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PSYCHOMEDIA
Telematic Review
Area: Psico-socio-analisi

GENITORIALITA' ISTITUZIONALE*

Una rete di sostegno all’allattamento al seno presso l’Ospedale Baby Friendly Hospital di Soave

Leonardo Speri**, 2002

Sommario

  1. Contesto
  2. Perché promuovere l’allattamento al seno?
  3. Un particolare presupposto della rete
  4. Oltre l’obiettivo del riconoscimento di Ospedale Amico del Bambino (Baby Friendly Hospital)
  5. Il progetto: gli aspetti concreti della costruzione di una rete progettuale ed operativa
  6. La formazione comune: un buon rinforzo per la rete
  7. Sostenere la genitorialità di tutti
  8. Limiti e prospettive: la lettura dei problemi e l’intervento per il benessere del sistema di cura
  9. Modificare i presupposti del sistema di cura
  10. Un’emozione centrale
  11. Conclusione
  12. Bibliografia
  13. Bibliografia sull’allattamento al seno

1. Contesto

Con questa relazione cercherò di dar conto di alcuni aspetti dell’esperienza di promozione e sostegno dell’allattamento al seno sviluppata dall’agosto 2000 fino al gennaio 2002 in una parte del territorio dell’ULSS 20 di Verona, una parte di circa 110.000 abitanti, in cui opera il punto nascita dell’Ospedale di Soave, dove nel 2001 sono avvenuti 1235 parti. Si tratta di un lavoro volto a favorire una trasformazione qualitativa di una istituzione, intesa come sistema di gruppi, attraverso un complesso intervento di sostegno e sviluppo di una rete di competenze non solo individuali ma anche gruppali e istituzionali.


2. Perché promuovere l’allattamento al seno?

I motivi che portano ad occuparsi di allattamento naturale credo possano qui essere dati per acquisiti: oltre che in una consolidata letteratura scientifica, si rintracciano nei progetti di promozione della salute su scala regionale, nazionale e internazionale, e si allineano in particolare al terzo obiettivo (garantire a tutti una buona partenza di vita) del documento della regione europea dell’OMS denominato “Health 21, 21 obiettivi per il 21° secolo”. (1998)

Per l’Azienda ULSS 20 si tratta di rispondere alla sollecitazione regionale per un radicamento nel Veneto delle politiche dell’OMS, ma soprattutto di esprimere la precisa volontà locale di perseguire in un disegno integrato processo di aziendalizzazione, promozione della qualità e obiettivi di promozione della salute, questi ultimi con particolare riguardo ai principi che vedono la comunità come protagonista della propria salute (Carta di Ottawa 1984, Verona Initiative 2000).

Il tutto utilizzando al meglio le capacità degli operatori, valorizzando in particolare la risorsa formazione.


3. Un particolare presupposto della rete

Una forte volontà trasformativa da parte dell’istituzione, della Direzione Aziendale, è una premessa fondamentale: la Direzione infatti è un anello indispensabile della rete che va considerata in modo accurato affinché i cambiamenti siano istituzionalmente riconosciuti, sostenuti e possano diventare stabili. Potremmo parlare, utilizzando un altro linguaggio, della necessità di sostenere innanzitutto la genitorialità interna al progetto.

In questo senso questo progetto è un laboratorio, tuttora in atto, che accanto alle azioni tenta anche di aprire una riflessione ed una ricerca sulle metodologie più adatte per affrontare i nodi via via emergenti quando si lavora con approccio clinico ad un progetto di trasformazione qualitativa di una soggettualità gruppale. Tra questi quello della rete, oggetto molto inseguito ma talvolta evanescente.


4. Oltre l’obiettivo del riconoscimento di Ospedale Amico del Bambino (Baby Friendly Hospital)

Premetto subito che l’iniziativa, faticosa ed entusiasmante, innestata su un terreno favorevole per sensibilità ed esperienze precedentemente maturate, ha consentito di certificare il punto nascita con prestigioso riconoscimento di “Ospedale Amico del Bambino” secondo i criteri UNICEF/OMS, raggiungendo i dieci obiettivi previsti dalla “Dichiarazione degli Innocenti” di Firenze del 1990 per la promozione della Baby Friendly Hospital Initiative. (vedasi allegato)

Costruire un percorso assegnando 10 obiettivi specifici già sostenuti da evidenze scientifiche e poter usufruire di un sistema di valutazione consolidato ha costituito per il gruppo di progetto, assieme a qualche problema, un vantaggio e una sfida. In effetti in Italia solo molto recentemente due strutture (Bassano del Grappa – VI e Soave -VR) hanno ottenuto il riconoscimento internazionale di “Baby Friendly Hospital”.

Ben diversa invece la diffusione dei “Baby Friendly Hospital” su scala mondiale (circa 15.000 gli ospedali certificati) con una prevalenza nei paesi in via di sviluppo. In Europa (circa 200 nel ’96), oltre all’eccellenza raggiunta in Svezia e un buona diffusione in Scandinavia e Danimarca, si segnalano esperienze nei Paesi dell’Est e più sporadiche in Gran Bretagna.

