II primo gruppo terapeuticodi Roberto Tomba*Sommario: - Pensare sfericamente - Cambiamento del setting e ricerca di una propria identità - Illusione gruppale e dinamica interattiva - Un episodio tratto dalla Bibbia - Fascinazione di una coppia messianica - Il gruppo diventa teatro politico Pensare sfericamente Ho indugiato a lungo su immagini sovrapposte del gruppo. Pur considerando si-gnificativi alcuni episodi, mi soffermavo in seguito su passaggi che ritenevo più indicativi di un percorso gruppale. Cercavo un punto di partenza, una traccia a cui fare riferimento, ma non c'è un'unica traccia: più tracce e più temi si intrec-ciano, si perdono, ricompaiono modificati, sfuggendo al tentativo di costringerli nell'andamento fondamentalmente lineare della trattazione scritta. Ho pensato spesso che mi sarebbe risultato più facile dipingere che scriverne. Da un lato mi accorgevo che il gruppo ci invita a pensare sfericamente, ci fa vivere l'atmosfera di un teatro dialogante dove molteplici ruoli cristallizzati nel tempo provano il piacere e la sofferenza di continui spostamenti. Sentivo le diverse voci che costituiscono il coro arricchire nello scambio le possibilità e le risorse di ognuno. D'altra parte, entrato nella rete delle relazioni, mi sentivo partecipe di un gioco di azioni e reazioni di cui mi sfuggiva l'origine. Anche se all'inizio, stimolati dalla curiosità e animati dal desiderio di progressi terapeutici, i pazienti sembravano interagire attraverso costruttivi scambi di autentiche emozioni, col passare del tempo si accentuava in ciascuno di loro la tendenza ad usare gli altri più che ad entrare in rapporto con essi; avevo a volte la sensazione scoraggiante che nel gruppo tutti collaborassero, ma per far scomparire, senza rendersene conto, il lavoro altrui. Direi che tra la fusione e l'individuazione mi sono anch'io smarrito, come i pazienti, nella confusione e nella crisi di identità. Oggi finalmente mi sembra di poter utilizzare un frammento clinico come punto di partenza di un percorso comunicabile. I sei pazienti, quattro uomini e due donne, hanno iniziato il gruppo provenendo da esperienze più o meno prolungate di terapia individuale. Mi riferisco ora al momento in cui il gruppo affronta la prima interruzione estiva e il cambiamento di residenza del terapeuta. Francesco ci racconta un sogno carico di angoscia: "La volta scorsa non sono venuto perché paralizzato dalle immagini persecutorie di un incubo: mi trovavo in una stanza, in una casa dove di stanze ce n'erano diverse. Ero circondato da insetti che sempre più minacciosi si avvicinavano e mi attaccavano. Non ero tanto terrorizzato dagli insetti provenienti dall'esterno, quanto piuttosto dal fatto che su tutto il mio corpo, là dove l'insetto esterno attaccava, faceva capolino un insetto interno ancora più ripugnante del primo, il quale mi strappava brandelli di carne... osservavo poi il mio braccio ricoperto come da una seconda pelle la quale, se distaccata, lo mostrava di nuovo integro e rinnovato." Le donne del gruppo, Ada e Marta, avevano chiesto a Francesco notizie sulla famiglia. Francesco ha oggi trent'anni; dopo la morte del padre e del fratello maggiore, vive con la madre e due sorelle più giovani; altre due di età superiore alla sua sono sposate con figli. E' laureato in Chimica e recentemente ha trovato un lavoro. "Non me ne parlate, non voglio più avere a che fare con quella gente .... mi sono accorto che non è più possibile dialogare... dopo la morte di mio padre le cose sono andate via via peggiorando e manca quella sorta di equilibrio che c'era prima". Sergio intanto aveva introdotto il tema delle donne. Quarantacinquenne, sposato e padre di due bambine in età scolare, è separato dalla moglie; soffre per questo, considera la moglie colpevole della situazione e meritevole di condanna; si sente tradito, abbandonato, unico difensore del legame ma-trimoniale che ritiene indissolubile. "Le donne poi... si lamentano sempre... sono noiose o difficilmente comprensibili ... tra uomini ci si intende meglio". Al termine della seduta Sergio ci aveva comunicato che, poco prima dell'interruzione estiva della terapia, sarebbe andato all'estero per valutare la possibilità di un trasferimento. E' laureato in Fisica e lavora per un'industria. "Allora pensi proprio di partire?!" avevano chiesto in coro. "Forse sì ... non ne sono sicuro". La conclusione era stata quella di trovarsi a cena per celebrare l'avvenimento. Nella seduta successiva, Giampiero, studente-lavoratore, ci aveva parlato di nuovo della propria omosessualità. "Ma tu cosa provi? come hai cominciato?" aveva chiesto Marta. Sposata con due figli, una femmina di diciassette anni e un maschio di circa quattordici, Marta ha oggi poco più di quarant'anni. Afferma di non essere innamorata del marito che considera un fratello; a volte sogna il grande amore e dice di essere affettivamente insoddisfatta. Dopo le prime sedute è riuscita a raccontare, confortata dall'ascolto del gruppo che le dimostrava sincero interesse e autentica disponibilità, un'ossessione che la perseguita fin dall'infanzia: l'idea di essere inghiottita dal water. E' sempre indecisa quando deve fare una scelta e si affida al marito che vive così come un padre al quale vorrebbe demandare ogni responsabilità. "E tu cosa provi con un uomo?... come si fa a dire?", aveva risposto Giampiero alla domanda di Marta. Luigi, il più giovane del gruppo, geologo in cerca di lavoro, turbato ed eccitato dalle esperienze di Giampiero, aveva finito col parlare di transessuali e si era detto: "C'è chi non se la sente di andare con un uomo, ma se l'uomo è anche una bella donna allora sì, caspita... ed è forse per questo che i transessuali hanno tanto successo!" Ada aveva immaginato un gruppo alternativo (cioè senza il terapeuta) che si trovi fuori dalla stanza della terapia. Ha circa quarant'anni; dopo la morte della madre vive col padre col quale spesso si scontra discutendo ferocemente. "Forse qui siamo più incerti, meno spontanei... vedo che davanti al portone, in dieci minuti di strada, ci diciamo tante cose... chissà, se ci trovassimo insieme a mangiare una pizza...". Anche da queste considerazioni era nata l'idea della cena di addio a Sergio. Il sogno di Francesco mi è sembrato utile come punto di partenza per alcune considerazioni. Siamo al quarto mese di terapia, mancano circa due mesi all'e-state e ho annunciato da tempo il cambiamento di casa. Il gruppo ha già vissuto ed espresso attraverso comportamenti, fantasie e sogni, momenti di intensa fu-sione e idealizzazione che descriverò in seguito. Ora pare essersi arenato in u-n'atmosfera che definirei mortifera, dove, più che una depressione come fase