PSYCHOMEDIA Telematic Review
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Sezione: SCIENZE E PENSIERO
Area: Antropologia
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Identikit del nuovo ultras
F. Flocca
Il lavoro qui presentato espone una rassegna di studi psico-sociali e clinico-antropologici sul problema, poco analizzato sul serio, della violenza negli stadi, delle dinamiche della tifoseria estrema ecc. di particolare interesse è lesposizione degli studi italiani di carattere socio-psicologico e psicodinamico. Nellinsieme esso rappresenta un utile e chiara introduzione al tema.
Introduzione
Le nuove forme di violenza che coinvolgono i ragazzi e i giovani adulti riguardano atti di vandalismo, violenza negli stadi, sassi dal cavalcavia, aggressioni razziali, etc. Si tratta di quegli eventi che V. Andreoli (2003) ha definito: "Gesti estremi compiuti da un gruppo: in cui il singolo si trasforma e persino giunge a una metamorfosi comportamentale assieme ad altri. Perde la propria identità per far parte di un super individuo, che è appunto il gruppo, all'interno del quale la responsabilità dell'individuo si dissolve". Tale quadro fenomenologico viene ripreso ed ampliato da A. Zamperini (2004) che parla di processo di deindividuazione, aggiungendo che in questi contesti a favorire tale processo è l'anonimato. Afferma, riportando diversi studi di stampo psicosociologico, che il far parte di un gruppo omogeneo, il confondersi tra la folla, l'essere coperto preserva dalle responsabilità personali e produce atteggiamenti di odio e aggressività verso l'altro. All'interno di questo contesto si assiste, però, anche alla costituzione di codici e valori normativi che contraddistinguono gli appartenenti al gruppo rispetto agli estranei, quindi ad un processo di depersonalizzazione, intesa come un abbandono dell' identità individuale verso l'identità del gruppo.
I concetti di deindividuazione e depersonalizzazione, come afferma lo stesso autore possono essere utilizzati come chiavi di lettura del fenomeno della violenza negli stadi.
Il calcio è lo sport più praticato al mondo e levento mediatico di maggior importanza a livello globale; in Italia è lo sport più praticato dai giovani e dagli adulti, e se non praticato attivamente, riscuote le simpatie di un vasto numero di appassionati, che fanno il tifo per la loro squadra.
Per questi fanatici del calcio il 'non tifoso' è un estraneo, una persona con la quale non si ha assolutamente nulla in comune e con la quale è difficile comunicare, mentre il tifoso di un'altra squadra è percepito spesso come un vero e proprio 'nemico'.
Questo articolo può essere in qualche modo considerato come una rassegna delle principali chiavi di lettura prodotte in ambito sociale e psicologico sulla descrizione, la formazione e l'evoluzione dei gruppi ultras. All'interno di questa cornice, e dinanzi alla complessità del fenomeno, mi è sembrato opportuno delineare un percorso di approfondimento, attraversato in senso dialettico da differenti teorie tradizionali e recenti, nel tentativo di contribuire alla messa a punto di una prospettiva centrata sulla possibilità di comprensione delle diverse dinamiche psichiche che sottostanno e interagiscono tra loro nella complessa fenomenologia dei comportamenti delle tifoserie ultras. Infatti, è all'interno di questo orizzonte che si inscrivono i temi dell'appartenenza, dell'aggressività, dei conflitti tra gruppi, del pregiudizio e della discriminazione.
Identikit dei gruppi ultras tradizionali e del nuovo ultras
Settimanalmente i quotidiani riportano, parallelamente agli avvenimenti calcistici, le atrocità collettive (A. Zamperini, 2002) consumate da tifoserie opposte, si dibatte sull'aspetto drammatico e su come arginare questo fenomeno, mentre per nulla o poco seriamente si è cercato di dare una spiegazione, da un punto di vista psicologico e culturale, su quelle che sono le dinamiche interne di gruppi di tifosi delle frange estreme, i cosiddetti ultras (brigate, commandos, warriors e altri "reparti" che etimologicamente rimandano a gruppi organizzati militarmente), che ogni domenica riempiono e devastano gli stadi.
