Il luogo del giocodi Donata Miglietta(articolo tratto dal n. 12/13, Anno VII, aprile/ottobre 1993 della Rivista Areanalisi)
Se è vero che la verità cerca l'uomo è ancor più vero che i personaggi cercano un autore. (F. Corrao) Le origini. Dall'abreazione all'introiezione
In un gruppo che da qualche seduta sta lavorando sulla sessualità un partecipante racconta un sogno nel quale mentre sta consumando un rapporto extraconiugale appartato in un luogo oscuro viene bruscamente interrotto dall'irruzione di una scolaresca di bambini uno dei quali si ferma a guardare la scena. Il paziente che sogna sta affrontando un conflitto intenso tra le spinte trasgressive e la tenerezza per il proprio bambino che teme di perdere seguendo gli impulsi sessuali. Il sogno viene messo in gioco per la risonanza che assume in un periodo in cui il gruppo oscilla tra tematiche trasgressive e sentimenti di colpa. Una coppia viene messa al centro e tutto il gruppo viene chiamato a rappresentare la scolaresca dei bambini che irrompono.
A partire dalla scena il cui effetto non è tanto il ricupero del ricordo (evento traumatico) ma quello della violenza delle emozioni ad esso legate si avrà l'inizio del risveglio della sessualità del giovane paziente, venuto in gruppo per un problema di mancanza di erezione. (D. Miglietta, La Maschera di Medusa, Areanalisi, 11, 3, 1988).
E' comunque l'affetto il protagonista degli studi, un protagonista che deve venire narrato e fatto rivivere. Chiudi gli occhi e narra, dice Freud. Poiché come il sogno la nevrosi si basa su un lavoro di trasformazione, questo lavoro deve essere invertito e il sapere dell'analisi funziona come capacità di convertire i tropi dietro i quali si è rifugiata la malattia.
Con Dora viene introdotta una chiara metafora archeologico - ricostruttiva. Retrocedere fino all'infanzia significa comunque che ogni scena comporta, proprio in quanto mostra, un nascosto altrove; da qui sorge la necessità di fare un parallelo con il lavoro dell'archeologo, tenendo conto che analista e paziente saranno a confronto con il riapparire dei fantasmi nei quali le pulsioni e le passioni, come dice F. Petrella, si incarneranno.
Lo psicodramma è nato come luogo di incontro tra lo spazio del teatro e quello della terapia ma col passare del tempo gli espedienti "teatrici" dello psicodramma originario di Moreno sono stati in gran parte disinvestiti. Troviamo scritto negli Studi sull'isteria (1892) "l'ultimo giorno aiutandosi a disporre la stanza così come era stata la stanza di degenza di suo padre riprodusse l'allucinazione di angoscia che era stata la radice di tutta la malattia e nella quale aveva potuto pensare e pregare solo in inglese>> e più avanti <<mi sforzai di eliminare questa isteria da ritenzione mediante la riproduzione di tutte le impressioni perturbanti e successiva abreazione. La lasciai inveire, tenere discorsi, dire in faccia allo zio l'intera verità ecc. ecc.". Nel 1921, due anni prima della nascita dello psicodramma, Ferenczi indica nella "tecnica attiva" un intervento fattivo (simile al forcipe dell'ostetrico) nel quale al paziente vengono eccezionalmente assegnati ruoli e compiti.
Lo psicodramma di Moreno faceva direttamente perno sull'azione (è Moreno che introduce il termine acting out) poiché secondo lui la proibizione ad agire in analisi risalirebbe ad un atteggiamento originato dal timore di un amore diretto o di un'ostilità diretta del paziente: Moreno ha cercato di creare un campo espressivo opposto a ciò che chiamava la mortificazione puritana imposta dal punto di vista sensoriale e visivo dalla tecnica di Freud.
Lo stato dissociativo faceva vivere Anna 0. nel suo teatro privato, mentre tutti la credevano presente essa viveva mentalmente nelle fiabe. Come ricorda Meltzer Anna, dal carattere esuberante e generoso, nello "stato secondo" diveniva cattiva, imprecava, gettava oggetti addosso alle persone, si lamentava della profondità oscura della sua mente, di avere due "Io" di cui uno cattivo la spingeva al male.
Freud aveva affidato al linguaggio discorsivo la funzione di abreagire gli affetti, Moreno l'affidò alla drammatizzazione introducendo la catarsi come catarsi che avviene nell'attore oltre che nello spettatore.
Prendiamo come flash clinico un caso di isteria che mette in gioco "il doppio lo" e vediamone il percorso trasformativo in un gruppo di psicodramma analitico.
