Pubblicato in PSICOTERAPIA PSICOANALITICA ANNO XVIII- NUMERO 2- LUGLIO-DICEMBRE 2011
Premessa Questo contributo vuole essere una riflessione, pur parziale e limitata, su alcuni aspetti riguardanti il tema della dinamica istituzionale così come affrontati da autori di formazione psicoanalitica. In questo ambito si sono a mio avviso consolidati, a partire dal fermento politico e culturale degli anni Sessanta, pubblicazioni ed interventi secondo due opzioni metodologiche di fondo; una prima sembra fare riferimento al concetto di campo e vede l’istituzione come una estensione del campo relazionale del gruppo di lavoro, mentre la seconda opzione è basata sull’osservazione dell’organizzazione come sistema sociale, scena di incontro/scontro tra istanze psichiche soggettive e realtà oggettiva. Semplificando molto i termini della questione e rimandando ad un ulteriore lavoro di approfondimento si possono fare alcune affermazioni. Si può dire allora che la prima opzione metodologica, sopra citata, è più vicina alla visione gruppo analitica, nata proprio dai contributi bioniani (1961) sul gruppo di lavoro. Questa modalità ha prodotto molti interventi di supervisione in istituzioni prevalentemente di cura1. La seconda modalità prende corpo invece a partire dai contributi sulla psicoanalisi applicata alla comprensione delle strutture sociali, proposta da Jaques (1955), Menzies (1960) e diffusa in organizzazioni sia di cura e sia aziendali. Questi autori andarono poi a costituire il modello elaborato dalla sezione Human Relations del Tavistock Institute (Miller, Rice, Turquet, 1967), che coniugava la teoria dei sistemi con il modello psicoanalitico. La prima opzione rientra in una area che va dalla gruppoanalisi all’analisi istituzionale mentre la seconda opzione viene denominata socioanalisi; entrambe le opzioni però concordano su due assunti di base. Il primo potrebbe essere definito “individuo-gruppo-organizzazione”; questa connessione dinamica infatti è alla base di entrambi gli approcci ed è presente come sfondo nella reciproca formulazione teorico applicativa; come afferma Petrella (1981) la dinamica istituzionale vede l’organizzazione come realtà che “va dall’intrapsichico e individuale all’impersonale, collettivo e sociale” (p.50). Il secondo assunto potrebbe essere definito “cambiamento”, entrambe le modalità infatti si propongono di favorire nelle istituzioni forme di elaborazione simbolica e di cambiamento. Ad esempio Racamier (1970 ) parlando di istituzioni propone l’immagine dell’orchestra come modello di istituzione che accorda contributi differenti elaborando una sua musica. Jaques (1971) per contro parlando delle finalità dell’intervento socioanalitico esprime la possibilità di favorire l’emergere di una organizzazione sufficientemente sana, che aiuti i suoi membri a pensare e creare qualcosa in comune. Individuo -gruppo- organizzazione Il gruppo, le organizzazioni e le istituzioni sono parole che spesso vengono utilizzate insieme perchè collegate tra loro funzionalmente oppure perché ritenute genericamente interscambiabili (Kaneklin, 1998). La voce istituzione nella Enciclopedia Treccani viene definita come: “ A) L’atto o il complesso di atti con cui si istituisce, cioè si fonda, si stabilisce, si introduce nell’uso qualche cosa: di un’accademia, di una biblioteca, di un ordine religioso o cavalleresco, di una cerimonia, di una festa, di una borsa di studio. B) Ordinamento, nel campo sociale, religioso, morale, politico, fondato su una legge o accettato per tradizione, e le stesse norme, consuetudini, leggi fondamentali su cui si regge un’organizzazione politica: l’istituzione del matrimonio; della rappresentanza popolare.”