La letteratura scientifica internazionale sulla violenza calcistica indica con il termine di football hooliganism il fenomeno per cui il tifo viene vissuto con intensa eccitazione ed i supporters della squadra non si considerano semplici testimoni, ma partecipano attivamente alla partita come dodicesimo uomo in campo. A tale proposito C. Bromberger, nel suo volume "La partita di calcio", sfata molti luoghi comuni sul pubblico degli stadi, dichiarando che non si tratta di masse indifferenziate in preda al delirio, come sosteneva Le Bon in Psicologia delle folle evidenziando una "regressione a stadi arcaici del livello dell'attività psichica delle masse, in cui scompare del tutto il senso di responsabilità e l'individuo acquisisce un sentimento di grande potenza, che gli consente di cedere ad istinti che da solo avrebbe tenuto a freno", ma di un gruppo di individui organizzato che esprime e manifesta ciò che lo uniforma all'interno e lo differenzia dall'esterno.
Il tifo diviene un forte elemento di identificazione, riesce a fondere le emozioni di molte persone e di gruppi di persone, che si incontrano ed interagiscono per affermare lammirazione per la propria squadra, animati dalle stesse emozioni e apprensioni per i propri idoli.
Andare allo stadio significa non solo partecipare, ma addirittura fondersi con l'evento, con i protagonisti e con gli altri spettatori, fino alla sostituzione finale dellIo con il Noi.
La folla della Curva non è un branco disorganizzato, ma un gruppo ben strutturato, i cui membri si riconoscono fra loro attraverso le bandiere, i cappellini, le sciarpe, e i diversi gadget che ostentano i colori della propria squadra; la curva si manifesta, anche attraverso gli striscioni che sono la loro icona, i loro totem, i cori, i boati, e le coreografie spettacolari. Effettivamente già S. Freud ha tentato di spiegare i meccanismi psicologici sottesi alle dinamiche gruppali attraverso il concetto di identificazione: all'interno di un gruppo di soggetti si evidenzia un reciproco legame che scaturisce da processi di identificazione tra loro, ed in ultimo con il capo oppure con l'idea che egli personifica, ovvero l' Ideale dell'Io di ogni componente il gruppo. Quindi "un gruppo si presenta come un insieme di individui che hanno sostituito il loro Ideale dell'Io con lo stesso oggetto (persona o idea), il che porta all'identificazione del loro proprio Io, ciò sembra spiegare la rinuncia dell'individuo al proprio ideale dell'Io per l'Ideale collettivo" (S. Freud, 1921).
Di grande interesse sono anche le intuizioni di D. Morris, il quale tenta di impostare l'interpretazione dei processi formativi dei gruppi ultras in una prospettiva antropologica.
Morris, infatti, nel suo La tribù del calcio pone a paragone i comportamenti, i riti, le mitologie del calcio con quelle tribali. Il calcio considerato obiettivamente, è una delle più strane costanti di comportamento umano della società moderna. Secondo Morris gli esseri umani durante il percorso evolutivo hanno trasformato i loro interessi ludici, passando da eventi ricreativi sanguinari a eventi sportivi propriamente detti. Il calcio, come altri sport avrebbe, dunque, sublimato, a livello rituale altri spettacoli di natura più cruenta, in cui il gioco consisteva nello scontro tra esseri umani: lo stadio ripropone gli scenari del circo dei i gladiatori romani, e le giostre dei cavalieri medioevali che erano supportati da vere e proprie tifoserie. Le dinamiche, i rituali e le scaramanzie dei gruppi di tifosi sembrano essere sovrapponibili: ogni centro di attività calcistica, ogni football club, è organizzato come una piccola tribù, completa di territorio tribale, anziani della tribù, stregoni, eroi, gesta mitiche.