Si rappresenta allora il sogno. Al proprio posto la paziente suda, si sente soffocare, ha dei capogiri mentre nel cambio di ruolo non ha dubbi: "stavo molto meglio in quella parte, mi pareva di avere tutti i diritti, è il mio posto che ho fatto fatica a reggere, non l'altro!". Solo a partire da questa esperienza che si colloca in una fase in cui il gruppo si confronta con temi di doppio, si potrà cominciare a parlare della sua paura di riconoscersi in quell'altra donna, una paura che l'ha spinta al diniego e alla scissione per ricusare gli aspetti di sé prepotenti e voraci collegati all'immagine della madre e per mascherarsi malamente dentro ai panni della vittima. Si chiarisce come nello sviluppo del modello dello psicodramma analitico il passaggio dall'attribuzione diretta di un ruolo al cambio di ruolo nella rappresentazione delle scene raccontate permetta al soggetto di riprendere il suo modo e il suo tempo nel cammino della terapia. Funzionare con i due emisferi Lo psicodramma costruisce il suo setting intorno a due campi che si intersecano, il racconto e la messa in gioco del racconto all'interno del gruppo. Se la visione è presente anche nelle altre terapie qui la cosa è differente perché si vedono rappresentate scene che evocano tempi e spazi apparentemente non pertinenti al tempo e allo spazio del presente. Il dispositivo in psicodramma tende a ricreare un luogo scenico vicino al sogno senza l'ausilio del sonno e si rivolge al referente dell'immaginazione come repertorio del potenziale. Al pari dell'inconscio, come rileva Hofstadter, la fonte dell'immaginazione è immersa profondamente sott'acqua come un iceberg e da essa germinano le immagini, che acquistando stato di visibilità ci consentono di entrare in categorie prossime al sogno.
L'esperienza della psicoanalisi d'altro canto si pone là dove si può accordare credibilità a quel che non è direttamente visibile. Dalle altre categorie del tempo e dello spazio si vengono ad iscrivere immagini di scene lontane o di persone assenti o defunte, le immagini che sorgono tra i confini della memoria e quelli del phantasos. Dopo il difficile esordio di Lo sviluppo di un bambino dove all'evidente conflitto tra impulso a conoscere la realtà e fede nelle costruzioni della fantasia viene opposto il positivismo conoscitivo e l'uso del senso di realtà, a poco a poco la Klein stessa riconoscerà lavorando come nessun bambino sano possa sopravvivere bruciando i pensieri che nascono dalla fantasia, sacrificando le costruzioni affettive e immaginarie della mente. Dice Corradi Fiumara nel suo commento al Romanzo di una famiglia che forse per crescere è più adatta la famiglia di Corinto che non quella di Tebe, una famiglia dove si possa liberamente funzionare con i due emisferi senza che il destro venga messo al bando e subordinato al funzionamento del sinistro.
Ma anche nello Sviluppo di un bambino sembra già contenuto il preludio allo sviluppo dei canovacci narrativi che apriranno lo scenario del mondo interno nel passo in cui la Klein inventando una storiella su un dolce che stava aspettando il bambino risveglia l'interesse di Eric e la sua fantasia. Già nel suo primo lavoro Bion tratterà le parti scisse del paziente facendole comparire e utilizzandole sia come le utilizzava la Klein personificandole nel gioco, sia in parte in modo pirandelliano, come invisibili personaggi in cerca d'autore. Le parti scisse della personalità, come le usa Bion, sembrano trasformabili in una modalità figurativa che le avvicina alla tecnica dello psicodramma analitico dove nel modo del gioco le parti scisse vengono usate e interpretate e possono prendere il loro posto sulla scena della relazione analitica. Dopo una serie di sedute in cui un gruppo si muove su temi e sogni a contenuto sovvertitore di attacco al padre e alla legge, uno dei partecipanti che in passato a causa della sua violenza era anche finito in carcere porta questo sogno: "mi trovavo di notte in una zona deserta della città e venivo derubato del portafoglio da un tizio della mia età che sembrava avere un complice più anziano che stava nell'ombra. Nel sogno pensavo che per riavere il portafoglio non potevo fare a botte poiché il ladro non era solo e dovevo in qualche modo contrattare. Provavo allora a proporre al ladro che mi restituisse almeno le carte di identità in cambio del denaro e con mio grande sollievo il ladro e il suo complice del quale non vedevo il volto, accettavano". L'interesse del gruppo si dirige immediatamente al personaggio in ombra che, nelle vesti del complice, con la sua presenza silenziosa sembrava aver determinato l'andamento del sogno nel senso del contrattare anziché usare la forza. Il paziente che ha raccontato il sogno fa una serie di considerazioni dense di rimpianto per il padre morto che non può vedere quanto lui è cambiato negli ultimi tempi e dice di aver anche pensato di fare una seduta spiritica per rientrare in contatto col padre. Qualcuno si mette a parlare di un convegno di parapsicologia al quale ha partecipato recentemente dove si parlava della possibilità di registrare le voci dei morti, qualcun altro ricollega "le voci dell'al di là" alla bicameralità della mente e al desiderio di ascoltare la voce degli dei, che risuonando nel cervello testimonia di una presenza persistente anche dopo la morte. Il conduttore fa giocare allora il sogno e il paziente, per rappresentare il personaggio in ombra che aveva incuriosito il gruppo e suscitato il discorso sui morti, sceglie un compagno sul quale andava da tempo appoggiando elementi transferali di qualità paterna. Il compagno che ha assunto il ruolo del complice durante la rappresentazione dice che gli sembrava di essere entrato in scena come testimone e che come tale aveva pensato che finalmente il sognatore, cercando una mediazione, sembrava divenuto capace di pensare invece che di agire subito come avrebbe fatto prima. Tutti commentano che il gioco ha l'effetto di una seduta spiritica e che il gruppo, come un medium, individuando "il fantasma" nascosto nel sogno e cercando di dare la voce all'ombra aveva evocato quella di un padre. Essendo questa la voce e la figurazione di un padre "ricreato" nel gruppo attraverso la personificazione come tale avrebbe funzionato nelle sedute seguenti per ristabilire la legge degli affetti e quella del pensiero per tutto il gruppo.