. Il verbo istituire viene inoltre definito come : “istitüire (letter. institüire) v. tr. [dal lat. institu?re, comp. di in-1 e statu?re «collocare»] In genere, stabilire nell’uso, fondare, dare inizio a cose di pubblica utilità, o comuni…”. Etimologicamente quindi, l’istituzione è qualcosa di fondato nel sociale per fare o rappresentare qualcosa nel sociale. Spesso inoltre ci ritroviamo, nella nostra vita pratica, a constatare che le istituzioni sono fatte di organizzazione e di gruppi; organizziamo attraverso codici etici e applicativi l’interazione tra persone riunite in gruppi di lavoro. Le interazioni avvengono su basi formalizzate di tipo tecnico e gerarchico (pensiamo a qualsiasi istituzione di cura o di formazione, ad esempio). Questa constatazione relativamente semplice ed evidente coincide sostanzialmente con quella del filosofo e sociologo Max Weber sulla natura della “Organizzazione razionale” (1922). Freud (1938) in “L’uomo Mosè e la religione monoteistica; tre saggi” parla di istituzioni, organizzazioni sociali e di sistemi sociali collegandoli con la analisi precedentemente svolta in “Totem e Tabù” (1912-1913). Egli afferma: “I legami emotivi reciproci nati fin dalla cacciata (del padre)… finirono per condurre a un’unione tra loro, una sorta di contratto sociale. Nacque così la prima forma di organizzazione sociale, con la rinuncia pulsionale, il riconoscimento di obbligazioni reciproche, la fondazione di certe istituzioni dichiarate inviolabili (sacre), dunque gli inizi della morale e del diritto” ( pag. 404 ). Lo stesso Freud inoltre in “Il disagio della civiltà” (1929) afferma che: “I benefici dell’ordine sono incontestabili: esso da all’uomo la possibilità di utilizzare nel modo migliore il tempo e lo spazio risparmiando le sue forze psichiche…(stupisce che) l’uomo manifesti una tendenza innata alla negligenza, alla irregolarità e alla confusione nel lavoro e debba essere faticosamente educato…La vita umana associata è resa possibile a un solo patto: che più individui si riuniscano e questa maggioranza sia più forte di ogni singolo… La sua essenza consiste nel fatto che i membri della comunità si limitano nella possibilità di soddisfacimento, mentre il singolo non conosceva restrizioni del genere…” (pag. 584-585). Anche nella concezione sociale freudiana dunque vi è il tema dello scontro tra le esigenze sociali, le leggi dell’ordine e del lavoro, e le tendenze pulsionali. E’ a tutti nota la frase di Freud (1929) : “l’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza” (pag. 602). Un aspetto concettuale specifico della psicoanalisi rispetto ad altre discipline come la storia, l’economia o la sociologia, deriva dal fatto che l’interazione tra le persone nel sociale non è vista come il frutto esclusivo di determinanti oggettive ma si ritiene potentemente influenzata dalla dinamica pulsionale inconscia. Gli sviluppi della teoria psicoanalitica attraverso la scoperta del gruppo (qualcosa di diverso dal concetto folla o di massa presente sia in Freud e sia nella psicologia sociale di fine Ottocento2) hanno permesso di focalizzare l’attenzione sulla dinamica affettiva cosciente e inconscia che si realizza nei gruppi che abitano l’istituzione. Tale capacità di attenzione può aiutare le organizzazioni stesse a funzionare meglio, ad essere più sintoniche con i loro fini istituenti. La scoperta delle relazioni sistemiche tra gruppi all’interno di una organizzazione, in relazione al perseguimento del fine istituzionale (secondo la visione socioanalitica del Tavistock Institute o la scuola gruppoanalitica e istituzionale argentina3) ha aperto ulteriori possibilità di osservare le istituzioni come un insieme composto da differenti parti dinamicamente interagenti, non solo come una sorta di generalizzazione di quanto avviene in un singolo gruppo di lavoro. I livelli di osservazione sono molteplici e interconnessi; le possibilità realizzative dell’organizzazione sono in parte regolate dai movimenti emotivi nei e tra gruppi. In una istituzione i gruppi di lavoro non si muovono isolatamente; essi sono in relazione di interdipendenza tra loro e a loro volta essi stessi sono condizionati dalla amministrazione (Higgin e Bridger 1964). Inoltre i gruppi sono determinati dall’azione dei singoli responsabili del coordinamento