preparatoria di un momento riparativo e responsabile, dominano il senso di im-potenza, il pessimismo e la sfiducia. Francesco, mediante il sogno degli insetti, sembra farsi portavoce di questi stati d'animo. Sergio si era lamentato delle don-ne: "Queste donne sono una 'lagna' e non si esprimono mai con chiarezza". Poi-ché però le donne fanno i bambini, Francesco si identifica con una madre che fa bambini insetti: emergono brandelli, pezzi di fratelli. Francesco si era lamentato della propria famiglia, delle donne di casa: "Non parlatemene... non si può dia-logare, non mi fido più". Ne emerge l'immagine di una madre molto deteriorata, che non ha saputo mantenere l'equilibrio familiare dopo la morte del marito (il capo famiglia). Sappiamo da Francesco, che ce ne aveva parlato piangendo, che il fratello è de-ceduto in un incidente stradale proprio nel momento in cui stava uscendo dalla tossicodipendenza. Francesco aveva allora tredici anni e il fratello diciannove. In piena adolescenza, la separazione-individuazione attraverso il rapporto con un fratello maggiore, meccanismo che ricalca normalmente quello vissuto con la madre, è stata rivissuta ma drammati-camente interrotta. Il sognatore si riferisce però anche al gruppo terapeutico che viene considerato una cattiva madre perché anziché corpi interi partorisce bran-delli, soprattutto ora che il conduttore (capo famiglia) minaccia di abbandonarli. L'interruzione estiva, accompagnata dal trasloco, suscita immagini di rottura del corpo gruppale. Ognuno sente in pericolo l'unità della propria persona: la difficoltà del vivere il gruppo non si era ancora espressa così intensamente come attraverso questo sogno. Francesco infatti ci dice che i pazienti non si vedono tanto morti, quanto piuttosto in disfacimento. Le immagini della morte e della nascita sembrano poi dissolversi: tutti infatti desiderano incontrarsi per festeggiare Sergio che se ne va. Il quale però, morendo in tal modo al gruppo, annunzia la propria partenza prima dell'interruzione estiva preannunciata dal conduttore: per non sentirsi abbandonato sarà lui ad abbandonare noi, pazienti e terapeuta. L'aspetto transferale del rapporto col terapeuta e con i fratelli del gruppo si evidenzia in molteplici ambivalenti significati: l'abbandono, come tale è sentita infatti l'interruzione, trasforma in male ciò che è stato concepito. Entriamo inoltre nel mondo della confusione, dove vale tutto e il suo contrario, dove la vita può essere morte e viceversa: la pelle del braccio cade sì, ma nello stesso tempo si rigenera. Inoltre l'uomo può essere anche donna: infatti Luigi, attratto dalla confusione che lo trascina all'onnipotenza, dice che forse è per questo che i tran-sessuali sono affascinanti. La notte seguente la seduta, anch'io come Francesco feci un sogno: ero in cam-pagna, camminavo sull'erba di un prato verso il luogo stabilito per una riunione. Poi vedevo alcune croci, cinque o sei; mi rendevo conto allora di essere in un piccolo cimitero. Nel momento in cui nel gruppo compare un sogno, esso non è più del singolo individuo, e anche il sogno del terapeuta serve a comprendere i problemi del gruppo. Con questa riserva di significato, portata dalle immagini dei sogni, il gruppo esprime e definisce la posizione in cui si trova, per cui il sogno in gruppo diviene sogno di gruppo. La rigidità dell'atteggiamento lamentoso e ripetitivo di Francesco nei confronti della famiglia viene sbloccata dal sogno angoscioso che segnala anche un cambiamento nel gruppo. Gli insetti esterni sono i fratelli del gruppo che fanno paura, quelli interni sembrano essere le parti più o meno ignote di sé, evocate dall'impatto con gli altri. Come fidarsi di un conduttore (capo famiglia) che ci abbandona e cambia casa? che se ne va, come mio padre quando è morto? Come fidarsi di un gruppo di fratelli che potrebbe lasciarmi solo come fece mio fratello quando morì? Come fidarsi del gruppo come contenitore materno? con mia madre e con le mie sorelle non riesco più a parlare... litigano tra loro per l'eredità della casa... e mi lasciano solo. La solitudine viene sentita come abbandono. E infine come fidarsi delle proprie reazioni, dovute a parti di sé che appaiono ignote, che affiorano maligne alla coscienza attraverso il rapporto con gli altri, e che a volte sembrano anche parti morte? Il corpo gruppale, non solo quello di Francesco, rischia di andare in pezzi. Francesco riconosce di aver desiderato disertare anche la seconda seduta della settimana, ma aggiunge di aver superato lo scoraggiamento e la depressione pensando che, riferendoci il sogno, avrebbe potuto capire il perché di questo incubo. Tutti riconoscono e rivivono un'atmosfera depressiva, la tentazione della rinun-cia: Sergio potrebbe lasciarci per motivi di lavoro, così ci ha detto; Ada propone perfino un controgruppo; Luigi ha "trovato la ragazza" e per una settimana andrà al mare, come a precisare che lui, sia chiaro, non è omosessuale; Marta aveva manifestato, qualche tempo prima, un atteggiamento di rinuncia e diniego: "tanto non cambierò mai, non c'è nulla da fare, avrò sempre le mie paure e incertezze, i miei complessi di inferiorità". Veniva espressa in tal modo la resistenza a mettere in discussione la propria identità. La sofferenza solitaria è così preferita alla possibilità di realizzare un cambiamento attraverso la relazione con l'altro. "Forse è meglio uscire dal gruppo". Le croci del mio sogno rappresentano dunque i pazienti che minacciano di abbandonare il viaggio iniziato insieme. Il campo gruppale si è trasformato in un camposanto. Cambiamento del setting e ricerca di una propria identità Mi pare necessario rendere conto degli stati d'animo che il conduttore alla sua prima esperienza vive contemporaneamente ai pazienti. Il mio atteggiamento stava faticosamente cambiando: abituato alla terapia individuale - il cui assetto rischiava di pormi in quella che sentivo come una sorta di nicchia protettiva, pur condivisa col paziente - mi vedevo ora costretto ad una condivisione allargata, a una sempre più rapida messa in gioco della persona, a un confronto con l'altro che mi sembrava lasciar poco spazio all'atteggiamento di attesa per una meditata interpretazione. Mentre, durante la terapia individuale, mi trovavo a lottare assieme al paziente per integrare l'inconscio nella coscienza di entrambi, mi vedevo ora impegnato soprattutto nel costruire, insieme ai membri del gruppo, una rete di comunicazione. Riguardo al sogno che chiamerò "degli insetti", prima Marta e poi tutti gli altri, compreso lo stesso sognatore, sottolineano l'immagine della pelle che si rigene-ra. Sappiamo che l'io è innanzi tutto un Io-corpo e, poiché la mente si costruisce