Paolo TucciJacques Derrida, Elisabeth Roudinesco, quale domani ?Il libro ha la forma di un dialogo-intervista tra Roudinesco e Derrida, un appassionato viaggio nella memoria collettiva della cultura francese. Affidiamo alle parole della Roudinesco la presentazione degli argomenti affrontati:
Abbiamo deciso di mettere a fuoco nove temi. Ognuno di essi mi sembra racchiudere almeno una delle grandi domande che attraversano il nostro tempo. Il nostro tentativo è stato quello di rispondervi attraverso una riflessione in cui coesistano, intersecandosi, diversi piani di discorso: filosofico, storico, letterario, politico, psicoanalitico.
Ma perché il titolo Quale domani?. Questa è una domanda che ricorre nei Canti del crepuscolo di Victor Hugo, il quale così prosegue: Tutto, oggigiorno, nellambito delle idee come dei fatti, a livello della società come dellindividuo, è immerso in un generale crepuscolo. Ma di che natura è questo crepuscolo, e cosa vi farà seguito?. Ciò che mi interessa è (...) la ripartizione dei temi e delle forze operanti in questa o quellopera identificando ciò che risulta egemone e ciò che viene, invece, marginalizzato, per non dire rinnegato.
Attraverso questa strada si raggiunge una verità di carattere performativo; il valore di questa scomposizione deriva più dalla sua congruenza, dallefficacia delle interpretazioni che rende possibili, che non dal rigore logico argomentativo che la sostiene. Come scrisse Vattimo alcuni anni fa in una Introduzione a La scrittura e la differenza, chi ha ascoltato Derrida in lezioni o seminari sa quanto è difficile fargli accettare qualsiasi ricostruzione del suo pensiero. Spessissimo egli si dichiara frainteso dai suoi interlocutori, e ciò specialmente quando si cerca di stabilire correlazioni delle sue tematiche con scuole, linee di pensiero, mode culturali o esigenze spirituali dellepoca. Immaginate un uomo innamorato del passato innamorato di un passato assoluto, di un passato che non sia un presente ormai passato, ma che sia un passato, per così dire, a misura e a dismisura di una memoria senza fondo--ma un innamorato che rifiuti ogni passatismo, ogni nostalgia, ogni culto del ricordo. E allora una duplice ingiunzione, disagevole e contraddittoria, quella che riceve questo erede--che certo non è dunque ciò che si intende comunemente con la parola erede. Eppure niente mi sembrerebbe possibile, interessante e desiderabile senza questa eredità. Essa impone un duplice movimento: conservare in vita la vita, farla rivivere, renderle omaggio, e lasciar vivere nel senso più poetico e profondo di questa espressione che, purtroppo, è ormai divenuta uno slogan. Saper lasciare--e sapere cosa vuol dire lasciare--è una delle cose più belle, più coraggiose e più indispensabili che io conosca. Che fa tuttuno con labbandono, con il dono ed il perdono. La pratica della decostruzione non è mai esente da questo--o, detto in altri termini, non è mai esente dallamore. E la Roudinesco risponde: Da parte mia cercavo di essere fedele ma non dogmatica. Più tardi mi sono sentita più vicina alle sue posizioni ed ho riconosciuto che aveva ragione nello scegliere di far parlare le opere dallinterno, attraverso le loro incrinature, i loro spazi bianchi, i margini, le contraddizioni, senza renderle lettera morta un volta per tutte. Da ciò lidea che il miglior modo per restare fedele a uneredità ricevuta sia di esserle infedele, ovvero di non assumerla alla lettera, come una totalità assoluta, ma di cercare di coglierla in fallo, evidenziandone il tratto dogmatico. A partire da questa figura dellerede è possibile gettare uno sguardo sul futuro, ovvero sulla responsabilità a cui, come eredi, siamo tenuti. (...) la nozione stessa di responsabilità--in quanto rispondere di, rispondere a e rispondere in nome di--ci viene consegnata, in tutto e per tutto, come uneredità. Si è responsabili di fronte a ciò che viene prima di sé, ma anche nei confronti di ciò che deve ancora venire--e per ciò è davanti a sé. Due volte davanti--davanti a ciò che deve e davanti a ciò a cui deve una volta per tutte--lerede è doppiamente in debito. Si tratta in entrambi i casi di una sorta di anacronismo: andare oltre nel nome di ciò che ci oltrepassa, e oltrepassare il nome stesso--inventare questo nome, firmare con unaltra firma, ogni volta in modo unico, irripetibile, ma nel nome di un nome ricevuto in eredità, se ciò è mai possibile
Innanzitutto ho trovato in questo testo un legame con la teoria della complessità, a cui teniamo in modo particolare noi gruppoanalisti. Entrambi gli autori si dichiarano amici della psicoanalisi. Derrida è stato profondamente segnato, nella sua formazione, dalla cultura psicoanalitica, e Roudinesco pratica come analista. esprime tutta la libertà di unalleanza, di un impegno che fa a meno di statuti istituzionali. (...) in una parola questo sì dellamicizia presuppone che la psicoanalisi rimanga un evento storico incancellabile, la sicurezza che si tratti di una buona cosa, che debba essere amata, sostenuta anche laddove--ed è il mio caso--non è mai stata praticata in modo istituzionale, né in quanto analizzato né in qualità di analista, e anche nel caso si nutrono gli interrogativi più profondi nei riguardi di buona parte dei cosiddetti fenomeni psicoanalitici, a livello teorico come istituzionale, giuridico, etico o politico.
Le posizioni illustrate da Derrida e Roudinesco trovano consonanze con gli interessi degli analisti. La prima consonanza è certamente nellidea stessa di decostruzione, cioè nella convinzione--che Derrida descrive come un assioma, la bussola di tutte le mie interpretazioni--che ogni oggetto dinterpretazione (si tratti di teoria, di testo o di autore) è costituito da una complessità di voci, di anime diverse che è necessario decostruire, cioè che occorre compierne una lettura separata, differenziata, e persino apparentemente contraddittoria. Questidea richiama tra laltro la nozione di gruppalità interna sviluppata in Italia da Diego Napolitani e, dunque, della lettura che la gruppoanalisi riserva agli stessi suoi autori, Freud compreso.
Preferisco, in Freud, le analisi parziali, locali, minori, i colpi di sonda più avventurosi. Queste intuizioni sono in grado di riorganizzare talora--almeno virtualmente--lintero campo del sapere. (... ) Elisabeth Roudinesco dissente su questo punto: Io credo che sia invece necessario tener conto della radicale innovazione introdotta da Freud e continuare lavorare con la metapsicologia. Se si viene meno infatti a quelle che lei chiama le grandi macchine teoriche, si rischia di liquidare il principio stesso della 'sovversione freudiana, il suo carattere innovativo, e di ritornare invece vecchie nozioni di inconscio (...) Cè una fragilità intrinseca alla psicoanalisi che riguarda il suo stesso oggetto: linconscio, inteso in senso freudiano , può essere sempre evitato, confutato, giudicato 'pericoloso e dunque bandito dallambito della coscienza e della ragione. Da ciò la necessità, per conservare il carattere creativo, di fare continuamente ritorno a quellatteggiamento originario di Freud contrario ai dogmi, dogmi che la psicoanalisi stessa risuscita nel momento in cui pretende di 'superare Freud, ovvero di 'seppellirlo.
Per Derrida della metapsicologia non se ne parla quasi più perché sono altre le 'finzioni teoriche che ormai si impongono . |
|