Le prime certificazioni italiane smentiscono i timori, o l’alibi, che la nostra organizzazione sanitaria, ritenuta a ragione strutturalmente e anche culturalmente di ostacolo all’allattamento materno, sia immodificabile e non contenga invece risorse attive in solitudine che attendono solo di essere connesse.

Ragioni complesse socio-culturali (atteggiamenti della popolazione, realtà socioeconomiche, ecc.) e di organizzazione sociosanitaria (parcellizzazione, vuoti o ridondanze di intervento, abitudini assistenziali e culturali sedimentate) spiegano le maggiori difficoltà di alcuni paesi Occidentali ad orientarsi nella direzione auspicata, e anche dove vi è sensibilità e motivazione del personale, molti vincoli locali intervengono nell’ostacolare il raggiungimento degli obiettivi.
Tra questi ostacoli c’è senz’altro una grande difficoltà a fare rete e ad attivare con modalità progettuali la risorsa gruppo.

Personalmente ritengo che la buona riuscita del progetto e l’efficacia delle procedure risentano in modo determinante, data la natura dell’obiettivo, del clima organizzativo interno e dell’assetto relazionale verso l’esterno con cui viene accolta la coppia madre bambino, sia nel punto nascita che sul territorio. Quello dell’atmosfera emotiva di un gruppo di lavoro, e la rete è una particolare configurazione di gruppo, è a mio parere fondamentale, tanto più rilevante quanto più legato alle emozioni è il compito a cui il gruppo è chiamato, e la gravidanza, il parto e l’allattamento sono un formidabile condensato di eventi biologici e di emozioni corrispondenti. È uno dei punti che intendo approfondire.

Il raggiungimento completo dell’obiettivo dell’OMS “allattamento al seno esclusivo fino al sesto mese e l’indicazione del latte materno come latte di scelta dopo l’inizio del divezzamento ed almeno per tutto il primo anno di vita”, necessita del massimo coinvolgimento del microambiente (partner e famiglia allargata), dei servizi sociosanitari e della comunità.

Aver perseguito il riconoscimento di Ospedale Amico del Bambino ha fornito l’occasione per migliorare le performance del punto nascita per raggiungere gli standard desiderati, ma soprattutto di costruire un progetto in cui la rete assume un ruolo privilegiato, soprattutto nella successiva fase di mantenimento. Infatti il buon esito del lavoro fatto nell’ULSS 20 si misura per ora solo sul dato relativo all’allattamento alla dimissione, molto buono: una media superiore al 97,80% nell’ultimo trimestre dell’anno di allattamento pieno secondo i parametri OMS (98,60% a dicembre), con il 90,68 % di allattamento esclusivo (94,44% a dicembre). Inoltre ad una prima osservazione la soddisfazione percepita, non ancora rilevata con strumenti standardizzati, appare molto elevata, sia negli operatori che nelle mamme. Quest’ultime peraltro hanno risposto molto positivamente alle interviste dei valutatori dell’UNICEF.

Non abbiamo invece, per ora, dati raccolti in modo rigoroso sul proseguimento dell’allattamento dopo la dimissione. Nel 1999 una ricerca, con qualche dubbio sul rigore dei rilevamenti, a fronte di un allattamento pieno alla dimissione pari all’89,1% (esclusivo 80,1%), segnalava ad un mese un allattamento pieno del 63,3% (esclusivo 49,8 %).


5. Il progetto: gli aspetti concreti della costruzione di una rete progettuale ed operativa

A di là del successo ottenuto, il progetto è stato l’occasione per iniziare la sperimentazione di un modello di lavoro basato sulla ricerca della qualità attraverso la massima integrazione tra operatori, tra servizi ed in particolare tra ospedale e territorio. In particolare si è colta l’occasione per coinvolgere i pediatri di libera scelta nella presa in carico precoce del neonato, con particolare riguardo alle situazioni di rischio, nel follow-up, ma soprattutto nel progetto nella sua interezza e nel clima organizzativo della rete creata per realizzarlo

Nell’Ospedale fin dal 1995 erano state introdotte pratiche di qualità, consolidando cambiamenti importanti nella gestione del parto, del Rooming-in e dell’allattamento. I punti di forza di partenza erano:

  • Soddisfacente copertura della popolazione con i corsi di preparazione al parto;
  • Basso tasso di Parti Cesarei (c.ca 19%);
  • Analgesia periferica nel 99% dei parti cesarei (la madre partecipa all’evento);
  • Servizio Anestesiologico gratuito a disposizione e a richiesta 24h./24 Analgesia in travaglio di parto;
  • Nessun distacco nella prima ora del bambino dalla madre;
  • Rooming-in diurno, notturno come prima scelta;
  • Allattamento pieno al seno (esclusivo + prevalente) alla dimissione (80.1% nel 1999)
  • Ambulatorio del latte e una linea telefonica attiva 24h./24h.