sull'esperienza del corpo, emerge nel gruppo la possibilità della ricostruzione e della rinascita: il gruppo oscilla tra distruzione e costruzione, a dimostrazione del fatto che la nostra mente necessita di questo andirivieni tra diversi punti di vista. Scopro finalmente, e aiuto il gruppo a scoprire, che dalla confusione non deriva necessariamente il panico, ma anche la possibilità di utilizzare energie fino a quel momento nascoste. Vorrei ora riprendere il viaggio terapeutico descrivendo quattro sedute che ri-tengo rappresentative del periodo iniziale. Accostandole, mi pare di riconoscere alcuni temi che i pazienti andavano via via individuando ed elaborando: nostal-gia della terapia individuale, passaggio dall'individuo al gruppo con idealizza-zione del medesimo, crisi d'identità costantemente presente. La prima seduta è quella in cui si ricordano i genitori morti. Francesco si pone e pone agli altri la domanda: "Che significa fare una psicoterapia di gruppo? io ho iniziato curioso e fiducioso... ora però non so più perché ... sì, forse per conoscermi meglio"... Procede a tentoni e a volte astrae. Marta lo riconduce alla concretezza mostran-dosi colpita dalla sua ammissione di essersi lasciato prendere dall'alcool per un periodo e lo apprezza per la sua sincerità. Francesco riprende il tema del bere e poi riferisce sulla morte del padre. Giampiero interviene: "Ora sarai tu il capo-famiglia!" "Anche tu, come mia madre, a ricordarmi questa storia del capofami-glia... mia madre e le mie sorelle non sono bambine!" A questo punto Marta ci racconta la morte di sua madre, dopo la quale i due fratelli l'avevano fatta quasi sentire come la moglie del padre: "Ho dato una mano per un po' di tempo ... poi ho detto basta!" Fra un intervento e l'altro ci sono lunghi silenzi densi e pensosi. Mi sembra che cerchino di uscire dal ruolo vissuto in famiglia e tentino la ricerca di una propria identità, esitanti però a individuare nel lavoro di gruppo una strada "sicura" in tale direzione. Marta parla della sua assenza durante la seduta precedente, e gli altri, di riman-do: "Abbiamo sempre parlato di te, e anche male; ora ti sei persa una seduta e ti manca un pezzo di strada". Attraverso simili battute, ora serie ora scherzose, tra-spare l'inizio di un gioco tra fratelli. Marta era stata in palestra a lezione di psi-comotricità: "Là si possono fare tante cose, ci sono giochi di legno e palloni co-lorati; soltanto alla fine si può parlare, se lo si desidera". Durante queste lezioni ha incontrato e conosciuto un altro partecipante; aveva avuto con lui un contatto schiena a schiena che l'aveva molto emozionata. Le sarebbe piaciuto rivederlo. "Dunque - dico - Marta non è venuta alla seduta di gruppo per andare a quella di psicomotricità, con il desiderio di stare ancora "schiena a schiena con quell'uo-mo .... una posizione che ricorda quella lettino-poltrona delle sedute individua-li". "Sì, ma lui non c'era più e sono rimasta delusa ... ora sono di nuovo qui, a parlare con voi". Attraverso il ricordo dei genitori morti, i pazienti sembrano ri-conoscersi in una situazione di orfani che devono cavarsela da soli. Prima il te-rapeuta era guardato come genitore, ora sembra avvenire uno spostamento verso una posizione nuova in cui si guardano anche gli altri, a volte come fratelli. Qualcuno è uscito però dal gruppo per ritrovare un rapporto a due, ma non lo ha più trovato... ed è poi rientrato nel gruppo, questa strana cosa in cui il terapeuta non è più quello di prima... è forse morto? In un'altra seduta Marta immagina che tutti insieme facciamo un bei viaggio, magari in aereo, di cui lei ha paura: "Ci siamo proprio tutti e il più debole viene aiutato dai più forti". Sergio ritorna sul significato del gruppo: "Un gruppo di lavoro, per esempio, è quello il cui fine è costituito dal maggior rendimento, la riuscita di un prodotto, e allora è necessario l'affiatamento... e poi in gruppo si costruisce via via". Luigi aggiunge che nei gruppi però c'è anche chi lavora in modo sotterraneo, subdolamente: "Dici bene, Sergio, ma io sono stato ingannato perché qualcuno lavorava 'contro'" e allude ad un'esperienza che lo ha visto impegnato in campo politico-sociale. Giampiero e Francesco riconoscono la possibilità del boicottaggio di chi lavora controcorrente: "allora però è necessario difendersi e organizzarsi meglio". Ritengono inoltre importante l'interazione, ma questa parola magica rimane per il momento sospesa nel vuoto, non assume ancora un significato. Ada ci dice che, da quando ha iniziato la terapia di gruppo è tanto contenta perché sente meno faticosa la socializzazione, altra parola che non si riempie di contenuto. L'intervento di Ada ha il tono di una dichiarazione appositamente costruita per gratificare il conduttore e accattivarsi la benevolenza dei compagni di strada; non lo sento autentico, ma mi limito a registrare la sensazione per ripensarci in seguito. Marta riprende: "A me piacerebbe che qui, al centro della stanza, ci fosse un recipiente ... una sorta di trottola con luci intermittenti; ognuno dovrebbe depositarvi un biglietto, da leggersi però senza sapere chi lo ha scritto". Quella del gruppo, dunque, non sembra una dimensione facilmente definibile: si riconosce l'importanza dell'interazione, anche se non ne abbiamo chiaro il significato; la cosa migliore sembra quella di lavorare per costruire via via che si procede, però con attenzione, perché ci può essere chi lavora 'sott'acqua' e cerca di boicottare: Luigi si fa portavoce della diffidenza. Ada ci rassicura informandoci sulla sua buona socializzazione, ma il tono non è convin-cente. E, per finire in bellezza, Marta descrive il proprio sogno ad occhi aperti tacitando ogni timore: "Come sarebbe bello fare un viaggio tutti insieme e giocare con luci, trottole e bigliettini, purché anonimi, perché non si può mai sapere. L'importante, comun-que, è volersi bene". Veniamo così tutti collocati in una sorta di paradiso terre-stre. Nella terza seduta. Luigi telefona dicendo che non ci sarà perché dovrà recarsi al funerale di un parente. Giampiero riferisce che i suoi amici di Israele si trovavano nel supermercato dove è scoppiata una bomba e l'hanno scampata 'per un soffio'. Si parla allora della guerriglia tra Israeliani e Palestinesi. Marta sente la mancanza di Luigi: "Ha una faccia allegra che mi mette di buon umore". Era già accaduto che qual-cuno mancasse, ma questa volta Giampiero lo propone come problema: tutti partecipano. Viene rilevato che nei casi precedenti l'assenza era dovuta alla scelta di un altro gruppo: quello di psicomotricità per Marta, quello del volontariato sulle ambu-lanze per Francesco. Avverto un attacco al gruppo terapeutico