Il calcio, in determinati contesti, riesce perfino ad assumere, a livello individuale e collettivo, significati che vanno oltre l'ambito sportivo investendo diversi codici di appartenenza e gruppali quali quello etnico, religioso, politico. È a questo punto che il rettangolo di gioco diventa un campo di battaglia "simbolico" in cui vengono a scontrarsi valori e codici dei sostenitori delle diverse squadre. In maniera speculare vengono coinvolti gli ultras sugli spalti, che seppur condividono le stesse complesse motivazioni, da quelle legate a componenti strettamente sociali, a quelle culturali, economiche, e talvolta politiche danno vita ad un campo di battaglia concreto (G. Calderaro, 2001).
Gli esempi sono innumerevoli.
In Spagna il Barcellona incarna l'autonomismo catalano, contrapposto al centralismo castigliano del Real Madrid, inoltre lAtletico Bilbao, squadra composta soltanto di giocatori baschi, simbolizza le rivendicazioni del movimento separatista delle province basche. In Italia e in Francia, Palermo, Lecce, Reggina e Olympique Marsiglia rappresentano l'ansia di riscatto del Sud arretrato rispetto all'arroganza settentrionale. A Glasgow, in Scozia, va in scena la sfida tra l'orgoglio protestante dei Rangers e la grinta del Celtic, squadra dei cattolici e degli immigrati di origine irlandese. E non dimentichiamo che i gravi incidenti avvenuti in occasione di un match tra i croati della Dinamo Zagabria e i serbi della Stella Rossa Belgrado furono la prima palese avvisaglia della tragedia che stava per sconvolgere la Jugoslavia.
La complessità della cultura sportiva, quindi, trova riscontro nellintrecciarsi di atteggiamenti trasgressivi e rituali, di interessi economici e simbolici, di fatti, miti e stereotipi. Questa complessità e la specificità della cultura sportiva non determinano sicuramente la separazione dal resto della società, dalla quale si assorbono e si recepiscono tensioni e conflitti, trasformati parodisticamente nel contesto dello stadio.
Quanto sopra esposto pone laccento sul fatto che qualsiasi fenomeno sociale non può essere analizzato a prescindere dal contesto culturale in cui si genera. A tale proposito sembrerebbe che una chiave di lettura per la comprensione delle dinamiche interne dei gruppi ultras, possa essere il concetto di transpersonale nella definizione che fornisce R. Menarini, ovvero l'impersonale collettivo che attraversa la nostra identità più intima senza che il nostro potere cognitivo possa minimamente concettualizzarlo (Menarini,1989), commentando le sistematizzazioni proposte da opera di G. Lo Verso, il quale sottolinea che la psiche umana è, anche, il prodotto di una matrice culturale-gruppale che si articola in cinque livelli che comprendono:
-quello biologico-genetico, riferito al processo evolutivo e agli aspetti specie specifici che accomunano il genere umano uomini.
-quello etnico-antropologico, riferito alle grandi aree culturali, ma anche a singole comunità sociali, comprende gli aspetti macro antropologici (miti, religioni, linguaggi, valori collettivi, etc).
-quello transgenerazionale, riferito in senso micro al nucleo familiare e alle reti parentali presenti, e in senso macro alle reti parentali rivolte al passato. depositari di modalità di relazionarsi col mondo che vengono tramandati, anche, inconsciamente.
-quello istituzionale, riferito agli aspetti psico-sociali presenti, alle appartenenze attuali della vita del soggetto (ambiente lavorativo, associazioni, etc.).
-quello socio-comunicativo, relativo alla dimensione macrosociale contemporanea e allorizzontalità con cui essa sembra sovrapporsi alla famiglia e alla tradizione culturale; si tratta di fenomeni tipici dei nostri tempi quali internet, mass-media, e globalizzazione.