Come si vede tutti gli elementi di forza risultano evidentemente legati alle attività ospedaliere.
Nell’Agosto del 2000 è stato costituito uno staff di Coordinamento (la tendenza precedente era che un po’ tutti facevano tutto) e riorganizzato un precedente Comitato per il BFH, rendendolo rappresentativo dell’intero personale e di tutti i servizi, formalizzando il coinvolgendo anche degli operatori dell’area territoriale e curando da subito in modo particolare il clima organizzativo e comunicativo attraverso una metodologia di condivisione orizzontale e multidisciplinare.

Questo Comitato ha individuato nel dettaglio criticità carenze e corrispondenti azioni da compiere, proponendo 7 sottoprogetti attribuiti ad altrettanti sottogruppi:

  1. i corsi di preparazione al parto (aumentare l’informazione e l’alleanza con le gestanti),
  2. le procedure del parto (consolidare le buone pratiche introdotte).
  3. la degenza (raggiungere il rooming-in totale ed allattamento esclusivo).
  4. dimissione (garantire la continuità tra avvio e mantenimento dell’allattamento),
  5. informazione (strategie di informazione e stesura di protocolli, materiali informativi),
  6. il follow-up dell’allattamento (verifiche di efficacia),
  7. la formazione (di base e permanente).

Per quel che riguarda i pediatri di libera scelta, che nel territorio di riferimento sono 17, due hanno fatto parte del comitato promotore e sono stati molto attivi nei sottogruppi dimissione, informazione, follow-up, formazione. Inoltre 16 su 17 hanno partecipato ai percorsi formativi poi realizzati. Il tutto grazie anche ad una forte spinta culturale della locale ACP ed un convinto contributo della segreteria della FIMP (ribadendo anche qui l’importanza del riconoscimento istituzionale). Sinteticamente questa collaborazioni ha individuato tre obiettivi concreti per i pediatri di libera scelta:

  1. dare alla madre in difficoltà l’aiuto e la sensazione di essere sostenuta,
  2. cogliere le problematiche sull’allattamento in una fase precoce al fine di evitare complicanze,
  3. sostenere nella comunità l’allattamento attraverso iniziative di promozione e monitoraggio.

Questo attraverso alcuni strumenti prodotti in modo condiviso:

  • un protocollo per la presa in carico precoce del neonato che prevede una scelta del pediatra anticipata, un primo contatto entro tre giorni e un contatto immediato in caso di problemi nell’allattamento, attivando informazioni alla famiglia già durante i corsi di preparazione al parto;
  • un protocollo per la segnalazione e sostegno situazioni a rischio per l’allattamento, con particolare riguardo per la 1° settimana, per garantirne il mantenimento attraverso un servizio in rete effettivamente protettivo (secondo l’occorrenza si assicura l’intervento di 2° livello da parte dei colleghi dedicati nella struttura ospedaliera - ambulatorio del latte, delle due psicologhe dei consultori familiari, attive nell’area di supporto alla genitorialità, delle due ostetriche di distretto per eventuali interventi a domicilio con eventuale affiancamento del pediatra per valutazione domiciliare);
  • una verifica periodica tra tutti gli operatori del servizio della rete di sostegno;
  • un follow-up sull’intera popolazione in occasione dei bilanci di salute del 1°, 3°, 6°, 9° mese, redatti secondo le tipizzazioni dell’OMS e forniti mensilmente ai distretti.


6. La formazione comune: un buon rinforzo per la rete

La strategia progettuale di passare una impostazione dall’alto in basso ad una più condivisa (da top-down a bottom-up) ha senz’altro favorito quel positivo clima di gruppo che ha consentito il superamento dei tanti ostacoli organizzativi normalmente presenti in un progetto di questo tipo. Altrettanto e maggior ragione questo è avvenuto per quel che riguarda il percorso formativo che è stato costruito con una attenzione particolare alla ricognizione dei reali bisogni formativi degli operatori ed alla successiva negoziazione, con correzioni anche in corso d’opera, con lo staff dei formatori (che hanno colto pienamente la sfida). Sono stati predisposti 5 moduli di circa 25 persone, in modo che in ciascuno fossero presenti tutti i diversi operatori, con molta attenzione alla multiprofessionalità ed alla diversità delle strutture di appartenenza. Hanno partecipato complessivamente 128 operatori sui 132 invitati (26 del territorio, 106 dell’ospedale). Sono anche state testate le conoscenze sia in ingresso che in uscita e cercato di trovare il miglior denominatore comune per poter lavorare insieme.