o ancora dai processi di leadership e dal clima emotivo che attraversa la cultura delle istituzioni. Osservare le istituzioni in una prospettiva clinica può apparire come una impresa tanto vasta quanto imprecisa se non teniamo conto del livello del processo dinamico e del funzionamento reale che vogliamo mettere a fuoco nella nostra attività di osservazione, oltre ai motivi che ci spingono alla osservazione stessa. In questo senso si vogliono identificare alcuni punti che paiono essere discriminanti a tale scopo. Una prima considerazione riguarda le istituzioni con le quali ci confrontiamo; è importante infatti fare una distinzione tra ciò che esse producono e i processi dinamici che possono essere messi in atto (Miller e Rice, 1967). Le strutture sociali possono essere differenziate (Etzioni, 1961) a seconda delle finalità che perseguono; le organizzazioni possono occuparsi del controllo sociale (contenimento della devianza sociale, polizia ) essere finalizzate al profitto (aziende per la produzione di beni e servizi privati) oppure a perseguire un fine sociale (organizzazioni religiose, varie istituzioni sociali e senza scopo di lucro). Molte delle osservazioni istituzionali che ci vengono riportate sono riferite al campo istituzionale che si crea in organizzazioni deputate alla cure delle persone, organizzazioni definite per eccellenza come “istituzioni” dagli operatori psicosociali. Il campo istituzionale però è più ampio. Renzo Carli (1981) ad esempio definisce “istituzione” non solo le istituzioni sociali tradizionali come la scuola, gli ospedali etc. (organizzazioni con finalità sociali) ma anche il funzionamento affettivo in sé di ogni organizzazione. Di fatto Jaques così come tutta la scuola del Tavistock e la scuola argentina si sono da sempre occupate di osservare e intervenire (action research 4) in organizzazioni di ogni tipo senza discriminare tra istituzioni di cura e organizzazioni di altro genere. In altre parole se il rapporto con l’obiettivo del lavoro, con ciò che si produce, viene considerato molto differente tra istituzioni di cura e le altre organizzazioni, il tema delle dinamiche tra le persone, della direzione e della cultura di gruppo può presentarsi relativamente costante in organizzazioni con differenti finalità. Le organizzazioni di cura vengono spesso viste secondo il criterio dell’isomorfismo tra l’offerta di servizio e i modelli organizzativi adottati5; ma se è vero, come spesso si afferma, che il gruppo curante può essere modellato in alcuni aspetti dalla patologia dell’utente (ad esempio la frammentazione, la tendenza alla identificazione proiettiva nel lavoro con i casi “gravi” e borderline) è anche vero che autori di formazione psicoanalitica come Kets de Vries (1984,1989) o Jaques (1971) affermano che determinate patologie organizzative come l’ossessività o la persecutorietà possono nascere dalla forma amministrativa dell’organizzazione legata al suo prodotto e alla cultura dei gruppi dominanti (ad esempio la scissione nella burocrazia amministrativa o nelle produzioni tecniche). Kernberg (1988), e anche uno dei più autorevoli rappresentanti attuali del Tavistock Institute, lo psicoanalista Obholzer (1987), ad esempio, parlando di patologia del funzionamento istituzionale sono molto chiari nell’asserire che la patologia è un fenomeno legato ai gruppi e all’esercizio della autorità all’interno delle organizzazioni in generale. Kernberg (1998) stesso dedica parti del suo contributo anche al fenomeno dell’isomorfismo tra malati mentali gravi e organizzazione dei gruppi curanti tipico di alcune istituzioni psichiatriche senza voler con questo definire l’intera questione organizzativa. L’isomorfismo in conclusione, è una parte importante del fenomeno organizzativo ma non lo comprende; guardare alle istituzioni esclusivamente in termini di rispecchiamento tra utente e organizzazione del gruppo curante – mirroring image structure secondo Stanton e Schwartz (1984 ) - , può essere talora limitante.