Si tratta di livelli che influenzano il modo in cui lindividuo si autorappresenta rispetto agli altri e come rappresenta gli altri rispetto a se stesso, legati alle esperienze fatte in famiglia e nella società, e che sono il basamento delle modalità relazionali dell'individuo con la realtà esterna che, quindi, hanno un forte impatto sulla formazione dellidentità (G. Lo Verso, 1995).
L'identità del tifoso ultras si forma, in ultima analisi, in un ambiente che va considerato come ambiente transpersonale attraversato dai diversi livelli di cui esso si compone: letnico-antropologico, il trangenerazionale, listituzionale, il socio-comunicativo. Si potrebbe parlare di costruzione dell'identità del tifoso ultras, anche, perchè le forme culturali che le tifoserie si tramandano, hanno una propria storia, parallela ed autonoma rispetto al calcio come fatto atletico.
Si potrebbe dire che in ogni tifoso del gruppo ultrà agisce una "memoria transgenerazionale" (G. Massimini ed R. Calegari, 1979), vero e proprio organizzatore di identità del gruppo stesso, che plasma l'identità del tifoso e la sua modalità di rapportarsi agli eventi calcistici.
Anche gli studi di A. Roversi e C.Balestri (1999) evidenziano che il gruppo ultrà presenta al suo interno modi di agire e strutture organizzative capaci di allestire coreografie spettacolari che coinvolgono l'intera curva e richiedono un forte impegno economico, di lavoro e di coordinamento. All'interno di questo contesto di aggregazione e unione il senso di comunità viene manifestato dall'ostentazione di segni di riconoscimento e dalla partecipazione attiva alle riunioni organizzative dei club, ma soprattutto nell'identificarsi con una cultura che attraverso valori e codici non scritti regola i comportamenti dei membri del gruppo. Quindi nella cultura del gruppo ultrà lo stadio non è l'unico luogo di socializzazione e partecipazione alla vita di gruppo, è nei quartieri, nei bar, nei centri giovanili, e nei gruppi politici, che avviene il reclutamento del futuro ultrà, che deve mostrare doti di affidabilità, coraggio, solidarietà e durezza, grazie alle quali il giovane alla fine è considerato uno del gruppo. Sembra, appunto, che l'appartenenza ad un gruppo di tifosi sia diventato uno dei principali strumenti di identificazione collettiva nella società moderna e uno delle principali fonti di significato nella vita di molta gente.
Il carattere intrinsecamente antagonistico delle varie tifoserie determina la sua rilevanza come luogo di identificazione collettiva, si presta alla formazione di un gruppo in e un gruppo out. Lelemento della contrapposizione, in tale frangente, diviene cruciale perché serve a rafforzare lidentificazione nel gruppo: il senso di appartenenza a un noi è rafforzato dalla presenza di un altro gruppo percepito come loro, la squadra avversaria. Si vengono così a determinare intensi sentimenti di attaccamento a gruppi noi molto definiti e sentimenti di ostilità ugualmente intensi nei confronti di gruppi loro altrettanto nettamente definiti.
Secondo questa ottica è interessante la prospettiva delineata da A. Salvini (2004) il quale attraverso l'osservazione diretta e sistematica ha tentato di evidenziare i processi cognitivo-interattivi che sottostanno ai comportamenti violenti, non considerati semplici risposte dirette alle variabili ambientali, ma adattamenti alle interpretazioni che le persone danno a quanto accade nelle situazioni. L'autore esamina anche il ruolo che tali comportamenti hanno all'interno dei processi normativi del gruppo. Il tifoso, quindi, è un soggetto che dirige il proprio comportamento in vista di un fine e secondo le aspettative del gruppo; viene quindi evidenziata la funzione di costruzione dell'identità e dell'appartenenza ad un gruppo sociale svolta dal gruppo degli ultrà, che diviene fondamentale per il giovane adolescente.