e lo faccio notare: "Forse là si combinava qualcosa di utile, qui invece si fanno solo delle chiacchiere!". Attraverso critiche e confronti, cominciano a farsi strada atteggiamenti polemici ed aggressivi. Non è forse casuale a questo punto una discussione tra Ada e Ser-gio a proposito dello sperimentare: Sergio dice che gli piacerebbe sapere le cose in anticipo, Ada invece preferisce sperimentare. Sergio porta ad esempio il ge-lato alla fragola e cioccolata: "Io so già che è sicuramente cattivo". Ada ribatte: "e chi lo ha detto ?! per me può darsi che sia buono e, se non provo ad assag-giarlo, non lo saprò mai". Sergio di rimando: "per sapere qualche cosa preferisco non provare delusione e dolore". Giampiero cita allora Leopardi, dicendo che la vita è dolore, anzi è noia tra un dolore e l'altro. Il cambiamento del setting, da quello individuale a quello di gruppo, suscita a-spettative e timori; c'è allora chi afferma di voler affrontare le novità sperimen-tando con entusiasmo e chi preferisce invece rinunciare per non rimanere deluso e addolorato. Mi pare tuttavia che il lavoro di gruppo sia possibile: ci sono mo-menti in cui tutti partecipano ai giochi. Gli attacchi al gruppo si esprimono me-diante le assenze, le fughe attraverso il passaggio a gruppi alternativi, la dipen-denza attraverso un'intensa nostalgia del rapporto duale; poiché questi compor-tamenti denunciano una certa resistenza e regressione ne deriva una riluttanza a scoprirsi: infatti qualcuno consiglia messaggi anonimi; contemporaneamente è pur vero che si sta mettendo in comune qualcosa di ricco: un mondo infantile si pone al centro dell'attenzione, il gruppo e il conduttore sembrano buoni, ma allo-ra c'è avidità e rivalità per appropriarsene: la discussione tra Ada e Sergio può essere letta anche in questo modo, cioè come una disputa per sottrarsi il gelato. Rimane tuttavia il dolore per la perdita e infine la noia (Leopardi citato da Giampiero). La noia rappresenta spesso una difesa nei confronti di sentimenti distruttivi troppo forti. Viene evocata infatti la morte che è anche quella del te-rapeuta: Giampiero ci parla delle bombe esplose in Israele e Luigi è stato a un funerale. Ma la morte va tenuta lontana mentre si costruisce un gruppo e, poiché tale costruzione deve essere un buon lavoro, è necessaria una certa utopia, anche se andrà filtrata, s'intende, attraverso la sofferenza del limite. Illusione gruppale e dinamica interattiva Pare che il momento sia ormai propizio alla nascita del gruppo, il quale, se mo-stra mancanza di cooperazione e incapacità organizzativa, mobilita tuttavia le proprie forze nell'atteggiamento di una costante opposizione alla morte. Mi sembra che in alcuni tratti, dove prevalgono le descrizioni dei giochi condivisi, gli aspetti superegoici siano molto ridotti: c'è un clima gioioso che appare godi-bile, un lavoro che si contrappone alle pur forti resistenze. Nell'ultima seduta di questa sequenza, Luigi comunica al gruppo di sentire un forte appetito e descrive piatti prelibati collocati al centro della stanza. Marta, stimolata da queste immagini, vi associa un sogno: "C'è un albero in mezzo a un prato; dai suoi rami pendono frutti di diversa forma e colore: mele, pere, una pesca, una banana, una fragola..." Ne vengono sottolineate le diverse qualità e tutti concordano nel ritenere che questo sogno allude proprio al gruppo. "Sì, i frutti diversi dello stesso albero siamo noi", dice Giampiero. "L'illusione gruppale", come un fantasma che da tempo si addensava, compare sulla scena: i pazienti mi informano, attraverso il sogno di Marta, di sentirsi parte di un gruppo che si è generato da sé. Dal sogno "degli insetti" portato da Francesco, emergono ora ulteriori contributi: diversi inconsci minacciano lo smembramento dell'identità individuale; turbati, i pazienti si raccolgono intorno ad un tronco comune. Fusi a preservare un'identità di gruppo, non si rendono conto del fatto che la pesca e la banana non possono essere nate dallo stesso albero. La dinamica dell'interazione si fa più evidente, l'affetto dell'uno viene raggiunto e toccato, a sorpresa, da quello dell'altro; ciò che 'muove' è l'intensità del vissuto di ognuno reciprocamente trasmessa. C'è la possibilità di farsi coinvolgere dalla vita mentale altrui, incontro che impone l'accettazione di stati d'animo anche silenti o di scoperte inquietanti. Ada, infatti, riferisce un sogno: "Avevo perso la borsa ed ero preoccupata, non tanto per il denaro, quanto per i documenti. Sono venuta dal dottore a chiedere consiglio e lui mi ha mostrato un gatto ricoperto da un panno, gli occhi erano dipinti sulla stoffa e quelli veri rimanevano nascosti al di sotto. Ero perplessa ... come fa il gatto a vederci? pare che si guardi dentro piuttosto che fuori". Forse l'invito del sogno è proprio questo: se hai perso la borsa con dentro la tua identità dove potresti guardare? ...intanto, dentro di te ...! L'atmosfera, pur saltuaria del 'salotto' è scomparsa e i sogni ci aiutano a capire meglio il significato dell'interazione o, quanto meno, qualche suo effetto: facendo spazio dentro di sé all'emozione, al sentimento, al significato che le parole di un altro portano con sé, può venirne uno sguardo diverso, una contaminazione, uno scambio di atteggiamenti e ruoli; dov'era un muro occludente, si apre uno spazio di esplorazione, di scoperta, di possibile cambiamento, ma anche di precarietà e incertezza. Ada, di cui Marta invidia la sicurezza, ci porta col sogno smarrimento e richiesta di aiuto. Sergio, abitualmente categorico e sordo ad altre proposte di significato, ci dice che in questo periodo lavora tanto, ma teme di farlo per non affrontare i propri pensieri. Luigi - la faccia allegra che mette di buon umore Marta - riferisce che sta sognando da qualche tempo di essere chiuso e bloccato dentro una specie di tubo, una scatola lunga, in cui, sdraiato, tiene le braccia lungo i fianchi, immobile, "ma poi mi dico che tanto è un sogno e l'angoscia passerà ...sono immobile come ... come..." "in una cassa da morto?" gli chiedo, "Proprio così!" E il tema della morte ritorna insistente. Dopo un anno di terapia, Luigi ha salutato il gruppo dichiarando un soddisfa-cente assestamento affettivo. "Speriamo che la sua parte omosessuale non gli crei problemi... era così impaziente di farci sapere le sue conquiste femminili da rendersi sospetto". Così Giampiero, sensibile e puntuale su questi argomenti ... quando riguardano gli altri. Infatti ci saluterà a sua volta, dopo aver superato alcuni atteggiamenti patofobici che da tempo lo angosciavano, ma lasciandoci la sensazione di una fuga: troppo grande la paura del confronto con il mondo fem-minile. A questo