È stato proposto come base il corso standard Unicef/OMS di 18 ore “Promozione e Pratica dell’Allattamento al Seno” (intensivo ed intenso e condotto in modo impeccabile) curato dall’Ufficio per la Cooperazione Internazionale dell’Istituto Burlo Garofolo e condotto dal Gruppo di Lavoro per l’Allattamento al Seno (Glase), valorizzando per quanto possibile particolare la parte clinica e pratica. L’aspetto più rilevante per la rete è stata l’opportunità di una condivisione tra personale medico e non medico dell’ospedale e del territorio dei contenuti, delle preoccupazioni, del linguaggio, delle perplessità, delle nuove scoperte, degli obiettivi e di un entusiasmo progettuale degno di nota. Soprattutto per i pediatri di libera scelta – distribuiti nei cinque moduli - ed in genere per il personale del territorio è stata l’occasione di condividere per tre giorni una quotidianità, più abituale per il personale ospedaliero. Fin qui le cose fatte, con i risultati già riferiti.


7. Sostenere la genitorialità di tutti

Mi sono soffermato in modo particolare sull’équipe e sugli operatori non perché le donne gravide con le loro famiglie, successivamente puerpere con i loro bambini, non siano le vere protagoniste del processo ma perché il progetto è un progetto che mira alla creazione/trasformazione della rete istituzionale. Il nostro problema è aiutare gli operatori a fare un indispensabile passo indietro rispetto ad abitudini consolidate e ad assumere una nuova forma di presenza, restituendo lo spazio ai veri protagonisti ed alle loro spontanee capacità di esprimersi e svilupparsi secondo il percorso a cui sono già naturalmente predisposti, come troviamo anche tra i principi del Counseling.

Questo prefigura un compito particolare: creare una rete di sostegno che sorregga l’astensione dalle azioni tradizionali - una volta riconosciute nel loro potenziale dannoso (dalla separazione della madre e del bambino, agli orari, alle tettarelle e i succhiotti, alla glucosata, ecc., in sintesi a quella lunga serie di sassolini che finiamo per disseminare lungo la faticosa strada della conquista dell’equilibrio ottimale tra richiesta ed erogazione di latte materno) - e le sostituisca con attività concrete su un nuovo registro, quello dell’ ascolto e dell’osservazione, della consulenza delicata e competente, dell’appoggio fornito con tempestività nel momento del bisogno e ritirato con altrettanta tempestività nel momento della crescita di una maggiore autonomia.

Sto affermando che il sostegno della genitorialità nel caso dell’allattamento al seno passa qui in un modo indiretto, attraverso una attenzione particolare alla rete istituzionale, fatta dai curanti del territorio, dai curanti dell’area ospedaliera, dalla stessa dirigenza aziendale. Si potrebbe con altre parole chiedersi come sostenere il genitore istituzionale nel movimento alterno tra il codice materno dell’ascolto, della accoglienza e dell’accudimento, e il codice paterno della decisione, dell’intervento di separazione. Si tratta di promuovere il benessere istituzionale, sostenere la salute degli operatori della salute o, in altre parole, di prendersi cura del sistema di cura.


8. Limiti e prospettive: la lettura dei problemi e l’intervento per il benessere del sistema di cura.

Credo che abbiamo tutti l’esperienza di come molti progetti e modificazioni organizzative conseguenti trovino poi nella traduzione pratica grandi difficoltà: semplicemente non succede nel momento vero che ciò che si è appreso venga utilizzato e ciò che si è concordato venga fatto. Nelle aziende si parla del “fattore umano”. Nel progetto Baby Friendly questo fattore umano si sintetizza in diverse immagini. Una fra tutte: i ciucci sono tassativamente vietati, in realtà è più corretto dire che non servono; ma finché questo secondo aspetto non si sostituisce culturalmente al primo c’è una fase in cui vengono tenuti nascosti dalle madri che se lo sono portato da casa, quando non sono comprati di nascosto dal personale per ragioni di “sopravvivenza”. Come mostra il caso dei ciucci le difficoltà incontrate nel promuovere il BFH c/o l’Ospedale di Soave sono schematicamente classificabili in tre ordini, strettamente interdipendenti, ma che vanno affrontati con strumenti differenziati:

  • organizzativo
  • cognitivo
  • affettivo/emotivo

Livello Organizzativo:

Sul piano organizzativo sia in ospedale che sul territorio il problema più consistente riguarda le risorse. È un problema oggettivo, ma in parte dipende anche dalla percezione degli operatori.

In particolare:

  • si teme che il cambiamento organizzativo comporti un maggior carico di lavoro,
  • il tempo dedicato alla discussione ed alla progettazione del cambiamento è stato ricavato con fatica,
  • è stato molto difficile ricavare gli spazi previsti per la formazione (carico di lavoro aumentato),
  • i cambiamenti comportano la modifica o la soppressione di abitudini molto radicate: le nuove azioni comportano un carico di lavoro aggiuntivo e non è immediatamente percepibile la diminuzione di carico di lavoro legato alle azioni in dismissione (es. counselling alle madri versus cura diretta del neonato),
  • la metodologia progettuale inizialmente disponibile era approssimativa, con grande dispendio di energie e frustrazione conseguente.