Far parte di un gruppo organizzato dà modo al tifoso di partecipare ad un mondo che lo valorizza conferendogli la possibilità di accedere ad un'identità che va oltre l'identità del singolo, e per ottenere questo il giovane tifoso si deve impegnare a condividere con il suo gruppo tutte le rappresentazioni che accentuano sia le somiglianze interne (identificazione/integrazione), che le differenze esterne (differenziazione/opposizione). Chi entra nel ruolo di tifoso ultrà trova unidentità già predisposta con il suo corredo di norme, valori, sanzioni, credenze, ragioni e modelli dazione. Per cui il giovane tifoso preso entro la rete dei suoi bisogni di affiliazione e significazione, dovendo scegliere un abito di comportamento, farà sue quelle immagini e quelle regole condivise attraverso cui potrà essere confermato dagli altri. Si acquisiscono nuovi valori e nuovi obiettivi, acquistano nuovo significato concetti come lealtà, impegno, fedeltà, gerarchia; è un codice non scritto, informale, pieno di eccezioni, ma nella sua struttura di base, rigido.
Per tali motivi bisogna considerare la cultura di gruppo degli ultras come una cultura forte, capace di trasformare la curva in un territorio in cui, al di là della provenienza sociale, delle motivazioni e degli stimoli soggettivi, dei differenti stili di vita, valgono per tutti i giovani tifosi le medesime regole e norme. Bisogna considerarla come cultura forte poiché è stata capace di gestire l'uso della violenza, indirizzandola solo verso nemici esterni, ed è riuscita a far tacere, dentro la curva, le differenti opinioni personali in nome della comune fede di gruppo e nel senso di appartenenza ad una dimensione collettiva.
Questi universi psichici e comportamentali sembrano riproporre, fatte ovviamente le debite proporzioni e differenze, le dinamiche psichiche descritte da G. Lo Verso parlando della psiche totalitaria, fondamentalista (religiosa, politica, razzista sessuofobia, etc).; infatti "queste logiche dell'appartenenza in cui il noi sovrapersonale predomina sull' io individuale sembrano essere comuni al processo di costruzione dell'identità personale presente nelle culture fondamentaliste. Il quadro psicopatologica di base in questa strutturazione dell'identità psichica satura e saturante è la paranoia ed il modo di intendere la verità/realtà caratterizzata da una dicotomozzazione delle categorie cognitive e affettive; la comunicazione è di tipo esclusivamente strumentale: è vero ciò che si pensa sia utile e possa servire alla causa (
) Fondamentalista è chiunque ritenga che l'altro sia a- priori inferiore, nemico. (G. Lo Coco, G. Lo Verso, 2002; G. Lo Coco, G. Lo Verso, 2003;).
In tempi recenti si è assistito alla nascita di cellule autonome che, seppure agiscono nella curva degli ultrà, non si identificano nelle regole del gruppo; sono soprattutto formazioni autonome di matrice neo nazista che fondano l'appartenenza al proprio gruppo identificandosi nella comunanza di atteggiamenti violenti, xenofobi e di intolleranza razziale; ma si registrano gruppi di tifoserie violente anche di matrice ideologica di sinistra come i CARC.
Alcuni di questi gruppi, che si dichiarano esplicitamente di estrema destra, esercitano una pericolosa attrazione cercando apertamente lo scontro fisico con azioni tipicamente militari.
E' la nuova generazione degli ultras, con un' età media tra i 13 e i 35 anni, che si identifica negli skinhead di estrema destra, o naziskin , che introduce abiti militari, simbologie e ideologie razziali e antisemite nel loro credo. I naziskin, decisamente politicizzati e pronti a uccidere per la "giusta" causa, razzisti e antisemiti, esasperatamente nazionalisti, hanno sovente fatto da "soldati" per movimenti più o meno organizzati di estrema destra, vicini al ku klux klan oppure ai neo con più estremi negli Usa, e a gruppi neonazisti nel resto del mondo.