Ubicato in uno spazio potenziale intermedio il gioco sorge tra il non esserci altro che me e l'esserci delle ipseità multiple degli oggetti e dei fenomeni che sono fuori dal controllo onnipotente.
Winnicott sostiene che è all'interno dello spazio potenziale che si creano i simboli. "L'hai creato tu o l'hai trovato?" equivale al chiedere al paziente che rappresenta la sua esperienza soggettiva delle cose "è una tua invenzione o è vero quello che dici?". In un'altra situazione di psicodramma analitico il gruppo riesce ad aiutare un partecipante ad affrontare una situazione somatica grave attraverso una personificazione del tutto particolare che fa parlare nello spazio drammatico del gioco il paziente col suo cuore mostrando come nello psicodramma il gioco liberi la parola del corpo e renda possibile il superamento dell'organizzazione difensiva prodotta dalla scissione tra pensiero e corpo.
Vediamo il flash clinico della seduta. Pino, il paziente, soffre di gravi disturbi cardiaci e la sua esistenza è in continuo stato di precarietà poiché egli non sembra avere la capacità di sentire i messaggi dolorosi del suo corpo; ha avuto due infarti senza accorgersene e questo aggrava i rischi per il futuro. Nel gruppo di psicodramma Pino racconta di aver provato a parlare durante una crisi cardiaca con il suo cuore come se fosse un compagno che non camminava al passo che lui voleva tenere. Il conduttore lo invita a rappresentare questo dialogo, scegliendo qualcuno che rappresenti il suo cuore. Pino sceglie nel gruppo una donna affetta da psicosi grave, la quale prendendo nel gioco il ruolo del cuore si accusa di essere colpevole di far vivere Pino in modo diverso dagli altri, con tanti limiti. Invitato a prendere il posto del suo cuore, Pino, che non era abituato a sentire le proprie emozioni né era capace ad esprimerle, comincia ad emettere un lamento disperato e terribile, una specie di vagito (come dissero poi i compagni di gruppo) che infine si tramuta in pianto. Un pianto nel quale Pino dice di aver riconosciuto alla fine la voce disperata del suo cuore. L'interpretazione del significato profondo di tutta la situazione somatopsichica di Pino è complessa e richiederebbe l'introduzione della storia personale e famigliare di questo paziente. Ho voluto citare questa seduta per mostrare come in psicodramma sia possibile far entrare in scena anche un organo attribuendogli il ruolo di un personaggio che parlando e mettendosi in rapporto con il pensiero attraverso la voce degli affetti possa cambiare il rapporto tra il corpo e la mente.
Lo psicodramma si configura pertanto come un contenitore che permette di recuperare il senso di realtà sul limitare di un universo fantasmatico senza trapassare nel delirio. Dallo spazio potenziale alla barriera di contatto
Per i Lemoine con l'aiuto del gioco nel gruppo di psicodramma analitico il fantasma viene alla luce: il gruppo facendo "precipitare" il fantasma avrebbe la funzione di renderlo visibile e secondariamente di integrarlo nel comportamento del soggetto.
La barriera di contatto è considerata un elemento fondamentale per la vita dell'adulto in quanto permetterebbe, sempre secondo Bion, la formazione dei pensieri onirici e da essa si svilupperebbe dunque la nostra capacità di sognare che è il primo gradino della capacità di pensare: da essa si generano le operazioni di transito dall'inconscio alla coscienza.