Interventi necessari:

  • Coinvolgere gli operatori nel processo trasformativo,
  • Garantire il minimo di personale previsto dagli standard,
  • Costruire un progetto accurato con distribuzione di gerarchie, compiti e responsabilità,
  • Proteggere il processo di cambiamento con idoneo tutoring (riunioni, lista dei problemi ecc.)

Livello Cognitivo:

Dalla ricognizione ante-formazione a Soave le informazioni sull’allattamento non risultavano omogenee, bensì differenziate tra e all’interno dei diversi profili professionali e servizi, anche se alcuni principi di base erano stati assimilati e c’era una sensibilità diffusa soddisfacente.

Interventi necessari:

  • Ricognizione del bisogno formativo,
  • Formazione (di cui sono previsti ulteriori momenti per temi e gruppi selezionati),
  • Valutazione condivisa.

Livello affettivo/emotivo:

Il progetto ha messo in luce un incrocio complesso di temi e di livelli di lettura della componente affettivo/emotiva in cui tutti gli operatori sono coinvolti su scala singola e gruppale, nelle relazioni sia con le degenti che con i colleghi, tutti elementi interdipendenti, con precise risonanze nel mondo interno del singolo. Possiamo grossolanamente distinguere due ordini di problemi affettivo/emotivi:

  1. problemi generalmente tipici dei cambiamenti istituzionali e del lavoro di rete;
  2. problemi specifici relativi al compito della promozione dell’allattamento;

Presupposto: ogni cambiamento istituzionale, in particolare nelle reti trasversali ai servizi ed alle categorie professionali, sollecita ansie specifiche e configurazioni tipiche di difesa (diffidenza e altre forme di resistenza, spostamenti e proiezioni), sia individuali che di gruppo.

A Soave sono state registrati in particolare:

  • ansie legate alla rinuncia o alla modifica di azioni (paura dell’incapacità, senso di perdita dell’identità professionale, rinuncia a livelli più o meno consapevoli di potere/autorità, sia nei medici che nei paramedici);
  • difesa tanto più rigida quanto più fragile il proprio ruolo professionale o il proprio servizio;
  • difficoltà a percepire la valenza positiva del cambiamento sul proprio status professionale;
  • convinzioni circa la possibilità che l’obiettivo trasformativo non venga raggiunto per colpa di una categoria professionale diversa dalla propria;
  • isolamento dei soggetti più attivi nel comitato rispetto al gruppo di appartenenza (rappresentatività);
  • timore nel rendere esplicite difficoltà e conflitti.

Presupposto: ogni cambiamento organizzativo risuona nella disposizione affettiva individuale e nel clima istituzionale in modo connesso al compito (in questo caso della promozione dell’allattamento).

A Soave tra l’altro si sono rilevati:

  • ansia rispetto ai bisogni espressi dalle degenti, aumentata dalla percezione di uno scarto tra prescrizioni dei 10 obiettivi OMS BFH e la pratica quotidiana (difficoltà a fronteggiare l’ansia della madre davanti alle richieste implicite del bambino - vissuti anche drammatici - di impotenza);
  • tendenze a passare all’atto per controllare l’eccesso d’ansia (per es. utilizzo di sostituivi);
    talvolta eccessiva rigidità nella prescrizione delle nuove regole alla madri, come azione sostitutiva rispetto alla più difficile presa carico dell’ansia manifestata (es. risposte sbrigative e prescrittive);
  • vissuto di solitudine da parte del personale paramedico (in particolare del Nido) e del territorio (pediatra di base) rispetto agli altri operatori non direttamente a contatto con la richiesta pressante di madri e bambini;
  • tendenza all’evitamento totale (mancate comunicazioni o coinvolgimenti) o parziale (attraverso la banalizzazione delle difficoltà) da parte del personale non direttamente coinvolto dei temi più ansiogeni,

Interventi necessari:

  • creazione di un clima di gruppo favorente la comunicazione di criticità e stati d’animo a partire dalla co-progettazione e utilizzando anche la formazione;
  • creazione di uno spazio permanente di ascolto e di tutoring sui problemi rilevati;
  • predisposizione di un ulteriore percorso formativo (da sperimentare) per rendere stati affettivi e conflitti utilizzabili come apprendimenti;
  • rendere tutto il personale partecipe della valutazione delle proprie azioni, della effettiva praticabilità del progetto, della pertinenza delle singole azioni e dei singoli obiettivi specifici (i 10 passi OMS) apparentemente disgiunti rispetto all’obiettivo generale della promozione dell’allattamento;
  • rinforzo e valorizzazione soprattutto dei ruoli o servizi più fragili;
  • garanzia della restituzione dei risultati del lavoro (flusso dei dati sull’allattamento).

A questi tre livelli va aggiunta la problematica economica per i medici, che finora è emersa solo per quel che riguarda l’area ospedaliera (perdita di sponsorizzazioni delle case del latte stimata per la solo pediatria di oltre 30 milioni l’anno tra convegni e sussidi di varia natura).


