli deve accettare di trovarsi di fronte alla regressione formale del suo pensiero, di fronte all'ignoto, perfino di fronte ad elementi disorganizzati. Il terapeuta non avrà timore di lasciarsi inglobare nel caos descritto durante la seduta presa come esempio. Vivendo questo momento di abbandono, senza rifugiarsi in qualche movimento difensivo, egli può avvicinare l'esperienza del vissuto dei bambini, confrontandosi con il trauma non conosciuto dovuto al disinvestimento nella figura materna. TERZO ESEMPIO Per ciò che riguarda gli adolescenti, abbiamo osservato che il gruppo di pari si forma contro l'adulto, con l'obiettivo di produrre una separazione dal nucleo familiare, troppo soffocante e che li infantilizza. Gli adolescenti si ritrovano a vivere tra loro un'esperienza vicina all'illusione gruppale. Nell'insieme, questa esperienza di onnipotenza tenta di annullare la distinzione tra i sessi, così come la differenza generazionale. Nel gruppo terapeutico, dove questa fase si sviluppa più rapidamente che con i bambini, il lavoro sarà basato essenzialmente sull'elaborazione di questa illusione e sul suo superamento. Tuttavia, la posizione dell'adulto è molto difficile da trovare: sia che venga rifiutato, sia che partecipi all'illusione tenendo un atteggiamento seduttivo da amico. Infatti, secondo la nostra esperienza, se il terapeuta assume il ruolo dell'analista che ascolta e che dà senso, gli adolescenti si ammutoliranno rapidamente durante tutta la durata della seduta. Al contrario, avranno il piacere di comunicare tra di loro, sia nella sala di attesa, sia per la strada, in assenza dell'adulto. Quando il terapeuta cercherà di avvicinarsi, partecipando agli scambi, i pazienti gli ricorderanno di mantenere la giusta distanza, come il successivo esempio vi dimostra. Dopo diverse settimane, in un gruppo di cinque ragazzi e di due ragazze tra i 14 e i 15 anni, tutti condividono la stessa esperienza con i computer e i videogiochi e utilizzano un vocabolario da esperti, come se si trattasse di una magica trasformazione, di fusione di personaggi ove è annullata la differenza generazionale... il discorso del gruppo evoca la totale onnipotenza. Nel momento in cui il terapeuta è ridotto alla mera funzione di spettatore, egli si confronta con un'altra cultura e si sente estraneo e, nel contempo, affascinato da un mondo a lui sconosciuto. Egli tenta, allora, di allearsi, chiede delle spiegazioni, gli adolescenti lo guardano sorpresi, come se si fossero dimenticati della sua presenza. A questo punto uno di loro gli spiega, molto gentilmente, che questi giochi sono destinati ai ragazzi, un altro aggiunge che sono giochi pericolosi per gli adulti, visto che se si fanno prendere la mano, poi, non sono più capaci di smettere e un altro precisa di aver sentito parlare di una persona che, per questa ragione, era divenuta pazza. E' evidente che ognuno resta al suo posto, nonostante lo scambio abbia un carattere ludico. Al termine della seduta, tutti stringono calorosamente la mano del terapeuta, dicendogli: "Alla prossima settimana". Più tardi, l'elaborazione dei fantasmi difensivi di onnipotenza sarà possibile grazie alle possibilità offerte dai videogiochi e dalle immagini virtuali. In occasione dell'assenza di un paziente, il terapeuta lamenta, sorridendo, l'impotenza del "Centro" che non possiede un computer abbastanza potente per riprodurre l'immagine virtuale della persona assente in modo che il gruppo sia completo. Ne seguirà un reale lavoro di analisi del funzionamento degli adolescenti, che potrà inserirsi nella dinamica gruppale. CONCLUSIONE
Con questi tre esempi abbiamo cercato di illustrare le posizioni diverse del terapeuta come adulto. Queste particolari posizioni considerano l'età e le peculiarità del funzionamento psichico dei giovani pazienti e, come abbiamo osservato, influenzeranno il metodo di intervento in modo significativo. In tutti i casi, al di là delle differenze, la capacità del terapeuta di mettersi, attraverso le proprie parti infantili, all'unisono con gli stati emozionali vissuti nel gruppo gli consentirà di tenere la giusta distanza, mantenendo sempre la differenza generazionale. E' a questa condizione che il processo gruppale potrà svilupparsi e acquistare un senso, sia nei gruppi terapeutici dei bambini che degli adolescenti. |