Il tema del cambiamento Quando si passa dalla osservazione all’intervento, il tema del cambiamento sembra essere un correlato inevitabile. Il problema del ruolo di chi interviene nella dinamica istituzionale, in termini di setting e finalità, è tanto interessante quanto ampio; si può forse dire in questa occasione che le opzioni variano dalla modalità gruppoanalitica a quella consulenziale. Il tema del cambiamento è legato all’intervento dell’analista, dato che le organizzazioni e le istituzioni si rivolgono ad esterni proprio quando non riescono a funzionare in termini elaborativi e sono bloccate (Roussillon 1983, Eisold 1999). Questo ad esempio è il caso di conflitti presenti all’interno della organizzazione e di sottogruppi che ne paralizzano o distorcono l’attività. Altre volte le organizzazioni sono pervase da un disagio che non è rapportabile direttamente a un conflitto intergruppo e intragruppo; vi può essere un sentimento di apatia, frammentazione, di aridità al proprio interno oppure nel rapporto con l’utenza e con l’esterno in generale. Il caso del servizio infermieristico della psicoanalista inglese Menziez (1960) descrive un’intera istituzione ospedaliera nella quale, attraverso una collusione tra livelli direzionali ed esecutivi, si era costituito un comportamento organizzativo “malato”. L’organizzazione, apparentemente efficiente, era in realtà finalizzata a tenere lontano dal dolore emotivo e dalla responsabilità di farsene carico sia infermieri che dirigenti; tale ordine era inoltre basato sulla negazione di talune evidenze. Il cambiamento nelle istituzioni è tanto necessario quanto evitato e se – come ricordava Freud nel passo precedentemente riportato da “Il disagio della civiltà” – gli esseri umani non fossero così negligenti verso il lavoro, non vi sarebbe bisogno di interventi di cambiamento. Sempre nello stesso lavoro Freud aggiunge: “L’ordine è una sorta di coazione a ripetere, che decide, mediante una norma stabilita una volta per tutte, quando, dove e come, una cosa debba essere fatta, in modo da evitare esitazioni e indugi in tutti i casi che si assomigliano.”(1929, pag.584). Il cambiamento, è percepito come perdita della base sicura e molti scritti riguardanti la dinamica istituzionale riguardano le difese delle organizzazioni dalle ansie secondarie e primarie legate al cambiamento stesso.6 Ma se vi è un nesso diretto tra ansie e cambiamento, potremmo chiederci; che rapporto esiste tra ansie e organizzazioni? Ripensando al primo punto in comune dei vari autori precedentemente descritto, ovvero “individuo- gruppo – organizzazione”, si potrebbe svolgere qualche sintetica riflessione pur nella complessità del tema. Se il nostro intento è l’osservazione dell’organizzazione o del comportamento istituzionale, come è caratteristico della scuola del Tavistock, ma anche della corrente di analisi istituzionale e psicosociologica francese (Enriquez 1991, Kaes 1992), il tema diviene quello della comprensione del sofferenza istituzionale e dell’utilizzazione del sistema sociale come difesa dalle ansie di base delle persone. La scuola inglese ha un approccio pragmatico e tende a constatare come la difesa dalla sofferenza produca disfunzioni organizzative concretamente riscontrabili nelle organizzazioni sia a livello della coerenza tra gli sforzi compiuti e i risultati ottenuti sia a livello del malessere diffuso tra i membri delle organizzazioni, sotto forma di conflitto, stress, difficoltà a produrre. Nel servizio infermieristico descritto dalla Menzies (1960) non si parla di isomorfismo tra la negazione del dolore dei pazienti e la tendenza e la difficoltà a prendersi carico del dolore stesso da parte del servizio infermieristico (ipotesi per altro interessante). Si parla piuttosto di una inefficace organizzazione del servizio di accudimento come distorsione derivante dalle ansie inconscie presenti nel gruppo curante e non elaborate. Le organizzazioni sono un luogo di scontro tra il mandato sociale o