punto vorrei rilevare che l'osservazione del gruppo è possibile da di-versi punti di vista simultaneamente. Per descriverne la vita, anziché dare corpo ad un tema centrale dopo aver cercato le immagini di un filo conduttore, ho pre-ferito una maggiore aderenza a diversi contesti. Vorrei allora considerare altre sedute. Nella prima, vediamo Marta presentarsi con una scatola di cioccolatini: le pare-va di ricordare che fosse il mio compleanno, però, salendo le scale, si è resa conto del fatto che ora siamo un gruppo. "Ci sono anche gli altri, e allora ho pensato di offrirli a tutti", dice. Durante la terapia individuale, Marta aveva mantenuto l'abitudine, pur ridimensionata nel tempo, di portarmi piccoli doni in occasione di festività e ricorrenze. In questa seduta di gruppo l'antico rituale si è incrinato; il contesto è cambiato e il dono non è più destinato al solo terapeuta, genitore da sedurre per riceverne amore esclusivo, bensì ai fratelli, nuovi interlocutori coi quali dialogare. Marta racconta di essersi recata al paese di origine: Ho pensato a voi quando ero lontana... inoltre non sono stata tanto bene là, perché mi sono accorta che oggi vedo diversamente la mia famiglia (i fratelli e il padre che, dopo la morte della moglie, si è risposato), ne scopro i difetti; vivo diversamente anche la mia famiglia attuale (marito e figli) di cui scopro i pregi... e poi c'è questo nostro spazio del gruppo. Vengo qui due volte la settimana e mi chiedo di che si tratta... forse è un luogo fìttizio... eppure mi rendo conto che qualcosa in me sta cambiando". Rivolgendosi poi a Francesco, si dichiara perplessa: "Non ti conosco ancora bene... mentre mi sembra che Sergio racconti più cose di sé, del rapporto con sua moglie .. insomma, lo ritengo più coraggioso. Ada poi, mi pare così equilibrata e tranquilla... forse anche troppo". Francesco viene così invitato a parlare, ma con scarso risultato. In questo periodo è spesso assente e, quando c'è, fa l'ascoltatore. "E' vero, mi piace ascoltare, forse perché così mi nascondo dietro i racconti degli altri". Marta gli rimprovera di non mettersi in gioco e ne deduce che deve essere grande in lui la paura di scoprire i sentimenti. A proposito dei quali emerge a questo punto l'argomento 'amore' e partecipa anche Sergio. Marta afferma di non sapere se sia davvero capace di amare; Sergio ritiene che amare significhi tante cose e che esista anche un amore di volontà. Marta ribatte "Ma se uno se le impone, queste cose perdono di autenticità... al cuore non si comanda!" In questa seduta, tuttavia, l'amore è stato offerto in forma di gratitudine: Marta infatti ha dichiarato che questo spazio con noi è importante per lei, e Francesco l'ha ringraziata. Quando poi Marta parla di Ada, l'apparente pacifica ironia nasconde un pungente sarcasmo: "Ada è così equilibrata e tranquilla... forse anche troppo!" L'ambivalenza affettiva, ancora inconsapevole, conduce a raddolcire l'atmosfera mediante la cioccolata (omaggio al gruppo), alimento che riempie inoltre il vuoto dovuto all'assenza di Ada e Giampiero, assenza che ha procurato delusione. Un episodio tratto dalla Bibbia Un silenzio insolito caratterizza l'inizio della seduta nella quale sono tutti pre-senti. Sergio rompe il silenzio in tono euforico: "Chi dice qualcosa?... fate do-mande, forza!" Giampiero è molto serio. Gliene viene chiesto il motivo, ma lui risponde che non se la sente di parlare. A questo punto Ada racconta che sul po-sto di lavoro, di fronte ad un problema che non sapevano come affrontare, sco-raggiati e depressi, avevano deciso di fare una pausa mangiando Baci Perugina. Dopo aver letto i bigliettini che si trovano all'interno dell'involucro quasi a cer-carvi una soluzione, pur non trovandone alcuna erano però un po' meno depressi. Sergio commenta dicendo che un gesto irrazionale a volte può aiutare e cita un episodio tratto dalla Bibbia: "Ci sono assediati e assedianti; questi ultimi contano su di una resa per fame, gli assediati hanno da mangiare soltanto un bue e un sacco di grano. Uno di loro propone di aprire la pancia del bue, riempirla di grano e gettare l'animale così trattato contro i nemici assieme alle pietre. Così fanno e gli assedianti, visto questo, si scoraggiano: "Costoro hanno tanto cibo da permettersi di sprecare un bue pieno di grano, non si arrenderanno; andiamocene!" Questa trovata ha messo in fuga i nemici". Passando dalla Bibbia al gruppo, i cioccolatini che riempiono la pancia sembrano mettere in fuga i problemi e aiutarci a superare la depressione. "La volta scorsa eravate soltanto in tre e Marta aveva espresso la sua delusione in proposito; sembra che il vuoto debba essere colmato e dunque, riempiamoci di cioccolata o di grano... ma sarà sufficiente lo stratagemma?" Anche Ada ora interpella Francesco: "Vorrei che tu mi parlassi del rapporto con tua madre, perché ho la sensazione che tu non riesca a dialogare con lei come io non riesco a farlo con mio padre". Francesco risponde che ha deciso di non prendere più in considerazione sua madre perché non la ritiene in grado di ascoltarlo e capirlo. La risposta evasiva di Francesco sembra rivolta contemporaneamente a Ada, al gruppo e al conduttore. Francesco in realtà dice che non ritiene Ada all'altezza o qualificata per capirlo e comunque non è da lei che pretende un comportamento da madre 'buona'. Esprime così una critica anche nei confronti del gruppo che considera come una madre distratta, incapace di ascolto e comprensione e soprattutto di indovinare ed esaudire i suoi desideri; tali critiche riguardano naturalmente anche il conduttore. Conseguentemente, le sedute mancate aumenteranno. Giampiero intanto è sempre appartato, ma con gli atteggiamenti posturali comunica e trasmette una certa insofferenza nei con-fronti degli altri. Quasi a fine seduta, Ada gli chiede con decisione il motivo del suo tormentato silenzio. Giampiero riferisce allora la morte recentissima di una collega alla quale era molto affezionato, l'innamoramento nei confronti di un co-noscente occasionale più giovane di lui, innamoramento da lui definito come 'la cotta' di un adolescente e infine il desiderio di ridurre la sua partecipazione al gruppo a una sola volta la settimana. E' ora più comprensibile il suo stato d'ani-mo: sarà in grado il gruppo dì soccorrere il fratello separato? Francesco ha ac-cennato al rapporto con una madre poco attenta... forse anche Giampiero si è sentito trascurato da noi come da una madre distratta e a sua volta, offeso, ha trascurato noi, dicendo di essere altrove con la mente. Aggiunge che, per quanto riguarda il suo desiderio di dimezzare le sedute, ne aveva già parlato con Ada; intende infatti frequentare un corso di