9. Modificare i presupposti del sistema di cura

Oltre ai limiti e alle prospettive nella creazione di reti di sostegno alla genitorialità, credo sia necessaria una parentesi, che peraltro può rispondere alla domanda circa il loro significato, la finalità. Che si debba parlare di reti mi sembra quasi scontato: un soggetto collettivo richiede una risposta da parte di un sistema, di un gruppo: il problema dell’allattamento al seno è un problema di una coppia immersa in una comunità e sulla quale intervengono soggetti diversi. Ma con quale filosofia?

L’ottica all’interno della quale si muove oggi il sistema sanitario fatica a riscattarsi da un concetto di salute semplificatorio e causalistico, quello di assenza di malattia o, a ben vedere, del suo rovescio, il perseguimento del completo benessere psicofisico (OMS). Fatica a farsi strada l’idea di salute come processo complesso e non come bene perseguito, perduto, riconquistato, perso per sempre. Se si tratta di un bene la persona è portata a richiederlo alla struttura, al medico che ne è considerato depositario, inducendo interventi complementari.

Anche di qui deriva a mio parere sia l’eccesso di investimento sul potere taumaturgico del farmaco e il sempre più ansioso e rivendicativo ricorso alla struttura ospedaliero o all’ambulatorio, sia la facilità con cui per l’una o l’altra ragione si passa ancora con troppa disinvoltura all’allattamento artificiale: per le accorate preghiere di sostegno da mamme esauste o per le ansiose richieste, e talvolta anche qualche perentoria intimazione, da parte di nonne o padri impazienti verso una montata lattea che sembra non arrivare mai o un latte vissuto come insufficiente quando non velenoso (potremmo completare il quadro con la corollaria, ma non tanto, facilità di penetrazione del marketing farmaceutico e delle case del latte).

È dimostrato che una adeguata preparazione in gravidanza e l’allargamento ai familiari delle informazioni diminuisce questi ostacoli, ma credo che sia importante condividere la filosofia che deve ispirare gli attori di questa preparazione, con un intervento che riconosca le capacità autoregolative della natura, e che intervenga a loro protezione.

Paradossalmente, visto il sospetto di aridità che grava sulle scienze più astratte, potremmo trarre aiuto da una definizione di un computer scientist che ha trattato la salute come una caratteristica dei sistemi complessi non deterministici, sistemi caratterizzati da un elevata non-linearità, come sono in realtà soprattutto i viventi (e come empiricamente sa chi si occupa di clinica):
“nei soggetti umani la salute non è la tensione verso uno stato di equilibrio sociopsicologico ed ambientale. In realtà la salute non è questo in nessuna parte del pianeta. A meno che non si voglia significare che lo stato ideale di salute per il genere umano corrisponda alla morte: unico stato di equilibrio noto. Il danno ulteriore di tale accezione del concetto di salute è nel fatto che lo si prospetta come un paradiso trascendente, perduto ed irraggiungibile durante la vita, uguale per tutti e statico. La beffa è che un ideale del genere corrisponde al concetto di massimo stato di entropia di un sistema, cioè alla sua morte.

In realtà la salute è l’abito giornaliero della vita:

  • è plurale, e non singolare, in quanto ogni soggetto è unico e non ripetibile,
  • è dinamica e non statica, in quanto è fondata sullo squilibrio: è l’instabilità che produce eventi e non esiste fenomeno vivente che non sia squilibrato. I cristalli sono equilibrati,
  • è una produzione soggettiva e non un prodotto oggettivo, in quanto è ogni soggetto a costruire per se stesso la propria salute: quindi è il lavoro di produzione soggettiva che qualifica la salute, non il prodotto ottenuto.

Potremmo così definire la salute la capacità soggettiva di una persona di passare da uno squilibrio all’altro.” (Buscema). Se le cose stanno così va da sé che la posizione dell’operatore della salute sarà più orientata a valorizzare e sostenere le risorse del soggetto, della coppia, della famiglia, della comunità, piuttosto che ad agire in sostituzione o a fornire sostituti. Sostenere e non sostituire diventa anche il compito dello staff del progetto: aiutare gli operatori del sistema sanitario a progettare la propria trasformazione. Così, a cascata, il compito degli operatori sanitari diventa quello di fare un passo indietro, per lasciare alla coppia madre bambino lo spazio per sviluppare il suo specifico progetto di gestione della nutrizione, di chiedere e succhiare e offrire e svuotare.

È una questione insieme pratica e di assetto mentale, per intervenire in modo corretto è necessario essere intimamente consapevoli del ruolo sussidiario (termine molto in uso anche in sanità) del proprio intervento. Un collega psichiatra che si è occupato a lungo di pazienti gravi e degli effetti trasformativi dell’osservazione diretta (senza intervento attivo) nelle dinamiche familiari ed istituzionali ricordava la “duplice valenza del verbo assistere: aiutare ma anche stare a guardare” (Nosè).