istituzionale - il primary task o compito primario, definito dalla scuola tavistockiana - e le dinamiche affettive dei gruppi che abitano l’organizzazione. Per questo gli inglesi parlano della necessità di una funzione continua di “regolazione” (Palmer, 1996) della dinamica istituzionale ad opera di esterni o di interni con particolari capacità di leadership. La modalità istituzionale più vicina alla scuola francese, e in parte argentina, tende a osservare l’insieme istituzionale come luogo che raccoglie i “resti” (Gaburri 1993) di una sofferenza sociale non elaborata o addirittura non elaborabile. Lavori importanti come “Il travaglio della morte nelle istituzioni” (Enriquez, 1987) o “Sofferenza e psicopatologia dei legami istituzionali” (Kaes, 1996) sono testimoni di questa visione. Lo psicoanalista argentino Bleger (1989) si dichiara d’accordo con l’impostazione di Jaques ma aggiunge che la sua visione costituisce solo una parte della relazione tra ansie e istituzioni. Bleger sostiene che le istituzioni funzionino come “deposito” permanente di stati primitivi della mente e di quella che viene chiamata “socialità sincretica di gruppo”, ovvero la coesistenza agglutinata di parti diverse, espresse dai singoli senza che vi sia una reale comunicazione o scambio finalizzato a una matura socialità organizzativa. Kaes (1988) inquadra la sofferenza strutturale del legame istituzionale. Egli parla di sofferenze nel raggiungimento del compito primario e descrive un serie di modalità difensive in atto nel funzionamento istituzionale come “il patto denegativo”, definito come uno spazio di rimozione, di diniego e sconfessione funzionale alla conservazione del legame istituzionale. Correale (1996) parla di “ipertrofia della memoria” ad indicare una cristallizzazione e inaccessibilità emotiva delle immagini mentali dei gruppi nel lavoro istituzionale. Coloro che si occupano di dinamica istituzionale intervengono attraverso la supervisione7, sia istituzionale sia di gruppo, per aiutare l’organizzazione ad elaborare sia livelli di sofferenza strutturale sia forme di patologia e di difesa incardinate nel funzionamento istituzionale. Se ci accostiamo al funzionamento organizzativo di gruppo ci troviamo di fronte ad un lavoro vastissimo in cui occorre ricordare almeno alcuni contributi di Bion (1961), il contributo del modello di consulenza al gruppo di lavoro del Tavistock Institute, il contributo particolare sul gruppo di alcuni analisti francesi, argentini, italiani e infine l’apporto di Kernberg (1998) e di Kets de Vries (1993). Bion, afferma Perini (2005) “con il concetto di ‘work group’ avviò un filone d’indagine innovativo e promettente, ma lo abbandonò quasi subito insieme con l’interesse verso i gruppi per rivolgere le proprie ricerche ai processi di pensiero ed alla revisione della teoria psicoanalitica.”; il suo lascito concettuale sul gruppo stimolò un lavoro integrato nelle numerose pubblicazioni del Tavistock, riguardanti il funzionamento dei piccoli e grandi gruppi nelle organizzazioni8. Analisti francesi come Anzieu (1975), Kaes (1976) pubblicano “Il gruppo e l’inconscio” e “L’apparato pluripsichico”, mentre lo psicosociologo francese Max Pagès (1975) pubblica “L’esperienza affettiva nei gruppi”. Alcuni fra i molti contributi argentini ed italiani sul gruppo, Bleger (1991), Pichon Riviere (1975), Correale (1991), Neri (1985) sono stati già menzionati. In una sintesi complessiva si può dire che il paradigma della analisi istituzionale e della socioanalisi - a livello del gruppo - sembra comprendere tre elementi essenziali, dal cui esito dipende la possibilità del cambiamento per il gruppo stesso; - Oscillazione dinamica dei gruppi tra emotività e razionalità. - Rapporto con l’autorità e la figura del leader. - Relazione contenuto/contenitore che il gruppo ha con l’organizzazione, l’istituzione, la cultura organizzativa. Bion aveva osservato come il gruppo fosse una rappresentazione esterna “drammatizzata” di una gruppalità interna e