preparazione agli esami e ciò escluderebbe una seduta di gruppo. Leggo il corso di studio di Giampiero come un gruppo alternativo a quello di psicoterapia, un contro-gruppo. La motivazione che adduce è debole e inoltre, anziché parlarne direttamente nel gruppo, ne ha parlato soltanto con Ada, la quale è dispostissima a sostenere il suo progetto. L'innamoramento sembra una ricerca di consolazione dopo la morte dell'amica, ricerca che gli ha in seguito procurato forti sensi di colpa. Avendo inoltre, in precedenti occasioni, descritto sua madre come ansiosa e intrusiva, egli è sicuramente interessato e colpito da quanto ha detto Francesco, ma preferisce evitare il confronto su questo tema. Ada ritorna sulla richiesta di Giampiero e propone per tutto il gruppo una sola seduta settimanale, magari più lunga, per permettergli di frequentare sia la terapia che il corso di studio. Insinuando l'idea di un gesto generoso nei confronti di Giampiero Ada tenta di modificare e decidere l'assetto terapeutico, con regole sue. Durante la terza seduta Ada e Marta osservano Giampiero con sguardo provo-catorio in attesa di risposta. "Sì, ho pensato al gruppo e mi sono chiesto a che punto siamo, se mi serve ciò che sto facendo con voi. Mi sono risposto che con-sidero ancora importante questa esperienza". Desidera poi parlare di ciò che gli è accaduto: "Dopo aver saputo che la mia amica stava molto male, mi sono messo con quel tale di cui vi ho detto e che avevo appena conosciuto; ero euforico e ho fatto cose che non avrei mai immaginato: ciò mi spaventa". Emerge più chiaro il motivo della paura di Giampiero, il quale si fa così portavoce di una comune inquietudine: la percezione dell'impotenza di fronte alla morte, il sospetto di sapere ben poco di se stessi, la sensazione di non esercitare alcun controllo sui fondamenti della nostra esistenza. Ada, frettolosa e sfuggente, si precipita sulla domanda che Giampiero si era posto. "Se penso all'utilità del gruppo, a me sembra offrire la possibilità di uno sfogo e, inoltre, da un po' di tempo, socializzo di più". Il verbo socializzare viene usato anche troppo spesso, ma da ciò che Ada racconta e dal comportamento che assume nel gruppo non mi pare che ne colga la possibilità di autentico scambio. Marta afferma di non sapere se lei è "più avanti" o meno rispetto a prima di iniziare la terapia di gruppo, però avverte sensazioni nuove. Ci sono parole, frasi dette da altri, che la colpiscono, la stimolano a pensare e intervenire a sua volta perché toccano 'zone calde' di lei. Sergio commenta l'intervento di Giampiero con toni da 'padre saggio': "Fai attenzione alle tue avventure, perché anche se tu hai la sensazione di procedere, a me sembra falsa. Questi tuoi comportamenti sono positivi soltanto se li trovi in seguito effìmeri e pericolosi". Ascolto senza intervenire. Mi rendo conto in questi momenti di quanto sia importante, nella conduzione del gruppo, la capacità di rimanere discreti fino al nascondimento, di passare inosservati, intervenendo soltanto in caso di necessità. Posso osservare così che in queste ultime sedute compaiono tendenze centrifughe rispetto al lavoro comune. Dall'inizio della terapia il gruppo ha dovuto affrontare diverse separazioni: gli intervalli estivi, il cambiamento di abitazione del terapeuta, l'uscita dal gruppo di Luigi, la morte della collega di Giampiero. Esse hanno posto il problema dei limiti; accettarli è doloroso e sembra che la fuga da questo dolore si realizzi in direzione della coppia: Luigi trova la ragazza e ci saluta; Giampiero ci racconta il suo innamoramento da adolescente; ancora Giampiero parla con Ada, che trova complice, incontrandola fuori dal gruppo; Marta porta i cioccolatini per tutti, ma pensando ancora al 'dottore'. Ci sono però anche forze centripete, che invitano ad una certa consapevolezza: Giampiero, dopo la prima di queste tre sedute, ha parlato dei suoi problemi e ha posto la domanda: "Cosa ne dite del gruppo? Vi racconto cosa ne penso io!" Marta ha detto che cose riferite dagli altri la fanno pensare, rimbalzano dentro di lei e la ripropongono diversa. Il paternalismo di Sergio è temperato da un più sano e puntuale realismo quando, affrontando il tema dei limiti, ricorda a Giampiero di fare attenzione all'AIDS. Il tema riemerge quando Giampiero chiede di ridurre la frequenza alla terapia di gruppo. Ada, per aiutare Giampiero, così lei dice, propone per tutti una seduta a settimana. Ma esistono i limiti del setting fìn dall'inizio stabiliti ed accettati, ed è proprio rispettando anche questi che possiamo lavorare. Fascinazione di una coppia messianica Siamo alla conclusione del secondo anno; i pazienti si aggirano smarriti in un paesaggio desolato. La realtà continua a contrapporre i propri limiti all'onnipo-tenza dei pensieri provocando un'insopportabile frustrazione. Marta e Francesco, che questa volta è presente e puntuale, sono seri e silenziosi. Ada rompe il silenzio; un sorriso sardonico accompagna il falso pudore: "Adesso non so se dire una certa cosa... bè, insomma, si tratta di questo:... mi sono innamorata di Sergio, sono eccitatissima, contenta e perfettamente a mio agio!" Gli sguardi di tutti si rivolgono a Sergio, che conferma sornione: "Bè sì... siamo prima usciti qualche volta, da amici, poi la cosa ha avuto un seguito... e ora siamo insieme". Diverse le reazioni. Sul gruppo aleggia la fascinazione di una 'coppia messianica'. Marta afferma di essere contenta per ciò che è successo: "Chissà che non ne nasca qualcosa di buono!" Giampiero e Francesco esprimono con la mimica la loro sorpresa, ma preferiscono non pronunciarsi anche quando Sergio aggiungerà con ironia che ciò che hanno fatto, lui e Ada, è scorretto e arriverà certamente una punizione. La vicenda si protrae e il disagio si avverte sempre più tangibile: Marta dice che ora tutti sanno che loro si vedono al di fuori del gruppo e si dicono cose che non vengono riportare qui... così il lavoro di gruppo non procede. "All'inizio mi faceva piacere che voi due vi metteste insieme... che bella cosa!, mi dicevo, una coppia che nasce dal gruppo e dalla quale potrebbe nascere qualcosa... ora però vedo che ci stiamo bloccando". Ada assume un atteggiamento sempre più altezzoso nei confronti del gruppo e del conduttore a cui lascia intendere che mentre gli altri sono bambini che giocano, lei e Sergio invece sono gli adulti che fanno sul serio. Di fronte alle sollecitazioni a considerare la loro storia in rapporto al lavoro di gruppo, Ada risponde sempre più irritata: "Non vedo alcun nesso ... a noi andava di farlo e abbiamo deciso di metterci insieme, nient' altro!" La risposta a ciò che è sentito come una repressiva proibizione ("la terapia