La passione per il calcio e il tifo violento si è affiancata alla preparazione atletica in discipline di combattimento quali la thai - boxe e il full - contact. Ciò che il gruppo offre a chi lo abbraccia è un forte senso di fratellanza, e la sicurezza di avere sempre dei "fratelli" su cui contare in caso di problemi pratici. Il culto della forza impone spesso prove di coraggio e le manifestazioni di violenza, aggressività e fedeltà al gruppo sono elementi considerati vincenti.
La ingente mobilitazione e presenza delle Forze in servizio di ordine pubblico dentro e fuori gli stadi, spesso rappresenta, per questi nuovi gruppi un motivo di ulteriore compiacimento per vedersi così osservati e sorvegliati, anche se per una identità negativa attribuita loro dalla Società.
Interessante a questo proposito è la ricerca condotta da G. De Leo (2002) dal titolo "Il sistema di convinzioni dei giovani naziskin; aspetti cognitivi e dinamiche di appartenenza gruppale".
L'autore evidenzia come nei gruppi giovanili in cui prevalgono forme estremistiche di comportamento sociale e politico, in questo caso il fenomeno dei naziskin, l'individuo orienta le proprie aggregazioni, le proprie scelte e i propri comportamenti sulla base di una precisa micro-cultura di gruppo che si esprime, attraverso riconoscibili e tipici sistemi di convinzioni.
La ricerca esplorativa di tipo qualitativo è stata condotta attraverso lanalisi del contenuto delle relazioni di osservazione di 5 adolescenti naziskin detenuti presso il carcere minorile di Roma, e attraverso interviste approfondite e articolate su varie dimensioni effettuate a tre giovani maggiorenni romani aderenti a gruppi di naziskin, contattati per adesione volontaria. Le interviste sono poi state a loro volta lette con il metodo dellanalisi del contenuto.
Nello specifico i risultati hanno evidenziato che i giovani naziskin mostrano una forte e costante tendenza cognitiva verso una rigida dicotomizzazione (vero/falso, giusto/sbagliato, bello/brutto) rispetto a tutti gli oggetti dei loro discorsi e dei loro riferimenti (valori, ambienti, gruppi, persone, politica, ecc.). Mostrano inoltre una precisa caratterizzazione valoriale, enfatica, retorica, sempre contrappositiva, del proprio «Sé», del proprio «Noi», con una decisa e svalutante individuazione della categoria «Loro».
Diverso, ma che rappresenta totalmente la guerriglia domenicale allo stadio, è il caso dei Cani Sciolti del tifo. Tifosi che messi al bando e diffidati dal frequentare lo stadio in cui gioca la propria squadra, si aggregano ad altre cellule minori di tifoserie gemellate non tanto per guardare la partita, quanto per creare scompiglio e violenza, rivolta in particolar modo verso le forze dell'ordine. Interessante a questo proposito è l'articolo scritto da G. Dotto (2004) in cui intervista due soggetti da lui definiti due casi purissimi di teppismo da stadio: disinteressati rispetto alla partita (non gioca la loro squadra), apolitici, non pagati, a differenza dei gruppi ultras non hanno delle regole. Il loro kit da guerra è composto da tuta Ninja, berretto, sciarpa, niente armi ("sono da infami") si usa tutto ciò che si trova a portata di mano, in particolare la cinta con la fibbia.
Ritornando al tema della violenza negli stadi, la domanda che ci si pone è se effettivamente si possa parlare di "violenza", determinata da una motivazione, uno scopo definito, e un nemico designato, quale può essere il caso dell'aggressione dei supporter avversari, anche soltanto a scopo intimidatorio; oppure bisogna parlare di "distruttività gratuita" dell'esistenza dell'altro, chiunque esso sia, associata alla devastazione di luoghi pubblici quali gli stadi, gli autogrill, i treni etc..