come il perenne conflitto individuo-società sorgesse da una matrice essenzialmente intrapsichica. “L’individuo – scrive in “Esperienze nei Gruppi” - è un animale di gruppo in lotta, non solo col gruppo, ma con quegli aspetti della sua personalità che costituiscono la sua ‘tendenza a formare un gruppo’” (Bion, 1961). Egli afferma che “gli assunti di base” sono l’equivalente, per il gruppo, di fantasie onnipotenti circa il modo con cui si risolveranno tutti i problemi.Tutti gli assunti di base sono stati emotivi tendenti e evitare la frustrazione inerente l’apprendimento dall’esperienza, apprendimento che implica sforzo, dolore e contatto con la realtà. Tale concezione si ricollega al pensiero di Jaques (1955); gli assunti di base sono correlabili con le ansie psicotiche e le difese primitive descritte da quest’ultimo nel contributo sui sistemi sociali come difesa psicologica di gruppo. I fenomeni di assunto di base sono reazioni difensive del gruppo di fronte alle ansie psicotiche riattivate dal problema dell’individuo entro il gruppo e dalla regressione che tale problema gli impone. Poco dopo le affermazioni di Bion sui gruppi, nel 1975 Max Pagés pubblica un corposo resoconto clinico di un gruppo di formazione intitolato “L’esperienza affettiva dei gruppi”. Una delle considerazioni che vengono sviluppate dall’autore è che il nucleo degli affetti di gruppo sia una associazione di due opposti, ovvero l’amore ed il sentimento di separazione. La difficoltà a tollerare tale coesistenza porta a processi di dissociazione del gruppo dai due poli opposti. Egli afferma che ci sono due grandi vie di dissociazione complementari; una è quella dell’amore possessivo che nega la separazione e l’altra è quella della separatezza che nega l’amore, ovvero l’ostilità. Un gruppo sufficientemente sano e/o ben supportato dai suoi leader riesce ad elaborare in maniera riparativa questa ambivalenza costitutiva dell’essere umano tra amore e aggressività.Un gruppo che invece non riesce ad amalgamare - per così dire - i suoi istinti dicotomici si potrebbe dire bloccato in una a possessività autoreferenziale oppure in una ostilità compulsava. Entrambe le posizioni staticamente polarizzate inibiscono il cambiamento del gruppo verso investimenti oggettuali evolutivi e realizzativi all’interno della istituzione. . Anzieu (1975) nel “Il gruppo e l’inconscio” parla dell’ambivalenza di fondo dell’individuo verso il gruppo, dato che esso è contemporaneamente il luogo della generazione dell’identità individuale e della minaccia alla identità individuale. Gli altri ci permettono di esistere; ma in un gruppo non gestito l’individuo corre il rischio di sentirsi minacciato nella propria unicità e/o confuso in un aggregato magmatico. Per riuscire a funzionare il gruppo deve riuscire a costruire un immaginario senso della propria identità come corpo intero capace di dare un senso complessivo a ciò che avviene. Anzieu fa riferimento anche alla illusione gruppale come tendenza dei gruppi, e talora anche dei loro conduttori (analisti ma anche manager o formatori), come difesa dall’angoscia dell’integrazione del corpo, attraverso un ritiro narcisistico su di sé piuttosto che il perseguimento dell’obiettivo reale del gruppo. Lo psicoanalista Renè Kaes nel 1976 nel suo libro “L’apparato pluripsichico” descrive il gruppo come una sorta di area transizionale tra Io e non Io, uno spazio mentale, che può funzionare, per così dire, come un apparato unico a più menti. Perché ciò avvenga è importante che vi siano degli organizzatori di questo fenomeno transitorio dell’essere che è il gruppo. Un oggetto-gruppo deve formarsi nella mente del gruppo affinchè sia possibile un funzionamento del gruppo stesso. A questo scopo una categoria fondamentale sono gli organizzatori socio-culturali, che risiedono nei codici e nei riti e nelle istituzioni sociali. Bridger (1990) sosteneva che l’istituzione potesse costituire uno spazio transizionale, secondo la concezione di Winnicott, ovvero