di gruppo non è un'agenzia matrimoniale", avevo detto ai pazienti all'inizio del trattamento) sembra consistere in un'esibizione trasgressiva anziché nella ricerca di un'approfondita consapevolezza. A questo punto non è difficile rintracciare, in un percorso a ritroso, i segni pre-monitori dell'attuale situazione. Già da tempo si era notato che Ada tentava di sviare il gruppo dal lavoro terapeutico proponendo incontri all'esterno. La na-scita della coppia viene annunciata non tanto con tono gioioso, bensì trionfante. Ada è eccitata e Sergio dichiara di aver commesso un errore, ma ridendoci so-pra. Sappiamo che di fronte al limite egli se la ride usando l'inganno. Avevo vis-suto il suo racconto biblico - vivace sequenza cinematografica - come distraente seduzione, come sfoggio di cultura teso a nascondere gelosia e aggressività. La metafora andava meglio utilizzata. L'episodio narrato dice che la mancanza e la debolezza espongono alla morte e che, per evitarla, è necessario mascherare i bi-sogni. E' in gioco il problema della necessità del gruppo e della dipendenza dal medesimo. "Vengo qui due volte la settimana", dice Marta, "ma mi è utile? Mi pare di sentire in me un cambiamento... ma non sarà un imbroglio e questo delle sedute un luogo fittizio?" Dopo averne ammesso l'utilità, la paura della dipendenza induce alla svalutazione. "Sì, è vero, io ascolto e non intervengo, così mi nascondo mentre parlano gli altri", dice Francesco, ammettendo il suo tentativo di usare il gruppo per sfuggire al confronto col medesimo. Se si accettano i limiti del gruppo, le inevitabili difficoltà del viverlo, bisogna accettare anche la propria debolezza: ciò spaventa e il narcisismo di ognuno si ribella. Ci troviamo in uno spazio in cui si fronteggiano la percezione della dipendenza e il desiderio di ridurne l'intensità. Si esce dal conflitto mostrando ipervalutate le proprie risorse (il grano nella pancia del bue inganna il nemico). La metafora dice che per tacitare il timore di sentirci mancanti, dobbiamo riempirci la pancia. Compare allora anche un attacco alla funzione materna del gruppo: l'offerta di cibo sta a significarne l'impellente bisogno. Ada e Sergio si atteggiano a persone mature e, all'insaputa del gruppo, formano una coppia; in realtà sono anch'essi bambini che rifiutano i propri limiti. La proposta di Ada dell'incontro al ristorante e gli inviti a vedersi fuori dalle sedute era un modo di dire al conduttore, facendosi portavoce di tutti, che non è il cibo offerto nel gruppo terapeutico quello di cui avevano bisogno. L'avidità dei pazienti permane. Ciò che viene da loro richiesto è un ritorno al già noto, come ad esempio la coppia; gli assedianti del racconto biblico sono le paure, i limiti da accettare, il ridimensionamento dell'onnipotenza, la faticosa rielaborazione dell'identità. Ada e Sergio, formando la coppia, svalutano il gruppo. Sergio, come il bambino colto in flagrante, afferma che sarà punito per questo, ma lo fa col tono semiserio di chi si difende dalle temute conseguenze. Inoltre l'onnipotenza e la colpa si trovano affiancate e una sequenza esemplare ne rende testimonianza: "Io sono il colpevole, lapidatemi!" egli esclama; "Procomberò sol io!", commenta arguto Francesco, evidenziando l'aspetto teatrale che per un attimo suscita nel gruppo una sonora risata. Sergio uscirà dal gruppo prima di Ada. Dice di aver smussato alcune spigolosità del suo carattere e di essere meno assolutista. Non è convincente. Sappiamo da tempo che egli ha scisso una parte di sé che è diventata la moglie colpevole e degna di condanna; Ada ci dirà di sentirsi trattata da lui più come un oggetto per soddisfare bisogni che come una persona con la quale condividere affetti: "Sergio non sa condividere ed è pretenzioso". Il rapporto tra loro non funziona e gli sfoghi di Ada confermano che la loro unione non era dettata da un'autentica motivazione affettiva, ma da quella complicità maligna nata dall'aggressività e dalla presunzione, dal desiderio di sfuggire al confronto con se stessi e col gruppo, quel gruppo sentito confusamente come la presenza dell'estraneo, l'intruso da combattere e da cui fuggire. "Mi rendo conto che non siamo fatti per stare insieme e non credo neppure sia possibile un'amicizia". La loro relazione non è godibile e costruttiva: all'inizio, nel piacevole gioco trasgressivo, essi vivevano insieme una grande illusione, l'aspettativa di avere tutto; ora si trovano di fronte la realtà: loro non sono gli adulti disinvolti e sicuri di sé che pretendevano di essere. Non riescono però ad accettarlo; l'ideale assorbe ogni cosa fuori della realtà che diviene sempre più sterile. Lo scambio è difficile a realizzarsi perché il rapporto con gli oggetti interni, troppo impegnativo, non concede alcuno spazio ad altre relazioni. Incapaci di provare la pazienza dell'attesa e dì rinunciare all'esperienza immediata ("A noi andava di farlo e l'abbiamo fatto, nient'altro"), Ada e Sergio hanno preferito agire anziché discutere l'immaginario che è auspicabile mettere in scena durante la seduta. Ada aveva cercato un piacere trasgressivo con cui garantire il suo potere; ora, senza Sergio, in presenza di un gruppo che non subisce più la fascinazione della 'coppia messianica', si sente una regina detronizzata. Dopo l'uscita di Sergio sono entrati due nuovi pazienti ... si comincia a parlare di rapporti costruttivi. Ada sente che corre il rischio di dover accettare il gruppo come strumento utile per lei e ciò la spaventa. Tutti poi parlano dei loro guai, Ada invece dice che ha deciso di lasciarci perché si sente proprio bene, parla più volentieri con suo padre e con toni meno aggressivi... vede tante amiche... "Insomma, tanto per cambiare, socializzi di più", intervengono all'unisono Marta e Francesco. La battuta ironica sottolinea il fatto che Ada non è poi cam-biata e che le sue affermazioni restano degli enunciati privi di un possibile svi-luppo. Il fatto che abbia deciso di andarsene suggerisce intenzioni bellicose: essa infatti si vendica e persegue una sua linea d'azione: dimostra che lei fa ciò che vuole e non tornerebbe mai con chi ha assunto una posizione limitante e normativa nei suoi confronti, cioè il conduttore. "Sinceramente il gruppo mi ha dato di più rispetto alla terapia individuale; se sentissi ancora la necessità di una terapia, ritornerei in un gruppo". Francesco, non del tutto convinto, dirà più tardi: "Speriamo che Ada se ne sia andata con qualche vantaggio". Ascoltando il commento di chi è rimasto nel gruppo, mi posso rendere conto di ciò che abbiamo rischiato e superato. Rileggendo l'episodio biblico raccontato da Sergio, mi accorgo oggi di non averlo puntualmente utilizzato per