10. Un’emozione centrale

La cultura psicoanalitica applicata alle istituzioni suggerisce che le attività e la loro organizzazione siano profondamente condizionate da risposte difensive rispetto ad una angoscia specifica legata all’oggetto del proprio interesse. Per dare un esempio quindi di quanto ho appena sottolineato rispetto alle difficoltà affettive/emotive da trattare presento una breve sequenza presa da un modulo formativo che riguarda una pediatra di libera scelta. Dopo una partecipazione silenziosa la collega si apre. Si sta parlando dei segni di sofferenza del bambino: cali di peso, interruzioni dell’allattamento per 24 ore, insomma i momenti più ansiogeni in cui occorrono nervi saldi e molta fiducia nella natura, ma anche linee guida precise per prendersi una responsabilità in netta controtendenza con quanto appreso, personalmente sperimentato su se stessi e con i propri pazienti, e ancora di uso comune nella gran maggioranza dei colleghi.

Ce n’è abbastanza per spaventarsi e il gruppo non sembra ancora particolarmente attrezzato a darsi reciproca consulenza. La sequenza è grossolanamente la seguente: “mi complimento, siete stati chiari e convincenti: le evidenze a favore dell’allattamento e dei passi per sostenerlo sono chiare e sono d’accordo (parte cognitiva), ma non me la sento di togliere il ciuccio o, in certi casi limitati dare aggiunte, penso anche alla mia esperienza personale di rooming-in e penso che se avrò un altro bambino chiederò che mi venga tenuto un po’ più distante dell’ultima volta (attraversamento personale, verità emotiva) e credo che voi siate troppo estremisti sull’allattamento al seno, un po’ talebani, non credo che applicherò queste cose con i miei pazienti perché non sono d’accordo di togliere il ciuccio e anche sul rooming-in ho grosse perplessità (ristrutturazione cognitiva dopo l’attraversamento emotivo)”. Il lavoro di gruppo rischia di polarizzarsi sulla disapprovazione per l’evidente contraddizione in cui cade la collega che qualcuno, che non si sente talebano, non manca di segnalare. In un intervento però viene ringraziata la collega della voce di sofferenza e di critica che porta, che dà voce alle ansie delle madri, alle difficoltà concrete in cui poi si troveranno gli operatori, che ci aiuta a scendere da un avamposto un po’ idealizzato e che mette di fronte alla realtà dei problemi. Altre voci del gruppo intervengono a vario titolo sul rooming-in notturno, criticandolo prima indirettamente, poi portando esempi in cui sembra impossibile realizzarlo. Il problema della obbligatorietà accende gli animi e ci si potrebbe trovare schierati in favorevoli e contrari. e così sembra. Poi pian piano vengono introdotti due elementi che rendono meno ansiogeno il tutto: il tempo e il gruppo.

Viene sottolineato da una formatrice, generosa della propria esperienza e che accenna anche al proprio allattamento mancato, quanta sofferenza e spaesamento aveva preceduto il lento periodo di ristrutturazione cognitiva che aveva fatto seguito al suo primo contatto con il problema allattamento: “Nessuno si aspetta da ‘domani’ una capacità operativa su tutte le madri, in particolare ora che solo in parte sono state aiutate ad allattare ed informate dei modi corretti”. La collega parla allora del proprio background universitario, e riceve consenso, della varietà dei suoi pazienti provenienti da punti nascita con abitudini e prescrizioni molto diverse, ancor più varia nella sue pregresse esperienza di guardia pediatrica , e trova consenso, del senso di solitudine che il pediatra di libera scelta si trova a vivere davanti all’ansia delle madri, e riceve consenso e promesse di collaborazione. Tutto questo “consenso” fa pensare che il discorso che viene proposto alla fine sulla consapevolezza di essere parte di una rete, una rete di reciproco sostegno rappresentata dalla comunità dei colleghi sulla quale si può fare affidamento, possa diventare concreto e non teorico o consolatorio.

In sintesi: davanti all’ansia del compito, pur compreso cognitivamente, può prendere il sopravvento una verità emotiva, sostenuta da attraversamenti personali non elaborati, che ristruttura in senso ansiolitico i dati cognitivi, attraverso un accantonamento (più o meno consapevole) delle evidenze appena incontrate. Su queste evidenze è possibile tenere aperto lo sguardo a condizione che si introduca un tempo, si crei cioè lo spazio da interporre tra la domanda e il fare, cioè lo spazio del pensare, che prevede la sospensione del giudizio e dell’azione e quindi l’allenamento a sostare nell’incertezza, ad assistere prima di tutto osservando, prerequisito di ogni genuina ricerca, reso praticabile dalla fiducia in un sostegno gruppale. Per il resto del modulo il clima è molto buono e il consenso finale sulla formazione unanime, e di certo non per compiacenza.