un’area in grado di catalizzare un impulso a mettere in scena qualcosa di non rappresentabile a livello individuale. Ora si sa che il teatro è finzione scenica ma permette talora di provare emozioni vere e profonde ed essere una esperienza che modifica qualcosa di noi. Se non avviene questa sorta di reverie rappresentazionale il gruppo può essere un luogo in cui si attivano fantasie primitive, il malessere istituzionale può trasformarsi in una paralizzante rigidità difensiva oppure in una caotica frammentazione irrealizzativa. Utilizzando le immagini di Racamier (1970) il gruppo può però essere anche una realtà elaborativa una “orchestra” che condivide finalità o, come afferma Bion (1962), una realtà capace di seguire il cambiamento, magari a seguito di un leader creativo. È in questo contesto conflittuale che il gruppo e la sua leadership sono costretti a operare cercando un ragionevole compromesso tra i bisogni emotivi degli individui e le necessità di sviluppo del gruppo nel suo insieme, sviluppo che dipende dalla sua capacità di permettere l’emergere dell’ “idea genuinamente nuova”,. Il tema della leadership viene in questo senso collegato da autori più recenti del Tavistock, come Obholzer (1994), alla capacità del leader di essere simbolicamente un genitore sufficientemente buono, in grado di svolgere una funzione di reverie rispetto al gruppo, aiutandolo a contenere sentimenti di invidia e distruttività e integrando le proprie risorse nell’apprendimento e nella realizzazione organizzativa. Per quanto concerne ancora la leadership del gruppo in ambito istituzionale infine, Kernberg (1998) come pure Kets de Vries (1993) affrontano il tema del narcisismo distruttivo del leader come fonte di patologia del gruppo e sofferenza della intera organizzazione. Per concludere, il tema del cambiamento in relazione all’individuo è collegato alle modalità di rappresentazione affettiva che il lavoro ha per le singole persone. Silvio Stella nel contributo “Lavoro interno e lavoro esterno. Premesse per una psicoanalisi del lavoro” (1983) ci fa notare che Freud affermava come l’individuo considerabile normale deve avere due fondamentali capacità; quella di amare e quella di lavorare. Stella chiarisce come la capacità di lavorare sia una capacità psicologica oltre che fisica; una capacità di elaborazione interna delle proprie rappresentazioni affettive che nella dimensione lavorativa vengono proiettate. Il lavoro, così come il lutto, è un processo interiore attraverso il quale eventi esterni vengono simbolicamente trascritti in affetti individuali che debbono avere un significato accettabile e/o di sviluppo per la identità di chi lavora. Le organizzazioni sono spesso prevalentemente attente alla dimensione “esterna” e oggettiva del lavoro, ma molto meno al modo in cui le persone rappresentano la loro attività. I ruoli organizzativi sono entità oggettivate su protocolli scritti ma interpretate soggettivamente da chi li assume in sé. Anche nell’individuo la dinamica istituzionale ci riporta ancora una volta al mondo interno ed alla rilevanza della sua interazione con l’esterno. Bibliografia
1 Va anche ricordato l’apporto della scuola francese di analisi istituzionale, nata proprio all’interno di istituzioni psichiatriche. L’analisi istituzionale deriva dalla “Psicoterapia Istituzionale”, un movimento nato nel manicomio di Saint Albain durante la resistenza francese nella seconda guerra mondiale. Questa esperienza verrà elaborata nel 1967 da Lapassade fondatore della “Analisi istituzionale” e raccolta dalla scuola di psicosociologia francese (Enriquez) e da psicoanalisti interessati alla istituzione. Vedi ad esempio; Enriquez, E. (1992), L’organization en analyse, Paris PUF. Kaes R., Bleger J., Enriquez E., Fornari F., Fustier P., Roussillon R., Vidal J.P. (1988), L’istituzione e le istituzioni, trad.it. Borla editore, Roma 1991 Alla scuola di analisi istituzionale francese si rifanno anche autori di scuola argentina in un originale approccio