"Spazio potenziale" è il termine che Winnicott ha usato per riferirsi all'area intermedia di esperienza che sta tra la fantasia e la realtà, tale spazio origina in uno spazio fisico e mentale intermedio tra bambino e madre ed è lo spazio potenziale che l'analista deve saper generare nel processo dialettica tra la mente conscia e quella inconscia. In assenza dello spazio potenziale infatti la dialettica tra realtà e fantasia collassa o in direzione della fantasia che diventa il sostituto della realtà esterna dalla quale non può più essere differenziata, o in direzione della realtà che diviene una difesa contro la fantasia e la deruba della sua vitalità o ancora nella direzione di una dissociazione tra realtà e fantasia sino allo stato di non esperienza nel quale i significati non possono essere generati dalle emozioni.
La reverie è un polo recettore che unifica gli elementi che circolano. In Bion la funzione materna attraverso la reverie svolge il compito di bonificare e trasformare le proiezioni mortali prodotte dalle parti psicotiche e la funzione alfa avvia il processo di separazione individuazione.
Il contatto lievemente sognante trasforma le conseguenze di un buon numero di eventi, nell'oscillazione continua tra buio e chiarezza, tra sutura e cesura. La seduta inizia con qualche minuto di silenzio. Una delle pazienti Paola, che è spesso attratta da pericolose relazioni sessuali con tossicodipendenti, appare visibilmente angosciata ma non dice nulla. Dario racconta invece che ha avuto un incidente: con l'auto ha investito una signora anziana che non ha riportato conseguenze fisiche ma che per lo spavento è stata colta da un tremito che non si arresta più. Dice di essere andato a trovarla e che vedendola tremare continuamente è stato colto a sua volta da un gran malessere. Paola si mette allora a piangere e dice che ha appena saputo che il suo attuale partner è sieropositivo "non volevo venire", dice, "non volevo parlare, ho paura perché dovrà fare il test anch'io". Dopo un silenzio Sandro che è stato tossicodipendente la incoraggia ad affrontare gli esami e il gruppo si indirizza alla necessità di indagare nonostante la paura. Maria racconta allora un sogno recente nel quale doveva alloggiare in un albergo dove sapeva esserci anche il diavolo e dice che aveva molta paura. A questo punto il componente psicotico più grave del gruppo interviene raccontando la storia del Ponte del Diavolo: il diavolo costruisce un ponte in una sola notte a patto che gli sia data l'anima del primo passante, ma si riuscirà ad ingannarlo facendo passare un maiale per primo. Silvia risponde con un'altra storia, quella della bottiglia del diavolo che ha il potere di rendere immortale chi la ottiene per un periodo di tempo trascorso il quale il possessore dovrà dare la sua anima al diavolo. La bottiglia passa attraverso molte mani finché la prende un giovane per salvare la vita della donna che ama. Il tempo prestabilito sta per scadere e nessuno vuole più la bottiglia. Passa a questo punto un vecchio viandante peccatore o assassino che sapendosi ormai condannato prende la bottiglia e salva gli innamorati.
Mentre ascolto penso come il gruppo si muove in un primo momento verso la ricerca della verità e che è Maria a introdurre subito la paura di quello che si può scoprire (il diavolo). A questo punto senza negare l'esistenza del pericolo del gruppo, attraverso il racconto delle storie, si comporta come una madre che deve accompagnare il proprio bambino che è attraversato da angosce di morte. Le narrazioni non sono atopiche, tengono presente il rischio della morte, ma inventano modi per combatterla. Pensate attraverso i racconti le angosce assumono figurazioni magico-salvifiche di fronte all'evocazione del diavolo e ai suoi effetti dirompenti. Tuttavia esiste anche la paura che Maria aveva esplicitato col sogno. Decido allora di tornare sul racconto dell'incidente che pur non avendo causato ferite sembra aver messo in circolazione emozioni che scuotono tutto il corpo. Dario sceglie Enza, che è una paziente depressa, per rappresentare la signora che ha investito con la moto. Attraverso il gioco si può dare corpo e voce anche alle sensazioni di panico che circolano di fronte all'ignoto da indagare, mentre Enza può raccontare di un incidente che il gioco le ha fatto ricordare: come è successo alla donna che ha rappresentato anche lei è stata investita da una macchina ma era l'investitore che tremava vedendola distesa a terra con una ferita in testa ed era stata lei a tranquillizzarlo "tutt'al più muoio! " gli aveva detto. Come il vagabondo del racconto, attraverso il gioco, Enza interviene nel gruppo dando un nome diverso al diavolo e alla bottiglia.
Donata Miglietta BIBLIOGRAFIA
BION W., Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma 1970.
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