Ma quale emozione può essere così forte da interferire in questo modo? Durante una delle prime riunioni con un gruppo di puericultrici, creato il clima adatto, una di loro si sfogò così: “piuttosto che al nido meglio la chirurgia dove almeno si vive o si muore!”. Questa immagine di morte che accompagna la nascita e la crescita è in effetti il fantasma (ma anche la eventualità purtroppo concreta, benché rara) con la quale si deve fare i conti, con il senso di colpa che dalle mamme trasmigra a cascata sugli operatori più vicini e via via negli altri livelli istituzionali e dal quale ci si difende con l’intervento sostitutivo o con l’ evitamento, per tenere a bada sensi di colpa e impotenza.

Racconta Bettelheim: “Hansel e Gretel comincia in modo realistico. I genitori sono poveri e si preoccupano di come potranno provvedere ai loro figlioletti. Una sera discutono della loro situazione e cercano un sistema per risolverla. Anche considerata a questo livello superficiale, la fiaba popolare comunica un’importante, benché spiacevole verità: la povertà e le privazioni non migliorano il carattere dell’uomo, anzi lo rendono più egoista, meno sensibile alle sofferenze altrui, e quindi incline a commettere cattive azioni. Le fiabe esprimono in parole ed in azioni ciò che succede nella mente dei bambini. Rispecchiando l’ansia dominante del bambino H. e G. credono che i loro genitori stiano complottando per abbandonarli”… e conclude “Un bambino piccolo che si sveglia affamato nell’oscurità della notte si sente minacciato di completo rifiuto ed abbandono che egli percepisce sotto forma di paura della morte per fame.” Questo è lo spettacolo a cui nessuno vorrebbe assistere.


11. Conclusione

Potremmo concludere che per promuovere una rete sorretta da competenze non solo individuali ma anche gruppali e istituzionali nel caso nostro per il sostegno dell’allattamento, ma con un evidente valore aggiunto anche su altri futuri obiettivi, tutti i protagonisti hanno bisogno di rinunciare a qualcosa che in realtà prelude all’apertura verso nuove opportunità.

Innanzitutto una rinuncia al proprio narcisismo; non siamo noi che facciamo nascere e crescere: assistiamo ad un (e assistiamo un) evento straordinario. La stessa rinuncia narcisistica che ci permette di vedere la diversità come ricchezza: non lo facciamo da soli e ma siamo comunque parte di un gruppo, all’interno del quale anche il conflitto può diventare una risorsa per l’apprendimento se ci alleniamo ad accettare le emozioni ed utilizzarle come strumento di indagine e conoscenza a più livelli, incluso il livello della soggettualità istituzionale.

È quest’ultimo, come la ricerca psicosocioanalitica ci suggerisce, un modo diverso di affrontare il compito clinico, nella sua accezione originaria di chinarsi ad ascoltare, è un altro modo di vedere la malattia e la salute. “Quando il luogo naturale della malattia diventa la casa […] lo sguardo osserva la malattia non più solo dalla griglia delle forme patologiche ma anche da quelle delle configurazioni ambigue e mutevoli della salute” (Ferrara). Come sostiene Foucault “la vocazione di questa medicina a domicilio è di essere rispettosa delle virtù autoterapeutiche della natura e dell’ambiente, forze che vanno aiutate dall’intervento medico, ma non violentate”.


12. Bibliografia

  • Bettelheim B., Il mondo Incantato, Feltrinelli, Milano 1977
  • Buscema P.M. (ed.) Special Issue on Artificial Neural Networks and Complex Social Systems. I Theory; II Models; III Applications Substance Use & Misuse, vol 33,1-3,Marcel Dekker, New York, 1998
  • Charmet Pietropolli G., Riva E., Formazione e gruppi di lavoro, Cortina ed., Milano, 1987
  • Correale A., Il campo istituzionale, Ed Borla, Roma, 1999
  • Ferrara M.: “La relazione intermediaria”, in Rossini R., Tonini A. (a cura di), Atti del Convegno “Esperienze cooperative e riabilitazioni in psichiatria”. Prato (FI) 1989.
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  • Speri L. Il gruppo e i suoi attrattori, in Di Marco G. (a cura di) L’istituzione come sistema di gruppi, Cedit, Venezia, 1999


13. Bibliografia sull’allattamento al seno

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  • BFHI News March/ April 1999, Sept. /Oct.1999
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* Questo scritto riprende con lievi integrazioni il testo della relazione al Convegno “Fare un bambino...e aiutarlo a crescere, Il sostegno alla genitorialità: finalità prospettive e limiti”, promosso da Acep - Bologna 18 gennaio 2002.

** Leonardo Speri e' psicologo psicoterapeuta, gruppoanalista, Dirigente, Responsabile Promozione della Salute - Dipartimento di Staff - ULSS 20 Verona, project leader del progetto di certificazione qualità OMS UNICEF presso l'Ospedale di Soave, membro ARIELE PSICOTERAPIA, ASVEGRA, membro dello staff di ricerca "Sogno e Istituzione"del Centro Studi e Ricerche COIRAG, redattore della rivista "Gruppi nella clinica, nelle istituzioni, nella società".