istituzionale, gruppoanalitico, sistemico come si può osservare nel lavoro di Bleger “Psicoigiene e Psicologia istituzionale” che raccoglie contributi che partono dal 1966 e arrivano sino agli anni Ottanta. Bleger è per altro presente nella importante pubblicazione sopraccitata “L’istituzione e le istituzioni”. Esiste pure un interesse italiano per il tema delle istituzioni. Vi sono molti contributi che spaziano tra differenti approcci; ad esempio contributi di psicoanalisi e socioanalisi delle istituzioni (Fornari 1971, 1973) , contributi psicoanalitici e gruppoanalitici sulla istituzione (Correale 1971, Neri 1985) e contributi psicosociologici (Kaneklin e Manoukian 1990) 2 Vedi ad esempio il concetto di “folla senza testa” espresso dagli psicologi sociali francesi di fine Ottocento, Le Bon (1895) e Tarde (1895) e ripreso poi da Freud nell’opera Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921). 3 Alcuni contributi di base della scuola inglese possono essere; - Jaques E., (1955) “ Sistemi sociali come difesa contro l’ansia persecutoria e depressiva”, in Nuove vie della psicoanalisi a cura di M.Klein,P.Heimann e R. Money Kyrle (1955), trad.it. Il saggiatore, Milano 1966. - Jaques, E. (1970), Lavoro creatività e giustizia sociale, trad.it. Bollati Boringhieri, Torino 1978. - Hinshelwood R.D., (1987), Cosa accade nei gruppi. L’individuo nella comunità, trad. it. Raffaello Cortina Editore, Milano 1989. - Lang, M., Schweitzer K. (a cura di) (1984), Psicoanalisi e socioanalisi, trad .it Liguori, Napoli. - Miller, E.J., Rice, A.K. (1967), Systems of Organization. The Control of Task and Sentient Boundaries. London, Tavistock Publications. Per la scuola argentina; - Bleger, J., Cvik, N., Grunfeld, B. (1966), Psicoigiene e Psicologia Istituzionale, trad.it. Libreria Editrice Lauretana, Loreto 1989. - Pichon Riviere, E., (1975), Il processo gruppale , trad.it. Editrice Lauretana, Loreto 1985. Vi sono inoltre numerosi contributi integrati a livello internazionale come il già citato testo “L’istituzione e le istituzioni”, a cura di J. Bleger, E. Enriquez, F. Fornari, P. Fustier, R. Roussillon, J.P. Vidal, (1988), trad.it Borla, Roma 1991.
4 Il termine action research fu coniato nel 1946 da Kurt Lewin, psicologo sperimentale statunitense noto per i studi sulla dinamica di gruppo e la ideazione del concetto di “campo di gruppo”. In seguito - alla fine degli anni Cinquanta - questa denominazione fu utilizzata per indicare alcuni lavori ad orientamento clinico d’ispirazione freudiana e kleiniana realizzati della Tavistock Clinic in Inghilterra, seguiti alla prima ricerca azione condotta dal Eliot Jaques presso la industria manifatturiera Metal Glacier Company condotta nel 1951. 5 Vedi tra i numerosissimi contributi; - A. Bellettini, A. Labanti, F. Vanni, C. Zilioli , “Isomorfismi fra modelli teorico-clinici ed organizzazione dell’offerta di cura in un servizio per adolescenti”, 6° Congresso Internazionale I.S.A.P. - Roma 26-29 Giugno 2003. - Correale A. (1991), Il campo istituzionale, Borla editore, Roma. - Kernberg Otto F.(1998), Le relazioni nei gruppi. Ideologia, conflitto e leadership, trad.it Raffaello Cortina Editore, Milano (1999). - Leonardi P., “Difese istituzionali e tossicomania”, Rivista di Psicoanalisi, vol.17 , 1971. - Stanton, A, Schwartz, M., (1954), The Mental Hospital, Basic Books New York.- Vigorelli, M. (1994), “ Psicoanalisi e modelli organizzativi del campo istituzionale” in Istituzione tra inerzia e cambiamento , M. Vigorelli, (a cura di), FrancoAngeli, Milano.
6 Oltre ai classici autori già citati Jaques (1955) e Menziez (1960) vedi tra i moltissimi ;
7 Vi è una vasta produzione sul tema della supervisione nelle istituzioni soprattutto di cura, con visioni che vanno dalla supervisione clinica a quella del gruppo di lavoro. Un testo che può dare una idea complessiva è “ Il lavoro di cura nelle istituzioni” a cura di Vigorelli (2005). 8 Vedi ad esempio;
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