Una possibile chiave di lettura per analizzare la fenomenologia della violenza negli stadi, intesa quale possibile trasgressione ai presupposti di base della convivenza, sembra essere fornita dall'interpretazione del modello di R. Carli (2000) che situa la "convivenza" al carrefour di tre componenti che la originano: i sistemi di appartenenza, l'estraneo, e le regole del gioco.
Un primo modo di trasgressione è la negazione dell'estraneo, che si configura necessariamente come nemico; ciò comporta l'apprezzamento dei soli sistemi di appartenenza. Tale situazione sembra rispecchiare il tradizionale scontro tra tifoserie organizzate, uno scontro fra sistemi di appartenenza; si può ancora parlare della partita di calcio come ritualizzazione dello scontro tra due fazioni che possono coinvolgere questioni che esulano dall' evento sportivo e implicano questioni etniche, religiose, politiche che inevitabilmente influiscono sugli stati d'animo degli spettatori che si identificano totalmente con i valori che la squadra rappresenta.
Un secondo modo di trasgredire è la negazione delle regole del gioco in cui, non esistendo l'estraneo come nemico, si annullano i sistemi di appartenenza e si attaccano le regole del gioco. Situazioni simili sono state riscontrate recentemente in riferimento ad attacchi verso le Forze dell' Ordine oppure verso strutture fuori e dentro lo stadio quando i tifosi avversari sono già andati via. Sono i casi riferibili a cellule autonome di tifosi, ai gruppi quali i naziskin, i CARC , o addirittura i cani sciolti; in questo caso è doveroso parlare di distruttività e devastazione gratuita di tutto ciò che non si riconosce come proprio. Oggi, sembrerebbe che lo stadio sia diventato luogo di espressione della voglia di violenza e scontro con ciò che rappresenta le istituzioni, questo si dimostra nel momento in cui l'altro, il nemico non è più il tifoso avversario ma le Forze dell'Ordine.
Esempio emblematico di questo nuovo fenomeno è la sospensione del derby Roma- Lazio del marzo 2004; all'interno di questo contesto si è assistito all'alleanza di due tifoserie storicamente rivali, che contemporaneamente ritirano gli striscioni, imprecano contro le istituzioni e richiedono ai capitani delle due squadre la sospensione della partita contrariamente alle decisioni del Prefetto di Roma, fuori dallo stadio si sono visti i classici scontri non più tra tifoserie ma contro i rappresentanti delle istituzioni.
L'idea di fondo che in chiusura vuole essere richiamata, anche alla luce dei vari modelli interpretativi, che a mio avviso si completano reciprocamente, è che nel prendere in considerazione il fenomeno della violenza negli stadi non si può fare a meno di osservarlo nella sua complessità e specificità. La violenza dell'ultras, intesa sia in un'ottica collettiva (ultras organizzati) che in un'ottica individuale (cani sciolti), non può essere indubbiamente osservata a prescindere dal resto della società, da cui assimila e accoglie tensioni e conflitti, che in un secondo tempo vengono agiti nella circostanza della partita domenicale.
È evidente che volendo analizzare, da un punto di osservazione psi, il fenomeno della violenza negli stadi, sia a livello di gruppi organizzati che di piccole frange autonome, si entra in contatto con una straordinaria molteplicità di processi e una complessità di dinamiche tali da rendere impossibile una definizione sintetica. Ad una attenta analisi, infatti, oltre agli aspetti fenomenici visibili a tutti, emergono dimensioni inconsce plurime, di carattere individuale che transpersonale, queste due dimensioni vanno considerate le due facce della stessa medaglia, perché se da un lato sono la sedimentazione del patrimonio di ogni singolo individuo della cultura, dei valori, e dei principi trasmessi in senso verticale, dall'altro lato si riferiscono, anche, alle modalità relazionali comuni a tutti i gruppi di cui fa parte l'individuo nella sua quotidianità: gruppo di amici, gruppo di lavoro, tifoseria, etc.