rendere il gruppo più cosciente delle proprie paure, dei tentativi di boicottaggio insinuati attraverso l'inganno. Marta viene catturata per prima nell'orbita della 'coppia messianica', poi comincerà a sentire un vago disagio: "non sento più circolare le emozioni"; infine riterrà inevitabile, insieme agli altri, l'uscita dal gruppo di Ada o Sergio. A distanza di tempo, Marta riferirà di aver intravisto Ada nel traffico della città: "Avrei potuto fermarla, ma non l'ho fatto; mi sono detta che andava bene così". La separazione è sentita necessaria al gruppo per vivere. Il gruppo diventa teatro politico Siamo al quarto anno, sono entrate nel gruppo nuove persone, altre sono uscite. I distacchi però sono stati avvertiti naturali, separazioni necessarie che il gruppo non ha vissuto come fughe o abbandoni, ma come termine di un percorso, lungo o breve, fatto insieme. All'ingresso di un nuovo paziente si nota maggiormente la coesione del gruppo: tutti arrivano puntuali, perfino Francesco, mostrando evidente l'intenzione di fare bella figura. In questi casi il gruppo è più armonico e affiatato. Finalmente per Marta (e non solo) la relazione col conduttore rimane sullo sfondo ed essa, così indecisa, si va riconoscendo il diritto di esistere e soprattutto comincia, pur timidamente, a vivere uno spazio affettivo dove si muove in libertà, esigenza che emerge nel gruppo e per la prima volta. Dopo l'uscita di Sergio appare evidente un ridimensionamento del valore della spiegazione, da lui così intensamente richiesta. Rispetto alla ricerca ossessiva della causa, emerge chiaro un movimento decentrante che provoca uno sposta-mento da nuclei cristallizzati e ripetitivi. Marta non parla ormai più della sua fo-bia per il water. Francesco, dopo aver inveito contro madre e sorelle, si sta im-pegnando realisticamente nella ricerca di un appartamento dove abitare per pro-prio conto, non molto distante, però, dalla madre già anziana. Madre di cui ora parla soddisfatto e fiero. Marta sta imparando ad ascoltare il marito a volte quasi come un ignoto, non più come un compagno troppo conosciuto e rassicurante ma noioso. Con tale atteggiamento si fa portavoce di chi non teme l'estraneo, il nuovo arrivato nel gruppo, di chi lo affronta con curiosità, disponibile a condividerne entusiasmi e paure. Quando Marta ci ha raccontato il mancato saluto con Ada abbiamo avvertito la sensazione che stesse imparando a scegliere, cosa che anche il gruppo ha fatto, con fatica, riconoscendo la differenza tra distinzione e separazione e, della separazione, anche la necessità. Il gruppo comincia ad affrontare i propri limiti, tema che all'inizio suscitava ti-more e provocava la negazione e l'onnipotenza. I più 'vecchi' hanno maturato la consapevolezza che è essenziale partire dall'essere limitato che scopriamo in noi. Il pericolo consiste nel negarlo a vantaggio di un essere immaginario il quale, alla prova dei fatti, risulta sempre distruttivo. "Che significa fare una terapia di gruppo?" Ora Francesco precisa la risposta prendendo coscienza del fatto che l'importanza di questo lavoro consiste nell'agire su ciò che siamo. Nel frattempo mi rendo conto di quanto sia importante stimolare i pazienti e me stesso a pensare, perché solo così il gruppo diventa teatro politico: quando cioè in esso comincia a circolare un linguaggio che stabilisce una comunicazione. Mi accorgo che dopo l'uscita di Sergio e di Ada, superato lo scoglio su cui il gruppo ha rischiato di frantumarsi, la circolarità riprende e i pazienti si affiancano l'un l'altro nell'enorme fatica di smuovere un'altra psiche dall'inerzia. Quando poi il gruppo si restringe, per assenza o uscita di qualche paziente, è il momento in cui si accorge della propria storia... e allora si ricordano i vecchi compagni di viaggio: chi fece quella famosa affermazione, chi osò programmare una scelta, chi ebbe paura, chi se ne è andato 'dimenticando' l'ombrello. Come scrive Silvia Corbella, "La possibilità di fare riferimento a una storia comune è un elemento costitutivo e specifico della terapia di gruppo". Francesco oggi si prende una libertà: quella di arrivare puntuale, non più imprigionato nel ruolo dell'eterno ritardatario. E poiché la libertà è contagiosa, anche Marta ne avverte la presenza. "Scusa se te lo dico, ma la cosa che mi colpisce non è tanto il tuo terrore del water, quanto piuttosto la sensazione che mi dai di sentirti proprio tu un water!", era stato detto un giorno a Marta. Ora non si sente più tale; le viene consentito un vissuto di appartenenza che è importante per la costruzione del senso di sé e per la ricostruzione della propria autostima, collegata ormai alla capacità di tutti gli altri di mantenere il gruppo vitale. Quando si parla di interazione se ne sa un poco di più: non è intesa soltanto come una reazione che si contrappone in risposta all'azione, bensì come punto di partenza per un'azione propria che, da reazione al pensiero intuito, alla parola, al gesto dell'altro, diventa elaborato per una crescita, percorso alternativo al precedente. E ciò avviene perché il linguaggio del confronto l'ha provocata... e al termine non si esaurisce ma si trasforma all'interno dell'individuo per farlo rinascere e divenire soggetto. Da questa esperienza traggo una lettura nuova della struttura mentale della per-sona: non più ricostruita lungo un percorso rettilineo che dalla ricerca e analisi delle cause porti a considerare gli effetti; nel gruppo, quando funziona, la circo-larità è la regola e il cerchio vizioso diventa circolo virtuoso, spirale dialettica, dove ogni giro porta, anche se di pochissimo, su un nuovo piano rispetto a quello precedente, per cui si ha uno spostamento di prospettiva che produce, per passaggi a volte impercettibili, una variazione di visuale. Da un dialogo all'in-terno dell'individuo dove diversi stati d'animo corrispondono a identificazioni con figure familiari, l'identità si va costruendo anche attraverso il confronto con l'ignoto. Il gruppo mostra inoltre nella pratica che il lavoro è condivisibile. La ricerca della libertà si evidenzia con maggiore consapevolezza, diminuisce il senso di colpa e aumenta quello di responsabilità. La conquista è faticosa, rag-giunta attraverso un decentramento rispetto a quel prolungato eterno guardare "nell'ombelico della propria persona". (Pascoli G.) Bibliografia Corbella S. "Aspetti specifici della terapia di gruppo: dai primi colloqui alla fi-ne della terapia". Società Psicoanalitica Italiana, XXVIII Convegno a seminari multipli, Bologna 10 ghigno 1995. Pascoli G., "Il fanciullino". In Prose, Vol. I Mondadori, Milano 1971. * Psichiatra, psicoterapeuta. Socio A.P.G Roberto Tomba Via Cavazzoni 25 40139 Bologna |