La Matrice Relazionale e la Psicologia del SéUn Possibile Approccio al Piccolo Gruppo a Finalità Analiticadi Laura SelvaggiIl presente lavoro si propone di valutare la possibilità e l'efficacia dell'applicazione alla terapia di gruppo analiticamente orientata di un modello relazionale complesso, che emerge da studi e riflessioni molto recenti. Le linee fondamentali di tale modello vengono ricostruite attraverso contributi teorici e clinici sviluppati in ambiti diversi, ma strettamente collegati. In particolare, i punti principali possono essere individuati in:
1 - Una visione moderna dello sviluppo umano, basata sui risultati della Infant Research, che evidenzia la presenza di una matrice relazionale, all'interno della quale il bambino realizza le sue potenzialità innate, in un processo di mutua influenza con l'ambiente. All'interno di questa matrice relazionale (o sistema-diadico) vengono poste le basi per le strutture fondamentali della personalità.
3 - Un approccio clinico intersoggettivo, che ridefinisce i compiti analitici in termini di esplicitazione e chiarificazione degli schemi primari di organizzazione dell'esperienza, che influenzano prereflessivamente il paziente.
4 - Una revisione del concetto di transfert, che si configura non più come uno "spostamento", ma come l'attivazione, nella situazione analitica, dei più precoci principi organizzativi dell'esperienza del paziente.
Il riferimento alla Psicologia del Sé media il passaggio alla terapia di gruppo, riproponendo in questo setting l'evoluzione del modello presentato. Sebbene Kohut si sia interessato ai fenomeni di gruppo solo nell'ambito della psicoanalisi applicata, le sue annotazioni sul Sé di gruppo rendono possibile l'applicazione del suo approccio anche al di fuori del setting duale. Le potenzialità esplicative e terapeutiche della Psicologia del Sé nel setting di gruppo vengono illustrate a partire dal confronto con la teoria di Bion. Il bisogno di oggetti-Sè e l'angoscia di frammentazione si dimostrano uno schema di lettura valida anche per Altri contributi (Bacal 1990; Stone 1992; Ashbach e Schermer 1992) evidenziano inoltre come i principali fattori terapeutici individuati dalla Psicologia del Sé risultino amplificati nel setting di gruppo. La presenza di più persone - e del gruppo nel suo insieme - aumenta infatti le opportunità di sperimentare quelle forme di rapporto di cui ciascuno dei pazienti ha più bisogno. Ad esempio, le relazioni oggetto-Sé di tipo gemellare o antagonista sono enormemente facilitate rispetto al setting individuale dalla presenza di un "gruppo di pari". La complessità delle relazioni nel gruppo non è priva di rischi per l'individuo, per questo si richiede all'analista una particolare attenzione per l'esperienza soggettiva del singolo membro.
Proprio in considerazione della difficoltà del ruolo del conduttore, alcuni autori propongono di esaminare separatamente i suoi diversi compiti in base ai diversi piani dell'esperienza e alle varie fasi della terapia. Ashbach e Schermer (1992) approfondiscono queste distinzioni, evidenziando come il lavoro analitico nel gruppo attraversi cinque fasi principali, ciascuna delle quali richiede all'analista specifiche modalità empatiche:
1. selezione dei pazienti
2. fase iniziale
3. transfert di oggetto-Sé ed intensificazione degli affetti narcisistici
4. interiorizzazione trasmutante e integrazione
5. fase finale L'approccio della Psicologia del Sé al setting di gruppo attribuisce dunque una notevole importanza allo stato soggettivo del singolo paziente. Nell'analisi di gruppo, però, l'oggetto principale dell'osservazione e dell'intervento è ciò che accade tra i membri, cioè le interazioni e le relazioni che li uniscono. L'idea di un approccio intersoggettivo e fenomenologico non è peraltro nuova nella terapia di gruppo. Già Foulkes nel 1948 aveva affermato che il concetto di individuo è un'astrazione, rappresentando in realtà ogni persona semplicemente un "punto nodale" di una rete sociale, dalla quale è fondamentalmente e inevitabilmente determinata. Questa linea di pensiero prosegue poi con l'introduzione del concetto di "matrice" (Foulkes, 1964), definita come il terreno comune del gruppo dal quale deriva il significato di tutti gli eventi e di tutte le comunicazioni.
Un resoconto clinico pubblicato dalla Harwood (1992) fornisce un bell'esempio di come l'attenzione empatica per l'intersecarsi delle esperienze soggettive dei partecipanti consenta all'analista di creare forme di intervento complesse ed efficaci. L'atteggiamento aggressivo di Charles nei confronti del gruppo può essere letto come un tentativo di sfidare i "terapeuti-genitori" affermando un proprio punto di vista. Andrew, invece, ripropone nel gruppo l'adesione totale alle regole stabilite da altri, in particolare a quelli che crede siano le aspettative dei terapeuti. Questa interpretazione non può essere però offerta direttamente, perché nessuno dei pazienti ha ancora condiviso con il gruppo la propria storia personale. L'analista decide di centrare l'intervento su Charles pur rivolgendosi all'altro paziente, ed osserva: <<Mi chiedo se il fatto di esserti impegnato nel gruppo, di esserti aperto, magari pensando che fosse ciò che si richiede ad un membro del gruppo, e vedere poi che qualcun altro non lo fa, non ti abbia fatto sentire che tu hai rinunciato a qualcosa, mentre Charles no>>. Andrew risponde affermativamente e confessa di essere invidioso di Charles per la sua capacità di non sentirsi obbligato a rispettare le regole. L'analista sottolinea inoltre, per Charles e per gli altri, che l'acquiescenza a presunte norme non costituisce un ideale del gruppo e che ciascuno può e deve cercare il proprio modo di farne parte. In questo modo riconosce a Charles il diritto ad esprimersi ed il merito per averlo fatto e, nello stesso tempo, presenta ad Andrew la possibilità di accettare il rischio di fare altrettanto In questo modo, l'analista dimostra come sia possibile intervenire accuratamente non solo sui singoli pazienti, ma anche sul contesto intersoggettivo: la compresenza di più piani nell'interpretazione corrisponde alla molteplicità dei mondi soggettivi coinvolti ed al loro complesso intersecarsi. In questo intervento, la Harwood ricapitola le due fondamentali strategie terapeutiche dell'approccio intersoggettivo, ovvero la trasformazione strutturale degli schemi disfunzionali e l'offerta di esperienze la cui mancanza ha prodotto un blocco nello sviluppo (Atwood e Stolorow, 1984).
Il modello relazionale presentato si configura quindi come una promettente linea di sviluppo BIBLIOGRAFIA ASHBACH C., SCHERMER V.L. (1992). The Role of the Therapist from a Self Psychology Perspective. In R.H. Klein, H.S. Bernard, D.L. Singer, Handbook of Contemporary Group Psychotherapy, International Universities Press, Madison, Connecticut. ATWOOD G.E., STOLOROW R.D. 1984. Structures of Sbjectivity: explorations in psychoanalytic phenomenology. The Analytic Press, Hillsdale, N.J. BACAL H.A. (1990) Object Relations in the Group from the perspective of Self Psychology. In B.H. Roth, W.N. Stone, H.D. Kibel, The Difficult Patient in Group, International Universities Press, Madison, Connecticut, 1990. BACAL H.A., NEWMAN K.M. (1990). Theories of Object Relations: Bridges to Self Psychology. Columbia University Press, New York, Oxford [trad. it. Teorie delle relazioni oggettuali e psicologia del Sé. Boringhieri, Torino, 1993.] BASCH M.F. (1991) Are Self-Objects the Only Objects? 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