A questo punto si potrebbe affermare che per osservare il fenomeno "gruppo ultras" non è possibile considerare il singolo tifoso come l' unità elementare di un fenomeno complesso, altresì non è possibile neppure pensare al gruppo come una sommatoria anonima di comportamenti individuali in cui scompaiono l' identità e le responsabilità di ciascuno individuo. Il gruppo come sostiene G. Lo Verso, va considerato come una rete antropologica identificatoria che ha costitutivamente il carattere della molteplicità e della complessità, e che implica tutta la storia di ogni soggetto, rispetto alle significazioni affettive da ciascuno esperite ed elaborate in rapporto all'ambiente antroporelazionale in cui si è cresciuti (Lo Verso G., 1994).
Conclusioni
Per concludere vorrei focalizzare l'attenzione su due (s)punti di riflessione.
Il primo punto vuole ribadire che, come ogni altro fenomeno dell'esistenza umana, le dinamiche che si manifestano tra i gruppi di tifosi, dentro e fuori gli stadi sono lo specchio e il riflesso dei tratti caratteristici delle realtà sociali e del momento storico in cui prendono vita.
Il processo centripeto dei gruppi ultrà, e il rispettivo processo di atomizzazione e disgregazione delle curve degli stadi sembrano rispecchiare in senso "micro" quello che è lo scenario "macro" dell''attuale periodo storico dell'umanità caratterizzato da due scenari opposti e discordanti.
Da un lato vi è la tendenza ad una omogeneizzazione/omologazione del genere umano nonostante le diversità, le differenziazioni, le culture, le religioni, e le etnie, in cui ogni individuo perde la propria identità. Allo stesso tempo, però, si assiste ad una costante messa in discussione delle reti relazionali, passate e presenti, alla ricerca di una propria identità sempre più narcisista ed egoista.
Il secondo punto su cui richiamare l'attenzione è quello relativo agli interventi tesi ad arginare la violenza dentro e fuori gli stadi; un problema che tuttora rimane irrisolto. Come si è sopra menzionato, nel corso degli anni si è assistito ad una evoluzione nell'agire la violenza negli stadi , e di conseguenza un cambiamento di modelli esplicativi di riferimento che indubbiamente hanno influenzatole varie modalità di risposte per arginare il fenomeno. Da sempre sono state incaricate le Forze dellOrdine ad attuare provvedimenti e misure di intervento mirati a controllare e reprimere le "cariche dei tifosi"; l'esito ottenuto si risolve in un maggiore nervosismo ed una dislocazione del scontro, non più tra ultrà delle opposte tifoserie, ma tra ultrà e forze dellordine. In un secondo tempo si è assistito alladozione di misure di controllo sempre maggiore ricorrendo alle telecamere che riescono ad identificare i singoli tifosi i quali, come dei capri espiatori, subiscono le conseguenze legali nonché la diffida dal frequentare lo stadio in cui gioca la propria squadra. In ultimo si è intervenuti direttamente sulla squadra attraverso multe alla società, penalizzazioni in classifica, e squalifica del campo di gioco.
La conoscenza approfondita del fenomeno del tifo di curva, ha evidenziato nel corso degli anni un universo variegato e contraddittorio, per cui si è passati da modelli esplicativi che sostenevano la dissoluzione della responsabilità dell'individuo nel gruppo, a modelli esplicativi disposizionali, in cui il comportamento individuale è concepito come caratteristica propria della persona, infine si è giunti ad una prospettiva gruppale e situazionale in cui l'attenzione è rivolta, non più al gruppo inteso come massa né al singolo individuo, bensì alle relazioni che sussistono tra gli individui tenendo in debita considerazione l'influenza del contesto socioculturale (Zamperini A., 2004).
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